domenica 21 maggio 2017

Femminicidio e stalking: la concezione dell'amore secondo il Mattino di Padova


Un'altra donna uccisa da un uomo, un'altra narrazione tossica che normalizza la  violenza contro le donne  e la racconta come conseguenza dell'innamoramento, dell'amore, del raptus, della passione.
Questa volta il pessimo esempio di giornalismo ci viene offerto sul web, da il Mattino di Padova online, diretto da Paolo Possamai che ha pubblicato l'articolo Natasha,  lotta disperata contro il suo molestatore, firmato da  Carlo Bellotto (con la collaborazione di Giusy Andreoli). Siamo davanti all'ennesima  operazione di normalizzazione ed estetizzazione della violenza  maschile contro le donne,  molto efficace nel nascondere  ciò che alimenta il femminicidio: il bisogno di potere e di controllo sulle donne, i loro corpi e la loro sessualità. La donna assassinata, si chiamava Natasha Bettiolo, aveva 46 anni, era madre di due figli avuti in giovanissima età e  lavorava come cuoca alle mensa di una scuola elementare. L'assassino Luigi Sibilio, è ricoverato al policlinico di Padova,  dopo aver assassinato Natasha appena uscita dal lavoro, ha tentato il suicidio. Nonostante da anni si parli di femminicidio e ci siano analisi approfondite del fenomeno, il Mattino di Padova narra i fatti con disarmante superficialità anche se è in buona compagnia: altri quotidiani di Padova sciorinano le parole raptus, delitto passionale e titolano che l'assassino aveva "perso la testa".
Carlo Bellotto su il Mattino di Padova infila però una perla dietro l'altra: ha la squisita sensibilità di definire la vittima, "la bella cuoca", riferisce che gli inquirenti stanno indagando se Natasha Bettiolo avesse ricevuto telefonate e messaggi, allude nel titolo a molestie e pressioni che la donna potrebbe aver subito prima di essere uccisa, eppure non fa alcun riferimento allo stalking.
E ancora descrive l'aggressione come una  "sorpresa", spiega che l'origine della violenza sia stata "una sbandata"  e  conclude che l'assassino "si era invaghito  talmente di quella donna tanto da ammazzarla per un suo rifiuto ad una relazione". Ecco la concezione dell'amore secondo il Mattino di Padova e Carlo Bellotto: se ami molto, ammazzi.
Naturalmente non poteva mancare la patologia diagnosticata solamente dagli iscritti all'ordine dei giornalisti , "il raptus" anche se nello stesso identico articolo, il giornalista a cui difetta la logica, spiega che gli inquirenti stanno valutando l'ipotesi di  premeditazione del delitto.
L'articolo 17 della Convenzione di Istabul responsabilizza  (ancora inutilmente pare) i Mass Media e attribuisce loro un ruolo per attuare un  cambiamento culturale anche adottando linee guida ed è anche per questo che l'ordine dei giornalisti il 30  dicembre scorso ha fatto proprie, finalmente dopo 5 lunghi anni,  le Linee Guida della Federazione Internazionale dei Giornalisti che richiama i giornalisti all'uso di un linguaggio corretto, cioè rispettoso della persona, scevro da pregiudizi e stereotipi, ad una informazione precisa e utile alla comprensione delle vicende e della loro dimensione sociale: adottando nei casi di femminicidio anche il punto di vista delle vittime (anziché centrarlo sulla personalità dell'omicida) e salvaguardando la loro privacy; fornendo dati e pareri di esperti utili a collocare gli atti di violenza nel loro contesto storico e culturale, contro la convinzione che "la violenza sulle donne sia una tragedia inesplicabile e irrisolvibile"
Che altro dire?
@nadiesdaa

martedì 16 maggio 2017

Posto occupato: in ricordo di Laura e Letizia, uccise insieme il 13 aprile scorso

