domenica 30 ottobre 2016

UnWomen candida Wikidonne al premio GemTech per l'inclusione digitale

Il progetto Women in red per ridurre il gender gap in Wikipedia tra i finalisti a livello mondiale


UnWomen, sezione delle Nazioni Unite che si occupa di parità di genere,  ha candidato il progetto #WiR a concorrere al premio #GemTech (Gender Equality Mainstreaming), rivolto a organizzazioni o singole persone impegnate nel promuovere la parità attraverso l'integrazione con le nuove tecnologie. Il progetto Wikidonne (di cui ricordiamo qui anche Herstory), per Wikipedia, candidato nella prima delle tre sezioni (quella dedicata all'applicazione della tecnologia per l'inclusione 'digitale' delle donne), su 14 candidati totali è l'unico ad avere una estensione globale in quanto, tramite il web, si rivolge al mondo intero. Qui: il testo completo



domenica 23 ottobre 2016

Caro Emis, cara Cristina, caro Emis. Caro Emis again. 4 messaggi in segreteria

Volevo abbassare le armi ora dovrò spararti / non mi dire di calmarmi, è tardi stronza / fanculo al senso di colpa, non ci saranno sbocchi / voglio vedere la vita fuggire dai tuoi occhi

ma cos'hai capito? ma quale violenza? ma anche un bambino capisce che "è il contrario"! 

Vale la pena leggere la lettera di Cristina, la risposta di Emis (che pare di sentirle, le unghie sul vetro, il rumore che fanno), e la contro-risposta di Cristina, in fondo allo stesso post (che il tuo “dovere di artista” non ti stimoli ad occuparti di migranti altrimenti potresti spaziare con «Muori profugo di merda alzo il muro e vaffanculo»).
Però, il coro dei fan dice che quelle come lei non capiscono.

Ma non capiscono cosa? che non è Emis a pensare quelle parole? [eppure lei l'ha specificato come prima cosa: non ho mai pensato che quel pezzo fosse autobiografico; e allora di che parliamo?] no, di cosa pensa Emis qui importa poco; quello che importa è cosa pensano masse di potenziali assassini; è questo il punto. E allora gridare all'artista incompreso è alquanto peloso.
Fare l'artista incompreso, che fa finta di non comprendere l'obiezione mossa, ancora di più. Ma secondo Emis anche grazie a questa polemica tanti giovani si stanno confrontando con una realtà che magari ignoravano fino a ieri; si, certo: l'esistenza di Emis, i suoi dischi e i suoi concerti.
Non ci piove che, in rapporto a questo, il marketing del prodotto Emis ha centrato l'obiettivo. Ma non è certo quello che dice Emis.

Secondo lui quella canzone è il suo modo di esprimere dissenso sul femminicidio; e come lo esprime? gridando (con forza) tutto, e solo, il punto di vista del femminicida. E nella sua risposta a Cristina le dice anche che la reazione di chi non condivide quel modo di esprimere dissenso (nel caso lei) dimostra che il suo intento era corretto.
Ah, bè.
Ora, Emis, anche una canzonetta di un po’ di tempo fa, diceva prendi una donna, trattala male - lascia ti aspetti per ore, non farti vivo e quando la chiami fallo come fosse un favore / e allora sì vedrai che t'amerà - chi è meno amato più amore ti dà. lallallààà... Ma poi un contro-pensiero aggiungeva: caro amico non sono d'accordo - parli da uomo ferito - non esistono leggi d'amore, basta essere quello che sei... senza l'amore un uomo che cos'è? E' questa l'unica legge che c'è.
Così, tanto per fare un esempio. 
Invece tu di contro-pensiero ne hai messo zero; hai deciso (dici) di raccontarlo in una maniera diversa, più d’impatto, dal punto di vista di chi ammazza (parole tue); ecco, appunto: un punto di vista unilaterale. E siccome il punto di vista sparato nel mondo è solo quello di chi ammazza, quell’impatto è solo sulle donne - contro di loro; e solo contro di loro; il pugno nello stomaco pure, fattene una ragione.
Scrivi non riesco proprio a pensare che qualcuno pensi ad emulare il personaggio che interpreto, come non penso che la gente cominci ad emulare personaggi negativi di film, libri e via dicendo; ah si??! ma dove vivi?
Le canzoni ispirano, non lo sapevi? e le canzoni, per i fan, non sono una fiction (come Gomorra): ognuna è un manifesto, un richiamo a una filosofia di vita. Vaglielo a spiegare, a migliaia di persone da qui all'eternità, che scherzavi; anzi, che criticavi; che volevi dire il contrario.

