domenica 31 maggio 2015

La par condicio è scomoda, anzi morta

Scrive Aspettarestanca che La par condicio è morta: tra comunicazione sul web (ancora non regolamentata) e mancato rispetto delle norme vigenti (letteralmente sotto gli occhi di tutti e tutte in questi giorni la violazione della legge da parte dei maggiori leader nella televisione pubblica e non) e nessuna reazione dall’AGCOM Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (se ci sei batti un colpo).
Evidentemente fa comodo a molti ignorare norme che dovrebbero migliorare la consapevolezza di chi è chiamato a scegliere i componenti delle assemblee elettive, i presidenti delle Regioni, sindaci e sindache. 

La par condicio è scomoda. Quasi impossibile reperire sul WEB il testo aggiornato della Legge 22 febbraio 2000, n. 28,  Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica. Per trovare il testo aggiornato è stato necessario approdare sul sito della Regione Friuli – Venezia Giulia, che lo pubblica qui, sia pure con l’obiettivo limitato di informare sulla sola parte relativa alla comunicazione istituzionale. Questo è avvenuto dopo aver constatato con meraviglia che il sito dell’AGCOM rinvia al testo su Normattiva privo delle modifiche introdotte con la legge 215 del 2011. Si è aggiunto sconcerto nel constatare che anche sul sito del Ministero dell’Interno c’è ancora anche il testo originario e che al Ministero dell’Interno, come al Governo interessa solo la parte relativa al divieto di diffondere sondaggi.
La par condicio di genere ha gravi problemi di salute. Qualche risultato non da poco è stato raggiunto (la presenza di donne nelle trasmissioni televisive politiche è aumentata ma, come Aspettare stanca e altre Associazioni hanno più volte sottolineato tempestivamente, la resistenza ad applicare la nuova normativa è notevole: quasi nessun effetto si è notato nella campagna elettorale conclusasi ieri, che ha riguardato sette regioni e quasi mille Comuni. Alle ore 13 di oggi il TG2 ancora omette ogni informazione sulle preferenze (mentre le include il TG1 delle 13,30, comprese quelle sulla doppia preferenza di genere). Eppure in tutte le sette regioni si possono esprimere le preferenze, ed è noto quanto la presenza nelle trasmissioni televisive nazionali e locali influisca sulla possibilità di ottenere consensi. 

E’ complice la censura nella comunicazione istituzionale che abbiamo sopra evidenziato. Addirittura il Ministero dell’Interno, nel suo lungo Dossier_2015 non fa alcun accenno alla doppia preferenza di genere. Eppure la par condicio di genere comparve per la prima volta proprio per le regionali (nell’art. 10 della legge elettorale della Regione Campania) e dal 2011 si applica (o meglio si dovrebbe applicare) alla comunicazione politica generale grazie alla Legge nazionale 215 del 2011 che, con l’articolo 4, ha modificato le legge sulla par condicio del 2000.
Tra comunicazione di regime e burka mediatico per le donne italiane, ancora molto c’è da fare per il lungo e difficile cammino delle donne e della nostra democrazia.
Sulle elezioni di oggi vedi su Aspettare stanca, 31 maggio alle urneE per approfondimenti: Rainews • Regione Toscana speciale elezioni regionali 2015 

lunedì 25 maggio 2015

Francesco, un nome un programma. Ed è qui: nell'Enciclica Laudato si'

ARCHIVIO / DOCUMENTI Lettera Enciclica Laudato si' sulla cura della casa comune
1. «Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba».[1]
2. Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata Terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora.
Niente di questo mondo ci risulta indifferente 

domenica 24 maggio 2015

Unlock The Future: donne visionarie al TEDxMilanoWomen 2015

Giovedi 28 maggio appuntamento a Milano per il TEDxMilanoWomen 2015 (h. 14.30 - 20.30, Vodafone Theatre di Via Lorenteggio 240). 
Se il futuro racchiude ciò che non ha ancora avuto luogo, nella vita delle persone rappresenta anche ciò che ancora possiamo sognare, immaginare, progettare, creare e innovare. E le donne che idee hanno per il futuro? TEDxMilanoWomen2015 dà la parola alle donne sul tema Unlock The Future, focalizzando tre direttrici:
1)  rischiare il futuro: storie di donne che hanno saputo mettersi in gioco senza paura di sbagliare, con l’audacia di chi riconosce il valore di una lezione da imparare;
2) sbloccare il futuro: testimonianze di chi ha saputo rileggere gli eventi con occhi nuovi, trovando l’idea inaspettata in grado di dare nuovo slancio al futuro;
3) sognare il futuro: spazio all’immaginazione di chi esplora le proprie potenzialità per trasformare la propria visione in realtà.
Parteciperanno Chiara Bisconti (attivista); Francesca Rizzi (social innovator); Cristina Bowerman (cuoca moderna); Valeria Cagnina (digital champion); Anna Zanardi (change advisor); Eveline Sarah Afaawua (Nappy Girl); Chiara Burberi (education challenger); Ilaria Capua (ricercatrice combattente); Antonella Mansi (manager); Laura Fedeli (presentatrice); Wintana Rezene (presentatrice).
L’ingresso all’evento costa 25 €, riduzione a €15 per studenti; €10 per le socie Young Women Network. Questa tariffa agevolata è così spiegata da Alessandra Bernini (vice-presidente di Young Women Network): Credendo molto nell’abilità femminile di cambiare il corso delle cose, Young Women Network supporta l’evento in qualità di TED Ambassador. Con questo spirito diamo l’opportunità alle nostre socie di partecipare al TEDxMilanoWomen2015 offrendo una riduzione sul costo del biglietto. Per info: comunicazione.ywn@gmail.com