E' trascorso poco più di un mese dal duplice  femminicidio di Laura Pezzella e Letizia Primiterra avvenuto il 13 aprile scorso ad Ortona. Sono state uccise da Francesco Marfisi che non accettava la separazione dalla moglie Letizia e che ha voluto accanirsi anche contro Laura, la migliore amica della moglie. Nella mente misogina e maschilista di quest'uomo violento, c'era una lista di donne da uccidere, responsabili di essersi messe contro di lui. Prima di essere fermato e arrestato dai carabinieri, ha ucciso la moglie Letizia che aveva osato separarsi eppoi Laura. 
Ora i genitori di Laura devono affrontare  il dolore per la perdita della figlia e anche prendersi cura dei nipoti, due bambini di 5 e 7 anni che hanno assistito all'uccisione della madre. Colpiti duramente e in tenera età,  da un trauma profondo che dovrà essere elaborato per anni. Laura ha pagato con la vita la sua amicizia con Letizia, il senso civico, il senso di responsabilità di chi non vuole girarsi dall'altra parte e restare in disparte o indifferente. Il 14 maggio avrebbe compiuto 33 anni.  I genitori  hanno voluto ricordarla e anche ricordare il suo esempio e  il suo coraggio, organizzando insieme al Centro antiviolenza di Ortona, Donn-é  l'iniziativa "Per non dimenticare. Posto Occupato, allestendo con manifesti le vetrine del Corso  rivolgendo  un messaggio  alla città e a tutte le donne:  "Un posto occupato in ricordo di Laura che oggi avrebbe compiuto 33 anni, e di tutte le donne vittime di violenza che devono avere giustizia e verità. Non si chiama raptus, non è conflitto, non esiste la provocazione. Si chiama Femminicidio e a ciò non può esserci alcuna giustificazione".  
In attesa del processo, che dovrà chiarire  perché Francesco Marfisi non è stato fermato dopo la denuncia che Letizia aveva fatto ai carabinieri e il coinvolgimento di un servizio territoriale  per donne vittime di violenza, resta il dolore da elaborare per l'ennesima cronaca di una morte annunciata sulla quale è doveroso non far calare il silenzio e non lasciare i familiari di Letizia e di Laura da soli.





mercoledì 10 maggio 2017

L'Huffington post, l'infanticidio, la blogger e l'importanza delle parole

Il 7 maggio nel cortile condominiale di una palazzina di Trieste è stata trovata, adagiata su un cumulo di macerie, una neonata avvolta in un sacchetto di plastica. La bambina è stata soccorsa da alcune donne delle pulizie che passavano per caso sul vialetto ma purtroppo è morta all'ospedale pediatrico Burlo Garofalo. Si è scoperto in pochissimo tempo che la donna che l'ha partorita è una ragazza di 16 anni. Dopo il parto, ha messo la neonata nel sacchetto e l'ha calata con una corda dalla finestra, giù, fino al cortile. Non sappiamo se, mossa dall'oscurità dell'inconscio, questa giovanissima donna volesse sbarazzarsi della figlia come fosse uno scarto,  oppure volesse affidare la bambina ad una sorta di sacchetto-placenta  legata ad una corda-ombelicale per  lasciarla alla sorte. Ora sulle responsabilità penali indagherà la Procura di Trieste ma la notizia è deflagrata in cronaca perché l'uccisione di un neonato o di una neonata da parte della madre, è un evento che turba e ferisce l'opinione pubblica mettendo in discussione il principio che nessuno come una madre, ama e protegge  il proprio figlio. Non è un principio sempre valido. Non è sempre così, nemmeno per le madri che curano e proteggono i loro figli dopo averli partoriti.   Di questa tragica  vicenda che porta a galla questioni complesse e delicate, ha scritto senza garbo, malamente, visceralmente Deborah Dirani sull'Huffington Post con un titolo  La Festa della mamma di un'assassina suscitando per i contenuti, molte proteste e attacchi sul web. La blogger  ha gettato benzina sul fuoco ed ha  malamente difeso le sue tesi con una foto imbarazzante ed un commento aggressivo e ingiurioso nei confronti di chi la contestava, definendo i commenti critici al pari di ragadi anali delle quali non si sarebbe curata (per poi fare qualche modifica al post).


