lunedì 26 agosto 2013

La Siria specchio del mondo e di una politica universale: il vero colpevole da avversare

Per giovedì 29 agosto è indetta a Roma una mobilitazione "in sostegno del popolo siriano" (vedi sotto). Una tragedia su cui proponiamo qui una piccola riflessione.
L'immane pasticcio siriano non è che un tassello nell'immenso pasticciaccio mondiale, risultato attuale della guerresca politica maschile che infuria da sempre sul pianeta. Shimon Peres ha dichiarato che "gli stranieri non sono in grado di comprendere quello che succede in Siria", suggerendo che l'Onu deleghi alla Lega Araba il compito di occuparsi di un governo provvisorio siriano, previa rimozione delle armi chimiche (si, ma come?). Forse ha ragione, ma in questo torbido, incomprensibile orrore, una sola cosa risulta chiara: i protagonisti delle possibili decisioni, da qualunque lato li si guardi, fanno tutti paura. Mentre gli estromessi, da qualunque lato si guardi la cosa, sono sempre gli stessi, e i soli che potrebbero pervenire a soluzioni sensate: le persone pacifiche, i cittadini ovunque schiacciati, le donne, le famiglie, i bambini. I contendenti, con i loro colpevoli litigi o inazioni, li travolgono in massa, passando come un carrarmato su tutte le persone inermi, sugli animali, la terra, la vita selvatica.
Gli estromessi di oggi sono, soprattutto, i protagonisti della rivolta pacifica che a suo tempo ha destabilizzato Assad: lì era il momento di intervenire, e di farlo in tutt'altro modo.

Comprendiamo molto bene le parole di Eva Ziedan, nell'indignata "lettera ai pacifisti italiani" di oggi: da mesi leggo del vostro sostegno al “laico” Asad, contro gli estremisti religiosi (anche quando non erano ribelli armati). Ma non avete speso mai una parola per i pacifisti siriani – quelli sì veri pacifisti – arrestati, torturati, alcuni anche uccisi, per aver chiesto la libertà nel Paese, o per aver raccontato le violenze del regime.
Non è del tutto vero: la rete di parole ne ha spese... ma certo i giornali che possono muovere l'opinione se ne sono lavati le mani, perché questi giornali appartengono agli stessi che ovunque comandano. E purtroppo fra chi comanda nessuno pensa a loro - alla gente che soffre, ai Siriani, a noi, a se stesso - all'umanità come a un organismo che ha bisogno di pace.
Tutti costoro pensano invece a come attivarsi per arraffare qualcosa nell'immenso saccheggio che è l'esercizio del potere. E anche per il futuro la loro lungimiranza guarda a un solo scenario: come diventare più potenti, come imporre se stessi ancora più forti e di più, dove e quanto arraffare di più e meglio. Chissenefrega se il mondo nel frattempo viene eroso alla velocità della luce? Si andrà su Marte - il pianeta perfetto per loro. Noi, che andremmo più volentieri su Venere, non contiamo di poterci arrivare. E così oggi eccoci di nuovo qua.
Déjà vu dell'Iraq di 10 anni fa (e della Libia di 2 anni fa, e della tragedia afghana: quante volte dovremo rivedere lo stesso film? Come al solito la solita politica - guerresca e machista - delle convenienze e delle alleanze ai fini più bassi non è stata capace di nessuna diplomazia per contenere la tragedia siriana, tutti hanno sguazzato nella melma di conflitti incrociati in cui la corruzione domina e i peggiori faccendieri si arricchiscono e finanziano sempre, a qualunque livello, la stessa politica, in un diabolico circolo senza fine. Così la situazione è deflagrata al punto che oggi ci troviamo di fronte all'ennesimo rebus impossibile, la cui soluzione è sempre: guerra; guerra, guerra. L'industria che non va mai in crisi, il business perfetto. Con il rischio di infiammare il mondo intero. 
Sul fronte del regime di Assad - impresentabile e sanguinario - si schierano dittature altrettanto spaventose: l'Iran (che minaccia forti reazioni), la Russia e la Cina. Ma non possono certo rassicurare nemmeno quelli che sono contro Assad: a partire dalla Lega Araba (con Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi), né le ragioni degli interventismi: a partire dalla Turchia, con Francia e Gran Bretagna. O degli Stati Uniti, che pur tergiversano, con Italia e Germania.  
Dopo la notizia diffusa il 21 agosto dalla controversa Coalizione nazionale siriana (Cns), di circa 1.300 morti causati da un presunto raid dell'esercito con gas nervino la temperatura è andata alle stelle. Il regime nega, Amnesty international e Medici senza frontiere stanno cercando di verificarla, ma le potenze interventiste sono convinte che sia vera: avremmo dunque raggiunto «la linea rossa dell'impiego di armi chimiche» oltre la quale gli Usa hanno dichiarato un intervento non più rimandabile. 
E lo spettro di un Iraq/Afghanistan al cubo si avvicina sempre più. In un solo anno, dal 2003 al 2004, l'operazione Iraqi Freedom ha sterminato circa 150.000 iracheni, 4.500 militari Usa e centinaia di altre vittime provenienti dai pù diversi paesi.
Ma, soprattutto, tutto ciò non è valso a risolvere la situazione: l'Iraq (come l'Afghanistan) è oggi un campo di battaglia che gronda ancora sangue e pieno di insidie. Cosa garantisce che in Siria non accada anche di peggio?
Il presidente della Coalizione Nazionale Siriana è un ultrareligioso antisemita e amico di fondamentalisti. L'opposizione al sanguinoso regime di Assad è impestata di figure sordide, anch'esse impegnate solo a versare altro sangue, a ribaltare il dittatore per instaurare un'altra dittatura, se possibile anche peggiore perché religiosa e volta alla guerra totale con l'Occidente. Alla fine, una versione peggiorata di quanto sta accadendo anche in Egitto.
In tutto ciò, oltre alla corruzione e ai fiumi di denaro mossi dall'industria della guerra, i soli fenomeni che lievitano paurosamente sono il fondamentalismo, la miseria, le ondate di profughi.
E la mattanza reciproca, scatenata gli uni contro gli altri da sciiti e sunniti, ma uniti contro ebrei, cristiani, drusi, curdi. 
La nostra ministra degli Esteri, Emma Bonino, invita a "pensare mille volte" alla gravità delle possibili conseguenze di un intervento. E suggerisce che si potrebbe tentare una campagna internazionale per l'esilio del presidente siriano Bashar al Assad o il suo deferimento alla Corte penale internazionale. Si, pensiamoci mille e mille volte, ma soprattutto ripensiamo la politica.
Non c'è più tempo, il mondo è alla frutta. Salga dal basso una nuova coscienza, una coalizione di pace che tolga il mazzo alla coalizione internazionale del machismo guerresco e distruttivo.

