mercoledì 31 agosto 2016

L’acqua è un bene comune! l’utero no

#Fertilityday? no grazie. Meglio la #FertilityIDEA. Ministra Lorenzin, pensi a un piano nazionale per la fertilità di idee! quelle che dovreste partorire per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo delle donne.






Grazie ad Anarkikka per l'ottimo spunto.


venerdì 26 agosto 2016

26 agosto o dell'uguaglianza; e dei suoi contrari e delle amnesie maschili

26 agosto 1789: a Versailles, l'Assemblea Nazionale Costituente francese emana la Dichiarazione dei diritti dell'Uomo e del Cittadino. Da allora i libri e la Storia (rispettando una lunga tradizione e, ad oggi, Wikipedia inclusa) sorvolano sempre su un dettaglio: tale dichiarazione si riferiva all'Uomo esclusivamente in quanto maschio, mentre la donna non vi era minimamente contemplata. Due anni dopo, nel 1791, Olympe De Gouges, raffinatissima letterata e politica, tentò di colmare questa lacuna pubblicando un documento complementare, la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina: - atto che, insieme alle sue altre coraggiose prese di posizione contro la deriva dittatoriale, le costò poco dopo la ghigliottina.



Un anno dopo la Dichiarazione di de Gouges, (nel 1792), Mary Wollstonecraft pubblicava in Inghilterra la Rivendicazione dei diritti della donna, con critiche ai soggetti politici e morali.
Ma gli uomini restavano del loro parere; la condanna della De Gouges venne lodata dal procuratore della  Comune di Parigi, Chaumette, con la motivazione che la morte sia pienamente meritata da una donna che dimentica le virtù che convengono al suo sesso. Cioè l'obbedienza e la acquiescenza allo stato di schiavitù a cui le donne si devono attenere.
Visione radicalmente capovolta solo dalla vera rivoluzione che, negli stessi anni, si operava nel nuovo mondo, dove la congregazione religiosa degli Shakers proclamava, e realizzava, la piena uguaglianza dei sessi. Comunità evolutissima, un po' troppo per gli americani; e infatti purtroppo già quasi estinta alla fine degli anni Trenta. 




26 agosto 1920: Washington, le donne americane ottengono l'applicazione del 19° emendamento e, con esso, il diritto di voto; dal 1971 il Congresso proclama anche questa data Women's Equality Day.



59 anni dopo il 19° emendamento: fu solo nel 1979 che l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite giunse ad adottare la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (Cedaw, entrata poi in vigore nel 1981).
I soli Stati membri dell'Onu che NON ratificarono la Convenzione furono Iran, Somalia, Sudan (Stati islamici), inoltre Nauru, Palau, Tonga (3 piccole nazioni insulari del Pacifico), infine proprio gli Stati Uniti (che l'hanno firmata, ma mai ratificata; anche se Obama è sempre stato ben intenzionato in tal senso). 

Purtroppo nello stesso anno in cui l'Onu adottava il CEDAW, in uno staterello dittatoriale che era stato armato fino ai denti dagli Stati Uniti, aveva luogo la malaugurata rivoluzione islamista che, facendo passare il paese dalla padella nella brace, diede formidabile impulso al dilagare dell'islamismo politico e all'immane strascico di tragedie che questo si porta dietro. Tragedie peraltro da costoro benedette, secondo gli insegnamenti della Guida suprema Khomeyni: l'Islam o è politico o non è nulla [...] la guerra è una benedizione per il mondo e per ogni nazione [...] una religione senza guerra è zoppa [...] Allah ordina agli uomini di condurre una guerra e uccidere [...] I nostri giovani combattenti sanno che l'uccisione degli infedeli è uno dei compiti più nobili che Allah affida all'umanità. 

Oltre a tutto ciò questo tizio, nel suo programma politico, metteva in primissimo piano (come è ovvio, e in piena assonanza con i suoi "stranemici" sauditi; e come è caro da sempre a dittatori e nazisti di ogni ordine e grado), l'obiettivo di far sparire le donnericacciandole nella più profonda soggezione e dunque nel comodo ruolo di oggetti al servizio del maschio e dello Stato. Tutte a produrre carne da cannone, servire e sollazzare i maschi, far riposare i guerrieri.






Questa aspirazione è comune a tutti i fondamentalismi (islamico in testa, con la diffusione di gran lunga più estesa e virulenta, ma seguito a ruota anche da esempi di gruppi cristiani ed ebraici). Una cosa tanto mostruosa la si può motivare solo come volere di Dio; che ci vuoi fare! ce lo chiede il divino in persona; questa oggi è anche la strada più facile, e i dittatori non rinunciano di certo a una merce efficace con cui comprare, a tutti gli effetti, l'adesione della popolazione maschile. Perciò c'è questo, al cuore dell'odio per il genere femminile e dello stesso progetto politico che, con l'offensiva dell'Isis, rappresenta il più grave pericolo che oggi minaccia tutti e tutte: la feroce determinazione a fare delle donne un genere-schiavo; nonché piatto di lenticchie per tutti i frustrati. 