Donne nell’economia: un dibattito alla Casa delle Donne di Milano

Come è cambiato il ruolo delle donne nella società e nell’economia in Italia? Come lo scambio intra-generazionale può influire sul cambiamento nelle questioni di genere? Come le donne possono contribuire a rendere l’economia più etica?
 Sono alcuni temi del dibattito del 27 maggio 2015 alla Casa delle Donne di Milano; qui i dettagli.

L'Irlanda ha detto si. Sprigionando un'onda di speranza e di gioia

L’Irlanda è stata il primo Paese al mondo ad affidare a un Referendum la decisione di riconoscere ai gay il diritto al matrimonio, e la risposta è stata si. 
Anche Diarmuid Martin (Arcivescovo di Dublino e  Primate d’Irlanda) si inchina alla decisione degli irlandesi: “È una rivoluzione sociale; la Chiesa deve fare i conti con la realtà”, dice, senza condire con toni da crociata l'appello dei vescovi irlandesi a rispettare i valori della famiglia tradizionale. ll 62,1% dei cittadini ha votato sì, con 1.201.607 voti a favore, contro solo 734.300 contrari.


Purtroppo, oggi è anche la giornata di un'orrenda notizia, sul piano internazionale: la città di Palmira è caduta nelle sanguinarie mani dell'Isis. Ci auguriamo che sia per loro una nuova Kobane…! anche se lì purtroppo non si può contare sulle condizioni curde. Ma ecco, in questo mondo in cui l'odio repressivo, misogino e omofobo, raggiunge simili abissi sfrenati, ancor più sale un moto di gratitudine verso l'Irlanda: che diffonde un'onda di poesia, di speranza e di gioia.



sabato 23 maggio 2015

23 maggio del 1992. Lo dico ai responsabili

C'è gente che è stata ammazzata eppure è viva; e altri che credono di essere vivi e invece sono morti.
Gli occhi innamorati di Falcone che parla e sorride sono istanti straordinari su cui, dopo la narrazione di tante brutture, si chiude questo video:


e ci dicono una cosa chiaramente: non sempre chi ha perso - al punto di perdere la vita - ha avuto la peggio. Quelli a cui va peggio sono quelli che fanno una vita infame in cambio di cosa? un potere e denaro male utilizzati, e che dunque sono solo polvere.
Perciò si, come narra questo video: Lo dico ai responsabili: all'inferno ci siete già. Tu che guardi ricordati: se vuoi la gioia solo l'amare, solo il conoscere conta.

mercoledì 20 maggio 2015

Pas? Spottone irresponsabile a Chetempochefa. Ecco invece perché essere contro alla proposta di legge della Bongiorno