Sit in per la Siria
Per giovedì 29 agosto è indetta a Roma una mobilitazione "in sostegno del popolo siriano", appuntamento  alle 18.00 in Piazza Santi Apostoli. L'invito è a portare tutti un lenzuolo bianco con cui coprirsi e a stendersi a terra uno di fianco all'altro, con un cartello bianco con questi due versi: io amo la vita /sulla terra tra i pini e gli alberi di fico/ ma non posso arrivarci così (Mahmud Darwish, Martire).
L'intento dichiarato dagli organizzatori è sollevare l'attenzione sul dramma della Siria e sull'immobilismo internazionale. Ecco: un'ottima iniziativa, che dovrebbe avere la massima partecipazione. Ma forse la scelta di  altri versi sarebbe stata migliore. 
Mahmud Darwish è un grande poeta ma scegliere proprio le 2 righe pronunciate, in una sua poesia, da un martire a giustificazione del proprio martirio.. bè, data la situazione appare un po' equivoco.  
I versi - tratti dalla poesia Stato d'assedio - nel loro contesto più ampio sarebbero:
Il martire mi spiega: non ho cercato al di là della spianata
le vergini dell’immortalità, perché amo la vita
sulla terra, fra i pini e gli alberi di fico,
ma era inaccessibile, così ho preso la mira
con l’ultima cosa che mi appartiene: il sangue
nel corpo dell’azzurro.

Perciò chiediamo: non sarebbe stato meglio evocare la pace, invece che la (santa) guerra?
Obbligatorio, se considerariamo quello che sta succedendo in Siria, ove fazioni fondamentaliste hanno messo a tacere i rivoltosi pacifici, imponendosi come leadership dei resistenti.  
Ma soprattutto se capiamo che cercare ragioni per scegliere fra diverse fazioni della guerra è il terreno stesso su cui tutto questo si riproduce.

Claudia, all'evento su fb ha mandato questa osservazione:
E perciò...

martedì 20 agosto 2013

Decreto anti-femminicidio: ecco il testo completo

ARCHIVIO/DOCUMENTI. Decreto legge sul femminicidio: molti ne parlano, pochi hanno potuto leggerlo. Perciò riportiamo qui il testo completo e alcune osservazioni utili. Nei prossimi giorni inizierà alla Camera la discussione del discusso decreto approvato l'8 agosto (pubblicato sulla GU il 14 agosto 2013). Scusate il gioco di parole, ma non avendolo potuto discutere preventivamente (come immaginiamo sarebbe successo se avessimo potuto continuare a contare sul metodo di lavoro della ex-ministra Idem), associazioni, donne e attiviste/i per i diritti hanno dovuto discuterne sui blog e sui social network. E nel complesso né il decreto, né le modalità con cui è stato frettolosamente scodellato, sono stati promossi; perché quanto è stato fatto non è serio - e invece noi vogliamo una politica seria e non demagogica.
Certo ci sono (finalmente) alcuni punti importanti, che costituiscono indubbi miglioramenti. Ma questo non deve farci dimenticare tutto quello che non c'è, e che dopo questo decreto rischia di allontanarsi ancora di più. Inoltre troviamo imbarazzante la sorda unilateralità del metodo che è stato applicato. Il solito, vecchio, paternalistico metodo della politica maschile che non ascolta. E allora parliamone. Va sottolineato che:
• è stata usata in modo inappropriato, per non dire strumentale, la "decretazione d'urgenza";
• alla Camera era già in discussione un disegno di legge specifico contro violenza e femminicidio;
• al Senato, con l'approvazione di tutti i capigruppo, era già calendarizzato l'iter legislativo per un disegno di legge volto a istituire una Commissione bicamerale sul femminicidio;
• la complessità del problema (dal gravissimo nodo alla fonte, che è di carattere preminentemente culturale, all'altrettanto grave ostacolo della mancanza di strutture di protezione e di intervento adeguate) sul piano delle azioni pratiche è affrontata solo sul piano dell'inasprimento delle pene (nell'ottica del problema di ordine pubblico); infatti:
• si parla di "prevenzione" e di "educazione": ma non viene spiegato come - e soprattutto non viene messo un euro a disposizione, dunque non si vede come agire su questi fronti;
• nessun cenno ad ambiti di gravissima e costante violenza sulle donne, come la prostituzione e la tratta, (né ad altri aspetti importanti come la violenza e l'immagine della donna nei media): e allora forse era meglio parlare solo di "violenza domestica", e non "di genere";
• nessun cenno ai monitoraggi che sarebbe indispensabile attivare in molti ambienti ove i vissuti di violenza possono emergere (dagli ospedali alle scuole);
• nessun sostegno ai centri antiviolenza (già gravemente insufficienti, e da tempo in estrema sofferenza economica): solo belle parole, che in totale assenza di mezzi possono solo restare beffarde parole, considerata l'assoluta necessità di una vera rete di supporto alle donne;
• idem per i centri di ascolto e di recupero degli uomini maltrattanti.
Prevenzione e protezione, insomma, richiederebbero ben altro e ben di più di quanto prometta questo frettoloso decreto.

Precisiamo inoltre che la parte concernente la violenza di genere non è che un aspetto in un più ampio pacchetto di provvedimenti per la sicurezza e sulle province: per questo anche una norma contro le proteste NO-TAV viene impropriamente attribuita a un "decreto antifemminicidio". Ma il "decreto antifemminicidio", di fatto, non esiste! è solo forzosamente accorpato al suddetto pacchetto, in cui anche il femminicidio è stato incluso.
Però (stranamente!) il titolo stesso della legge sembra proprio pensato per indurre in errore - dato che è "Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamnto delle province". Ma cosa collega questi temi? e in base a quali urgenze? o meglio: urgenze di chi?e  a che fine?
Se il Governo ritiene urgente promuovere norme repressive riguardo alle manifestazioni, non dovrebbe farlo in nome delle donne, né della lotta alla violenza maschile (che è stretta parente della violenza poliziesca).

Già questo dice molto del perché appaia strumentale e demagogico il modo con cui è stata gestita la faccenda. Si tratta del Dl. 14/8/2013, n° 93; qui il testo completo.
Ed ecco gli articoli specificamente dedicati al tema della violenza di genere:

Art. 1. Norme in materia di maltrattamenti, violenza sessuale e atti persecutori
1. All'art. 572, 2° comma, del codice penale, dopo la parola: "danno" le parole "di persona minore degli anni 14" sono sostituite dalle seguenti: "o in presenza di minore degli anni 18".

2. All'art. 609-ter, primo comma, del codice penale, dopo il numero 5-bis) sono aggiunti i seguenti:
"5-ter) nei confronti di donna in stato di gravidanza; 5-quater) nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, anche separato o divorziato, ovvero colui che alla stessa persona é o é stato legato da relazione affettiva, anche senza convivenza".

3. All'art. 612-bis del codice penale, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al 2° comma le parole: "legalmente separato o divorziato" sono sostituite dalle seguenti: "anche separato o divorziato" e dopo le parole: "alla persona offesa" sono aggiunte le seguenti: "ovvero se il fatto é commesso attraverso strumenti informatici o telematici"; b) al 4° comma, dopo il secondo periodo é aggiunto il seguente: "La querela proposta é irrevocabile".

4. All'art. 8, comma 2, del decreto-legge 23/2/2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23/4/2009 n. 38, le parole: "valuta l'eventuale adozione di provvedimenti" sono sostituite dalle seguenti: "adotta i provvedimenti".