Ai coglioni predisposti al femminicidio quella canzone ispira solo pensieri tossici; ed è dai pensieri che nascono le azioni. A noi donne, che veniamo fatte a pezzi da quelli come il tizio a cui dai voce tu, la tua “canzone” può ispirare solo un controcanto.

Non mi dire di calmarmi è tardi, stronza 
Non ci dire di calmarci è tardi, sei un mandante 

Fanculo il senso di colpa non ci saranno sbocchi 
Fanculo la tua “buona fede” non chiedere sconti

Voglio vedere la vita fuggire dai tuoi occhi 
Voglio vedere ritirata la tua canzone

Io c’ho provato e tu mi hai detto no
perché nessuna è “mia” e quella non è musica ma istigazione 

E ora con quella cornetta ti ci strozzerò
e per la sua ispirazione, il peso di ogni donna morta anche su te resterà


Strozzatici tu invece, con quella cornetta; fanculo lo diciamo noi Emis; la vita dagli occhi è fuggita a troppe donne - e continua a farlo - un fiume di vite che scorre verso il nulla senza soste; strappate a forza da uomini che avevano quegli esatti pensieri. Vuoi provare a metterti, per una volta, nei pensieri delle donne? allora, per favore, prova a leggere anche un'altra lettera, questa > lettera a oscar Pistorius.
Al momento tu la voce non l’hai data alle uccise, ma solo a loro, agli assassini. Che tu abbia il discernimento per capirlo o no, quella canzone è e resta un peana di guerra, un megafono da cui risuona un inno alla mascolinità tossica; e fa ridere, ridere, di un riso amaro, che chi l’ha scritta, e lanciata nel mondo come una bomba a chiodi, osi aggiungere la beffa di reclamarla come un atto contro il femminicidio
Se sei un uomo - uno di quelli che non hanno paura di chiedere scusa, quella canzone ritirala; è meglio. Fanne una seconda versione; cambia le parole, introduci la voce delle donne.

DI MESSAGGI IN SEGRETERIA METTINE 4.

Perché tutto il resto, ricamarci intorno, arrampicarsi sui vetri, non serve; così com'è quella canzone è un pericolo.



mercoledì 19 ottobre 2016

19 ottobre: scioperi e manifestazioni delle donne in tutta l'America Latina #NiUnaMenos

Per la prima volta anche le donne argentine scendono in sciopero, e lo fanno a livello nazionale, e accompagnate da manifestazioni in contemporanea in Mexico, Cile, Uruguay; in tutto il Sudamerica, con un tam tam degli hashtag #Niunamenos e #latinoamericafeminista.

L'ennesimo femminicidio, di Lucia Peres, una ragazza 16enne violentata e torturata a morte da diversi uomini, non è, appunto, che l''ennesimo di una list infinita; questa prima volta delle donne, invece, sia l'inizio di una reazione che dovrebbe estendersi a macchia d'olio, dilagare per tutto il Pianeta.
Anche qui, verso la manifestazione nazionale, discutendo in ogni città e paese, in ogni singolo gruppo, anche le donne italiane ci sono.

mercoledì 12 ottobre 2016

Serve un femminismo migrante contro fondamentalismi e fascismi

La violenza maschile sulle donne non ha colore, religione, né cultura ma è trasversale a tutte le società patriarcali perché serve a mantenere uno squilibrio di potere tra maschi e femmine. Tuttavia, sappiamo che vi sono forme di violenza importate con la migrazione, che ricadono principalmente sulla pelle delle donne migranti, quando non sono messe nella condizione di far valere i loro diritti.


