sabato 27 marzo 2021

Donne contro Boldrini? Oppure no: #donneconBoldrini, almeno fino a prova contraria

Scrive Laura Boldrini: su alcuni giornali troverete la mia replica, anche attraverso interviste, su una vicenda che mi ha lasciata esterrefatta e addolorata. Una vicenda cavalcata da una certa stampa per cui, stando ai loro titoli, sarei maschilista, padrona e addirittura aguzzina. Non solo "certa stampa", ma in primis una donna e (secondo noi anche brava giornalista), Selvaggia Lucarelli, si è scagliata senza esitazioni contro Laura Boldrini, scatenando le orde (oltre che di una certa stampa) di tanti entusiasti accusatori. Ma siamo sicure e sicuri che la cosa sia andata esattamente come è stata presentata? No: francamente noi non lo siamo affatto. Ci dispiace ma per ora preferiamo stare fra coloro che si tengono nettamente fuori da questa ondata di sdegno. Che assomiglia tanto a quella che distrusse Josefa Idem. Che si, fu spazzata via proprio mentre stava per avviare uno straordinario lavoro. Un ottimo lavoro che dopo di lei fu lasciato cadere (il tutto per un putiferio sollevato su una cosa ingigantita, che fosse accaduta a un uomo non avrebbe costretto alle dimissioni nessuno). 

Prima certi fatti vanno approfonditi e chiariti; invece qui, al momento, le sole cose chiare sono quanto resti popolare lo sport di dare addosso alle donne e quanto Boldrini si sia impegnata per le donne e per i diritti di tutti.


Quindi, fino a quando le querelanti non avranno querelato e dimostrato, ci atterremo a una storia che parla da sola; quella di una donna che può starvi antipatica, ma che ha sempre dimostrato di impegnarsi per i diritti onestamente. E in merito diamo spazio a quanto spiega Boldrini stessa:

Come dichiarato nelle diverse interviste, con Lilia, la mia ex collaboratrice domestica, non c'è alcun contenzioso, alcuna vertenza, alcun conflitto. A maggio mi ha detto che non poteva venire a lavorare di sabato, come le avevo chiesto, ed abbiamo deciso di sospendere il rapporto professionale. Lo abbiamo fatto in assoluta serenità. Ho pagato ogni anno il TFR, essendo ovviamente un rapporto regolare. Restavano da saldare gli scatti di anzianità che né Lilia né io sapevamo stabilire a quanto corrispondessero. Quindi abbiamo deciso di rivolgerci al Caf (lei) ed alla commercialista (io). Ci sono stati dei problemi nel rintracciare la persona del Caf incaricata e questo ha prolungato i tempi, disguidi anche dovuti al difficile momento che stiamo vivendo. Oggi ci sarà un secondo incontro dopo quello di giovedì scorso proprio per definire la cifra.  Questi  confronti sono assolutamente normali quando si chiude consensualmente un rapporto di lavoro di anni.

Per quanto riguarda la mia ex collaboratrice parlamentare, da subito le ho manifestato i miei dubbi sul fatto che potesse sostenere un pendolarismo Lodi-Roma. Roberta mi ha sempre detto di volerlo fare ed io ho rispettato la sua volontà, essendo lei una donna appassionata di politica, seria e capace, determinata.

Poi dopo il lungo lockdown, ha chiesto di poter continuare a lavorare da casa, per ragioni legate alla famiglia e ad un problema di salute del figlio. Per cui, dopo esserci confrontate, tenendo conto che il suo ruolo e la sua presenza in ufficio erano importanti per tutto lo staff, abbiamo convenuto che le due esigenze non potevano incontrarsi e quindi ci siamo salutate con un abbraccio commosso. 

Roberta coordinava le attività di segreteria, preparava bozze di interrogazioni parlamentari e principalmente si occupava della mia agenda, incastrando le visite nei territori, gli impegni pubblici e istituzionali, con quelli di natura più privata. Un tipo di lavoro concordato con lei fin dall'inizio. Bisogna tener presente che quando le agende sono complesse non sempre si riesce da soli a comporre il quadro, specialmente quando non si ha la famiglia sul posto a cui far riferimento, come nel mio caso. Diventa complicato se non impossibile fare cose semplici come andare in farmacia o fare l’appuntamento per una visita medica. Per questo è capitato che mi sia anche rivolta a Roberta, come era negli accordi. 

