martedì 28 ottobre 2014

La Rete e il Fattore C: le opportunità e la sfida alla nostra cultura

Viviamo un periodo di grande cambiamento, un cambiamento paradigmatico, al cui centro c’è la rete - come internet ma ancor prima come concetto. Internet è un vero e proprio nuovo ecosistema che si sovrappone, si intreccia e si confronta con il mondo reale, che fino a pochi decenni fa era l’unico immaginabile. Per questo, nella prefazione del nuovo e-book di Wister La Rete e il Fattore C, che sarà presentato il 29 ottobre in Senato ho voluto indicare nella platea e nella dimensione spazio-temporale le due variabili con cui analizzare il “nuovo mondo” di internet dal punto di vista della politica.
Non si tratta infatti di ripensarci in virtù di un nuovo strumento comunicativo, ma di ricreare istituzioni e rapporti capaci di esistere nella logica del nuovo ambiente sociale che va conformandosi, una rivoluzione che ha pari forse solo nell’invenzione dell’alfabeto fonetico e/o della stampa, per la capacità di stravolgere e ridefinire ogni aspetto della nostra vita. La nuova Società dell’Informazione si caratterizza per l’orizzontalità di ogni rapporto e per la quantità enorme di input di cui siamo soggetto e oggetto continuamente, una mole che non siamo in grado né di gestire né di corrispondere con output adeguati. Un perenne stato di selezione in cui all’Io viene continuamente chiesto di scegliere basandosi sulle proprie competenze e ridefinendosi continuamente. Un Io quindi nuovo, anche dal punto di vista dello spazio-tempo, ormai contratto in istanti e in frazioni di secondo. Non esistono più distanze invalicabili e le risposte vanno elaborate in pochi minuti. In questo scenario che destino avranno le istituzioni democratiche formatesi negli ultimi due secoli? Sapranno adeguarsi alle nuove dinamiche o dovranno essere riviste e ridisegnate? Risposte impossibili da dare con certezza, trovandoci noi ancora agli albori dell’era di internet. Sicuramente però a diversi quesiti risponde l’e-book La Rete e il Fattore C.

Wister porta avanti anche la ricerca sul ruolo della donna nella Rete. 
Dopo una prima fase in cui internet sembrava essere appannaggio più degli uomini che delle donne, oggi la partecipazione alla rete si sta parificando, con le donne che superano gli uomini nei social e nell’e-commerce. Di per sé la Rete è un luogo neutro, inclusivo per definizione. Non stupisce che la graduale crescita della presenza femminile in tutti i settori vi si ripercuota. Purtroppo però, la rete fa anche da amplificatore ai mali atavici della nostra culturale e l’Io, soggetto a continue pressioni, vi crea anche degenerazioni molto pericolose. Va sotto il nome di cyberbulism la pratica intimidatoria, violenta e volgare con cui il singolo o il gruppo aggrediscono una preda e la isolano dal contesto sociale. Fenomeno antico che ha origini fuori da internet, ma grazie ai social trova uno spazio ottimo per diffamare e attaccare, protetti da un presunto anonimato. Inutile dire che le donne, specie se adolescenti, sono più a rischio di subire tale trattamento, che molto spesso assume caratteri di perversioni sessuali (a riprova di questo, le altre vittime designate sono gli adolescenti maschi omosessuali o presunti tali).
Come fare per contrastare questi rischi? La rete, come ogni altro ambiente, non sarà mai sicura al 100%, né per le donne né per gli uomini. Nonostante interventi di istituzioni, associazioni e altro, il problema non potrà mai essere azzerato, ma il web ha proprio in sé gli anticorpi necessari, come mezzo di massima diffusione di cultura. E’ necessario dare a tutti gli strumenti per un uso consapevole della comunicazione digitale, per distinguere le situazioni, per riconoscere le fonti competenti da quelle che non lo sono. 
E’ necessario quindi, come ben fa Wister, affrontare di petto questo tema anche all’interno della sfida culturale per la parificazione e per fermare ogni forma di violenza e sopruso tra i generi.
Laura Puppato

Presentazione mercoledì 29 ottobre, dalle h. 11.30 alle 12.30; Sala Nassirya del Senato della Repubblica (ingresso da Piazza Madama)