Art. 2 Modifiche al codice di procedura penale e disposizioni concernenti i procedimenti penali per i delitti di cui all'art. 572 del codice penale [maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli, ndr*
1. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 282-bis, comma 6, dopo la parola "571," é inserita la seguente: "582," e le parole "e 609-octies" sono  sostituite dalle seguenti: "609-octies e 612, 2° comma"; 
b) all'art. 299: 1) dopo il comma 2, é inserito il seguente: "2-bis. I provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 relativi alle misure previste dagli artt. 282-bis e 282-ter devono essere immediatamente comunicati al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio"; 2) al comma 3, dopo il primo periodo, é inserito il seguente: "La richiesta di revoca o di sostituzione delle misure previste dagli articoli 282-bis e 282-ter deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente, al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa a pena di inammissibilità"; 3) al comma 4-bis, é aggiunto, infine, il seguente periodo: "La richiesta di revoca o di sostituzione delle misure previste dagli articoli 282-bis e 282-ter deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente, al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa a pena di inammissibilità".
c) all'art. 380, comma 2, dopo la lettera l-bis) é aggiunta la seguente: "l-ter) delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi e di atti persecutori, previsti dall'art. 572 e dall'art. 612-bis del codice penale";
d) dopo l'art. 384, é inserito il seguente: "Art. 384-bis (Allontanamento d'urgenza dalla casa familiare) - 1. Gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, l'allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi é colto in flagranza dei delitti di cui all'art. 282-bis, comma 6, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l'integrità fisica della persona offesa.
2. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui agli artt. 385 e seguenti del presente titolo";
e) all'art. 398, comma 5-bis, dopo le parole "agli articoli" sono inserite le seguenti: "572,";
f) all'art. 406, comma 2-ter, dopo le parole "di cui agli articoli" sono inserite le seguenti "572,";
g) all'art. 408, dopo il comma 3, é aggiunto il seguente: "3-bis. Per il reato di cui all'arti. 572 del codice penale, l'avviso della richiesta di archiviazione é in ogni caso notificato, a cura del pubblico ministero, alla persona offesa ed il termine di cui al comma 3 é elevato a venti giorni.";
h) all'art. 415-bis, comma 1, dopo le parole "e al difensore", sono aggiunte le seguenti: "nonché, quando si procede per il reato di cui all'articolo 572 del codice penale, anche al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa";
i) all'art. 498: 1) al comma 4-ter, dopo le parole "agli articoli" sono inserite le seguenti: "572"; 2) dopo il comma 4-ter é aggiunto il seguente: "4-quater. Quando si procede per i reati previsti dal comma 4-ter, se la persona offesa é maggiorenne il giudice assicura che l'esame venga condotto anche tenendo conto della particolare vulnerabilità della stessa persona offesa, desunta anche dal tipo di reato per cui si procede, e ove ritenuto opportuno, dispone, a richiesta della persona offesa o del suo difensore, l'adozione di modalità protette".

2. Dopo l'art. 132-bis, comma 1, lettera a), delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28/7/1989, n. 271, è inserita la seguente: "a-bis) ai delitti previsti dagli artt. 572 e da 609-bis a 609-octies e 612-bis del codice penale".

3. Al comma 4-ter dell'art. 76 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, dopo le parole "La persona offesa dai reati di cui agli articoli" sono inserite le seguenti: "572, 583-bis, 612-bis". Ai relativi oneri pari a € 1 milione per l'anno 2013 e a € 2,7 milioni a decorrere dall'anno 2014 si provvede, quanto a € 1 milione per l'anno 2013 e € 400.000 per l'anno 2014, mediante corrispondente riduzione, per i medesimi anni, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2013-2015, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2013, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a € 1 milione per l'anno 2013, l'accantonamento relativo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e quanto a € 400.000 per l'anno 2014, l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri, e quanto a € 2,3 milioni per l'anno 2014 e a € 2,7 milioni a decorrere dal 2015 mediante corrispondente riduzione delle risorse del Fondo di cui all'articolo 15, comma 5, della legge 6/7/2012 n. 96. Il Ministro dell'economia e delle finanze é autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.

4. La disposizione di cui al comma 1, lettera c), entra in vigore dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Art. 3 Misura di prevenzione per condotte di violenza domestica
1. Nei casi in cui alle forze dell'ordine sia segnalato un fatto che debba ritenersi riconducibile al reato di cui all'art. 582, 2° comma, del codice penale, consumato o tentato, nell'ambito di violenza domestica, il questore, anche in assenza di querela, può procedere, assunte le informazioni necessarie da parte degli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, all'ammonimento dell'autore del fatto. Ai fini del presente articolo si intendono per violenza domestica tutti gli atti, non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o persone legate da relazione affettiva in corso o pregressa, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.

2. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'art. 8, commi 1 e 2, del decreto-legge 23/2/2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23/4/2009 n. 38. Il questore può richiedere al prefetto del luogo di residenza del destinatario dell'ammonimento l'applicazione della misura della sospensione della patente di guida per un periodo da uno a tre mesi. Il prefetto dispone la sospensione della patente di guida ai sensi dell'art. 218 del decreto legislativo 30/4/1992 n. 285. Il prefetto non dà luogo alla sospensione della patente di guida qualora, tenuto conto delle condizioni economiche del nucleo familiare, risulti che le esigenze lavorative dell'interessato non possono essere garantite con il rilascio del permesso di cui all'art. 218, 2° comma, del citato decreto legislativo n. 285 del 1992.

3. Il Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza, anche attraverso i dati contenuti nel Centro elaborazione dati di cui all'articolo 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121, elabora annualmente un'analisi criminologica della violenza di genere che costituisce un'autonoma sezione della relazione annuale al Parlamento di cui all'art. 113 della predetta legge n. 121 del 1981.

4. In ogni atto del procedimento per l'adozione dell'ammonimento di cui al comma 1 devono essere omesse le generalità dell'eventuale segnalante.

5. Le misure di cui al comma 1 dell'art. 11 del decreto-legge 23/2/2009 n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23/4/2009 n. 38, trovano altresì applicazione nei casi in cui le forze dell'ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche ricevono dalla vittima notizia dei reati di cui agli articoli 572 o 609-bis del codice penale.

Art. 4 Tutela per gli stranieri vittime di violenza domestica
1. Dopo l'art. 18 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto legislativo 25/7/1998, n. 286, é aggiunto il seguente: "Art. 18-bis (Permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica) "1. Quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti previsti dagli artt. 572, 582, 583, 583-bis, 605, 609-bis e 612-bis del codice penale o per uno dei delitti previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale, commessi sul territorio nazionale in ambito di violenza domestica, siano accertate situazioni di violenza o abuso nei confronti di uno straniero ed emerga un concreto ed attuale pericolo per la sua incolumità, come conseguenza della scelta di sottrarsi alla medesima violenza o per effetto delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio, il questore, anche su proposta del procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilascia un permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 5, comma 6, per consentire alla vittima di sottrarsi alla violenza. Ai fini del presente articolo, si intendono per violenza domestica tutti gli atti, non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o persone legate da relazione affettiva in corso o pregressa, indipendentemente dal fatto che l'autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.