Oggi scontiamo il risultato di politiche antirazziste “neutre” che hanno privilegiato i diritti culturali rispetto ai diritti individuali, rafforzando il patriarcato all'interno di alcune comunità migranti. Dobbiamo ricordarci di difendere la LAICITÀ non solo contro i fondamentalisti cattolici ma contro le ingerenze di tutte le religioni che oggi abitano questo Paese nella sfera pubblica e nelle scelte di autodeterminazione delle donne.
L'intercultura è un processo complesso, da curare giorno dopo giorno nel dialogo e nel conflitto, che fallisce se non si mette al centro la salvaguardia dei diritti e delle libertà individuali delle donne. Per questo preferiamo parlare di INTERCULTURA DI GENERE.
Per le donne migranti l’attuale legge sull’immigrazione sottintende un duplice ricatto: da un lato le rende maggiormente sfruttabili nel mondo del lavoro, mentre dall’altro le vincola ai documenti del marito in caso di ricongiungimento familiare. Il permesso di soggiorno può diventare così per le donne straniere uno strumento di controllo patriarcale nelle mani di padroni e familiari violenti.
Le donne richiedenti o beneficiarie di protezione internazionale sono sopravvissute a molteplici forme di violenza maschile. Si tratta di discriminazioni di genere, violenza domestica, tratta a fini di sfruttamento sessuale, difficile accesso ad un sistema educativo e socio-assistenziale efficiente, abusi legati a pratiche tradizionali come i matrimoni forzati (compresi quelli precoci), le mutilazioni dei genitali, gli stupri correttivi; il tutto esasperato da fondamentalismi religiosi sempre più diffusi e radicati e dalle guerre in corso.
In mancanza di corridoi umanitari, le/i migranti sono costrette/-i ad intraprendere viaggi in totale insicurezza. Per le donne il viaggio costituisce un pericolo ancora maggiore, in quanto sono esposte a stupri sistematici usati anche come arma di ricatto per sfruttarle economicamente e sessualmente.
Nei Paesi di transito e d’arrivo, le donne trovano altra violenza. In assenza di politiche che adottino uno sguardo di genere, i centri di cosiddetta “accoglienza”, finanziati con i fondi pubblici, sono spesso teatro di abusi sessisti; fuori dai centri, oltre alla sempre crescente discriminazione razzista intrecciata a quella di genere, c’è la violenza istituzionale di politiche economiche e sociali che, rafforzando povertà e diseguaglianze, ricade doppiamente sulla pelle delle donne migranti.


Nell’attuale contesto di quotidiane violenze a sfondo sessista e razzista, diventa di fondamentale importanza denunciare gli abusi vissuti dalle donne migranti e richiedenti asilo e sostenerle nella realizzazione dei loro progetti di vita.
Per questo chiamiamo alla lotta un nuovo FEMMINISMO MIGRANTE, che sappia tener conto delle differenze di classe e di status che influenzano profondamente le possibilità di autodeterminazione delle donne e che contrasti l'avanzata dei fondamentalismi e dei fascismi Tramaditerre.org


domenica 9 ottobre 2016

#Nonunadimeno: dall'assemblea nazionale delle donne dell'8 ottobre

Grandissima partecipazione all'assemblea di ieri a Roma: circa 500 donne di tutte le età, tra cui moltissime giovani, provenienti da tutta Italia (e non solo; è intervenuta ad esempio anche una rappresentante delle donne curde). E' stato un confronto intenso e molto partecipato, con interventi durante l'intera giornata. In questo video le prime conclusioni, che saranno poi riassunte in un documento che sarà pubblicato sul sito di #Nonunadimeno.





Solo il primo passo del percorso verso la manifestazione nazionale di sabato 26 novembre 2016, che sarà seguita da una nuova riunione nazionale il 27 novembre, in un coordinamento di confronto e per azioni future. 

La marcia della Pace, il business della guerra

Oggi è il giorno della marcia della Pace; intanto il business delle armi in Italia vola, e nessuna risposta viene data sulle vendite italiane di armi ai paesi in guerra, Arabia Saudita in testa. Paese alquanto poco rispettoso dei diritti umani, di quelli delle donne e della Pace, al quale la nostra Ministra Pinotti ha appena fatto visita. E perché? il sito del Ministero (sempre chiamando la ministra rigorosamente al maschile, il ministro Pinotti) ci informa che questa visita ufficiale a Riad, per una serie di incontri ai massimi livelli, conferma che l’Italia guarda con grande interesse al ruolo dell'Arabia Saudita, per la stabilità della regione, e al rafforzamento dei rapporti bilaterali tra i due paesi. [aiuto, ndr]


E così la nostra ministra si è confrontata con il re sulla situazione internazionale e regionale e sui rischi legati al terrorismo e all'estremismo e, nel rammentare gli ottimi rapporti tra Italia e Arabia Saudita ha discusso le possibili aree di collaborazione con il nostro paese. Durante il colloquio è emersa l’esigenza comune di assicurare la stabilità alle regioni del Medio Oriente e del Nord Africa allo scopo di garantire alle popolazioni di queste regioni pace e sicurezza[aiuto, ndr]
Traduzione, sostenuta da ottimi argomenti, di Unimondo: la ministra è andata in Arabia Saudita per nuovi contratti militari.
Ma c'è di peggio: sempre il ministero ci informa che durante il meeting si è parlato dello sviluppo della cooperazione bilaterale con un focus particolare sui settori della formazione e  dell’addestramento militare; toccando, inoltre, l'analisi politico strategica e gli sviluppi della situazione nella regione, i rischi di instabilità e terrorismo.
Per confondere un po' le acque, poi, la nostra ministra ha incontrato alcune donne (esponenti del Consiglio della Shoura e della società civile saudita) con le quali ha avuto scambi di opinioni sullo stato e sulle prospettive della condizione delle donne nel Paese. 
scambi di opinioni ???  molto efficace, davvero. Non vorrai mica parlare di queste quisquilie con il re, vero; fatevi un the fra signore.