lunedì 27 ottobre 2014

Cara madre. L'ultima lettera di Reyhaneh

Mia dolce madre, cara Sholeh, apprendo oggi che è il mio turno di affrontare la Qisas [o compensazione, legge del taglione iraniana, ndr). 
Mi ferisce non aver saputo da te di essere giunta all'ultima pagina del libro della mia vita. Sai quanto mi vergogno perché sei triste. Perché non mi hai dato la possibilità di baciare la tua mano e quella di papà? Il mondo mi ha concesso di vivere per 19 anni. Avrei dovuto essere uccisa quella orribile notte. Il mio corpo sarebbe stato gettato in qualche angolo della città e dopo qualche giorno la polizia ti avrebbe portato all'obitorio per identificarlo; là avresti saputo che ero anche stata stuprata. L'assassino non sarebbe mai stato trovato, visto che noi non siamo ricchi e potenti come lui. Poi tu avresti continuato la tua vita soffrendo e vergognandoti, qualche anno dopo ne saresti morta, e sarebbe finita così. Ma con quel maledetto colpo la storia è cambiata. Il mio corpo non è stato gettato in un angolo, ma nella tomba della prigione di Evin e della sua sezione di isolamento. E ora nella prigione-tomba di Shahr-e Ray. 
Ma tu accetta il destino e non lamentarti. Tu sai bene che la morte non è la fine della vita.
Proprio tu mi hai insegnato che si arriva in questo mondo per fare esperienza e imparare qualcosa; e che a ognuno che nasce viene messa una responsabilità sulle spalle.
Ho imparato che a volte bisogna lottare. Mi ricordo quando raccontasti di quel vetturino che si mise a protestare contro l'uomo che mi stava frustando, ma che quello iniziò a frustare anche lui sul capo e sul viso fino ad ammazzarlo. Tu mi hai detto che per creare un valore si deve perseverare, anche se si muore.
Tu ci hai insegnato, quando andavamo a scuola, che si deve essere una signora di fronte a discussioni e lamentele. Ti ricordi quanto notavi il modo in cui ci comportavamo? Ma la tua esperienza si sbagliava. Quando è accaduto questo incidente, quegli insegnamenti non mi hanno aiutato. Comportarmi in modo presentabile in tribunale mi ha fatto apparire come un'assassina a sangue freddo e una spietata criminale. Non ho versato lacrime. Non ho implorato. Non mi sono disperata, ho avuto fiducia nella legge. E sono stata accusata di rimanere indifferente di fronte ad un crimine. 
Tu lo sai, io non uccidevo nemmeno le zanzare, gettavo via anche gli scarafaggi prendendoli per le antenne, e ora sono diventata un'assassina volontaria. Per la mia familiarità con gli animali sono stata accusata di comportamento mascolino; il giudice non ha considerato che all'epoca dell'incidente avevo le unghie lunghe e laccate.
Quant'è ottimista chi si aspetta giustizia dai tribunali! Il giudice non ha mai avuto niente da ridire sul fatto che le mie mani non siano ruvide come quelle di un pugile. E questo paese per il quale tu hai piantato l'amore in me, non mi ha mai voluto; nessuno mi ha sostenuto quando sotto i colpi degli inquirenti gridavo e sentivo i termini più volgari. Quando ho perduto il mio ultimo segno di bellezza, rasandomi i capelli, sono stata ricompensata: con 11 giorni in isolamento.
Cara Sholeh, non piangere per ciò che stai sentendo. Il primo giorno in cui, alla stazione di polizia, una vecchia agente acida mi ha schiaffeggiato per le mie unghie, ho capito che in quest'epoca la bellezza non è apprezzata. La bellezza dell'aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desideri, una bella scrittura, la bellezza degli occhi e della visione e persino la bellezza di una voce dolce.
Mia cara madre, la mia visione delle cose è cambiata e non è tua la colpa. Le mie parole sono eterne e le affido tutte a qualcuno perché, quando verrò giustiziata, senza di te e a tua insaputa, ti vengano consegnate. In eredità ti lascio molte cose scritte.
Però, prima della mia morte voglio qualcosa da te, qualcosa che mi devi dare con tutte le tue forze e in ogni modo possibile. In realtà è l'unica cosa che voglio da questo mondo, da questo paese e da te. So che avrai bisogno di tempo per farlo. Perciò ti anticipo una parte delle mie volontà. Ti prego non piangere e ascolta. 
Voglio che tu vada in tribunale e dica a tutti la mia richiesta. Non posso scrivere una simile lettera dalla prigione, che venga approvata dal direttore. Perciò dovrai di nuovo soffrire per causa mia. E' l'unica cosa per la quale, se implorerai, non mi arrabbierò anche se ti ho detto molte volte di non implorare per salvarmi dall'esecuzione.
Mia dolce madre, cara Sholeh, l'unica che mi è più cara della vita, ascolta: non voglio marcire sottoterrainutilmente. Non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore diventino polvere.
Prega perché venga disposto che, non appena sarò stata impiccata il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le ossa e qualunque altra cosa che possa essere trapiantata venga presa dal mio corpo e data a qualcuno che ne ha bisogno, come un dono. Non voglio che il destinatario conosca il mio nome. A me comprate un mazzo di fiori, oppure pregate per me. Ma te lo dico dal profondo del mio cuore: non voglio avere una tomba dove tu vada a piangere e a soffrire. Non voglio che tu ti vesta di nero per me. Fai di tutto per dimenticare i miei giorni difficili. Dammi al vento perché mi porti via.
Il mondo non ci ama. Non ha voluto che si compisse il mio destino. E ora mi arrendo e abbraccio la morte.
Di fronte al tribunale di Dio io accuserò gli ispettori: accuserò l'ispettore Shamlou, accuserò il giudice e i giudici della Corte Suprema che mi hanno picchiato mentre ero sveglia e non hanno smesso di minacciarmi.
Nel tribunale del Creatore accuserò il Dr. Farvandi, accuserò Qassem Shabani e tutti coloro che per ignoranza e con le loro bugie mi hanno fatto del male ed hanno calpestato i mie diritti e non hanno prestato attenzione al fatto che, a volte, sembra vero ciò è molto lontano dalla realtà.
Cara madre, Sholeh dal cuore tenero, nell'altro mondo siamo tu ed io gli accusatori, e gli altri gli accusati. Vedremo quale sarà la volontà di Dio. Vorrei abbracciarti fino alla morte. 
Ti voglio bene. Reyhaneh
Questo messaggio è di diversi mesi precedente all'esecuzione. Non sappiamo se le autorità abbiano accolto il desiderio di Reyhaneh di donare gli organi. Sappiamo solo che quanto ha fatto il regime iraniano è criminale. Lei ha perso la vita, Sholeh ha perso una figlia; auguriamo a tutti i colpevoli di perdere il sonno.

domenica 26 ottobre 2014

Ebola: noi possiamo agire. Ebola NON si sconfigge con la paura, ma con...