2. Con la proposta o il parere di cui al comma 1, sono comunicati al questore gli elementi da cui risulti la sussistenza delle condizioni ivi indicate, con particolare riferimento alla gravità ed attualità del pericolo per l'incolumità personale.

3. Il medesimo permesso di soggiorno può essere rilasciato dal questore quando le situazioni di violenza o abuso emergano nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali specializzati nell'assistenza delle vittime di violenza. In tal caso la sussistenza degli elementi e delle condizioni di cui al comma 2 é valutata dal questore sulla base della relazione redatta dai medesimi servizi sociali.

4. Il permesso di soggiorno di cui ai commi 1 e 3 é revocato in caso di condotta incompatibile con le finalità dello stesso, segnalata dal procuratore della Repubblica o, per quanto di competenza, dai servizi sociali di cui al coma 3, o comunque accertata dal questore, ovvero quando vengono meno le condizioni che ne hanno giustificato il rilascio.

5. Le disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche ai cittadini di Stati membri dell'Unione europea e ai loro familiari".

Art. 5 Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere
1. Il Ministro delegato per le pari opportunità, anche avvalendosi del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità di cui all'articolo 19, comma 3, del decreto-legge 4/7/2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4/8/2006 n. 248, elabora, con il contributo delle amministrazioni interessate, e adotta, previa acquisizione del parere in sede di Conferenza Unificata, un "Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere", di seguito denominato "Piano", che deve essere predisposto in sinergia con la nuova programmazione comunitaria per il periodo 2014-2020.

2. Il Piano persegue le seguenti finalità:
a) prevenire il fenomeno della violenza contro le donne attraverso l'informazione e la sensibilizzazione della collettività, rafforzando la consapevolezza degli uomini e ragazzi nel processo di eliminazione della violenza contro le donne;
b) promuovere l'educazione alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere nell'ambito dei programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e grado, al fine di sensibilizzare, informare, formare gli studenti e prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso un'adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo;
c) potenziare le forme di assistenza e sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso il rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza [con che soldi, a parole? ndr];
d) garantire la formazione di tutte le professionalità che entrano in contatto con la violenza di genere e lo stalking;
e) accrescere la protezione delle vittime attraverso un rafforzamento della collaborazione tra tutte le istituzioni coinvolte;
f) prevedere una raccolta strutturata dei dati del fenomeno, anche attraverso il coordinamento delle banche dati già esistenti;
g) prevedere specifiche azioni positive che tengano anche conto delle competenze delle Amministrazioni impegnate nella prevenzione, nel contrasto e nel sostegno delle vittime di violenza di genere e di stalking;
h) definire un sistema strutturato di governance tra tutti i livelli di governo, che si basi anche sulle diverse esperienze e sulle buone pratiche già realizzate nelle reti locali e sul territorio.

3. All'attuazione delle disposizioni contenute nel presente articolo si provvede mediante l'utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente [cioè, cosa? ndr], senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica [cioè senza stanziare nemmeno un euro: e allora, di cosa stiamo parlando? ndr].

Qui il Dl pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, completo di tutte le disposizioni. 


giovedì 15 agosto 2013

Maria Cristina Guido sul dl contro il femminicidio: poco coraggio da parte del Governo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo. Sul recente decreto contro il femminicidio c'è molto da dire sul perché NON ci soddisfa; diversi aspettti già molto bene puntualizzati da Loredana Lipperini, Concita De Gregorio, Mila Spicola e altre. Sul tema faremo il punto anche da qui. Ecco le osservazioni dell'esponente Pd Maria Cristina Guido: 
La "lotta senza quartiere" alla violenza di genere annunciata nei giorni corsi dal Presidente del Consiglio Letta, in occasione della presentazione del Decreto Legge anti Femminicidio, ha già destato più di una perplessità, specie se si legge nelle pieghe delle norme che, in alcuni casi, non sembrano sortire l'effetto annunciato dal Ministro Alfano per il semplice fatto che non costituiscono nulla di innovativo
Alcuni spunti sembrano interessanti e rispondono senza dubbio alla gravità che casi accaduti nei mesi scorsi hanno evidenziato: l'inasprimento della pena nei casi di 'violenza assistita', il permesso di soggiorno alle donne straniere vittime di violenza, l'aggravante per chi compie violenza su donne in gravidanza. 
Tuttavia, pur nella consapevolezza che viviamo in era post-ideologica e che lo slogan 'destra e sinistra non esistono più' risulti tra i più diffusi in questo periodo, l'impianto che sottende il decreto mira a ribadire il concetto per cui l'inasprimento della pena sia il miglior deterrente, la soluzione ad una 'emergenza sociale' come viene ritenuto appunto il femminicidio. 
Sarò ingenua ma, nello studio dei casi che negli ultimi anni si sono verificati, ho sempre pensato che l'omicida non si faccia dissuadere da 5 o 10 anni di carcere, tant'è che molti giornalisti ricorrevano a quella assurda teoria del raptus come motivazione della violenza più spietata. Ma ciò che colpisce é la mancanza di un metodo, quello applicato dalla Ministra Idem alla vigilia della ratifica della Convenzione di Istanbul, che vedeva la nascita di un tavolo di confronto con le associazioni che negli anni hanno sopperito all'assenza dello Stato, il più delle volte a titolo di volontariato. Nonostante le richieste delle Democratiche e di larga parte degli addetti ai lavori e dell'associazionismo, non solo non è stato nominato il Ministro per le pari opportunita, ma si é tentato di rimediare attraverso un pacchetto di norme disomogeneo e per certi versi frettoloso. Apprezzabile è senza dubbio il fatto che si sia deciso di intervenire a fronte di un numero di reati ai danni di donne in quanto donne sempre crescente, tuttavia questo decreto interviene solo sul piano repressivo, al fine di bloccare gli autori di violenze, ma risulta del tutto lacunoso in quanto non affronta il fenomeno in tutta la sua complessità. 
Non voglio peccare di eccesso di dietrologia nel pensare che queste norme siano una sorta di 'specchietto per allodole' per spostare l'attenzione dalla proroga al taglio del finanziamento pubblico ai partiti, mostrato come un vessillo fino a poche settimane fa dall'esecutivo, peró si sarebbe auspicata la creazione ad esempio di un Osservatorio, utile ad analizzare e definire il fenomeno prima di assumere qualunque decisione, inoltre non si spiega perché si dia ampio risalto alle misure contro la violenza di genere, tacendo rispetto alle altre misure del Dl. Come la norma definita 'anti no Tav' che da poteri maggiori alle forze dell'ordine contro i manifestanti che bloccano i cantieri. 
Nonostante gli sforzi, ritengo che si sia avuto poco coraggio nel mettere in discussione gli stessi inneschi culturali che producono discriminazione e violenza nei confronti delle donne. Ripetiamo spesso come un mantra nelle nostre iniziative che quello della violenza di genere é un problema culturale e l’obbligo di arresto e l’allontanamento dell’autore di maltrattamenti in casi di flagranza di reato sebbene possa essere un altro strumento adeguato, non ci consente di prevedere cosa accadrà, una volta che l’autore di violenze sarà scarcerato. Se oltre a bloccare l’autore di violenze non si aiutano le donne con percorsi mirati a sganciarsi dalla relazione, allontanandole dal pericolo, tutelando i figli, rafforzando le loro scelte, offrendo sostegno e percorsi di autonomia, anche economica, che efficacia avranno gli arresti e le aggravanti? Se invece di guardare il dito si osservasse la luna, sarebbe presente nel decreto il finanziamento dei centri anti violenza, solo annunciato, e l'avvio di percorsi di formazione e sensibilizzazione nelle scuole e per gli agenti di polizia - che a volte non hanno strumenti adeguati a garantire protezione, da qui le tante denunce ritirate, o in altri casi derubricano i reati con troppa fretta, la cronaca di questi mesi lo testimonia. 
In Italia le strutture di accoglienza che mettono le donne al centro delle relazioni di aiuto, contano solo su 500 posti letto invece dei 5700 previsti dalle direttive europee. Dispiace contraddire i toni trionfalistici che i parlamentari di entrambi gli schieramenti usano per commentare il dl Letta, ma 
• se si fa della violenza contro le donne una questione di ordine pubblico o la causa di “allarme sociale”, invece che un problema culturale, 
• se ancora non riusciamo a mettere a sistema interventi organici tra soggetti istituzionali e centri antiviolenza, 
• se non siamo in grado di mettere in campo un accurato e inclusivo lavoro di rete al fine di garantire adeguato sostegno alle vittime...
non potremo mai allinearci agli altri paesi europei. Spero solo che non si faccia, ancora una volta, melina sulla pelle delle donne, non lo meritiamo.
Maria Cristina Guido, 15 agosto 2013