La pace è in marcia, la guerra pure; marcia militare a passo di corsa - qui un po' di dati e varie fonti per approfondire. Diritti delle donne al palo. 
Il tutto come si conviene; con buona pace della presunta sensibilità per l'equilibrio di genere millantata da questo governo.

Eppure. Chissà se la ministra Pinotti è fiera di quanto sta facendo per il mondo, in seguito alle responsabilità che si è presa.

Su twitter vola anche l'hashtag #Pinottirisponda; una domanda l'avremmo anche noi: Ministra, di notte lei dorme





Perché ricordare Tina Merlin nell'anniversario della catastrofe del Vajont

Oggi, 9 ottobre 2016, nel 53° anniversario della tragedia del Vajont è utile ricordare come la giornalista Tina Merlin si batté strenuamente per prevenirla; ma non solo non fu ascoltata, fu addirittura processata per "allarmismo", nell'indifferenza complice della stampa. Lei, donna, ex-partigiana (eccola nella foto con altre 2 staffette), non era considerata attendibile dalle autorità e tantomeno dai colleghi maschi.



Ricordare oggi la battaglia (persa) di Tina Merlin è particolarmente importante perché, oggi, si torna a vaneggiare di Ponte sullo strettoIl senno di poi non può ridare vita alle vittime del Vajont, ma può prevenirne altre future: eppure si pretende di costruire un ponte assurdo, sullo stretto di Messina, senza tenere conto dell'urgenza di investire fondi, invece, nel sistema ferroviario esausto e obsoleto, e dunque pericoloso [vedi recente tragedia di Andria-Corato], per buttare cifre immense in un progetto che comporta ulteriori immensi rischi per la sicurezza. 
Nel 1953 la Merlin fu la sola a mettere in luce, con determinata ostinazione, la verità sulla costruzione della diga del Vajont, e a dare voce alle denunce degli abitanti della valle sui pericoli che correvano i paesi di Erto e Casso, che furono in effetti spazzati via quando la famigerata diga fu messa in funzione. Inascoltata da tutti, fu accusata del reato di diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico. Anche dopo il disastro fu isolata, mentre i colleghi maschi commentavano il fatto accusando la natura matrigna.
Poi scrisse un libro-inchiesta sulla vicenda, ma nessuno glielo pubblicò per altri 20 anni: "Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont" trovò un editore solo nel 1983. 

Venendo ai giorni nostri, e al ponte sullo stretto, come scrive Mario Tozzi (ricercatore CNR-Igag) non si comprende il motivo per cui si continui a vagheggiare come un sogno un progetto che ha, invece, tutti i connotati per essere un incubo. Niente da fare: nessuno sa chiarire quanto si tratti di una grande opera inutile, diseducativa, tecnicamente e geologicamente altamente pericolosa
Un progetto meramente dimostrativo; quando la sola cosa da iniziare a dimostrare sarebbe un vero rispetto per il territorio ormai martoriato. Riguardo ai pericoli: ancora non esiste al mondo un ponte di lunghezza così spropositata; la campata di quello di Akashi a Kobe (attualmente il più lungo del mondo, con campate di 1.900 metri) non solo è più corta di un terzo, ma soprattutto non porta una ferrovia. Dunque nessuna prova sorregge l'ipotesi che la struttura potrà resistere a 166.000 tonnellate di carico sotto tensione ed esposto a vibrazioni continue; per giunta in un luogo a grave rischio sismico, la sede stessa del terremoto più devastante che si sia mai presentato in Italia (il terrificante terremoto di Messina del 1908). Ma, anche in assenza di sismi, un cantiere del genere sarebbe già un catastrofico terremoto lui stesso, che si abbatterebbe sul fragile equilibrio di un territorio ormai devastato e che richiede ben altra cura e attenzioni. 

martedì 4 ottobre 2016

Aborto: dalla Polonia all'Irlanda la lotta delle donne contro divieti e controlli è la lotta di noi tutte

E ora basta! Dall'Irlanda alla Polonia le donne scendono in piazza per dire stop a divieti e condanne penali per quelle che abortiscono, chiedendo riconoscimento della autodeterminazione. 