96 anni dopo: ed eccoci al 2016; di quanto sopra si parla poco e si capisce ancora meno, oppure si preferisce non capire; lasciando il tema alla disastrosa interpretazione razzistica dei misogini  autoritari; che nel caso, tuonando contro immigrazione e vomitando odio razziale, sono anche i migliori alleati dei loro peggiori nemici.


Ai nostri maschi libertari che, dal canto loro, di Engels si sono dimenticati tranquillamente, si attagliano le parole che Joseph Dèjacques indirizzò a Proudhon, chiamandolo (proprio in relazione alla sua mentalità sui sessi) anarchico del compromesso, liberale e non libertario che, insieme al libero scambio per il cotone e le candele, vuole sistemi che proteggano l'uomo contro la donna nella circolazione delle passioni umane; e che, mentre grida contro gli alti baroni del capitale vuole riedificare l'alta baronia del maschio sulla donna vassalla (da De l'être humain mâle et femelle).
E vabbè, Engels e Dèjacques c'è chi non li avrà mai nemmeno letti; ma molti, gli intellettuali che più pontificano, preferiscono non ricordare. Se così non fosse, di fronte alle battaglie femminili smetterebbero di fare il broncio insofferente del ma insomma, con tutti i problemi più seri che ci sono.
E inizierebbero finalmente a rimboccarsi le maniche insieme a noi.

lunedì 22 agosto 2016

Femminicidio: dati e analisi per un cambiamento

Grazie all’Università Niccolò Cusano per aver realizzato un'utile infografica , dal titoloStop alla violenza contro le donne. Dati e analisi per un cambiamento. Cliccando sull'immagine che segue la potrete consultare nella sua interezza.

Femminicidio: tutti i numeri nell’infografica di Unicusano


L'infografica, che raccoglie dati e analisi su femminicidio e violenza contro le donne, è dedicata alle donne che hanno subìto violenza, alle loro storie, e a quelle di tutte le altre il cui ricordo si perde col tempo
L'nalisi di questi dati rivela come, nonostante i casi di violenza sulle donne nel nostro Paese siano diminuiti, il femminicidio resti una delle piaghe più cupe e preoccupanti della società contemporanea, a livello globale. Nel mondo, la percentuale di donne che ha subìto una violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita è pari al 35%; in Italia, il 16% delle donne è stata vittima di episodi di stalking e circa il doppio ha subìto violenza fisica o sessuale. Sono dati allarmanti; ma la realtà rischia di essere ben peggiore: i dati disponibili, infatti, ancora non tengono conto del grande sommerso di cui non si ha contezza perché non denunciato.
Nella seconda parte l’infografica fornisce anche informazioni sui Centri Antiviolenza attualmente presenti nelle varie regioni italiane e consigli utili su come individuare i campanelli d’allarme di un rapporto malsano e potenzialmente pericoloso.

domenica 21 agosto 2016

HerStory: io wikipedio, e voi? Partecipiamo a ri/scrivere la storia taciuta delle donne

Scrivere di letterate su wikipedia: una nuova opportunità per chi si è persa (anche a causa della data del 12 agosto), la chiamata a partecipare a un flash mob virtuale mondiale, nell'ambito del progetto HerStory del gruppo WikiDonne. Un progetto che punta a riequilibrare in ottica di genere le voci presenti nell'enciclopedia libera online; per ulteriori dettagli vedi qui: HerStory: Wikipedia invita a scrivere la storia delle donne.

Ora la Spagna, con la Biblioteca Nazionale, e il Sud America, dal 15 al 17 ottobre promuovono l'iniziativa Dìa de las Escritoras. In concomitanza, Wikipedia e associazione Toponomastica Femminile (guidata da Maria Pia Ercolini) intendono organizzare una nuova sessione virtuale di scrittura collettiva di letterate, in particolare italiane; e inoltre due eventi dal vivo nelle biblioteche nazionali di Roma e Firenze. 
Ognuna di noi può diventare wikipediana (seguita da qualche tutor, perché ci sono molte regole e formati da rispettare), creando nuove voci o traducendo testi esistenti, o anche solo per proporre personalità femminili a carattere enciclopedico. Se volete partecipare è possibile contattare sin da ora il gruppo pubblico di Toponomastica Femminile su Facebook, in modo da distribuirsi incarichi e raccogliere materiale per tempo.