lunedì 5 agosto 2013

Legge statutaria della Sardegna: il governo si ricordi nei fatti delle pari opportunità. Su cui spende belle parole

Il 2 agosto abbiamo pubblicato un post che ricordava il termine per impugnare davanti alla Corte Costituzionale la Legge Statutaria elettorale sarda - allegando una lettera al Presidente del Consiglio in cui l'Accordo per la Democrazia Paritaria chiedeva di provvedere in merito al contrasto espresso, da questa legge, sulle pari opportunità. E la cosa interessante è che la legge è stata impugnata. Si: ma NON sul tema delle pari opportunità. 
Il Consiglio dei Ministri ha impugnato la legge in merito all'art. 22 comma 3 (incandidabilità/ineleggibilità del presidente della Regione in caso di dimissioni prima della fine naturale della legislatura): muovendosi dunque in difesa di chi copre cariche istituzionali, e ignorando invece, completamente, le gravi irregolarità riguardo alle questioni di genere. Qualcosa di inaccettabilmente discriminatorio (e oltremodo imbarazzante - considerate le belle parole spese dal premier sulle pari opportunità: belle ma vuote, se non seguite dai fatti. Le associazioni firmatarie della prima lettera hanno scritto nuovamente al premier, ricordando adesso che è dovere del Governo integrare l'atto di impugnazione: cosa che c'è il tempo di fare ancora fino a fine agosto. 

Al Presidente del Consiglio Enrico Letta
e p.c. al Segretario Generale della PCdM Cons. Roberto Garofoli

Oggetto: Impugnativa davanti alla Corte costituzionale della Legge statutaria sarda

Gentile Presidente,
nonostante il tempestivo invio, da parte di numerose Associazioni sarde e nazionali, della richiesta di sollevare la questione di costituzionalità della legge statutaria elettorale sarda (lettera del 24 luglio inviata anche al Segretario Generale della PCdM Cons. Roberto Garofoli), il Consiglio dei Ministri  il 2 agosto si è espresso per il sì all'impugnativa davanti alla Corte costituzionale ma non per l’incompletezza della legge, che con l'art. 4 comma 4 introduce soltanto un tetto alle candidature di ciascun genere, disattendendo varie norme costituzionali.

L’unica norma nel mirino è l'art. 22 comma 3, che riguarda la previsione dell'incandidabilità / ineleggibilità del (della) presidente della Regione in caso di sue dimissioni prima della fine naturale della legislatura, segnalata dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Graziano Delrio.

Ma c’è ancora l’intero mese di agosto per integrare la decisione del Consiglio dei Ministri. Potrebbe così rimediare al primo, grave e clamoroso effetto della delega alle Pari Opportunità a una viceministra, i cui limiti le Associazioni avevano subito evidenziato. E non ha neanche funzionato, com’era facilmente prevedibile, il pubblico impegno da parte Sua a farsi carico nel CdM delle questioni per le Pari Opportunità e a invitare la viceministra ogni volta che tali questioni sarebbero state trattate.

Il colmo è che il contrasto individuato dal Ministro Delrio, riferito all'articolo 22, comma 3, riguarda due articoli (3 e 51 della Costituzione) che sono tra quelli da considerare, secondo le nostre associazioni, ai fini del ricorso alla Corte costituzionale ma con riferimento all’articolo 4 comma 4.

Il Suo Governo, quindi, si è mosso solo per difendere i diritti di chi copre cariche istituzionali, trascurando del tutto le questioni di genere. Un’occasione persa ma, se vuole, fa ancora in tempo a provvedere: è quanto ci aspettiamo.

Le inviamo i nostri cordiali saluti e rimaniamo inattesa di un riscontro.

Le Firmatarie dell’Accordo di Azione Comune per la Democrazia Paritaria
Roma, 4 agosto 2013

venerdì 2 agosto 2013

Ricatto allo Stato. Dopo la sentenza Mediaset: politica italiana sempre più tragica e farsesca

La politica italiana sta dando uno spettacolo di sè sempre più farsesco e sconcertante. Un ex-presidente del Consiglio che, dopo una condanna definitiva, insulta ed esautora per 10 minuti filati, da tutte le tv,  la Corte Suprema di Cassazione, chiedendo indignato ai cittadini se è così che si ripagano le forze migliori del paese (lui); i suoi luogotenenti che in spregio di qualunque regola democratica - e di ogni senso del ridicolo - esigono la "grazia" dal Presidente, e ricattano l'intero Parlamento. Le forze politiche che, invece di alzare la voce, compatte e indignate, contro una simile grottesca, e violenta, aggressione alle istituzioni, proclamano "e ora la riforma della giustizia" - strumentalizzando esigenze per certi aspetti reali, ma come se davvero questa condanna derivasse da qualche anomalia che ha consentito una "persecuzione giudiziaria". La totale assenza di dignità e del più basilare senso della vergogna; e la memoria corta, sempre troppo, troppo corta.