Ebola: come possiamo agire? noi dobbiamo farlo. Prima: per dimensionare il problema, un po' di notizie utili - anzi, necessarie. Premesso che secondo l’ONU restano solo poche settimane per contenere il virus: milioni di persone sono già in pericolo. Premesso che l'umanità è un solo organismo: non possiamo pensare che una simile malattia del sistema non ci riguardi tutti. 
Premesso che è ridicolo illudersi di contenerla ai poveri - anzi: alle donne dei poveri  (queste ultime, sobbarcandosi il lavoro di cura, sono il 75% dei morti *) - e cioè che c'è un solo modo per difendersi: collaborare tutti, e subito, e generosamente, per respingerla.
1. l'OMS avvisava già in settembre che Ebola è un'epidemia senza precedenti 
2. Da pochi casi in soli 3 paesi (e già terrificante) di prima dell'estate, avremo 10.000 nuovi casi a settimana entro dicembre: ma allo stato attuale troveranno solo 4.300 letti per assisterli. Intanto il tasso di mortalità è salito dal 50 al 70%.
3. Entro gennaio 2015 si stima che i contagiati saranno 1 milione e 400mila. Lo stesso scopritore del virus conferma che l'epidemia corre più veloce della capacità di reazione.
4. Del resto, chi dovrebbe agire non fa proprio nulla, o quasi: siamo in mano a inetti (nel migliore dei casi), e salvo eccezioni sembrano tutti assenti. O peggio! Se ci sono per fare allarmismi utili solo a seminare razzismo. E saremmo pazzi a delegare a loro le soluzioni.
Premesso quanto sopra, un'avvertenza: non dobbiamo avere paura. Anche su questo, alcuni argomenti:
1. a Napoleone - personaggio per molti versi esecrabile, va però riconosciuta la dote del coraggio. Quando i suoi soldati, in Egitto, cadevano come le mosche sotto la peste, lui gridava fra i moribondi che il contagio aveva buon gioco perché attecchiva sulla paura: per dimostrarlo li scuoteva, li toccava, non temeva in nessun modo la malattia; e in parte aveva ragione. Niente come la paura agisce sulla dinamica delle cose materializzandone le peggiori conseguenze.
2. Contrariamente a quanto si pensa, però, il contrario della paura non è il "coraggio": ma è l'amore (anche se, nel caso di Napoleone amore della gloria, di una visione folle di conquista). E' l'amore, se ci pensate, che dà la forza e il coraggio di affrontare qualunque rischio e sconfigge qualunque paura. Bene, armiamoci di quello: è così che davvero, e più che in qualunque altro modo, possiamo fare la differenza.
3. Dal dire al fare: che fare? Nella pratica: scrive Avaaz che a pensarci è incredibile, ma la nostra risposta a questo pericolo mortale non solo può salvare delle vite, ma può anche aiutarci a capire cosa siamo e qual’è il nostro ruolo: una comunità globale, che crede nei legami che ci rendono una sola famiglia, e agisce come tale. Gli eroi che si sono offerti volontari tramite Avaaz dimostrano che vale la pena mettere a rischio ogni cosa per salvare ogni singola vita. Vogliamo sostenere questa incredibile umanità, farlo da tutto il mondo, per quanto ognuno di noi può dare, prima che questo spiraglio di speranza si chiuda. Nelle ultime due settimane, migliaia di persone della nostra comunità si sono offerte volontarie per andare in Africa Occidentale e aiutare a contrastare il diffondersi dell’Ebola. È una scelta di incredibile eroismo che testimonia quanto ci sentiamo interdipendenti e membri di un’unica comunità globale
Nel nostro piccolo, senza chiedere a nessun* di partire, chiediamo, anche da qui, che tutte e tutti ci attiviamo contagiandoci l'un l'altro con la solidarietà, attivandoci con la comunicazione e offrendo un piccolo contributo: se solo 50mila di noi donassero 16 € a testa (scrive Avaaz) potremmo prendere 10 ambulanze e 2mila tute protettive. Quante persone si possono salvare, con queste semplici attrezzature? quanti contagi si possono prevenire? 
Queste sono cose basilari, ed è quasi criminale che la comunità internazionale non sia riuscita a procurarne a sufficienza. Consegnandole in tempo a dottori e infermieri locali e internazionali potremmo aumentare notevolmente la possibilità di mettere l’Ebola sotto controllo prima che sia troppo tardi per fermare l’epidemia. I sistemi sanitari di interi paesi sono al collasso. Medici e infermieri locali sono morti cercando di curare i malati senza avere il giusto equipaggiamento. E finora la risposta internazionale è inadeguata: solo alcuni tra i Paesi più ricchi hanno promesso dei medici, e comunque meno dei membri di Avaaz che si sono offerti volontari.  

PARTECIPIAMO. Partecipa. Ecco cosa puoi fare donando anche piccole cifre:
• con 2 €:  comprare sapone per prevenire l’infezione 
• con 23 €: formare un insegnante per istruire sulla prevenzione bambini e famiglie
• con 220 €: fornire un kit di protezione personale per salvaguardare chi assiste i malati
• con 40.000 €: comprare, trasportare e equipaggiare un’ambulanza.
• con 95.000 €: comprare attrezzature e forniture per aprire un centro di cura da 50 letti.
* SI: le donne sono il 75% dei morti. Come aveva osservato per prima Julia Duncan-Cassell (ministra alle Pari opportunità della Liberia) nel 75% dei casi sono le donne ad ammalarsi e a morire. Anche se nel caso delle altre malattie è meno eclatante, è sempre così: ricade sempre sulle loro spalle il lavoro di cura, sono sempre le donne le prime a soccorrere i mariti, i figli, gli anziani che si ammalano. Sono loro che lavano, medicano, imboccano; loro che portano in ospedale i più gravi e li assistono anche lì. Sono ancora loro a raccogliere, a lavare le salme e a prepararle per le sepolture. Furono donne incinte le prime vittime, già nel 1976, quando il virus fu "scoperto" per la prima volta a Yambuku, in Congo - e da allora ha covato diversi focolai, ma non se ne è occupato nessuno: e a chi poteva interessare? erano solo negri, donne, poveri; donne dei poveri. Bene, facciamocene una ragione: ora non è più così. Maschi o femmine, bianchi o neri, occidentali o no: siamo tutti coinvolti. 

E condannati ad amarci. O a farci danno l'un l'altro tutto il tempo, come imbecilli.

sabato 25 ottobre 2014

Impiccata Reyhaneh. Sconvolte ci chiediamo: è questo il nuovo corso dell'Iran? e l'Italia dov'è?

Mia figlia con la febbre ha ballato sulla forca: con queste parole che grondano amarezza e dolore la madre di Reyhaneh ha annunciato l'impiccagione di quella figlia che fu incarcerata quand'era poco più che una bambina, e che da 5 anni marciva in un braccio della morte. 
Il 5 ottobre la Rete delle Reti femminili invitava a partecipare al tweetstorm in suo soccorso: 
e a diffondere la petizione che ha raccolto oltre 240.000 firme. Da Amnesty a Papa Francesco moltissimi sono intervenuti per lei, ma non c'è stato niente da fare.  Oggi la ministra degli Esteri Mogherini ha espresso dolore per questo crimine - ma qualcosa, nelle sue dichiarazioni, manca: è un dolore profondissimo, avevamo sperato tutti che la mobilitazione internazionale potesse salvare la vita di una ragazza che invece è vittima due volte, prima del suo stupratore poi di un sistema che non ha ascoltato i tanti appelli, a conferma che è proprio sulla difesa dei diritti fondamentali che il dialogo tra i Paesi resta più difficile. Eppure, la difesa dei diritti umani e l'abolizione della pena di morte sono battaglie fondamentali che l'Italia non rinuncerà mai a portare avanti in tutte le sedi.