Per tutte queste ragioni sono rimasta incredula e molto dispiaciuta a leggere di un malessere e di un malcontento che non mi sono mai stati esplicitati da Roberta.

Un’ultima cosa. La più importante. So di essere esigente sul lavoro, perché lo sono in primis con me stessa, e perché sento la responsabilità del ruolo, ma mai e poi mai ho voluto ferire la dignità dei miei collaboratori e delle mie collaboratrici.

Quindi, concludendo, di cosa sono accusata? Del ritardo, in tempi di Covid, nel fare i calcoli degli scatti di anzianità che non compete a me fare? Di aver chiesto alla mia collaboratrice di inserire in agenda anche i miei impegni privati, lavoro su cui a monte avevamo già un accordo? (Laura Boldrini, 25 marzo 2021)




martedì 23 marzo 2021

Recesso della Turchia dalla Convenzione di Istanbul: appello alle istituzioni

Noi, docenti e ricercatrici/tori di università italiane costituenti la rete UN.I.RE. (UNiversità in REte contro la violenza di genere), impegnate da anni per l’attuazione della Convenzione di Istanbul, con particolare riguardo alla parte relativa alla prevenzione, rivolgiamo il seguente appello alle istituzioni.  



Il 20 marzo scorso il Presidente Recep Tayyip Erdogan ha firmato il decreto di recesso dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, detta Convenzione di Istanbul, che diventerà efficace dal 1° luglio 2021. Il ministro della Famiglia, del lavoro e dei servizi sociali Zehra Zumrut Selcuk ha motivato la decisione dichiarando che i diritti delle donne sono garantiti nella legislazione nazionale, e in particolare nella Costituzione.  

Nei fatti, lo Stato non dà attuazione a tale legislazione. La situazione delle donne in Turchia è di vera e propria emergenza. Secondo l’associazione “Fermeremo il Femminicidio” in Turchia sono state uccise nel 2019 almeno 474 donne, nel 2020 le vittime sono state almeno 300, e 77 dall’inizio di questo anno. La maggior parte di loro sono state uccise dal partner o ex, da familiari o da sconosciuti che volevano avere una relazione con loro. Tanto le forze dell’ordine quanto i giudici non rispondono adeguatamente alle richieste di aiuto delle donne e sono numerosi i casi di uomini che ricevono una pena ridotta perché simulano un comportamento rispettoso davanti alla Corte. 

Molti Stati dell’Est Europa – Bulgaria, Slovacchia e Ungheria – hanno deciso di non dar corso alla ratifica della Convenzione, di fatto rigettandola. Inoltre la Polonia ha annunciato di volere recedere dalla Convenzione di Istanbul e avviato la relativa procedura. Eppure in questi i paesi i femminicidi sono tragicamente presenti. 

È ampiamente dimostrato che un’organizzazione sociale fondata sulla diseguaglianza dei rapporti di potere tra uomini e donne favorisce i femminicidi e le violenze contro le donne in generale. La negligenza delle autorità non fa che favorire l’aggravarsi del problema, legittimando assuefazione e tolleranza verso la violenza contro le donne. Ancora oggi la violenza di genere, che è violazione dei diritti umani, è prima di tutto un problema culturale. La posizione ferma delle Istituzioni è fondamentale, in ogni Paese, per poter eliminare questa cultura. 

Per tutti questi motivi, in qualità di rappresentanti della rete accademica UN.I.R.E. per l’attuazione della Convenzione di Istanbul, lo strumento per contrastare e prevenire la violenza di genere voluto dal Consiglio d’Europa, interpretiamo la decisione di Turchia, Ungheria e Polonia come un attacco contro i valori fondamentali sui quali si fonda l’Unione europea e che tutti gli Stati membri sono tenuti a salvaguardare.    

Per questo ci rivolgiamo alle istituzioni nazionali, al Consiglio d’Europa, all’Unione Europea, affinché:  

• Si attivino tutte le iniziative utili a contrastare le decisioni dei paesi che vogliono indebolire la Convenzione di Istanbul, se necessario anche con azioni forti come la possibile esclusione dalla distribuzione di fondi e/o sovvenzionamenti o con sanzioni

• Si solleciti la ratifica della Convenzione di Istanbul presso i Paesi europei che sinora l’hanno soltanto firmata; 

• Si proceda con l’approvazione della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione europea; 

• Si adottino tutti i provvedimenti necessari per attuare la Convenzione di Istanbul in ogni sua parte, in particolare nelle attività di prevenzione, educazione, formazione e sensibilizzazione per costruire una cultura della parità di genere. 