lunedì 15 agosto 2016

Mannelli non parla con noi

Mannelli scomoda Oscar Wilde per ricordare che se parli con un idiota lo sei anche tu, ti risucchia nell'idioziaE così Mannelli non parla con noi; né è il solo. I maschi che, da millenni, si occupano di cose serie (tipo mandare in malora il pianeta e allo sfascio ogni nuovo cm quadrato su cui riescono a posare il piede), da che mondo è mondo non perdono tempo con le donnette, quelle donnette piccoline poi! che - dopo aver voluto la parità! invece di ragionare come i maschi, invece di pensare alle cose serie, pensano sempre che il mondo debba girare intorno alle loro pretese; e che vogliono ancora e di più! che c’hanno ancora da rompere i coglioni? vogliono fare le attiviste? ma si occupassero dei veri problemi del mondo  [se tutta questa aggressività, se queste reazioni eccessive e isteriche ci fossero per le cose terribili che accadono in questo Paese, come quello che succede alla frontiera di Ventimiglia, l'Italia sarebbe un posto migliore (ibidem)]. 
Ma noi si sa, dei diritti degli altri ce ne siamo sempre fregate; facciamo attivismo de' noantre e pro domo nostra, e poi sulle spiagge umiliamo i vu'cumprà, spendendo i soldi dei mariti dietro ai nostri occhialoni da sole. Donne! Gente senza senso dell'humour. Che ha tempo da perdere - e con loro tutti quelli che discutono di cazzate. 
Con un po’ di tristezza Mannelli "sta a guardare; e non capisce" [con un po' di tristezza chi scrive ricorda di aver sempre amato Mannelli e la sua arte amara; per inciso].




Ma poveri Mannelli, Travagli, Vincini ecc, come capire i contorcimenti mentali di un idiota? E vabbè, Mannelli, te lo spieghiamo noi; con le parole di un altro maschio - così magari lo capisci. Scrive Antonio Polito, sul Corriere, che bisognerà difendere Mannelli anche dai suoi difensori: dai critici, che hanno attaccato la sua vignetta per così dire «corporale» sulla ministra Boschi, pubblicata dal Fatto, è stato infatti già valentemente difeso, e con ottime ragioni. (...) una cosa è assodata: la satira non ha limiti. E così ha da essere, in una società aperta. Anche nei confronti dei nuovi paletti che la sensibilità moderna ha posto al discorso pubblico: per esempio quello relativo al corpo della donna. Se un tempo si disegnava Spadolini ignudo e grassoccio con il pisellino al vento, ridendone, perché mai non si potrebbe oggi esporre il corpo di una donna ministra ridendo della sua esibita avvenenza? (…)
Esagerati, dunque, o in malafede, gli indignati anti Mannelli! conclude Polito; che però confessa, in chiusura, che lo hanno altrettanto, se non di più turbato, un paio di argomenti utilizzati in sua difesa. Quali? eccoli:
1. è legittimo prendere in giro l’avvenenza della ministra per denunciare la sua (presunta) incompetenza, in pratica se lei non dicesse «sciocchezze» costituzionali si eviterebbe le vignette sulle «cosce». Ma stabilendo il nesso tra incompetenza e avvenenza si dà vita a un sillogismo squisitamente sessista, che non sarebbe mai usato nei confronti di un uomo (belli e incompetenti non mancano nel nostro sesso).
2. il secondo argomento è anche peggiore: si sostiene che in realtà la vignetta non faceva che replicare la realtà, come si deduce da una foto della ministra ritratta nella stessa posa della vignetta. Così, senza dirlo, si fa colpa alla signora Boschi di mettere in mostra le gambe, roba che non si sentiva dai tempi in cui Scalfaro schiaffeggiava le signore scollate; e la vignetta di Mannelli smette di essere difesa in quanto satira e viene elevata ad atto di denuncia
Ma denuncia di che? Si sta forse sostenendo che la ministra se l’è cercata indossando abiti scostumati, e che invece coprire il corpo femminile sia un atto di modestia e di serietà, soprattutto per una donna che fa politica? Ecco: «se l’è cercata» è il grido di battaglia del sessismo. E su questa strada è davvero breve il passo che ci separa dalla burkizzazione a fini politici della polemica contro Maria Elena Boschi. Un prezzo francamente troppo alto, anche per la battaglia referendaria.
Giù le mani dunque dalla libera satira. E giù le mani però anche dalla libertà delle donne: tutte le donne, comprese quelle potenti.
Bene; bravo; bis. Grazie Polito (in rosso le sue parole testuali). Ma ci voleva (ci vuole?) tanto a capire 2 miserabili punti come questi?
Si. Ci vuole tanto; mica tutti sono Wolinski, del resto. E’ addirittura inarrivabile, in realtà, se le donne le odi, magari pure senza saperlo; punto e basta.
Ma, soprattutto, occorre capire che se il messaggio veicolato è doppio, anche del secondo occorre tener conto: esempio - se Obama viene criticato da una vignetta satirica per un fatto politico, infilzatogli un osso nel naso, al primo concetto se ne aggiunge un secondo, che diventa pure preponderante: Obama ha fatto uno sbaglio, ok; ma, soprattutto, è Obama in sé che è sbagliato, perché è un negro - e che ti aspetti da un negro sullo scranno del Presidente? 
E non per niente: "dopo un negro, gli idioti dei diritti e del politically correct finirà che ci metteranno una donna! poi un transessuale e per finire un criceto" (dal Trump-pensiero) > come bene riassume qui Michael MooreThat’s a small peek into the mind of the Endangered White Male. There is a sense that the power has slipped out of their hands, that their way of doing things is no longer how things are done. This monster, the “Feminazi”, the thing that as Trump says “bleeds through her eyes or wherever she bleeds”, has conquered us — and now, after having had to endure eight years of a black man telling us what to do, we’re supposed to just sit back and take eight years of a woman bossing us around? After that it’ll be eight years of the gays in the White House! Then the transgenders! You can see where this is going. By then animals will have been granted human rights and a fuckin’ hamster is going to be running the country. This has to stop!
Ecco - questi, sono i contenuti - ecco perché a suo tempo nessuna persona civile trovò accettabile la "battuta" di Berlusconi su Obama. Eppure i giornali berlusconiani sostennero proprio questo: embè, che c'è di male? è giovane, bello, e... abbronzato, maddai è una battuta! perché si deve sentire insultato?