E tutto questo avviene oggi, 2 agosto: nell'anniversario di una orrenda strage da cui ancora non si riesce a prendere monito.
Questo orologio segna le 10,25 del 2 agosto 1980. Per non dimenticare.
• Per non dimenticare che prima di Andreotti c'era Mussolini.
• Mussolini ci ha lasciato Gelli: "Benito Mussolini mi mandò alle Bocche di Cattaro per organizzare un centro di spionaggio. Con lui ebbi un colloquio, nel salone dei mappamondi di Palazzo Venezia, terminato con un abbraccio e la promessa di servire il partito. Oggi io sono l'ultimo gerarca fascista in servizio permanente effettivo ancora vivente" (Licio Gelli, l'ultima intervista a Raffaella Fanelli).
• Dopo Mussolini c'è stato Andreotti.
Ieri sera (1 agosto, data della sentenza di Cassazione che ha confermato la condanna di Berlusconi), La7 ha trasmesso "Il Divo".
Una storia fedele, piena di fedeli citazioni; guardandola stupisce vedere come la sola differenza fra Andreotti e Berlusconi è che il primo è infinitamente più discreto, colto, elegante, raffinato del secondo: ma gli argomenti sono esattamente gli stessi, gli obiettivi anche.
• Con Andreotti e Gelli c'era Cossiga: avevamo la P2, l'Anello e Gladio - e in qualche cassetto li abbiamo ancora.
• Dopo Andreotti abbiamo avuto Berlusconi; e ancora Gelli.
• Il dopo-Mussolini è un eterno presente, flussi e riflussi che, alternando bombe e "pacificazioni", tiene in scacco un paese pervaso di mostruose reti di ricatti e di potere. Oggi entriamo in un illusorio dopo-Berlusconi, in continuità con tutto quello che c'è stato prima, e il cambiamento deve venire da altre fonti: non dai rubinetti in mano a quelli che lo promettono da sempre.
2 agosto 2013 • Ricordando tutte le vittime delle connivenze di Stato, tutti coloro che rischiano nel combatterle - e fra questi la coraggiosa ‎Tina Anselmi.

Nel frattempo l'Associazione nazionale magistrati ha diffuso una nota: "a fronte delle dichiarazioni diffuse ieri dopo la pronuncia della sentenza di condanna per la 'vicenda Mediaset', l'Associazione nazionale magistrati ricorda che, se è lecita la critica nei confronti dei provvedimenti giudiziari, specialmente quando questa provenga da quanti sono direttamente destinatari della condanna, tuttavia sono inaccettabili e vanno respinti con fermezza gli insulti e gli attacchi verbali rivolti ai magistrati, fino alla Corte di Cassazione, insulti e attacchi che si risolvono in un'aggressione nei riguardi dell'intera magistratura".

Sardegna; oggi era il termine: il Governo ha sollevato davanti alla Consulta il problema della legge elettorale n.14 del 25/6/2013?

ARCHIVIO/DOCUMENTI • Scade oggi, 2 agosto 2013, il termine per sottoporre alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4 della legge statutaria elettorale della Regione Sardegna. Il 2 luglio l’avv. Gioia Vaccari aveva indirizzato al Presidente del Consiglio Letta la richiesta al Governo di impugnare davanti alla Consulta la legge elettorale della Sardegna, che viola platealmente gli artt. 51 e 117 della Costituzione. Tutto ciò grazie a voto segreto PD/PDL
[E ricordiamo che, solo il 20 giugno, con un altro voto segreto, sempre in Sardegna era stata bocciata la doppia preferenza di genere (come già avvenuto in Puglia, e prima ancora in Sicilia. In Sardegna era stato infatti approvato un emendamento (il numero 13,  passato con 40 voti favorevoli e 34 contrari, e la peggio che pavida, pessima astensione della presidente del Consiglio Claudia Lombardo) che, facendo decadere i restanti emendamenti, ha eliminato sul nascere la possibilità stessa di discutere l'introduzione della duplice scelta in sede elettorale]. 
Ma tornando alla lettera dell'avv. Vaccari: la richiesta è stata sottoscritta con decisione, in Sardegna, da molte Associazioni e/o Sezioni locali (fra le quali CIF, FIDAPA, AIDDA, Noi donne 2005, SNOQ), inoltre dalle Consigliere di Parità e da molte cittadine impegnate. E’ un problema importante e che ci riguarda tutte/i: perché se tale legge regionale venisse tacitamente accettata, con certezza altre ne seguirebbero, dello stesso tenore, in altre Regioni e non solo. Si legittimerebbe infatti di poter violare pacificamente, con leggi regionali e nazionali, l'art.51 Costituzione. Confidiamo dunque che entro oggi l'impugnazione sarà presentata
Ecco il testo integrale della lettera inviata al premier:

Oggetto: richiesta di promozione della questione di costituzionalità della legge statutaria elettorale della Sardegna n.14 del 25 giugno 2013 pubblicata nel B.U.R.A.S. in data 2 luglio 2013.

In data 2 luglio 2013 è stata pubblicata sul B.U.R.A.S  la legge statutaria elettorale della Regione Sardegna n.14 del 25 giugno 2013. Tale legge è stata adottata ai sensi dell’art.15 dello Statuto Speciale per la Sardegna.
I. Si rammenta che con la legge costituzionale n.2 del 31 gennaio 2001, all’art.3  sono state dettate disposizioni sostitutive ed integrative dello Statuto Speciale della Regione Sardegna ed  in particolare alla lettera d) tali modifiche ed integrazioni hanno riguardato l’art.16 dello Statuto Speciale approvato con legge costituzionale del 26 febbraio 1948 e successive modificazioni.  Successivamente, la norma è stata  sostituita dall’art.1 comma 1 lett. b) della legge costituzionale 7 febbraio 2013 n. 3. Il suo testo vigente, a seguito dell'entrata in vigore della legge costituzionale del 2013, è il seguente.
1. II Consiglio regionale è eletto a suffragio universale con voto personale, uguale, libero e segreto, ed è composto da sessanta consiglieri. La composizione del Consiglio non può variare, neppure in relazione alla forma di governo e al sistema elettorale prescelto, se non mediante il procedimento di revisione del presente Statuto.
2. La legge elettorale per l’elezione del Consiglio regionale può disporre al fine di assicurare la rappresentanza di determinate aree territoriali dell’Isola, geograficamente continue e omogenee, interessate da fenomeni rilevanti di riduzione della popolazione residente. Al fine di conseguire l’equilibrio tra uomini e donne nella rappresentanza, la medesima legge promuove condizioni di parità nell’accesso alla carica di consigliere regionale.

II. La legge statutaria elettorale della Regione Sardegna, emanata in attuazione dello Statuto Speciale della Sardegna, nel Capo I riguardante il sistema elettorale, all’art. 4, rubricato “Liste circoscrizionali”, così dispone: 
1. La dichiarazione di presentazione delle liste circoscrizionali è accompagnata, a pena di esclusione, dalla dichiarazione di collegamento con il candidato alla carica di Presidente della Regione.
2. Ciascuna lista circoscrizionale è contraddistinta da un proprio contrassegno e denominazione.
3. Le liste circoscrizionali, a pena di esclusione, devono essere presentate con il medesimo contrassegno e denominazione in almeno tre quarti delle circoscrizioni elettorali, in modo da costituire un gruppo di liste collegate al medesimo candidato presidente.
4. In ciascuna lista circoscrizionale, a pena di esclusione, ciascuno dei due generi non può essere rappresentato in misura superiore a due terzi dei candidati; si arrotonda all’unità superiore se dal calcolo dei due terzi consegue un numero decimale.
5. Ciascun candidato presidente deve dichiarare il collegamento con uno o più gruppi di liste; la dichiarazione è efficace solo se convergente con le dichiarazioni di collegamento delle liste e se è accompagnata dal programma politico.
In particolare, come esposto, nel comma 4 dell’art. 4 è stata introdotta dalla legge regionale citata, ai verosimili fini di promuovere la parità di accesso alla carica di consigliere regionale, così come prescritto dall’art.16 dello Statuto Speciale, la norma che impone, a pena di esclusione, la presenza di candidati di un genere, nella misura non superiore ai due terzi.