Fabio Fazio promuove una cosa di cui evidentemente non sa niente a Chetempochefa, trasmettendo uno spottone, protagonista Michelle Hunziker, sulla famigerata Pas e correlata, sciagurata "proposta di legge" dell'avvocata Giulia Bongiorno. Chi ha a cuore la libertà - e la vita delle donne non può che essere preoccupat* e indignat* per la sua proposta di sanzionare penalmente la presunta Pas (sindrome di alienazione parentale) una patologia inesistente su cui si fa grande confusione, facendo leva sull'indignazione per gli scorretti metodi con cui tanti genitori penalizzano i bambini nelle separazioni. Un'invenzione che è stata causa di gravi abusi, incluso il ripetersi di ri-vittimizzazioni per molte donne che hanno subìto violenza. 
Luisa Betti  che si è occupata a lungo dei problemi creati dalla Pas, ha dato il via alle proteste sul web con un articolo fortemente critico sulle dichiarazioni di Michelle Hunziker a Che tempo che fa? e l'appello a fare una mailbombing nei confronti della Rai. 
Da tempo si conoscono gli effetti devastanti di questa pseudo-dottrina di cui si fa un'arma da mettere nelle mani dei maltrattanti nella contesa per l'affidamento dei figli dopo la separazione. Un efficace salvacondotto per gli autori di violenza perché si ritorce contro le vittime grazie ad una sorta di  assioma: se un bambino rifiuta un genitore, le cause non sono da ricercarsi nel genitore rifiutato ma nell'altro genitore che viene colpevolizzato come alienante. E' abbastanza  superfluo parlare di genitore perché Richard Gardner, l'ideatore della pas, sosteneva che l'alienazione fosse attuata soprattutto dalle madri che con la denuncia di abusi e violenze sui minori "alienavano" la figura paterna. Di fatto l'invenzione della sindrome da parte di uno psichiatra controverso, apologeta della pedofilia, è stata una formidabile controriforma che ha attaccato la dignità e i diritti delle donne sollecitando arcaici  pregiudizi  ("femmine", creature bugiarde, malevole, manipolatrici)  e ha indebolito gli interventi a tutela dei minori vittime di abusi. Questa teoria in realtà  non è mai stata sostenuta da riscontri scientifici attendibili, tant'è che non è mai stata inserita nel DSM (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) né nell'ICD (Classificazione Internazionale dei disturbi) e con la sentenza della Cassazione del 20 marzo del 2013 è stata messa fuori dai tribunali italiani perché patologia priva di fondamento scientifico. I suoi sostenitori hanno cercato di ridare credibilità a questa "patologia" definendola non  più un disturbo individuale ma un  disturbo relazione con il nome di Ap (Alienazione Parentale) ma non ci sono ancora prove scientifiche a suo sostegno. Inoltre una propaganda martellante che cita un "fenomeno in allarmante crescita" non fa riferimento ad alcun dato, anzi una analisi della percentuale delle separazioni consensuali disconferma gli allarmismi sulle madri che impediscono ai padri di vedere i figli.
Nel 2012, scrive il blog del Ricciocorno, sono state 65.064 le separazioni (il 73,3% del totale) e 33.975 divorzi (il 66,2% del totale) hanno riguardato coppie con figli. I figli sono stati 112.253 nelle separazioni e 53.553 nei divorzi. Poco meno della metà (48,7%) delle separazioni e un terzo (33,1%)  dei divorzi riguardano matrimoni con almeno un figlio minore di 18 anni. Nel 2012 le separazioni con figli in affido condiviso sono state l’89,9% contro l’8,8% di quelle con figli affidati esclusivamente alla madre. La quota di affidamenti concessi al padre continua a rimanere su livelli molto bassi. Infine, l’affidamento dei minori a terzi è una categoria residuale che interessa meno dell’1% dei bambini. Il ricorso all' affidamento condiviso è legato anche alla scelta del rito con cui si concludono la separazione o il divorzio. Infatti, questa tipologia di affidamento viene prescelta nel 90,8% delle separazioni consensuali contro l’85,1% di quelle giudiziali e nel 77,7% dei divorzi consensuali rispetto a un 66,2% di quelli chiusi con il rito giudiziale.

Quindi su cosa si fonda questo allarmismo? 
Sull'ipotesi di un "rischio", o c'è ben altro?

Richard Gardner che era affetto da una profonda misoginia  arrivò a sostenere, prima di suicidarsi nel 2003, che le donne che denunciavano gli abusi e le violenze del partner,  dovevano essere rinchiuse in prigione. A dodici anni  dalla morte dello psichiatra americano,  la Bongiorno vuole realizzarne i sogni con una  proposta di  legge che, se andrà in porto,   scaverà un solco profondo e una contraddizione nel sistema di protezione delle vittime di violenza domestica.  Le vittime di questa sindrome inesistente sono tanti bambini e  bambine allontanate e rinchiuse nella case famiglia anche per anni e sono  tre le vttime che hanno perso la vita e i loro nomi dovranno restare iscritti nella coscienza collettiva: Federico Barakat e Davide e Andrea Iacovone, uccisi per  vendetta dai loro padri dopo la separazione dalle loro madri.  Le minacce, lo stalking, le violenze continue commesse dai loro padri non fecero scattare alcuna misura di protezione, il servizio sociale non interruppe  le visite di questi due padri per rispettare, ad ogni costo, la bigenitorialità e per il "sospetto della Pas". 