Però, ci chiediamo: il buon esito era delegato alla mobilitazione internazionale? di chi? In effetti noi non troviamo notizie chiare: a parte le dichiarazioni ai giornali, e l'appello dell'ambasciata - a parte lo sperare, cosa ha fatto, concretamente, il nostro Governo, dopo il disperato appello della madre alle autorità italiane, il 30 settembre? in quell'occasione la nostra ministra aveva dichiarato: L'appello della madre di Reyhaneh non può lasciarci indifferenti. L’Italia è per tradizione contraria alla pena di morte e per questo ci stiamo battendo da tempo anche alle Nazioni Unite. Mi auguro dunque, nel pieno rispetto delle procedure iraniane, che la sentenza possa essere riesaminata. Già ieri l'ambasciata italiana a Teheran ha trasmesso questo auspicio alle autorità iraniane. Sono certa che le parole della madre di Reyhaneh saranno ascoltate con attenzione anche in un Paese, come l’Iran, di cui ho avuto modo in più occasioni di apprezzare una cultura millenaria che tanto valore ha sempre dato alla vita umana.
Si, ma poi? poi, cosa è stato fatto? ci si è affidati alle certezze della speranza? alla cultura millenaria che non sembra di nessun aiuto alle donne, e tantomeno nell'Iran di oggi? non sono un po' generici gli argomenti di queste dichiarazioni?

Agli immancabili che penseranno bene di commentare che qui è peggio che là, che quella era colpevole di omicidio, che cosa vogliamo sindacare sulla giustizia di un paese sovrano e simili argomenti a cui siamo avvezze, ricordiamo che:
1. Nel 2007, quando aveva solo 19 anni, Reyhaneh era stata convocata nell'appartamento di un ex-agente dei servizi segreti iracheni, Morteza Abdolali Sarbandi; qui costui - secondo il suo racconto di cui è davvero difficile dubitare (né altri moventi sono mai emersi) ha tentato di abusare di lei e nel tentativo di difendersi lei lo ha colpito, e ucciso accidentalmente
2. Secondo la giustizia iraniana il perdono della famiglia del morto avrebbe potuto salvarla, ma la condizione che le è stata posta è stata di ritrattare la propria versione, negando il tentativo di stupro. Questo lei si è sempre rifiutata di farlo. 
3. Quando ancora aveva speranze, la madre aveva detto: la famiglia di Sarbandi pone condizioni sempre diverse: chiede che mia figlia ammetta i suoi errori; che faccia il nome di un uomo che loro sono convinti abbia partecipato all'omicidio. Ma quali errori ha commesso mia figlia? Di consegnarsi spontaneamente alle autorità? Di subire ogni forma di pressione fisica e psicologica per anni? Di aver accettato tutte le imputazioni?
Sta di fatto che lei non ha ritrattato, e per questo è stata impiccata.
La vera colpa delle donne, in certi frangenti è di esistere - e da certe colpe non c'è salvezza né redenzione - né mai ci sarà: fino a quando non si riconoscerà che i diritti delle donne sono diritti umani.

venerdì 24 ottobre 2014

Le relazioni di genere nelle città: un call for papers

Genesis, la rivista della Società Italiana delle Storiche, sta preparando un numero monografico sulle relazioni di genere nelle città, dal titolo Attraverso le città. E invita tutt* a partecipare inviando contributi (testi max 60.000 caratteri, spazi inclusi, con breve profilo scientifico di autrici/autori).
In questo lavoro si intende raccogliere ricerche e analisi sulle forme e i luoghi delle articolazioni di genere e le loro trasformazioni nelle città, che indaghino - anche alla luce di incroci disciplinari, purché in prospettiva storica, tra medioevo e età contemporanea:
• La ridefinizione dei confini tra culture diverse, le sovrapposizioni e gli intrecci di identità eappartenenze, le liminalità e le ibridazioni culturali, religiose, politiche, etniche, generazionali; la dimensione dell’intersezionalità che integra orizzonti multipli e lealtà plurali.
• Le reti di relazione, anche plurilocali, che nelle città connettono, sostengono, attraggono, smistano, controllano soggetti in movimento come lavoratori stabili o precari, dell’artigianato o del commercio al dettaglio, impiegati, servi, schiavi, prostitute, migranti, convertiti, minoranze, figure ai margini, comunità intra ed extraurbane, gruppi giovanili, anziani, soggetti istituzionalizzati.
• La dimensione urbana delle dislocazioni, delle catene della cura globali, le aggregazioni temporanee di reti diasporiche.
• Le trasformazioni dello spazio connesse ai mutamenti delle condizioni materiali e ai cambiamenti negli stili di vita di soggetti e gruppi.
• La varietà di strategie adottate e la presenza dei diversi vincoli che influenzano le scelte, i percorsi, l’immaginario dei generi nelle città, costante polo di attrazione e di transito di popolazione e soggetti in cerca di nuove opportunità.
Saranno presi in considerazione per la pubblicazione articoli in Italiano, Inglese, Francese, Spagnolo, pervenuti entro il 20 novembre. Gli articoli saranno selezionati per la pubblicazione entro il 20 dicembre 2014 e dovranno essere consegnati in forma definitiva entro il 15 marzo 2015. Per info e dettagli: scrivere alle curatrici Anna BadinoIda Fazio e Fiorella Imprenti.
Da parte nostra, come argomento correlato, approfittiamo per l'occasione per segnalarvi l'interessante e-book "Smart Cities, genere e e inclusione. L'intelligenza dei territori e le differenze" uscito esattamente un anno fa, a cura di Flavia Marzano e Maria Sangiuliano, per la Rete Wister e gli Stati Generali dell'Innovazione.

giovedì 23 ottobre 2014

Si può fare politica con una storia d’amore?