La psicoterapeuta Costanza Jesurum,  con la delicatezza che la contraddistingue, ha lasciato sulla sua bacheca Fb un breve commento, una piccola bussola per orientarsi in quel mare magnum sempre in perenne agitazione che è il web. Scrivendo dell'indicibile ombra del materno, ha commentato: "La donna, che uccide il suo bambino nato, compie un suicidio per interposto corpo. L'infanticidio è un nodo che deve essere parlato, toccato, raccontato sui giornali, soltanto da chi può, da chi non si brucia e non brucia. Ed io vedo che ancora molte persone non pronte, giornalisti, si assumono un onere divulgativo che non possono sostenere. Non hanno la maturità esistenziale, nè quella professionale per assolvere il compito. Certa scrittura, certi temi non sono per tutti". Eppoi ha scritto Riflessioni intorno all'infanticidio, che vi invito a leggere


Anche  la Rete Non Una di Meno si è mobilitata contro quello che la blogger Lola, sul suo post Giudice, Giuria e boia, ha definito un concentrato di "cattiveria puro, come raramente si è visto" e che è di fatto lo sfogo rancoroso, un'invettiva dai toni forcaioli. In una lettera pubblicata sul suo sito, NUDM chiede alla direttora dell'Huffington Post, Lucia Annunziata, di prendere le distanze dal post di Dirani.
Se è lecito esprimere dolore  e anche indignazione davanti alla distruttività e alla inaspettata irruzione dell'obnubilamento della ragione, non è lecito o degno di una testata nazionale pubblicare uno sfogo furioso, augurare alla ragazza di essere perseguitata a vita dalla Festa della mamma (dettaglio poi tolto) e far intendere che nemmeno le bestie si comportano così. Tantomeno è lecito cucire una  lettera scarlatta addosso alla madre di questa sedicenne ("la Festa della madre di una assassina") facendo dell'orrendo titolo il degno coronamento di un pessimo esempio di giornalismo. Un professionista, ma anche chi cura dei blog, è tenuto a fare una corretta informazione e deve  raccontare i fatti con una narrazione libera da qualunque stereotipo o pregiudizio; se ha competenze dovrebbe dare una chiave di lettura ,perché i fatti che turbano la collettività hanno bisogno di essere elaborati. Se non ha competenze è meglio che taccia o tenga ferme le dita perché di sfogatoi e linciaggi sul web ne abbiamo già abbastanza. E ancora,  chi scrive non dovrebbe dimenticare mai che è di persone in carne ed ossa che si sta occupando, non delle proprie paure e dei propri fantasmi che, se inseguiti sull'onda della propria visceralità, conducono lontano da quell'esercizio di coscienza che dovrebbe guidare chi si mette in gioco per fare informazione. Deborah Dirani scrive, nella presentazione del suo blog "Donna prima, giornalista poi": a volte sarebbe meglio essere innanzitutto un o una  brava professionista che non dimentica l'etica e scrive con competenza.
A volte, cara Deborah, è  meglio essere prima una  giornalista e poi tutto il resto.
Nadia Somma (twitter @nadiesdaa)