E le donne ti viene logico accettarle se stanno al loro posto - che, se si parla di luoghi pubblici - o addirittura di potere! è al massimo quello della cameriera. Esagerate? le solite femministe misandriche?  

La figurina di cui sopra è un'allegra "apertura" (mica critica, si badi, bensì trionfale!) che  introduce integrale articolo di Travaglio stesso. Il quale avrebbe potuto tranquillamente demolire politicamente la Boschi senza necessariamente sottolineare che, ai tempi dei Padri Costituenti (le Madri ovviamente nemmeno citate, furono un incidente di percorso), essendo donna, in quelle sale avrebbe potuto solo spolverare. E ha ragione! ragionissima. Così era, e lì tanti uomini vorrebbero tornare ma, al contrario dei loro colleghi fascisti, non vogliono ammetterlo apertamente; si limitano a trasudarlo.

Purtroppo per i maschi aspiranti alfa, ci sono idioti che pensano che ci sia un rapporto fra questo tipo di cultura e il dilagare della violenza sessista e, dunque, anche fisica, contro le donne.



Quella cultura per cui la donna faccia la cameriera oppure la gnocca accessorio/biglietto da visita del marito (che, lui si - ecchediamine, sa come muoversi fra le cose serie).


Sia chiaro. Trasecoliamo anche noi a richieste pazzesche, come astenersi dalla satira su chi governa.


Ma qui il discorso, infatti, è ben altro: sicuri che con la satira si può dire tutto? mi dispiace, ma qui di argomenti pare lecito aggiungerne un terzo:

3. la satira non è mica il Papa, che deve essere infallibile. La satira è una modalità come un’altra per esprimere opinioni. E dunque, il caro Mannelli se ne faccia una ragione - e con lui i vari Travaglio e altri autorevoli maschi, è satira pure quella robaccia che inchioda gli ebrei allo stereotipo dell’avaro dal naso adunco, o i negher a quello del selvaggio irredimibile, i culattoni a quelli che prima o poi sposeranno le pecore. Ma, soprattutto, le donne allo stereotipo delle galline pretenziose, stupide e, quando determinate verso un loro riscatto (leggi: ansiose di potere!), addirittura in-sop-por-ta-bi-li.

Ecco perché noi, donne insopportabili, osiamo criticare (perfino!) ciò che si nasconde negli interstizi di sua maestà la satira.










[Argomento su cui peraltro non siamo le uniche a ragionare] ..oppure, siccome è satira, la satira le può dire, tutte quelle cose?? perché c’ha la licenza poetica? massi dai; odiatori di negri e dispregiatori di ebrei, donne, culattoni, ciccioni, brutti e poveri: ditelo con la satira.



domenica 14 agosto 2016

L'autunno caldo delle donne / tutte a Roma: assemblea nazionale l'8 ottobre, manifestazione nazionale il 26 novembre

Questo l'invito rivolto a tutte:
1. sabato 8 ottobre incontriamoci in assemblea nazionale a Roma: 
    dalle 10,30 alle 17 presso l'Università La sapienza
2. sabato 26 novembre ritroviamoci per la manifestazione nazionale
3. domenica 27 novembre discutiamo insieme di un percorso comune per una rapida revisione del Piano Straordinario Nazionale Anti Violenza.
Queste date quindi non sono l’obiettivo ma l’inizio di un percorso da fare tutte assieme. Partecipiamo tutte! questo link > l'invito verso una Grande Manifestazione delle donne 