Le avvocate della rete nazionale dei centri antiviolenza hanno scritto una lettera aperta ad Anna Maria Tarantola, presidente della Rai, Luigi Gubitosi direttore di Rai tre e Fabio Fazio per condannare la disinformazione fatta dal servizio pubblico e hanno chiesto la tempestiva rettifica durante la trasmissione "Che tempo che fa" sul tema  con "esplicita precisazione che le fonti pubbliche e più autorevoli concordano nel ritenere la Pas scientificamente infondata e che sia dato spazio all'approfondimento competente sulla violenza assistita.  La sollevazione sul web e sulla stampa ha indotto la Hunziker e la Bongiorno a rispondere che si sono sentite  meravigliate della mancata compenetrazione del testo normativo e del fatto che il dibattito si sia aperto sulla Pas. Davvero?   Michele Hunziker  in ben due occasioni  ha parlato di legge per sanzionare la Pas.  Di che cosa si meravigliano allora le smemorate rappresentanti di Doppia Difesa?

Ma allora se la Pas  è una patologia non riconosciuta, se inficia gli interventi a protezione delle donne e dei bambini vittime di violenza assistita e se è stata messa al bando da una sentenza della Cassazione perché  si cerca a dispetto della mancanza di  scientificità di fondarci sopra un reato? 
Gli interventi a tutela dei genitori che non vedono i figli a causa di alta conflittualità  già ci sono. Quelli che non riescono ad ottenere il rispetto degli accordi dopo la separazione possono appellarsi all'articolo 709 del  codice civile (leggete l'interessante articolo di Ricciocorno Quei fenomeni di Hunziker e Bongiorno) e la manipolazione può essere sanzionata come violenza psicologica o maltrattamento. E allora a chi giova o a cosa è utile questa proposta di legge?
Ad interessi economici in parte, le parcelle dei periti forensi che incassano migliaia di euro con la certificazione della Pas ma anche ad  interessi legati a spinte sociali involute e fasciste.
La Pas  nei casi di violenza è il salvacondotto per i maltrattanti e nei casi di alta conflittualità è un mezzo per porre fine al conflitto con un atto violento quello che si consuma soprattutto ai danni dei bambini. Si colpisce il figlio per colpire la madre e l'antica minaccia "ti porto via i figli" torna attuale con la benedizione dei periti forensi.  In un mondo in cui le donne pretendono di agire il conflitto in maniera paritaria intervengono strumenti che reprimono il conflitto e nello stesso tempo le violenze commesse dagli uomini  per reprimere i conflitti nella relazione di coppia, sono ignorate, rimosse, disconosciute.
Dovremmo invece essere capaci di riconoscere e bloccare la violenza e attraversare i conflitti  inventando degli interventi non traumatici, non violenti per superarli. Come amava ripetere Carmine Ventimiglia che per anni ha collaborato con i centri antiviolenza "dovremmo essere educati a saper vivere i conflitti altrimenti non ci sarà pace".  
Nel 2006 è stato approvato in parlamento l'affido condiviso (legge 54/2006) che in principio avrebbe dovuto salvaguardare la bigenitorialità ovvero il diritto di ogni bambino o bambina a vivere una buona relazione con entrambe i genitori, una legge che porta in sè anche il principio della condivisione del ruolo di cura ma quella legge non a caso,  non ha mai specificato l'esclusione del principio di bigenitorialità nei casi di  maltrattamenti o violenza commesse da un partner nei confronti dell'altro o dei figli. Si è tornati al concetto della salvaguardia dell'unione familiare a tutti i costi anche per quelle famiglie violente dove invece sarebbe sacrosanto spezzarne i legami.  Nel tempo sono state depositate altre proposte di legge da tutte le forze politiche che in maniera anacronistica vanno nella direzione di sbilanciare la genitorialità a favore del padre (come la proposta di legge riesuma la patria potestà). E sono state messe sotto attacco le leggi che tutelano il coniuge economicamente più debole, che solitamente è  la donna.  Si tratta delle  tutele che le donne avevano conquistano in seno al diritto di famiglia negli anni '70 e che riconoscevano il lavoro di cura delle donne.
Il backlash non riguarda solo l' Italia ma  tutto il mondo occidentale con politiche e  strategie (vedi la lotta all'aborto) per erodere gradualmente  la parità tra uomini e  donne e  limitare la libertà di queste ultime. La violenza maschile è sempre stata un mezzo per risolvere i conflitti con le donne e a fronte di una crescente  e forte richiesta di parità e di  giustizia  anche nei confronti della violenza maschile, la Pas è il tentativo di far tabula rasa portando  le lancette indietro nel tempo  e ancora una volta, in nome del padre, chiudere la bocca alle vittime, trasformandole in colpevoli e assolvendo da ogni responsabilità  gli autori di violenza. La violenza non è sinonimo di potenza; ma garantisce potere anche a chi non vale niente. La violenza è potere.