Sì, si può fare politica con una storia d’amorese questa storia suscita curiosità, voglia di conoscere e approfondire. 
Conoscere ti permette di cambiare idea. Se sei eterosessuale, farti una nuova idea sull’omosessualità, diversa dalla percezione acquisita attraverso il linguaggio mediatico prevalente, ti permette di relazionarti in un modo nuovo con chi conosci e incontrerai sulla tua strada, nel tuo condominio, al lavoro, a scuola, in piazza.
Ti permette di relazionarti più serenamente con te stess* perché se ti senti più uguale, meno diverso dagli esseri umani che incontri, ti senti meglio, anche da etero.
Bisogna però che la lampadina della curiosità si accenda e questo può accadere anche tra le pagine di un libro, anche sfogliando un giornale.
"L'altra parte di me" è un libro che racconta la storia d'amore di due adolescenti lesbiche, una storia con lieto fine. 
Le prime interviste con giornaliste di vari settimanali “femminili” si sono rivelate preziose perché, al di là dell’apprezzamento per il libro, tutte hanno voluto approfondire l’argomento pubblicando poi delle mini-inchieste alle quali ho potuto contribuire citando progetti, altri libri, altre persone da intervistare. Ne sono uscite pagine con testimonianze di ragazze lesbiche, con foto di lesbiche famose, una tra tutte Jody Foster, fotografate nella loro quotidianità familiare. Pagine solari, che mostrano vite e amori che non hanno niente di diverso dalle tante vite ai tanti amori di chi le sfoglia. 
Perché la vita sarebbe semplice, se la lasciassimo fare. La vita ci vedrebbe uniti e unite anziché sempre a dividerci in binari dalle destinazioni più diverse.
In una riunione nella scuola di mio figlio, scuola media, nel Pof alcuni progetti stavano sotto la voce accettazione delle diversitàHo proposto di cambiare dicitura con condivisione della differenza. 
Accettare ha anche un’eccezione positiva, ma quando si parla di diversità si protende all’eccezione negativa di un verbo che ha anche a che fare con la sopportazione
Anche tollerare ha un significato legato all’accoglienza ma si può associare all’indulgenza e alla sopportazione, con la stessa ambivalenza.
Se provate a chiedere a dieci persone cosa significhino i termini accettare e tollerare, vi accorgerete che prevale la percezione più legata alla sopportazione che alla condivisione, nei migliori dei casi all’indulgenza appunto, che ci lascia su piani differenti. 

Rispettare non significa sopportare.
Così nel libro Francesca, la protagonista, si ribella alla tolleranza della sua omosessualità, alla falsa accettazione.
Quella accettazione appunto che fa sì che nella sua famiglia il suo essere lesbica venga  sopportato, come si accetta un dolore, una malattia, una calamità, ma nulla più. E invece Francesca vuole quel più. Quel sostegno che diviene condivisione di felicità, spinta, appoggio, felicità stessa per dei familiari che dovrebbero gioire della tua realizzazione e invece non fanno che soffrire per ciò che non sei e avrebbero tanto voluto tu fossi.

In “L’altra parte di me” i genitori di Francesca si sforzano di tollerare la presenza di Giulia, fidanzata della figlia, definendola “la tua amica” senza riuscire a dire, se non dopo anni perduti nell’incomprensione, “la tua ragazza”, come semplicemente è.
L’amore è un sentimento semplice, nasce in noi naturalmente, cresce, prende forma e si dirama come i rami di un albero nella nostra vita. Accoglierlo dovrebbe essere altrettanto semplice e naturale. 
Le difficoltà che molti provano nei confronti dell’omosessualità sono culturalmente indotte; dobbiamo ribadire questo, così che il castello di paure che la ingabbia non potrà che sgretolarsi restituendoci nuove libertà.
Quando guardo ai fanatismi di un certo mondo cattolico, così osteggiante e gretto, non posso che pensare che la maggior parte dei cattolici non è integralista e non ha dimenticato gli insegnamenti di Gesù Cristo, ben disposto ad amare ed accogliere chi incontrava sulla sua strada. 
Purtroppo è la minoranza integralista con la sua deriva violenta ad avere visibilità mediatica, a danno ti tutti. Ciò che non vedo non esiste, e ciò che si vede, se unidirezionale, mi condiziona anche contro la mia volontà. 
Per questo è importante raccontare storie dove l’intelligenza e l’amore vincono sulla paura, dove la felicità è possibile
Perché le cose cambiano quando ci attraversano, quando parliamo di noi, quando partiamo da noi.
Se avete voglia di partecipare agli incontri queste le date delle prime presentazioni:
Roma:                            24 ottobre, Campidoglio, h 16.00
Firenze:                          27 ottobre, Libreria Feltrinelli, h. 18.00
Milano:                           29 ottobre, Palazzo Isimbardi, h. 18.00
Bassano del Grappa:  30 ottobre, Libreria La Bassanese, h. 21.00
Bari:                               12 novembre, Libreria Feltrinelli, h. 18.30
Catania:                        13 novembre, Università, h. 16.00
Rimini:                           30 novembre, Palazzo del Comune, h. 17.00

lunedì 20 ottobre 2014

Ministero Pari Opportunita, la risposta di Renzi alle donne: una bella porta in faccia. Ma da dietro quella porta non ci spostiamo