L'appello parte dalla Rete IoDecido, D.i.Re [Donne in Rete contro la violenza], UDI [Unione Donne in Italia] ma in realtà parte anche da ogni altra singola associazione qui non citata, e poteva partire da ciascuna di noi, in qualunque momento, perché tutte siamo stufe e preoccupate. 
Come scrivono le promotrici, non possiamo più rimanere in silenzio! È giunto il momento di essere unite e di mettere insieme tutte le nostre intelligenze e competenze per contrastare quanto continua ad accadere. Il 25 novembre è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Vogliamo che sabato 26 novembre Roma sia attraversata da un corteo che porti tutte noi a gridare la nostra rabbia e rivendicare la nostra voglia di autodeterminazione.

Non accettiamo più che la violenza condannata a parole venga più che tollerata nei fatti. Non c'è nessuno stato d'eccezione o di emergenza: il femminicidio è solo l'estrema conseguenza della cultura che lo alimenta e lo giustifica. E’ una fenomenologia strutturale che come tale va affrontata.
La libertà delle donne è sempre più sotto attacco, qualsiasi scelta è continuamente giudicata e ostacolata. All'aumento delle morti non corrisponde una presa di coscienza delle istituzioni e della società che anzi continua a colpevolizzare e ridicolizzare le donne.
I media continuano a veicolare un immaginario femminile stereotipato e sottilmente pervaso di un sessismo feroce, che ai più è anche difficile da decifrare; vittimismo (o colpevolizzazione) e spettacolo, neanche una narrazione coerente con le vite reali delle donne. La politica ci strumentalizza senza che ci sia una concreta volontà di contrastare il problema: si riduce tutto a dibattiti spettacolari e trovate pubblicitarie. Non c'è nessun piano programmatico adeguato. La formazione nelle scuole e nelle università sulle tematiche di genere è ignorata o fortemente ostacolata, solo qualche brandello accidentale di formazione è previsto per il personale socio-sanitario, le forze dell'ordine e la magistratura. Dai commissariati alle aule dei tribunali subiamo l'umiliazione di essere continuamente messe in discussione e di non essere credute, burocrazia e tempi d'attesa ci fanno pentire di aver denunciato, nessuna prevenzione seria è messa in atto verso le donne minacciate- E infatti spesso ci uccidono; e questo accade in un trend di continuo peggioramento


Dal lavoro alle scelte procreative si impone ancora la retorica della moglie e madre che sacrifica la sua intera vita per la famiglia. 
Di fronte a questo scenario tutte siamo consapevoli che gli strumenti a disposizione del piano straordinario contro la violenza del governo, da subito criticato dalle femministe e dalle attiviste dei centri antiviolenza, si sono rivelati alla prova dei fatti troppo spesso disattesi e inefficaci se non proprio nocivi. In più parti del paese e da diversi gruppi di donne emerge da tempo la necessità di dar vita ad un cambiamento sostanziale di cui essere protagoniste e che si misuri sui diversi aspetti della violenza di genere per prevenirla e trovare vie d’uscita concrete.
In tutta Italia le donne hanno avviato percorsi di discussione che stanno concretizzandosi in mobilitazioni e dibattiti pubblici. Riteniamo necessario che tutta questa ricchezza trovi un momento di confronto nazionale che possa contribuire a darci i contenuti e le parole d’ordine per costruire una grande manifestazione nazionale il 26 novembre prossimo. 
Per altre info e adesioni: nonunadimeno@gmail.com




E questo che segue... è un anch'esso un post di invito - condiviso da un'amica su Fb, e che ci piace condividere anche qui!
Compagne qui a Madrid sabato 13 "Ni una Menos Madrid Perù" : in video ieri a Lavapies abbiamo sfilato con cartelli. Sto comunicando anche alle compagne qui della nostra manifestazione nazionale del 26:
Dale, italiana, llevó el cartel de ‪#‎Niunamenos‬ por todo el pasacalle de las fiestas populares de Lavapies, varias personas (algunas de Perú) se acercaron a preguntar y fue una oportunidad para contar del sábado y de lo que pasa en Perú estos dias. Dale nos contó tambien que este año en noviembre se esta organizando una gran manifestación de Niunamenos en Italia. Seguiremos conectadas... Muchas gracias por el apoyo compañeras! 