@Nadiesdaa

sabato 16 maggio 2015

Quelle che il calcio lo danno a Belloli. E al sessismo che nega opportunità e fa sparire i soldi

#Bellolidimettiti • Ha poco da gridare al golpe, Felice Belloli. Le giocatrici di calcio chiedono le sue dimissioni per un'affermazione (basta parlare di dare soldi a 4 lesbiche) che ora lui nega, ma che figura chiara e netta nel verbale di riunione del Consiglio di Dipartimento Calcio Femminile del 5/2/2015.
Ed è confermata da Sonia Pessotto, ex calciatrice e consigliera del Dipartimento Calcio Femminile della Figc: «io c’ero: quella frase l’ha detta. Ora si dimetta da presidente della Lega Dilettanti». Sul fatto si è espresso duramente anche il presidente FIGC Carlo Tavecchio.
Ma va sottolineato che quella di Belloli non è una semplice affermazione, quanto una precisa posizione, perfettamente rappresentativa del sessismo insultante alla base di una politica dello sport (quella italiana) che bolla letteralmente le donne, di default, come dilettanti. E non per scherzo o per ironia, ma per definizione: sancendo il principio che le donne, semplicemente, non possono essere considerate professioniste. Con tutte le discriminazioni che ne seguono, e relativi corollari (come al solito) di difficoltà infinite che alle donne sono (cavallerescamente) riservate da chi decide. E chi decide, guarda caso, al solito è maschio: non c'è dunque da stupirsi che, nel 2015, i regolamenti (e la mancanza di chiarezza) del CONI ancora impediscano alle donne di accedere al professionismo sportivo. 
Secondo la legge 9 del 3/3/1981 lo status di “sportivo professionista” (diverso da quello di “dilettante”) è, infatti, definito dalle singole federazioni sportive nazionali, che si dovrebbero rimettere alle direttive stabilite dal CONI. Ma a 34 anni dall’entrata in vigore di questa legge, molte federazioni approfittano del fatto che il CONI non abbia ancora chiarito la distinzione fra professionismo e dilettantismo per escludere esplicitamente le donne dall’area del professionismo. E il caso più eclatante di questo sessismo è proprio quello del calcio, che discrimina allegramente in casa e fuori casa


Altro esempio è la pallacanestro, che non permette alle donne la partecipazione ai campionati nazionali. L'Italia si conferma così in vetta alla classifica del vero sport internazionale che non conosce confini: penalizzare le donne con  gravi discriminazioni.
Una risoluzione 5 giugno 2003 del Parlamento Europeo, peraltro, chiedeva agli Stati membri di assicurare alle donne e agli uomini pari condizioni di accesso alla pratica sportiva, sollecitando gli Stati membri a sopprimere nelle procedure di riconoscimento delle discipline di alto livello la distinzione fra pratiche maschili e femminili. Ma l'Italia, ovviamente, a questa sollecitazione non si è mai adeguata: ne risulta che le atlete italiane (dalla Vezzali alla Pellegrini, dalla Kostner alla Idem, alla nostra Nazionale di Rugby che quest’anno ha raggiunto il miglior risultato di sempre nel campionato europeo noto come 6 Nazioni), secondo i regolamenti del CONI fanno sport solo per “diletto”.
A che serve incentivare il settore e - addirittura! - mettere a disposizione fondi?
L'imposizione del “dilettantismo” impedisce inoltre alle atlete di usufruire della legge 91/81 che regola i rapporti con le società, la previdenza sociale, l’assistenza sanitaria, il trattamento pensionistico, ecc.
E, mentre su questi dati si glissa, intanto si alimenta il pregiudizio per cui le donne nello sport non riescono ad arrivare ai vertici a causa delle loro «inclinazioni naturali, che le orientano verso ruoli in cui riescono meglio» (fare la calza? cucinare per il marito? combattere la cellulite?).
La verità è che le donne non ci arrivano perché questi regolamenti sessisti lo impediscono. 
In Italia a impedirlo è il CONI, e per questo le donne hanno promosso una petizione per mettere fine a questa situazione: la trovate QUI
Invitando a firmarla, ci associamo alla protesta delle calciatrici, che chiedono le dimissioni di Belloli ma anche un cambio della guardia a livello di enti: il Calcio Femminile deve essere governato dalle componenti federali che ad oggi hanno dimostrato di crederci, e che il campo lo vivono quotidianamente.
Reclamando le sue dimissioni, le calciatrici scrivono a Belloli, chiedendogli di dire pubblicamente cosa pensa delle bambine, ragazze e donne che giocano a calcio e che cosa sta facendo per esse; e aggiungono:
Nel caso venisse provata la sua responsabilità lei, purtroppo, sarebbe in grande compagnia nel nostro paese e soprattutto nel mondo del calcio. Cogliamo quindi l’occasione per dire, non solo a lei, che siamo stanche: adesso basta!
Siamo stanche dei soliti luoghi comuni. Siamo stanche che l’identità sessuale delle persone e di noi giocatrici in particolare sia argomento di interesse e giudizio primario. Siamo stanche di non essere viste, valorizzate e criticate esclusivamente per quello che facciamo in campo. Siamo stanche, da quando siamo bambine a quando siamo adulte, di sentirci dire che il calcio è uno sport da maschi e per maschi e che chi lo pratica perde la sua femminilità. Siamo stanche che ci sia un unico stereotipo di femminilità e un unico stereotipo di mascolinità.
Siamo stanche di sentirci dire che i soldi non ci sono.