Esattamente 6 mesi fa, il 18 febbraio, le donne, per iniziativa dell'Accordo di Azione Comune per la Democrazia Paritaria, hanno scritto una lettera all'allora neo-primoministro Renzi.
In tante abbiamo poi atteso pazientemente - ma sapete, il Primo Ministro ha sempre da fare; dunque abbiamo aspettato, benché sollecitando risposte. Un richiamo in una nuova lettera, ai primi di luglio…. Ed ecco che, il 3 ottobre, una risposta è arrivata; indiretta, beninteso: attraverso una nomina. Ed eccola, in buona sostanza, la risposta implicita in questa nomina: 
 • NO, il Ministero alle Pari Opportunità non lo facciamo.
 • NO, e quale delegata? nemmeno quella: la delega alle Pari Opportunità me la tengo io. 
 • SI, alle donne ci penso, certo che ci penso: nomino un consigliere che mi consiglierà. 
 • Il consigliere riferirà del proprio operato direttamente a ME. 
 • Consigliera, dite…? SI, è una donna.
 • Ah si; un ultimo dettaglio: l’incarico verrà svolto a titolo gratuito. 
E chi è la designata? certamente, una donna: la deputata del PD Giovanna Martelli. Una donna, sul cui valore non vogliamo discutere; anche se un po' salta agli occhi quel suo essere figura di partito:  come ci informa la Gazzetta di Mantovaex-assessora comunale nell’Alto Mantovano, figura emergente del Pd locale, rappresenta uno dei volti più noti dell’area renziana del partito mantovano.
In effetti il suo commento di esordio è più in linea con questo profilo, che con l'appartenenza di genere: esprimendo soddisfazione per il nuovo incarico, la consigliera commenta: «Sono pronta a mettermi al lavoro anche su questo fronte. Ovviamente sono felice della fiducia che il presidente del consiglio dimostra nei miei confronti. Ritengo che questo atto dia valore all’intero Partito democratico mantovano. Cercherò, in tutti i modi, di mettere a disposizione della nostra comunità l’opportunità che mi è stata offerta di lavorare al servizio delle pari opportunità».
Si, è vero, "tante donne" nel governo. Ma, da Renzi, di strumenti per tutte le donne, come un vero Ministero, nemmeno l'ombra. E del prezioso metodo della (ahimé) ex-Ministra Josefa Idem nessuna traccia. 
La nuova Consigliera per le PO farà il proprio debutto ufficiale a Roma il 23 e 24 ottobre: coordinando una delle sessioni della conferenza  "Gender Equality in Europe: Unfinished Business?"; ecco qui il programma completo dei lavori. Evento cui (in assenza di una Ministra per le pari opportunità) le donne italiane saranno rappresentate da 2 uomini: i sottosegretari Scalfarotto e Del Rio. Il primo presente in qualità di moderatore della tavola rotonda sul futuro dell'eguaglianza di genere; il secondo, incaricato di chiudere i lavori.
Che dire… forse che più unfinished business di così c'è solo lo zero assoluto.

domenica 19 ottobre 2014

Cento anni di guerre bastano: oggi la Perugia-Assisi per la Pace

Siete mai stati a una marcia della pace da Perugia-Assisi?
se non l'avete mai fatto andateci: è un'esperienza di pace, letteralmente, che scende nel profondo; qualcosa di connesso con lo spirito reale delle persone che partecipano, un flusso ininterrotto, fra strade e campi, che snoda un respiro unico, caldo e amichevole - un respiro di pace. 


Tantissimi giovani, ma anche persone di ogni età; tante istituzioni locali: quest'anno presenti 525 città, 275 tra Comuni e Regioni, molte centinaia di associazioni, e anche la presidente della camera, Laura Boldrini. Che si mette a disposizione per «una task force istituzionale». Ma qualcosa non c'è, benché continuamente sollecitato e ansiosamente atteso: un segnale del Governo per dare un taglio alle armi

domenica 12 ottobre 2014

Alle combattenti di Kobane: prendendo a prestito le parole di Malalai Joya

ARCHIVIO/DOCUMENTI - Grazie, grazie, grazie alle combattenti curde, e al loro popolo, a cui tutto il mondo sta guardando con speranza. Alcune di queste donne abbiamo avuto occasione di conoscere da vicino, ieri a Roma - [qui l'intervento integrale di una di loro, Havin Guneser].
Ci uniamo alle parole di Malalai Joya, e le facciamo nostreUn ardente saluto alle donne coraggiose di Koubane. In questi giorni, il loro coraggio e la loro resilienza ha stupito tutto il mondo. 
Per difendere il loro territorio dai criminali assassini dell'ISIS, loro non hanno sperato negli Stati Uniti e nella NATO, né - per difendere la loro terra da terroristi e stranieri, come i gruppi di analisti mercenari in Afghanistan - hanno chiamato in aiuto l'Occidente e gli USA. I nobili abitanti di Koubane, uomini e donne, generosamente difendono la loro dignità, la libertà e la loro patria con le loro proprie mani, accettando ogni genere di sacrifici per farcela. Eroine di Koubane, io appoggio profondamente la vostra ispirata resistenza contro i criminali di Isis e umilmente imparo dalla vostra orgogliosa dedizione al paese. Voi siete un'invincibile bandiera di coraggio e fierezza. Con la vostra implacabile battaglia contro questi criminali ignoranti voi siete assurte a simbolo universale di umanità e di lotta per la libertà.

Non siete sole in questa gloriosa sfida. Tutte le persone del mondo che amano la libertà e il progresso sono con voi. Con la vostra lotta contro l'oppressione, voi donne siete un calcio nella pancia del'ISIS e di tutti i fondamentalisti dalla mentalità medievale, che valutano le donne la metà degli uomini, e le vedono come oggetti per soddisfare la loro brame animalesche. 
Voi avete dimostrato come le donne siano capaci di stare al fianco dei loro fratelli, anche con le armi, nelle circostanze più difficili e terribili, per difendere la libertà e la giustizia e affrontare nemici armati fino ai denti. Negli ultimi decenni il popolo afghano ha sofferto per la dominazione della mentalità di tenebra dei famigerati fondamentalisti fratelli di Isis. Oggi la nostra gente, ispirata dalla vostra lotta senza paura, per stare al vostro fianco strofinerà nella polvere il muso dei terroristi talebani e Jehadi, queste efferate e crudeli creazioni degli Stati Uniti.
Una nazione in cui donne coraggiose prendono le armi per combattere accanto agli uomini contro l'oppressione e la colonizzazione non sarà mai sconfitta. La vittoria è vostra! Già in passato avete schiacciato e umiliato i bruti ISIS e tutta l'umanità progressista vi ammira per questo.

Nel nome delle donne e degli uomini che vogliono la libertà, vi invio il mio caldo saluto e offro la mia piena solidarietà a ciascuna e ciascuno di voi, care persone, e con calore vi stringo forte le mani.
Non dobbiamo dubitare: sconfiggeremo i fondamentalisti barbarici e i loro padroni occidentali.
Malalai Joya, Afghanistan 12 ottobre 2014

Come ha scritto Fabio Marcelli, queste donne hanno consapevolmente imbracciato le armi in mancanza di alternative. Uccidere è sbagliato, dicono, ma non abbiamo altra possibilità. 