III. Tale norma, peraltro, non è coerente ed anzi è in violazione, non solo dello Statuto Speciale della Sardegna art,16 comma 2, secondo periodo, sopra richiamato, dal quale emerge il dovere di promuovere condizioni di parità tra i sessi, nell’accesso alla carica di consigliere regionale, ma anche degli artt.  51, 117, 3 della Costituzione.

III.1. Come noto, l’art. 51 della Costituzione, è stato modificato con la legge costituzionale n.1 del 30 maggio 2003 che, all’art.1, ha aggiunto un periodo al vigente articolo 51, primo comma. La norma, nel testo modificato ed attualmente vigente dispone che Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti  stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne uomini.

III.2.  A sua volta, l’art. 117 della Costituzione, nel suo testo introdotto dalla legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, al 7° comma, stabilisce che le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra uomini e donne alle cariche elettive.

III.3. I principi fondamentali della parità dei cittadini, a prescindere dal sesso sono contenuti nell’articolo 3 della Costituzione,  che, come è noto, stabilisce al primo comma che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali e che al secondo comma dispone che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

IV. L’introduzione, nella legge statutaria elettorale del Consiglio Regionale della Sardegna, della disposizione censurata di cui al quarto comma dell’art.4 che prevede, per ogni lista circoscrizionale, il limite di due terzi dei candidati dello stesso genere, residuando  per l’altro genere la misura di un terzo, non è coerente ed è in violazione delle norme costituzionali citate.

V. Occorre rammentare che l’art. 16 dello  Statuto Speciale della Sardegna, nel testo modificato dall’art. 3 della legge costituzionale n.2/2001 e di seguito dalla legge costituzionale n.13/2013, è espressione del principio costituzionale che si è fatto strada a seguito delle incalzanti iniziative di riforma normativa, per l’introduzione di una concreta parità di genere.
La Conferenza internazionale delle donne tenutasi a Pechino nel 1995 ha stabilito che non era sufficiente prevedere che l’accesso alle cariche elettive fosse attribuito a tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso, e che, più concretamente,  dovessero essere previste azioni positive per favorire tale accesso.
Né può dimenticarsi che la Carta dei diritti fondamentali  europei, divenuta vincolante per gli Stati membri con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, stabilisce che la parità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi  e che il principio di parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici in favore del sesso sottorappresentato.
Ancora va tenuto presente che il percorso per giungere all’obiettivo di una concreta parità tra i due sessi è giunto in sede nazionale alla approvazione della legge n. 215 del 23 novembre 2012 che, con riferimento  all’accesso alle cariche elettive e agli organi esecutivi dei comuni e delle province, ha stabilito che, nelle liste dei candidati, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi, ma anche che, ciascun elettore può esprimere, sotto le righe stampate sotto il medesimo contrassegno, uno o due voti di preferenza, scrivendo il cognome di non più di due candidati compresi nella lista da lui votata. Nel caso di espressione di due preferenze, esse debbono riguardare candidati di sesso diverso della stessa lista, pena l’annullamento della seconda preferenza.
La  detta legge ha inoltre, all’art. 3, modificato la legge 2 luglio 2004 n. 165, di attuazione dell’art. 122 Cost., in materia di elezioni  dei consigli regionali introducendo, al comma 1 dell’art.4, la lettera c-bis) che ha posto, quale principio fondamentale per la legislazione elettorale delle regioni, quello della promozione della parità tra uomini e donne nell’accesso alle cariche elettive attraverso la predisposizione di misure che permettano di incentivare l’accesso del genere sottorappresentato alle cariche elettive. 

VI. L’evoluzione della situazione di fatto, costituita da cittadini di sesso femminile non solo in maggioranza, come attestato dall’ultimo censimento del 2011, ma anche  da cittadine munite di elettorato attivo e votanti, in percentuale preponderante, come dimostrato dalle ultime elezioni del Parlamento nel 2013, unitamente agli impulsi provenienti dalla società civile ed agli orientamenti europei per l’attuazione della effettiva parità di genere, ha indotto il legislatore ordinario e quello costituzionale ad introdurre, a decorrere dal 2001 in poi, le norme precettive sopra rammentate,  per le quali” la promozione delle condizioni di parità nell’accesso alla carica di consigliere regionale”, come disposto dall’art.16 dello Statuto Speciale della Sardegna nel testo vigente, impone l’adozione di  effettive condizioni che raggiungano detta finalità.

VII. L’esigenza di prevedere legislativamente le condizioni concrete di parità tra i due sessi ha fatto parte, nel tempo, del vaglio di legittimità costituzionale delle leggi elettorali per le cariche elettive degli enti locali. Il contenuto di dette pronunce va tenuto presente ai fini della presente richiesta.

VII.1. Si rammenta che  con la sentenza della Corte Costituzionale n. 422 del 12 settembre 1995, è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art.5 secondo comma, ultimo periodo, della legge 25 marzo 1993 n.81(elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale,del consiglio provinciale) nonché, ai sensi dell’art.27 della legge 11 marzo 1953 n.87, l’illegittimità costituzionale di numerose disposizioni legislative in tema di elezione alla Camera dei deputati, dei consigli regionali delle regioni a statuto ordinario, di elezione agli organi comunali del Trentino Alto Adige,  di elezione agli organi comunali della regione Friuli Venezia Giulia e di elezione diretta del sindaco, del vice sindaco e del consiglio comunale della regione Valle d’Aosta, ritenendo la Corte Costituzionale che la norma di legge, che impone, nella presentazione delle candidature alle cariche elettive, qualsiasi forma di quote in ragione del sesso dei candidati, si ponga in contrasto con l’art.3 e con l’art.51 della Costituzione.
Ha affermato all’epoca, la Corte che, in tema di diritto all’elettorato passivo, la regola inderogabile è quella della assoluta parità, sicchè ogni differenziazione in ragione del sesso, da parte del legislatore, non può che risultare oggettivamente discriminatoria, mentre norme quali quelle che riservano quote ad un sesso di candidati, non si proporrebbero di rimuovere gli ostacoli che consentono alle donne di raggiungere determinati risultati, ma glieli attribuirebbero.

VII.2.A tale decisione hanno fatto seguito, peraltro, diversi orientamenti, che hanno tenuto conto della evoluzione della situazione di fatto  maturatasi, a tacer d’altro,a seguito della Conferenza Internazionale delle donne del 1995 e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000, ratificata dall’Italia nel 2008, che hanno  affermato il principio che il raggiungimento della parità impone l’adozione di misure positive tali da consentire al sesso sottorappresentato una effettiva parità di trattamento. Sono mutati anche nel tempo i parametri costituzionali di riferimento, che hanno introdotto le modifiche  in precedenza esposte. 

