Ma davvero
crediamo che la libertà di espressione, garantita a tutti dalla Costituzione,
si possa esercitare a danno degli altri? O che il diritto di cronaca dei giornalisti, sia illimitato e possa travolgere la vita delle persone? O che
l’inerzia e il silenzio del passato debba imporre la stessa inerzia e silenzio
per il presente e pure per il futuro? Io non lo credo affatto. E anche la
discussione sull’Ordine sì o no, o sulla scelta della denuncia di esercizio
abusivo della professione, temo diventi
un diversivo per non affrontare mai un problema che pure esiste. Sto parlando
della scelta del Presidente dell’Ordine Enzo Iacopino di denunciare la
conduttrice tv Barbara D’Urso per esercizio abusivo della professione. Qui il link della pagina fb di Enzo Iacopino che spiega con chiarezza il perché della
sua azione.
Sono le
reazione alla sua iniziativa che mi hanno lasciata perplessa. E di questo credo
sia utile e importante parlare. Tralascio la discussione sulla necessità o meno
dell’Ordine. E’ un dibattito antico e naturalmente lecito, che portò anche ad
un referendum abrogativo che naufragò. E’ un tema che si ripropone e si riproporrà
sempre ma che, a mio avviso, non ha nulla a che fare con questa vicenda. Con la
quale si è voluto segnalare che i media calpestano la vita e i diritti delle
persone coinvolti in episodi di cronaca.
Alcuni hanno
scritto: è accaduto da sempre! Vero, tristemente vero. Ma per questo dobbiamo
tacere ora e sempre? Non è solo Barbara D’Urso a farlo! Stravero (e in tv non c'è limite al peggio).
Ma da qualche parte bisognerà pure cominciare? E quando la D’Urso si difende affermando che “ei ha il dovere d’informare, è utile e doveroso spiegare a lei e a tutti che il dovere d’informare non ha nulla a che vedere col trascinare in studio presunti amici, fidanzati, conoscenti di una delle tante donne vittime ammazzate?
Ma da qualche parte bisognerà pure cominciare? E quando la D’Urso si difende affermando che “ei ha il dovere d’informare, è utile e doveroso spiegare a lei e a tutti che il dovere d’informare non ha nulla a che vedere col trascinare in studio presunti amici, fidanzati, conoscenti di una delle tante donne vittime ammazzate?
Con molte
altre donne, giornaliste o non, singole e con associazioni, abbiamo scritto
tantissime lettere a direttori di giornali per articoli scandalosi e vergognosi
verso le vittime. Denunciamo che si usino termini come raptus, follia o gelosia
per raccontare e giustificare i troppi casi di femminicidio. Che a 35 anni di
distanza dal prezioso documentario “Processo per stupro”, di Loredana Rotondo, sono
quasi sempre e solo le vittime della violenza a finire sul banco degli imputati
allestito dai media.
Abbiamo
chiesto che il tema del linguaggio di genere entrasse nei corsi per i
praticanti e in quelli di aggiornamento professionale per i giornalisti, che l’Ordine
nazionale e i vari Ordini regionali hanno e stanno tenendo. Le risposte
positive ci sono state e sono importanti. Proprio Iacopino è stato il primo a darle, e per fortuna non è
stato il solo. Tutto questo denota un’attenzione nuova alle riflessioni e
richieste che le donne, giornaliste e non, hanno svolto e svolgono. Anche questa
denuncia testimonia che c’è una sensibilità e attenzione che non appartiene più
solo alle donne. Che ci sono molti uomini attenti alle parole delle donne e a quelle di coloro
travolti dalla prepotenza e invadenza della cattiva informazione. Soprattutto
nei programmi di intrattenimento che, non essendo riconducibili a testate
giornaliste, pensano di essere un territorio immune da regole deontologiche o
limiti di legge.
No, non
esiste immunità per nessuno, giornalisti e non. La buona informazione si può e
si deve esercitare rispettando la vita degli altri. Questo è e deve essere il
tema. Affontiamolo con serietà tutte e tutti. Partiamo da qui, ora, augurandoci serva per il futuro.
Cinzia Romano