Criticano la società patriarcale e il capitalismo
Rivolgono un appello alle donne europee che sanno soffrire un’oppressione per molti versi simile a quella che vivono loro. Demistificano il discorso razzista di chi afferma che l’Islam è una religione oppressiva e misogina, affermando che la folle e mortifera linea dell’Isis non ha nulla in comune con la religione. Le radici dell’oppressione nei confronti della donna, sia essa velata o esibita come oggetto sessuale in vendita al miglior offerente (o entrambe le cose insieme, soluzione a quanto pare preferita dai terroristi), sono in un sistema mondiale di dominazione ed oppressione che prescinde da ogni discorso religioso, usato strumentalmente solo come specchietto per le allodole. 
Una trappola nella quale cadono i giovani europei che si arruolano sotto le bandiere di Al Baghdadi, così come gli scellerati che parlano di “scontro di civiltà” e si illudono che il problema sarà risolto con qualche bombardamento. (…) Il progetto che queste donne portano avanti va ben al di là della necessaria e prossima sconfitta delle orde di terroristi drogati che fanno parte dell’Isis

Esso comprende una società nuova, caratterizzata dal recupero delle radici culturali umiliate dall’oppressione dei regimi e dal superamento dei vecchi modelli feudali e patriarcali, così come da quello del capitalismo da rapina che opera nella zona. A un compito così vasto e profondo possono provvedere, con buona pace dei maschilisti che proliferano nell’attuale società italiana e sono nascosti, ahimè, all’interno di ciascuno di noi maschi, solo delle donne. Donne armate, non solo di kalashnikov (strumenti che pure in certe situazioni risultano assolutamente indispensabili), ma anche e soprattutto di una forte consapevolezza di sé, merce purtroppo sempre più rara dalle nostre parti. Donne che, anziché attendere passivamente che qualcuno, magari rivestito da qualche bandiera occidentale, venga a salvarle, si armano e provvedono in prima persona alla sicurezza propria e dei propri concittadini. 


E, provvedendo alla sicurezza, gettano anche le basi per una società autenticamente democratica basata sull’eguaglianza effettiva fra i generi.
Grazie Fabio Marcelli, non avremmo saputo dirlo meglio.
A tutto il popolo di Kobane, ma soprattutto alle donne combattenti che, con ogni mezzo, dall'Irak alla Siria, si sono poste in prima linea contro la barbarie, tutta la nostra vicinanza, con l'affetto più profondo e sincero.


In tutto il mondo rimbalzano le notizie relative agli attacchi dell’ISIS nel Sud del Kurdistan e nei territori di Rojava. Si tratta di una violenza sistematica di matrice terroristica che colpisce indiscriminatamente la popolazione, ed in particolare è rivolta nei confronti dei curdi yezidi, una popolazione che già nei secoli ha subito persecuzioni e lutti in grande quantità. Quello in atto nei confronti degli yezidi, dopo l’eccidio di Şengal, non può che essere definito un genocidio, che ad oggi conta più di 20mila vittime tra i civili. Anche in questa guerra, l’uomo ha ordinato di attaccare prima e soprattutto le donne, barbaramente massacrate, indotte al suicidio, vendute da quella che è stata definita da alcuni analisti “la forza distruttiva del capitalismo”
Un vero e proprio femminicidio di massa. Come Fondazione Internazionale delle Donne Libere abbiamo organizzato conferenze in materia di femminicidio in numerose capitali europee: il 23 novembre 2011 a Parigi, il 3 dicembre 2011 a Stoccolma, il 14 gennaio 2012 a Londra e l’11 febbraio 2012 a Ultrecht. In collaborazione con le avvocate dei Giuristi Democratici, abbiamo organizzato anche varie iniziative sul femminicidio a Ginevra, alle Nazioni Unite. La conferenza di Roma dell’11 ottobre 2014, in continuità con quelle organizzate dalla Fondazione Internazionale delle Donne Libere negli anni precedenti, vuole parlare di femminicidio, calandolo nella dimensione del conflitto in atto. A supportare la Fondazione Internazionale delle Donne Libere nell’organizzazione del convegno sono intervenute anche la rappresentanza del movimento delle donne curde, che ha sede a Ginevra, l’ufficio informazioni del Kurdistan UIKI ONLUS, e le avvocate dei Giuristi Democratici. Hanno fornito il loro sostegno all’iniziativa anche la Casa Internazionale delle Donne di Roma, che ospita il convegno, l’associazione Senza Confine, il Centro Ararat, l’associazione Donna Diritti e Giustizia. 
La conferenza vuole creare una rete internazionale di informazione e cooperazione per azioni concrete di sostegno alle donne vittime di femminicidio nel conflitto ed alle donne protagoniste della resistenza nel conflitto. In particolare si vuole attivare la comunità internazionale per la liberazione delle donne rapite dall’ISIS e per fermare il femminicidio ed il genocidio in atto. Fermare il femminicidio è possibile solo se si affronta il problema unite, a livello internazionale. Per questo motivo, ci auspichiamo una grande partecipazione agli spazi di dibattito previsti in entrambe le sessioni del convegno da parte di tutte le associazioni e i gruppi che si occupano di violenza maschile sulle donne e di diritti umani.
Un'immagine dall'incontro (ph. Paola Mazzei):

sabato 11 ottobre 2014

La Campagna #StopTTIP: dobbiamo sapere cos'è e perché

Oggi, 11 ottobre 2014, eventi anche in tutta Italia per la Giornata Europea #StopTTIP. E che cosa sarebbe? 
del Partenariato Transatlantico sugli scambi e sugli investimenti tra Usa e Ue: nella sostanza, un pericoloso (e non l'unico) trattato di libero scambio fra Europa e Stati Uniti che potrebbe rivoluzionare, verso il basso, tutti gli standard ambientali, alimentari e di salute per una larghissima serie di prodotti. 