lunedì 8 maggio 2017

Molestie ad Amici: ventimila firme contro il programma della De Filippi

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La petizione Basta alle molestie sessuali in televisione #IoNonRido, contro "lo scherzo" delle molestie sessuali (di cui abbiamo scritto il 26 aprile scorso nel post "Che bello ridere delle molestie sessuali)   alla cantante Emma Marrone,  trasmesso il 24 aprile scorso durante una puntata di Amici, ha raccolto più di ventimila firme ed ora, Cristiana de Lia,  la sua promotrice, ha inviato una lettera a Pietro Grasso, presidente del Senato, Laura Boldrini, presidente della Camera, Maria Elena Boschi, sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio con delega per le Pari opportunità ed anche ad  alcuni deputati "affinchè  sia rispettato l'articolo 17 della Convenzione di Istanbul e le  istituzioni si adoperino per definire dei criteri di programmazione e delle politiche etiche alle quali tutti i media debbano attenersi per porre fine ad una tale cultura di violenza; i media siano incoraggiati a trattare temi relativi all'educazione sessuale ed a diventare promotori di una cultura egualitaria e  vi siano dei provvedimenti atti a prevenire e punire ogni forma di violenza di genere sui media, nell’ottica e nel rispetto della dignità umana". 
L'irrisione di una molestia sessuale avvenuta sul canale Mediaset, ha normalizzato  la violenza contro le donne ed è stata  anche ripresa  da alcune testate europee (ne scrive Renato Paone sull'Huffington Post) come l'Indipendent, il Sun, alcune pagine Facebook  ed è finita persino sul canale Al Jazeera tra lo stigma di cattivo gusto e le critiche all'arretratezza della cultura italiana. L'indagine Istat del 2008 rilevò che 10 milioni 485 mila donne  pari al 51,8 per cento della popolazione femminile, avevano subito nell’arco della loro vita ricatti sessuali sul lavoro o molestie in senso lato eppure questo fenomeno è ancora largamente sommerso e scarsamente denunciato proprio perché le donne temono di non essere credute e soprattutto perché è un reato che le stesse istituzioni tendono a sottovalutare o a disconoscere, interpretandolo, troppe volte, proprio come scherzo o goffo tentativo di corteggiamento. La valutazione che viene fatta nelle aule dei Tribunali non tiene tanto in considerazione la percezione della donna ma piuttosto la misurazione della gravità della molestia che, a seconda del relativissimo metro del giudice, può essere significativa o del tutto assente ma soprattutto viene ancora presa in considerazione l'intenzione di causare un danno alla vittima da parte del molestatore o addirittura se le mani si sono allungate con lo scopo di ottenere gratificazione sessuale oppure no.  E' facilissimo quindi, che molte denunce si risolvano con una assoluzione o una archiviazione.  A  tal proposito c'è uno sconfortante esempio della sentenza del Tribunale di Palermo, che nel febbraio dello scorso anno,  ha assolto un uomo denunciato da due colleghe perché, "pur essendo riprovevole il suo comportamento" non c’era stata “la soddisfazione dell’impulso sessuale”. Il Giudice lo definì immaturo e dichiarò che aveva agito...per "scherzo".
Di tutto questo Maria De Filippi si cura ben poco tantoché  intervistata da Domenico Naso, sul Fatto quotidiano, nei giorni in cui la polemica e l'indignazione infiammavano il web,  ha liquidato tutta la vicenda con qualche battuta : "Se alcune persone pensano che questo scherzo sia una molestia sessuale, allora significa che il mondo si è capovolto: nessuna persona dotata di razionalità potrebbe pensare una cosa del genere".
Si pensa una "cosa del genere" quando, appunto, si pensa
(Di seguito, la lettera a Laura Boldrini)


Illustrissima Onorevole Boldrini,
Mi chiamo Cristiana e sono un’ attivista per i diritti delle donne. Recentemente ho lanciato la campagna #IoNonRido con la seguente petizione, al fine di portare all’attenzione del pubblico e delle istituzioni la problematica relativa alla violenza di genere sul servizio televisivo. Questa campagna ha raccolto oltre 20,000 adesioni in seguito al recente episodio di “Amici”, uno dei programmi più amati dai giovani italiani, dove era stata inscenata una molestia sessuale ai danni della cantante Emma Marrone. L’episodio ha generato non solo l’indignazione degli utenti del web in Italia ma anche lo scalpore di molti giornali esteri.  Poco più di un mese fa, la trasmissione “Parliamone Sabato” su Rai 1 era stata anch’essa esposta a forti critiche a seguito della messa onda di un vademecum sui motivi per i quali gli uomini italiani avrebbero dovuto scegliere le ragazze dell’Est.  In qualità di Presidente della Camera e in funzione del Suo impegno per i diritti delle donne e delle Sue recenti dichiarazioni sull’importanza dell’educazione di genere, sulle responsabilità delle istituzioni, del mondo dell’informazione dello spettacolo e della televisione per combattere fenomeni quali il femminicidio, Le chiedo di prendere in considerazione il mio appello affinché vengano introdotte delle misure istituzionali per fermare una tale cultura di violenza. Pur apprezzando i recenti sforzi della politica per arginare un fenomeno che nel nostro paese colpisce quasi una donna su tre, credo fermamente che vi sia bisogno di un radicale cambiamento culturale attraverso l’educazione alla nonviolenza. Mi appello a Lei perché soprattutto i giovani e le giovani crescano in un mondo in cui sappiano che la violenza non è mai uno “scherzo” e, affinché le vittime stesse non ripetano il mio stesso errore di infanzia di credere che gli abusi siano qualcosa di normale a cui doversi rassegnare.  La Convenzione di Istanbul, in vigore dal primo agosto 2014 in Italia, all’articolo 17, sancisce con chiarezza il ruolo dirimente che i mezzi di comunicazione hanno per contrastare gli stereotipi, la violenza sulle donne e la disparità. Inoltre, quale mezzo di informazione, educazione ed intrattenimento, credo fermamente che il servizio radiotelevisivo, pubblico e privato, debba farsi espressione di tutte le istanze presenti nella società, e promotore di una cultura di rispetto dei generi e delle diversità.  Con questa campagna Le chiedo di prendere in considerazione la mia richiesta affinché:
Le istituzioni si adoperino per definire dei criteri di programmazione e delle politiche etiche alle quali tutti i media debbano attenersi per porre fine ad una tale cultura di violenza;
Che i media siano incoraggiati a trattare temi relativi all’educazione sessuale ed a diventare promotori di una cultura egualitaria;
Che vi siano dei provvedimenti atti a prevenire e punire ogni forma di violenza di genere sui media, nell’ottica e nel rispetto della dignità.
Mi rivolgo a Lei nella speranza che possa pubblicamente aderire alla nostra campagna e contribuire ad innescare un dibattito sulla violenza di genere nei canali di comunicazione, all’interno del Parlamento.
A nome di tutte le donne e gli uomini che hanno aderito al mio appello, colgo l’occasione per ringraziarLa, sicura che prenderà in considerazione questa mia e nostra richiesta.
Cordiali Saluti, Cristiana De Lia