Ieri, lunedì 3 ottobre, le polacche, nella giornata che è stata chiamata blackmonday  - per il colore nero dei vestiti, a simboleggiare la collera e il lutto per le donne morte di aborto clandestino e di parto - hanno riempito le strade di Varsavia, Cracovia, Danzica e più di altre 20 città, contestando il progetto di legge promosso dalla maggioranza assoluta del partito conservatore Diritto e giustizia (Pis), capeggiato da Jaroslaw Kaczynski.

Progetto che intende limitare l'attuale legge sull'aborto, già molto restrittiva, rendendolo totalmente illegale e punendo con il carcere fino a 5 anni le donne che abortiscono; ma non solo: addirittura prevedendo il carcere per le donne incinte che vanno in bicicletta! Lo hanno chiamato #CzarnyProtest: la Protesta nera. Vestite di nero hanno manifestato e indetto anche uno sciopero, lasciando i figli a casa con nonni e  mariti, per far assaggiare il peso del lavoro delle donne, quello produttivo ma anche quello di cura, non pagato. Come le donne islandesi che nel 1975 paralizzarono il loro Paese con uno sciopero per battersi per i loro diritti.


Oggi le polacche possono abortire solo in caso di stupro, incesto, malformazioni del feto e pericolo per la salute; ma solo dopo la  verifica di un procuratore. La legge di Kaczynski, se sarà approvata, sarà liberticida al punto di imporre alle donne addirittura verifiche sugli aborti spontanei. Una vera e propria moderna inquisizione. Il partito di maggioranza polacco (Pis) ha risposto col pugno di ferro contro una richiesta di maggiore libertà delle donne ,perchè  il parlamento polacco aveva anche discusso e bocciato altre proposte di legge che andavano nella direzione di riconoscere l'autodeterminazione delle donne in tema di aborto.  Del resto la stima degli aborti clandestini a cui le donne polacche devono purtroppo ricorrere si aggirerebbe intorno ai 150mila contro i 1500 all'anno che vengono eseguiti nel rispetto dell'attuale legge. 

Le irlandesi hanno manifestato invece il 24 settembre scorso, scendendo in piazza a Dublino in 25mila (un numero significativo per una popolazione di 5milioni di abitanti) per chiedere l'abrogazione dell'8°emendamento della Costituzione che venne introdotto nel 1983 equiparando i diritti del feto a quelli della madre. Attualmente in Irlanda è possibile abortire solo in caso di imminente pericolo per la  madre ma la legislazione non tutela comunque la vita delle donne nemmeno in casi di gravidanze che ne mettano a rischio la vita. Nel 2012 Savita Halappanavar morì di setticemia dopo giorni di sofferenze in cui chiese ai medici di effettuare un'aborto per salvarle la vita. I medici intervennero solo quando il cuore del feto smise di battere. Fu troppo tardi. 
Le donne spagnole dovettero fare la loro resistenza. Io Decido fu la parola d'ordine del movimento di donne che si oppose ai tentativi del governo Rajoy di abrogare la legge sulla Ivg approvata dal governo Zapatero. La proposta presentata dal Alberto Ruiz Gallardon nel dicembre 2013 era restrittiva: se fosse stata approvata avrebbe permesso l'aborto medicalmente assistito solo in caso di stupro o per la salvaguardia della vita fisica o psichica della donna; ma il colpo di coda reazionario di Rajoy si arrestò sulle forti proteste delle spagnole.
In Italia sappiamo come va. La strategia di limitare l'autodeterminazione delle donne non è stata frontale e diretta ma attuata con lo svuotamento della legge 194 fatta ad arte con l'obiezione di coscienza. Oggi in alcune regioni italiane non è difficilissimo abortire a causa dei medici obiettori arrivati ad essere il 90% del personale medico. Mentre l'aborto torna ad essere clandestino, il Ministero della Salute continua a negare stime e denunce di disapplicazione della legge.
Dopo le donne irlandesi, polacche e spagnole, sta a noi riprenderci la forza e lo potremo fare a Roma, il 26 novembre prossimo alla manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne. Perché è violenza anche contrastare l'autodeterminazione in tema di procreazione e mettere a rischio la salute riproduttiva delle donne, violenza di Stato.
@nadiesdaa
pubblicato anche su Il porto delle nuvole