Siamo stanche che il tempo passi e la situazione del nostro movimento peggiori invece di migliorare. Siamo una delle poche nazioni in controtendenza: mentre nel mondo il calcio femminile è tra gli sport di squadra tra i più praticati dalle bambine e ragazze, in Italia i numeri sono costantemente in calo.

In Europa tutte le federazioni stanno investendo importanti risorse economiche per promuovere il calcio femminile mentre in Italia si investono poche risorse: le briciole.

La Federazione ha istituito una commissione federale per la promozione e sviluppo del calcio femminile con un budget di 300.000 euro annui. La commissione è stata convocata pochi mesi fa. Era stata ferma per più di un anno. Tutte le progettualità presentate soprattutto dall'Associazione Allenatori e Associazione Calciatori sono state di fatto bloccate. Le decisioni prese all'unanimità sulle riforme dei campionati sono state disconosciute.

La Commissione è stata poi accusata di immobilismo e di non essere stata in grado di spendere i soldi stanziati. Questi soldi, anno dopo anno, non vengono accumulati ma paradossalmente vanno persi. Oltre al danno la beffa!

La UEFA dà contributi alle Federazioni per promuovere e sviluppare il Calcio Femminile. Contributi che arrivano anche alla nostra Federazione ma non si sa quanti sono e come vengono spesi.




Da quando il Calcio Femminile è passato sotto il controllo diretto della Lega Dilettanti (con forte opposizione dell'AIAC e AIC), perdendo di fatto il proprio potere decisionale, la situazione del movimento va sempre peggiorando:
Sono state tolte risorse per trasmettere le partite di cartello del campionato di Serie A e Coppa Italia, togliendo visibilità.
Non vi è nessun sostegno economico alle società. Tantomeno alle società che investono nel creare e mantenere una scuola calcio e un settore giovanile.
Non vi è una progettualità per dare opportunità alle bambine di giocare al gioco del calcio insieme ai loro compagni maschi.
I fatti portano a pensare che il massimo esponente del Calcio Femminile, e non solo lui, quella frase, se non l'ha detta, con i fatti sopra citati la condivide. Siamo stanche!
Crediamo che il Calcio Femminile debba essere governato da chi veramente crede nel movimento e ha passione per questo sport. Le componenti federali che ad oggi hanno dimostrato di crederci e che stanno stimolando continuamente la Federazione sono quelle che il campo lo vivono quotidianamente, le componenti tecniche.

Quindi che il calcio femminile sia governato da loro.
#BelloliDimettiti

lunedì 11 maggio 2015

Buongiorno mondo

Il time lapse della Nasa che mostra i cambiamenti avvenuti sul pianeta in pochi decenni. Buongiorno mondo. Guarda la febbre che ti brucia. 
E poi decidi se è il caso di far soldi e litigare, o di curarti.



domenica 10 maggio 2015

Madri in lotta nel mondo: auguri a voi

Auguri d'obbligo alle mamme, nella festa della mamma; e con un pensiero speciale alle madri in lotta. Madri nella battaglia in un modo che brucia fra difficoltà e guerre.

La Stampa racconta di Monique che va a Raqqa a recuperare la figlia Asha, sedotta e subito delusa dal l'Isis, una fra le tante che sfida (e batte) i jihadisti di al Baghdadi.

Mentre infatti i bombardamenti della coalizione internazionale sembrano finora poco risolutivi, è proprio l’offensiva femminile, declinata in varie forme, che più ottiene successi e mette, anche psicologicamente, in grave difficoltà lo Stato Islamico. 

Fa piacere che l'articolo (di cui riportiamo di seguito altri stralci, in corsivo) ricordi in primis le combattenti curde. Quando l’estate scorsa il mondo si è improvvisamente accorto che la tragedia siriana riguardava tutti ha cercato alleati last minute e ha trovato (solo) i curdi. In realtà i peshmerga, così come i battaglioni del PKK, erano in trincea da tempo. Ma tant’è: riflettori puntati in fretta e furia sui valorosi guerrieri nemici giurati di Ankara e fanfare d’incoraggiamento alla loro e nostra controffensiva.