sabato 13 agosto 2016

Boschi: ditelo senza cosce! anche io, femminista, mi arrabbio con chi non rispetta la democrazia

di Nadia Somma • Questo è il primo di una serie di post sul sessismo nei media che pubblicherò su Politica femminile. Oggi ripropongo qui un post pubblicato sul Fatto quotidiano l'11 agosto ma con un altro titolo, quello uscito sulla pagina diretta da Gomez  non era indovinato. La responsabilità è stata anche mia perché l'ho inviato alla redazione senza titolo eppoi, ormai on line, non ho pensato meglio a come correggerlo. So che alcune femministe mi hanno criticata. Vorrei riflettere sull'impegno contro il sessismo, la solidarietà tra donne ma anche sulla relazione con le donne di potere e  vi domando se quelle lotte femministe che ci coinvolgono a volte non ottundano o ammorbidiscano o evitino la critica politica che dovremmo rivolgere a deputate, ministre, sindache, presidenti di Regione ecc,  perché sono donne come noi.
Resta anche l'amarezza, come mi ha scritto un'amica della Retedellereti su Twitter, di non poter condividere la stessa rabbia e indignazione, per una brutta riforma costituzionale, con quegli uomini che si dichiarano democratici - ma non abbastanza da rinunciare a odiare le donne (come una cultura millenaria gli ha purtroppo insegnato)



Si, ci odiano al punto di identificare con i nostri corpi l'immagine  della corruzione, della decadenza, del disordine, della mollezza. E' anche per questo che le donne divengono bersaglio di sessismo, e che questo sessismo fa tanta fatica ad essere riconosciuto. Giusto che la satira non si faccia scrupoli! ma anche la satira più feroce, nei confronti delle donne di potere, si può fare senza con ciò biasimare l'essere donna in sé, in quanto tale - perché è proprio questo che gronda dal corpo disegnato da Mannelli. Vedi invece (qui sotto), Steve Bell su Sarah Palin: non è stato certamente tenero; ma nemmeno sessista!


E veniamo al post.

Ieri durante un pigro e molle pomeriggio estivo, mentre mi concedevo il lusso delle ferie (c’è chi non le ha) mi arriva un accorato messaggio su Facebook. Una amica scrive in rima: “Il Fatto lo ha rifatto!”. “Cosa?”. “Con la Boschi! La vignetta! Le cosceeeee. Riesci a scriverci, Nadia?”. Rispondo che se scrivo non cambia nulla. Al massimo mi sfogo. Infatti continuo ad avere il blog suIlfattoquotidiano.it per curare la mia salute. Mantengo bassa la pressione, ma ho anche una vita e non vivo di polemiche per quanto mi ci trovi spesso impantanata dentro fino al collo (ammetto il vizio).
Non sto molto bene da giorni e dopo aver letto il messaggio, pigramente mi alzo dal divano, mi collego al pc, scarico Il Fatto quotidiano cartaceo ed ecco: “Lo stato delle cos(c)e”. La vignetta con la ministra Boschi seduta sulla sedia in un abito corto che scopre le gambe. E’ di MannelliSatira? Mi pare una battuta da spirito di patata di un chierichetto che sbircia le compagne di scuola dal buco della serratura e pregusta di far loro dispetto sollevandone le vesti, a sorpresa. Preferisco Natangelo.
Rimugino ributtandomi sul divano “ma porca miseria… Sozza sozzis, munda mundis?… Sto par de ovaie”, ricordando il botta e risposta con Marco Travaglio per un titolo uscito tempo fa sul Fatto quotidiano cartaceo. Ciondolo sul web dove infuria la polemica: la presidente della Camera è indignata, i miei contatti pure. Stefano Feltri nel suo blog su Ilfattoquotidiano.it difende la vignetta  tentando un’arrampicata su una parete di argomentazioni scivolose. Una fatica che si sarebbe risparmiato se avesse ammesso: “La vignetta era brutta e banale”, e via, in cima alla vetta della ragione con un oplà!
Ora in molti si stanno occupando della vignetta e mi chiedo quanti e quante, tra gli indignati, andranno a leggersi, per esempio, l’articolo di Silvia Truzzi. Ma questa è una responsabilità del Fatto quotidiano e non dei lettori o delle lettrici.
Irridere la ministra Boschi per la cellulite, apostrofarla “signorina”, fantasticare di trivelle o trasformare il petrolio in altro per colpirla, è sessista e inefficace. Il rischio è l’effetto paradosso che solleva una cortina fumogena intorno al bersaglio senza che sia impresso nella mente di chi legge ciò che deve, davvero, essere a nudo. Si rischia che siano dimenticate le spericolate (e pericolose perché hanno il tanfo dell’autoritarismo) e goffe affermazioni della ministra: “Chi vota il No alla Costituzione è come Casa Pound” o altre dichiarazioni che ricalcano lo stile da imbonitore televisivo tipico di Berlusconi. Ricordiamo ancora gli slogan che hanno aperto la pista al nulla come quella promessa di “un milione di posti di lavoro”.
Oggi non c’è più Berlusconi (dita incrociate) e ben poco ci resta della politica. Restano corruzione e malaffare e quel nulla, funzionale a difenderle, condito da propaganda. Leggiamo e ascoltiamo a ripetizione: la riforma ci salverà dal terrorismo, ci renderà ricchi e aumenterà il Pil. Un linguaggio che quando non inganna con bugie stupide, tradisce il rispetto della democrazia. Avviene quando la ministra Boschi attacca inopinatamente tutte quelle cittadine e quei cittadini che non approvano affatto la riforma costituzionale e che non vedono l’ora di votare No al referendum.
Ci sono donne e uomini, mi auguro in numero sufficiente a rimandare al mittente la riforma costituzionale, che si indignano se la ministra si dimentica di rappresentare anche loro. Quando dice “Chi è per il No non rispetta il lavoro del parlamento”, mette in discussione lo stesso referendum (cosa vorrebbe la ministra Boschi, una scheda con due caselle Sì o una scheda con il Sì già barrato?) e stigmatizza il dissenso, dimenticando che fa parte della democrazia. Penso, ed è anche per questo che sono incavolata con chi ha il cervello occupato a vedere le donne solo come aspiranti veline, che ci sono anche donne che, al di là delle capacità, sono aspiranti zarine e che non vanno sottovalutate.
Un’ultima cosa per le compagne femministe: non dobbiamo smettere di indignarci per il sessismo, di solidarizzare con le donne che ne sono colpite, ma (anche!) arrabbiamoci con chi giustamente esige solidarietà per il sessismo che subisce, ma poi non restituisce affatto quella solidarietà alle altre donne, varando politiche inique e che accrescono disparità. E siccome ci aspetta, spero, un autunno caldo, arrabbiamoci con chi non è solidale con la democrazia, un sistema che include il diritto di opporsi, rifiutare, criticare, attaccare le scelte del governo ma soprattutto il diritto di poter manifestare il dissenso (e ad ascoltarlo anche in Rai).
Il Fatto Quotidiano? Troppo spesso cede a una goliardia maschia fuori tempo massimo e il suo direttore, Marco Travaglio, non dovrebbe dimenticare che, se si difende la democrazia, non lo si può fare con linguaggio sessista perché questo è precisamente il linguaggio che accompagna sempre gli autoritarismi come un fedele servitore che agita il manganello se necessario.
Chi dice di battersi per una democrazia che includa tutte e tutti non deve più mettere le donne nella condizione di scegliere tra diverse gradazioni o espressioni di autoritarismo.
@nadiesdaa