domenica 7 maggio 2017

La Francia rifiuta il fascismo. E se il presidente è un uomo, è circondato da molte donne

Con Macron la Francia ha scelto, secondo molti, un meno peggio denso di incognite ma intanto ha scelto l'Europa e, soprattutto, ha rifiutato il gretto fascismo che ci avrebbe dato certezze che è meglio non avere: regressione, incultura, violenza di cui abbondiamo già fin troppo. Inoltre: il Presidente è un uomo; ma, molto più di quanto sarebbe mai stata se avesse vinto la candidata donna-padre, la sua presidenza promette di essere piuttosto al femminile. A partire dal numero di donne influenti a cui, fin dall'inizio della sua campagna, Macron ha dato ampio spazio. Eccole:


Brigitte Trogneux, ovviamente prima in questo elenco: 64 annisua moglie e sodale da lunghissima data, è anche una figura di coach supervisore che lo ha incoraggiato e guidato nella fondazione di 'En Marche!' e nel presentarsi alle elezioni. E' lei la "grande vecchia" che affianca uno staff per il resto notevolmente giovane, a partire dal marito stesso che, a soli 39 anni, sale all'Eliseo con il primato di più giovane presidente nella storia di Francia. Sempre al suo fianco, ha accompagnato tutta la campagna in un rapporto paritario e, sembra, di grande affiatamento e rispetto reciproco. Nell'insieme i due appaiono come una coppia modello Obama, esplicitamente impegnata in un lavoro comune costantemente condiviso. 


Tiphaine Auzière, 30 anni, avvocata, animalista, è l’altra donna di famiglia: figlia di Brigitte e figliastra di Macron. Sua grande sostenitrice e leader di “En Marche”.


Sophie Ferracci, 40 anni, diploma di alti studi commerciali, master in diritto fiscale, capo di gabinetto, figura influente e di primo piano del movimento En marche! 



Catherine Barbaroux, 68 anni, ex presidente dell'associazione per il diritto all'iniziativa economica, promotrice di una proposta di revisione delle qualifiche professionali necessarie per esercitare alcuni mestieri. E' stata delegata all'impiego e alla formazione sotto quattro ministri (Fillon compreso).


Laurence Haim, 50 anni, ex-giornalista e inviata in zone di guerra, portavoce. Dichiaratamente lesbica.


Marlene Schiappa, 34 anni, attivista blogger e scrittrice, tiene conferenze, si è occupata delle problematiche che incontrano le donne nelle imprese; è responsabile delle tematiche "uguaglianza uomini-donne".


Axelle Tessandier, 36 anni, master in management dell'audiovisivo alla Sorbona, ex blogger, ex creatrice di startup, dopo 5 anni nella Silicon Valley ha scelto di tornare in Francia.


Caterina Avanza, 36 anni, italiana, laurea in Scienze politiche a Bologna e un master alla Sorbona, interpreta le tendenze politiche in atto e collabora all'elaborazione dei discorsi di Macron.

Buon lavoro a tutte, signore.

Sophia Antoine: lettera a Marine Le Pen

Marine, mi ti rivolgo per nome a sottolineare che ti parlo da donna a donna, occhi negli occhi, fuori da ogni formalità. E’ urgente. Ci hai sempre trovate sulla tua strada a denunciare le tue menzogne e manipolazioni. Noi siamo la tua bestia nera, le tue oscene arpie, l’incubo del tuo servizio d’ordine… a ogni tuo evento ci bracca; ma ogni volta gli diamo scacco.