Un grave rischio, di cui non si sa nulla, e che, in parte, abbiamo già trattato quiBene: se a questo punto avete realizzato che ci riguarda tutti, e molto da vicino, per saperne di più leggete l'appello:

Società civile, sindacati, contadini associazioni e gruppi di attivisti di base di tutta Europa lanciano insieme un appello per fare dell’11 Ottobre una giornata di azione per 
1. fermare i negoziati TTIP, CETA, TISA e tutti gli altri negoziati di liberalizzazione commerciale in corso
2. per promuovere politiche commerciali alternative, che mettano i diritti, il governo dei popoli e l’ambiente al primo posto.
Il TTIP (Partenariato Transatlantico sugli scambi e sugli investimenti tra Usa e Ue) e il CETA (Accordo commerciale comprensivo tra Canada e UE) sono gli esempi più significativi di come le politiche commerciali e di investimento si stanno negoziando in modo antidemocratico e nel solo interesse delle grandi imprese. I negoziati in corso sono segreti, con poche informazioni disponibili per un controllo pubblico del loro andamento, consentendo così alle lobby corporative una sempre maggiore influenza su di essi.
Qualora tali accordi vadano avanti, le multinazionali avranno il diritto esclusivo di citare in giudizio i governi di fronte ad arbitrati commerciali internazionali indipendenti dai sistemi giuridici nazionali ed europei. Ridurranno gli standard di salute e di sicurezza nel tentativo di “armonizzare” le regole al di qua e al di là dell’Atlantico e minando la capacità di governi nazionali e autorità locali di impedire le pratiche commerciali (ma non solo) pericolose: come il fracking o l’uso di OGM
Questi trattati inducono la svendita dei servizi pubblici essenziali e forzano i diritti sociali e quelli dei lavoratori ad una corsa al ribasso.
L’Unione europea è il laboratorio in cui le lobby corporative sperimentano la possibilità di sottrarre ai popoli ed ai cittadini ogni facoltà decisionale, trasferendola ad organismi sovranazionali oligarchici, a quelle lobby asserviti. 
Queste politiche sono strettamente legate al progressivo smantellamento degli standard sociali e spingono verso la privatizzazione dei servizi pubblici, in nome di slogan quali “austerità”, “crisi politica” e "aumentare la competitività”.
La giornata di azione renderà il nostro dissenso pubblicamente visibile per le strade d’Europa. Porteremo il dibattito su queste politiche nell’arena pubblica, da cui la Commis- sione europea ei governi europei cercano di tenerlo lontano. Promuoveremo le nostre alternative per politiche economiche diverse.
Siamo solidali con i cittadini e gruppi di tutto il mondo che condividono le nostre preoccupazioni per l’ambiente, i diritti sociali, la democrazia. 
TTIP / CETA / TISA e altri analoghi accordi commerciali saranno fermati dall’energia con la quale noi cittadini d’Europa, Canada e Stati Uniti riusciremo a far sentire la nostra voce.
Invitiamo le organizzazioni, gli individui e le alleanze a partecipare alla giornata organizzando azioni autonome decentrate in tutta Europa. 
Accogliamo con favore la diversità delle tattiche e le azioni di solidarietà da tutto il mondo che ci aiuteanno a informare, coinvolgere e mobilitare il maggior numero di persone possibile a livello locale. Possiamo vincere questa battaglia.
Insieme, possiamo sconfiggere il potere delle corporation.
per contatti scrivete a: stopttipitalia@gmail.com

domenica 5 ottobre 2014

Amazzoni Furiose

Iniziando da oggi a contribuire a questo blog, per prima cosa mi presento. 
Sono un'amazzone furiosa. La prima parola che sono riuscita a pronunciare, quando la dottoressa che avevo di fronte mi ha comunicato che c’erano delle cellule anormali nel linfonodo ingrossato sotto la mia ascella – questo era stato il motivo del nostro incontro – è stata: Perché? Ho continuato a fare la stessa domanda all’altra dottoressa che ha eseguito una biopsia ecoguidata del nodulo che avevo nel seno destro e a tutte le altre persone, medici, infermieri, altre pazienti, familiari e amici di pazienti, che ho incontrato lungo il mio percorso di malata di cancro al seno.
Era il 17 novembre del 2010 quando mi è stata comunicata la diagnosi ufficiale: carcinoma duttale infiltrante con metasasi linfonoidali. Il 20 dicembre dello stesso anno ho subito un intervento di quadrantectomia con dissezione ascellare. L’8 febbraio del 2011 ho fatto il primo ciclo di chemioterapia, quella rossa, quella bella tosta che ti fa cadere tutti i capelli, i peli, le ciglia e le sopracciglia, che ti fa bianca come un lenzuolo e ti strizza lo stomaco come uno straccio inzuppato di veleno. 
Sono seguiti la radioterapia, gli anticorpi monoclonali, l’ormonoterapia ancora in corso. Oggi, ad ottobre del 2014, sono una donna di 34 anni in menopausa farmacologica, con un quarto di seno in meno e un braccio che ogni tanto faccio fatica ad alzare. 
Continuo ancora a farmi la stessa domanda, però. Perché? 
Perché mi sono ammalata così giovane, senza nessun precedente in famiglia e senza essere portatrice di una mutazione genetica associata con un aumentato rischio di sviluppare il cancro al seno? 
Perché, dopo decenni di raccolte fondi e ricerca, di cancro al seno si continua ancora a morire? 
Perché i giornali e l’establishment medico vogliono farci credere che così non è, e che dopo il cancro al seno tutto torna come prima, anche se non è vero? 
Perché le case produttrici di cosmetici vendono prodotti con il nastrino rosa dicendo di raccogliere fondi per la ricerca quando in quegli stessi prodotti ci sono sostanze cancerogene? 
Mi è stato consigliato più di una volta - e da più di una persona - di lasciar perdere, di non angustiarmi ché la rabbia non paga. Sono invece convinta, seguendo l’esempio dell’attivista statunitense Barbara Brenner, che la rabbia, se incanalata nella direzione giusta, può essere molto utile. Le battaglie di rivendicazione dei propri diritti condotte dai popoli colonizzati, dalle donne e da tutti i gruppi subalterni ne sono la dimostrazione. 
Per questa ragione, a maggio del 2012 ho aperto un blog, trasformatosi successivamente in un blog collettivo: Le Amazzoni Furiose che raccoglie i pensieri e i punti di vista delle tante donne che, come me, non smetteranno mai di chiedere perché.
Amazzone furiosa