martedì 9 agosto 2016

Sulla violenza degli uomini / la riflessione di un uomo: Antonio Fresa

Scrive Antonio Fresa che il ripetersi del femminicidio, come una triste liturgia, costringe a domande  inquietanti sul nostro presente e sulla libertà che le donne hanno conquistato. Ho avvertito quanto fosse ineludibile questo passaggio; compiere una scelta non dico sofferta, ma almeno meditata, tra il tacere per timore di errore e il dire, comunque, per avviarmi almeno lungo la strada. Ha prevalso il disperato bisogno di interrogarsi e di riflettere. Apprezziamo ogni uomo che si sente costretto a delle riflessioni, (quando invece la maggior parte dei maschi pare non si senta coinvolta affatto); e, per tutte e tutti, proponiamo qui un estratto dal suo pezzo [grassetti , corsivi e immagini sono inseriti da noi]:
di Antonio Fresa • (...) Non ho parole intelligenti, frasi esaustive, analisi complete: ho abbozzi, spezzoni, inizi. Credo, però, con convinzione, che per spezzare il cerchio inumano di questa violenza, sia necessario che gli uomini di oggi, quelli cioè che convivono con l’affermarsi di donne sempre più libere, apprendano a raccontare le proprie frustrazioni, le proprie sconfitte, rispetto a modelli che li vedevano dominanti e avvantaggiati.
Raccontare è sempre uno sforzo; raccontare ciò che ci turba e ferisce lo è ancor più; raccontare ciò che ci fa sentire di aver perso un privilegio è, infine, quasi vergogna.
In fondo, la prima sconfitta che molti uomini sembrano patire è proprio il doversi raccontare, il dover spiegare, il dover chiedere, il dover perorare: avevamo imparato davvero bene che, anche nel silenzio, le nostre aspettative sarebbero state soddisfatte da chi era stata educata a rispondere, nel silenzio, alle nostre attese. Al dissolversi di questa convinzione, la violenza è spesso lo strumento più prossimo.

Troppi uomini appaiono incapaci di modificare la trama profonda dei propri sentimenti e, anche quando sembrano aver accettato gli eventi di questa che vorrebbe essere una nuova società, fanno riemergere antiche tentazioni di dominio che si traducono in atti di violenza senza giustificazione.