Abbiamo allora scoperto che, tradizionalmente, le milizie curde non fanno distinzioni di genere e che le donne vanno all’assalto esattamente come i compagni. Haram! peccato, anzi sacrilegio, per gli esaltati che credono troveranno un paradiso pullulante di vergini, purché non vengano uccisi da mano femminile. Quando poi a fine agosto i media globali hanno diffuso le immagini delle peshmerga Rehana, che dalle retrovie della resistenza di Kobane sorrideva facendo il segno della vittoria con le dita, gli uomini di al Baghdadi sono andati nel panico


Poi ci sono le spose del jihad. Quelle obbligate, come le fanciulle di Ninive o le yazide, ma anche volontarie: Tunisine, americane, australiane, circa 200 europee partite sognando di sacrificarsi per una causa ideale (tra cui riprodurre martiri) e ritrovatesi invece schiave. Immaginarle in balia dell’odio machista e fondamentalista è indubbiamente una sconfitta per le donne, ma a ben guardare c’è di più. Le “jihadiste” infatti vanno in Siria soprattutto per ragioni umanitarie, non compaiono mai nei video come quelli in cui l’ego degli uomini si gonfia di ferocia, difficilmente affiancano tronfie rivendicazioni di barbarie e molto spesso si pentono. Storie come quella di Aisha, che dopo qualche mese chiama casa disperata, sono numerosissime, anche se assai più raro è il lieto fine. Il franco-tunisino Fouad el Balthy sta ancora cercando di riportare ad Avignone la sorella che da Raqqa lo implora di salvarla.
Infine c’è mamma Monique. Scacco matto - la forza dell’amore contro quella dell’odio. Monique avrebbe potuto essere catturata a Raqqa e uccisa, avrebbe potuto vedere la figlia senza riuscire a portarla via,  piangere per decenni le lacrime del fallimento esiziale. Quando i teorici dello Stato Islamico proclamano di essere invincibili perché, diversamente dai dissoluti occidentali e dai loro amici musulmani occidentalizzati, adorano la morte più della vita farebbero bene a ricordarsi delle donne. Le donne che s’innamorano della jihad illudendosi che significhi vita e non hanno paura di fare retromarcia, le donne che come le combattenti curde di Kobane si uccidono per non cadere prigioniere degli jihadisti (che errore grossolano chiamarle kamikaze…), l’organizzazione delle donne arabe che vuole deferire gli uomini di al Baghdadi al Tribunale Penale Internazionale con l’accusa di crimini contro l’umanità, le madri che scendono agli inferi e diversamente da Orfeo tornano indietro vittoriose. Certo, ci sono le eccezioni tipo la presunta jihadista britannica che sarebbe alla guida di un traffico di spose del jihad. Ma le regola è diversa. Che possano essere le donne l’argine psicologico che può sfasciare da dentro il Califfato?
Ecco questa è la domanda. Potranno le donne rendere effettiva la loro resistenza, che dura da sempre, contro le politiche delle dittature e della guerra?
Dall'altra parte del mondo, ci sono poi le madri occidentali che hanno perso figli attratti dalle chimere dell'Isis - e che ora faticosamente nutrono un network di madri di foreign fighters in aiuto di ragazzi a rischio. Si chiama Mothers for Life, l'ha creato Christianne dopo aver perso in Siria il giovanissimo figlio che si era unito alle truppe dell'Isis, per farne un grande ombrello che agisca soprattutto preventivamente. «Convincere i figli a tornare indietro è davvero difficile: da un lato sanno che li aspetta la prigione, dall’altro hanno il terrore di disertare per paura di essere giustiziati da Isis». Meglio allora puntare a dissuadere i ragazzi dalla partenza e imparare a riconoscere i segnali.

Alle madri di piazza de Mayo e a quelle di Kobanè. Alla madre di Narin. A Hanem, madre di Zardest. Alla madre di Reyaneh. Alle madri antimilitariste americane e alle madri di ovunque contro la guerra.
Alle madri indigene che non si arrendono mai. Alle 13 Grandmothers indigene che da 11 anni girano il mondo pregando per la Terra e a tutte le donne e madri impegnate ovunque per le foreste, per i diritti dei popoli indigeni e per il clima.

Alle madri africane e asiatiche che reggono sulle loro spalle il peso di indicibili violenze e ingiustizie.