Si, noi interferiamo nei tuoi comizi, corto-circuitiamo la tua campagna, interveniamo sempre dove meno te l’aspetti! Tu ci detesti perché ti interrompiamo, facciamo barriera contro di te.. meglio, ti ridicolizziamo. Ricordati come quel 1 maggio 2015, quando mentre andavi a deporre fiori ai piedi della statua di Giovanna d’Arco, una di noi ti si è parata davanti; o ancora, durante il tuo discorso a Place de l’Opera, quando abbiamo fatto irruzione scimmiottandoti, sul petto la scritta «Heil Le Pen», una ridicola parrucca bionda e baffi hitleriani. 

Noi eravamo là anche a Fougères, nell’ottobre 2013, per intimarti di pentirti.

Ma anche questo 23 febbraio 2017 per denunciare il tuo "femminismo" fittizio in conferenza stampa...

e ancora, il 17 aprile durante il tuo meeting allo Zénith, dove siamo giunte fin sul palco, faccia a faccia con te, eludendo la sorveglianza del tuo servizio d’ordine. 


Ricordati come a ogni tua campagna a Hénin-Beaumont ti abbiamo fatto una piccola visita. Per le elezioni europee vestite da infermiere pronte a iniettare un vaccino antifascista.

Per quelle legislative eravamo vestite “alla marinara”, e infine, per quelle presidenziali, arrivando platealmente in limousine bianca. Questa volta, Marine, eravamo il tuo team, là per scortarti al tuo ufficio elettorale sull’aria di «We Are Family», con le maschere di Putin, Trump, Assad, Farage, e di tuo padre stesso. 

Perché, al momento di mettere le proprie schede nell’urna, le donne e gli uomini francesi si ricordino chi sono i tuoi ignobili alleati e di quello che tu davvero rappresenti.
Marine, tu ci definisci estreme, anzi meglio: isteriche.
Ma le nostre azioni sono estreme solo per quelli che ritengono “estreme” le donne che si esprimono chiaro e forte, o quelle che utilizzano il proprio corpo come bandiera. Noi siamo attiviste impegnate come lo è anche quel sassolino nelle scarpe che ti ostacola il cammino, ti obbliga a fermarti e ti disturba, ti ostacola. 


E quel sassolino ha un nome: è il femminismo.
Perché in realtà, semplicemente, quel che facciamo è di comparire  pacificamente a seno nudo, dipinto con uno slogan in colore acrilico. Tutto il resto lo fanno le vostre reazioni alle nostre azioni.
E quando cadono le maschere il Front National mostra il suo vero volto! Marine, domenica scorsa, con 6 maschere grottesche 6 attiviste su un’auto di lusso, in una messa in scena satirica, bandierine e fotografo ufficiale, abbiamo mostrato come reclamare democraticamente libertà di espressione in territorio fascista.

Dopo averci violentemente apostrofato alla Le Penistana, con mille capi di imputazione, averci accusato arbitrariamente di ribellione (per aver "colpito degli agenti"), e trattenuto 36 ore in prigione guardate a vista, la polizia non ha potuto trovare alcuna prova video che potesse inchiodarci alle accuse menzognere di alcuni colleghi. Il procuratore ci ha comunque accusate, oltre che di atti osceni, di aver turbato la campagna elettorale con chiasso, minacce e assembramento.
(…) Ma, Marine, non crediamo che noi Femen possiamo davvero, con le nostre azioni, cambiare il voto dei tuoi elettori. Semplicemente contribuiamo al dibattito pubblico usando la nostra libertà per dire quello che non si può tacere. (…) 
D’altronde, benché dal 23 aprile un’enorme nube opprima il nostro paese, siamo certe che non si abbatterà sulle nostre teste il 7 maggio. Noi lo sappiamo, il popolo repubblicano saprà tenerti testa.
Sophia Antoine, del gruppo Le Femen

Con l'ottimismo della volontà ci associamo a questa speranza. Che ce ne facciamo, in effetti, di una donna che, volendo essere suo padre, è il patriarcato stesso? Un'onta più grave, per tutte le donne è difficile da immaginare: che al potere maschile vada una donna-padre
Come la stessa onta sarebbe, per tutti i neri, che a far la guardia all'apartheid fosse messo un "nero" con cuore di bianco-razzista.