VII.3.Con la sentenza della Corte Costituzionale n.49 del 13 febbraio 2003  riguardante la legge elettorale della regione Valle d’Aosta, che prevedeva la presenza di entrambi i sessi nelle liste dei candidati alla elezione del Consiglio regionale, è stato affermato che nella normativa non vi era alcuna incidenza diretta nel contenuto dei diritti rigorosamente garantiti in egual misura a tutti i cittadini, non essendovi violazione di norme costituzionali nella prevista presenza, nelle liste elettorali, di candidati di entrambi i sessi, essendo tutti egualmente eleggibili sulla base dei soli ed eguali requisiti prescritti.
• Ha affermato la Corte che il vincolo alla presentazione delle liste, aventi la presenza di candidati di entrambi i sessi, non si riferisce alla competizione elettorale vera e propria, ma alla sua fase anteriore, mentre le elezioni dei candidati non sono condizionate dal sesso, tanto meno in un caso come quello di specie in cui l’elettore può esprimere un voto di preferenza e l’ordine di elezione dei candidati è determinato dal numero dei voti di preferenza ottenuti.
• Ha rammentato la Corte che la legge costituzionale n.2/2001, integrando gli statuti delle regioni a statuto speciale, ha espressamente attribuito alle leggi elettorali delle regioni il compito di promuovere condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali, e ciò proprio al fine di conseguire l’equilibrio nella rappresentanza dei sessi. 
• La Corte ha inoltre osservato di avere riconosciuto che la finalità di conseguire una parità effettiva fra uomini e donne è positivamente apprezzabile dal punto di vista costituzionale e che  vanno valutate positivamente le misure liberamente adottate dai partiti e gruppi politici, per assicurare l’effettiva presenza paritaria delle donne nelle cariche rappresentative. 

VII.4. Con la recente ed assai nota sentenza della Corte Costituzionale n. 4 del 14 gennaio 2010 la Corte costituzionale ha deciso il ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri  per la declaratoria della incostituzionalità della legge regionale della Campania n.4/2009, in materia di elezione al Consiglio regionale. La legge era censurata, tra l’altro, con riferimento all’art. 4 comma 3, che dispone che l’elettore può esprimere uno o due voti di preferenza e che nel caso di espressione di due preferenze, una deve riguardare un candidato di genere maschile, l’altra un candidato di genere femminile.
La Corte, in relazione ai parametri di cui agli articoli 51 e 117 Cost. ha affermato che il quadro normativo costituzionale e statutario è complessivamente ispirato al principio costituzionale della effettiva parità tra i due sessi nella rappresentanza politica, nazionale e regionale, nello spirito dell’art.3 secondo comma Cost. che impone alla Repubblica la rimozione di tutti gli ostacoli che di fatto impediscono una piena partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica del Paese. Preso atto della storica sottorappresentanza delle donne nelle assemblee elettive, non dovuta a preclusioni formali incidenti sui requisiti di eleggibilità, ma a fattori culturali, economici e sociali, i legislatori costituzionale e statutario indicano la via delle misure specifiche volte a dare effettività ad un principio di eguaglianza astrattamente sancito, ma non compiutamente realizzato nella prassi politica ed elettorale.
La Corte ha altresì precisato che i mezzi per attuare questo disegno di realizzazione della parità effettiva tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive possono essere di diverso tipo. La tecnica prescelta dalla  norma censurata nel presente giudizio è quella di predisporre  condizioni generali volte a favorire il riequilibrio di genere nella rappresentanza politica ed ha escluso che possano essere legittimamente introdotte nell’ordinamento misure che non si propongano di rimuovere gli ostacoli che impediscono alle donne di raggiungere determinati risultati, bensì di attribuire loro direttamente quei risultati medesimi. 

VIII. Quanto sopra esposto, l’art. 4 comma 4 della legge statutaria elettorale della Sardegna n.14   pubblicata il 2 luglio 2013,  va censurato per illegittimità costituzionale in riferimento agli articoli 51, 117, 3 della Costituzione ed all’articolo 16  dello Statuto Speciale della Regione Sardegna, per le seguenti ragioni.
Si è visto che la norma regionale citata ha introdotto un vincolo alle liste elettorali stabilendo, a pena di esclusione, che queste debbono essere costituite da candidati appartenenti allo stesso genere non superiori ai due terzi del totale.

VIII.1. La norma non dà attuazione all’articolo 16 dello Statuto Speciale, né agli articoli 51 e 117  settimo comma Cost. e si pone in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione.
Come rilevato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.4/2010 citata, il quadro normativo, costituzionale e statutario (nella specie l’art.16 dello Statuto Speciale, secondo comma, come modificato dalle leggi costituzionali n.2/2010 e n.3/2013) è ispirato al principio fondamentale della effettiva parità tra i due sessi nella rappresentanza politica sia nazionale che regionale.  
E tale principio fondamentale è espressione dell’art.3,secondo comma della Costituzione, che impone alla Repubblica la rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la piena partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica del Paese. 
Il legislatore costituzionale con l’art.51, primo comma della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n.1/2003, nello stabilire che a tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini pretende che per l’accesso alle cariche elettive sia assicurata la predetta parità.  L’art.117 Cost. al settimo comma stabilisce che le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne e promuovono parità di accesso alle cariche elettive.
Gli strumenti a disposizione del legislatore nazionale e regionale per promuovere ed assicurare che l’accesso alle cariche elettive sia paritario tra i due generi, sono di diverso tipo,come affermato dalla sentenza della Corte Costituzionale n.4/2010 citata. Peraltro, tali strumenti debbono essere volti concretamente a promuovere la parità dei generi nell’accesso alle cariche elettive.

VIII.2. La legge statutaria elettorale della Regione Sardegna, in contrasto con le norme costituzionali citate, non promuove la concreta parità, né questa è assicurata dal vincolo, nella presentazione delle liste circoscrizionali, della presenza di due terzi di candidati appartenenti ad un genere ed un terzo ai candidati dell’altro genere.
Occorre difatti che le tecniche prescelte per favorire il riequilibrio di genere nella rappresentanza politica (sussistendo fattori sociali e culturali, di fatto limitativi dell’accesso alle cariche politiche delle donne, come si legge nella sentenza della Corte Costituzionale n.4/2010) siano effettivamente volte a promuovere la parità di accesso, fine questo non assicurato dalla norma della legge statutaria regionale censurata (art.16,comma secondo, secondo periodo) che costituisce per un sesso una riserva di candidati del tutto minoritaria rispetto alla percentuale attribuita all’altro sesso.
Solo attraverso l’introduzione di tecniche effettivamente volte alla rimozione degli ostacoli alla piena parità, la legge statutaria elettorale sarebbe stata conforme alla Costituzione ed allo Statuto Speciale, ma ciò non è accaduto, prevedendo la norma censurata, come detto, solo una minoritaria percentuale di candidati in ciascuna lista circoscrizionale costituita da un genere.

Tanto esposto, si chiede che sia promossa, ai sensi dell’art.15 dello Statuto Speciale della Regione Sardegna la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 4 della legge statutaria elettorale della Regione Sardegna, nei termini di legge.
Roma - Cagliari 23 luglio 2013