Alla madre di Baltimora che in piena manifestazione trascina via suo figlio dalla strada, per paura dei troppi decessi causati dalla polizia:  “E’ il mio unico figlio. Non voglio che diventi un altro Freddie Gray”. Alla madre sudafricana che dopo il femmincidio della figlia Reeva battaglia contro la violenza su tutte le donne e all'italiana Antonella Penati, che dopo l'assassinio del suo piccolo Federico combatte contro il bambinicidio. A Marinella Colombo e a tutte le altre madri che combattono contro leggi draconiane come lo Jugendamt. Alla madre di famiglia Màxima Acuña, piccola coltivatrice indigena peruviana che per 4 anni ha resistito coraggiosamente agli attacchi violenti, supportati da polizia e istituzioni, di una multinazionale mineraria… è un elenco infinito. A tutte loro, a tutte le madri del mondo in lotta, auguri: di continuare a resistere e di farcela. 



sabato 9 maggio 2015

Matteo Salvini contro la ministra Boschi. Gli argomenti di un leader

Sessismo nazionale. Un "politico" italiano noto per posizioni alquanto maschie in ogni campo, ha recentemente invaso i giornali di pettegolezzi con servizi fotografici di se stesso che ammicca nudo da lenzuola puffose, lanciando (alle massaie? ai gay?) sguardi seducenti da velina professionale. Lo stesso tizio, mentre ci informa di dissentire dalle opinioni di una ministra non direttamente ai suoi ordini, oggi punta sul preciso concetto  che costei, peraltro, non sia attendibile in quanto (donna) sculettante
Se permettete, sculettare può solo lui - in varie pose culturali e citazioniste - esempio: se Marylin andava a letto vestita solo con Chanel n° 5, io ci vado nudo con solo cappio al collo, di vezzosa cravatta leghista verde.
Ma vatti a fare un bagno di gattini, Salvini.


Tu e l'altro grande politico italiano, con analogo senso delle istituzioni (diversi centinaia di gradi sotto allo zero), che è il sig. Maurizio Gasparri. Costui, ancora più spiritoso, definisce la ministra Boschi "principessa sul pisello" - con ovvio doppio senso, ovviamente; siamo fra gentlemen; gente che sa argomentare seriamente le proprie posizioni, senza perdere un fine senso dell'humour.
Siamo alla curva sud degli ultras sguaiati che occupano le istituzioni e la (nostra) vita politica.


giovedì 7 maggio 2015

Piano Antiviolenza: governo Renzi allo sbaraglio

di Luisa Betti • Dopo diversi rinvii e incertezze, è stato presentato oggi a Roma il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (come previsto dall’articolo 5 della legge 119 che nel suo interno conteneva norme per il contrasto alla violenza contro le donne). 
Un momento atteso per un Piano che è passato di mano in mano e che ha avuto traversie ben prima della sua nascita, con le dimissioni della ex ministra Josefa Idem che fu costretta a passare, suo malgrado, le redini delle Pari opportunità alla viceministra del lavoro, Cecilia Guerra, durante il governo Letta, fino ad arrivare all’attuale Giovanna Martelli, consigliera di pari opportunità del presidente del consiglio, Renzi. Un Piano straordinario che ha avuto nella sua incubazione un lungo momento di confronto in un tavolo interministeriale, e precisamente quello che Idem aveva ideato come task force ad hoc sulla violenza contro le donne e che doveva essere, nelle sue intenzioni, un tavolo istituzionale affiancato da un altro tavolo in cui si sarebbero sedute le associazioni che da tempo lavorano in Italia sul fenomeno. Un confronto che la viceministra Guerra ha abilmente assottigliato, non solo togliendo di mezzo il tavolo della società civile ma decidendo di invitare a quello interministeriale soltanto alcune associazioni del vasto panorama italiano, e precisamente quelle che oggi hanno firmato dichiarazioni congiunte contro l’attuale Piano varato da Giovanna Martelli: un comunicato critico che nasce dal fatto che alla fine neanche quelle associazioni che sono state invitate al tavolo interministeriale, sono state prese in seria considerazione nella stesura del Piano antiviolenza. 
DiRe, Telefono Rosa, Udi, Pangea e Maschile Plurale – questi i gruppi che hanno partecipato al tavolo istituzionale – lamentano oggi che “il ruolo dei centri antiviolenza risulta depotenziato in tutte le azioni del piano e vengono considerati alla stregua di qualsiasi altro soggetto del privato sociale senza alcun ruolo se non quello di meri esecutori di un servizio”, che “la distribuzione delle risorse viene frammentata senza una regia organica e competente e che quindi, non avrà una ricaduta sul reale sostegno dei percorsi di autonomia delle donne”, e infine che “il sistema di governance delineato nel Piano implica e non garantisce il buon funzionamento di tutto il sistema nazionale e pone inoltre problemi giuridici di coordinamento a livello locale”, vanificando “il funzionamento delle reti territoriali già esistenti indispensabili per una adeguata protezione e sostegno alle donne”.