Davvero accade tutto all’improvviso? Abbiamo un modo per capire ciò che sta per accadere?
Non dovremmo prima di tutto noi uomini, se questa categoria ha un senso, confessare quanta distanza separa le modifiche della superfice delle cose dalla profondità di un atavico predominio che emerge quando cadono gli argini? (...)
Ci sono donne che guadagnano più dei loro compagni; ci sono donne che comandano più dei loro compagni; ci sono donne che decidono di chiedere alla vita e all’amore una felicità vera e non fittizia; ci sono così tante novità e ci sono molti più soggetti con i quali competere.
E allora i cosiddetti maschi, perdendo le proprie rendite di posizione, vanno in tilt e non ammettono di poter essere messi da parte. Come può una donna avere la pretesa di preferire un altro? Di chiudere una storia, come se lei potesse avere un vero peso nelle decisioni? Com’è accaduto tutto ciò? La velocità del mutamento è stata tale che, probabilmente, questi maschi si trovano davvero in una situazione asfittica nel contrasto tra i vecchi modelli educativi e familiari e le nuove dinamiche delle relazioni.
E, mi si perdoni, la brutalità della conclusione, non sapendo che fare, non sapendo come gestire il distacco e la separazione, puniscono, colpiscono, uccidono.
Lo fanno perché in realtà, assumendo per un istante il loro patologico punto di vista, davvero non capiscono, non sanno capire, non possono capire la voglia di libertà e di indipendenza di chi cerca di allontanarsi da loro. La ferita patita, in termini di narcisismo, orgoglio, prestigio, possesso, è talmente potente e profonda da non ammettere mediazioni. È un eliminare per ribadire un potere: è il potere dell’assassino che pensa così di negare, in via definitiva, la libertà dell’assassinato.
Sempre sono colpito da questo tipo di delitti e sempre mi sento spinto a pormi domande. Devo però dichiarare un limite nelle cose che so vedere e ritengo, quindi, molto più rilevante l’ascolto delle voci delle donne e delle loro sofferenze.
Un aspetto m’incuriosisce e m’interroga, forse perché si può sposare con le banali riflessioni che ho saputo fin qui fare. Molte donne sono uccise dai loro ex compagni in occasione di quello che è presentato come un colloquio chiarificatore. Mi domando sempre che cosa sia un colloquio chiarificatore, quando una coppia è ormai andata o quando già sono state consumate dosi massicce di violenza. Che cosa c’è da chiarire?
Il maschio di turno deve probabilmente recarsi a tale incontro sorretto dalla convinzione di avere delle carte da giocare, delle frasi da dire, delle promesse da fare che riportino la situazione entro un ordine premeditato. Ma quali sono queste carte e queste frasi?
Deve agire in questi casi la profonda presunzione maschile di saper dire frasi che l’altra dovrà accettare per forza; di enunciare cioè parole capaci di rasserenare e rinvigorire un sentimento che si è nel frattempo perso. Deve, cioè, agire la presunzione che la strategia del discorso e l’ordine politico del discorso possono riportare la donna nel controllo dell’uomo, come se lei non potesse essere ritenuta, a pieno titolo, capace di decisioni o come se lei non sia considerata capace di calcolare tutte le conseguenze del suo agire. Riportata sulla corretta via del corretto pensiero la donna/compagna comprenderà che l’unico orizzonte per lei sensato è quello di riaffidarsi a lui.
Quando questa convinzione è scalfita e messa in scacco, quell’uomo non sa trovare altro strumento che ricorrere alla sua primordiale violenza, una violenza che ritiene l’altro un subalterno, un sottoposto, un arreso per timore.
Questa è una traccia, appena minimale, di un lavoro che noi uomini insieme con le donne dovremmo saper affrontare. Solo con il racconto delle nostre frustrazioni e con l’esplicitazione delle nostre sconfitte, potremo aiutarci a capire, a essere capiti e a generare un’attenzione globale a queste realtà, un’attenzione che consenta alle giovani generazioni una relazione con i sentimenti più piena e matura.
Solo raccontando e rendendo esplicite le frustrazioni, anche di quegli uomini che si sentono esenti dalla violenza, potremo depurarci dalla nostra tendenza a essere complici, dalla nostra tentazione quasi a giustificare quella violenza, dalla nostra vigliacca indifferenza che vorrebbe confinare, quella violenza, in uno spazio privato in cui non c’è data la possibilità di intervenire. Quello spazio privato in cui, evidentemente, la presenza della violenza è ritenuta come quasi normale, se non necessaria. Uno spazio privato che, letto come un regno sacro di qualcuno, risulta essere un luogo in cui non far entrare la libertà.
I segnali ci sono, e come ci insegna anche la cronaca recente, anche i fatti e gli atti ci sono. Questa indifferenza che, come dicevamo sconfina nella complicità, almeno psicologica o culturale, è il segno più nefasto. La nostra indifferenza si tramuta in una possibile complicità, perché quelli non sono fatti nostri, non sono fatti della scena sociale, ma sono comodamente confinati in una storia d’amore che d’amore non ha davvero nulla.