Il nostro appello non vuole essere soltanto la doverosa denuncia di quanto sta accadendo in Europa sul tema della violenza contro le donne, bensì vuole riaffermare il necessario impegno di tutti ad attuare in ogni sua parte la Convenzione di Istanbul, a partire da quelle azioni di prevenzione sociale e culturale che da tempo noi stiamo perseguendo con forza e convinzione nella scuola e nell’università italiana. 

La rete accademica UN.I.R.E. per l’applicazione della Convenzione di Istanbul

Questo appello è rivolto a:

la Presidente del Consiglio d’Europa – Angela Merkel 

la Presidente della Commissione Europea – Ursula Von der Leyen 

il Presidente del Consiglio Europeo – On. Charles Michel 

il Presidente del Parlamento Europeo – On. Davide Sassoli 

il Presidente del Consiglio dei Ministri – Prof. Mario Draghi 

la Ministra per le Pari Opportunità – Prof. Elena Bonetti 

la Presidente del Senato della Repubblica – Sen. Maria Elisabetta Alberti Casellati 

il Presidente della Camera dei Deputati – On. Roberto Fico 

la Presidente della Commissione Speciale sul Femminicidio, Senato della Repubblica – Sen. Valeria Valente 

e p.c. alla 

Piattaforma We Will stop femicide / Noi fermeremo il femminicidio 

mercoledì 17 marzo 2021

Quella donna sono io. Vogliamo iniziative concrete, subito, contro il femminicidio

Lettera aperta di Noiretedonne • È il momento di agire, di far sentire la nostra voce. Gli scontri tra la polizia e le manifestanti a Londra, durante la veglia per ricordare Sarah Everard, rapita e barbaramente uccisa il 3 marzo scorso mentre tornava a casa, ripropongono in maniera drammatica il tema dell’escalation della violenza contro le donne, ora aggravata dalla crisi pandemica


È arrivato il momento di dire basta e con forza. Di far sentire, come un’unica grande onda, la voce di protesta delle donne di tutto il mondo, a cominciare da noi. Dalle reti che si spendono per la parità, per il rispetto dei diritti, perché si elimini la violenza agita dagli uomini contro le donne. Deve essere chiaro che ogni donna uccisa equivale ad una sorella uccisa nella mia città, nel mio quartiere, nella casa accanto. Quella donna sono io. 

È arrivato il momento anche per gli uomini di gettare la maschera e di dire chiaramente da che parte stanno, smettendo di considerare questi reati come fatti che non li riguardano. Il problema è culturale, prima ancora che giudiziario. 

È arrivato il momento da parte di tutti i Governi di dare risposte concrete. In particolare, per quello italiano, di rimettere mano al Codice Rosso: da tempo i centri antiviolenza indicano la strada per alcune necessarie modifiche. 



Noi tutte siamo ancora idealmente a manifestare nel parco di Clapham Common a Londra. La sicurezza delle donne deve essere messa al primo posto anche nell’agenda politica italiana. 

Chiediamo, pertanto, a tutte le donne di essere unite in questa battaglia e al presidente Draghi di mantenere le promesse annunciate nel suo discorso di insediamento, in cui si assicuravano pari condizioni di vita per uomini e donne, non più rinviabili in un Paese che si dichiari democratico. 

Peraltro il brutale omicidio di Sarah appare ancora più odioso perché, se l’impianto accusatorio sarà confermato, arriva per mano di un tutore della legge, che dovrebbe invece assicurare protezione. 

Noi teniamo la mano alle donne che hanno dichiarato di volersi “riprendere le strade” (Reclaim these streets) e con esse la libertà di camminare in sicurezza; libere dalla violenza maschile e, più in generale, libere dall’ansia, dal terrore, dalle violenze verbali e fisiche e dalle sistematiche limitazioni cui molto spesso devono sottostare nel corso della loro vita. 

Sui social media sono centinaia le storie di disagio e soprusi confessate da donne inglesi dopo il caso Everard e non sono molto diverse da quelle che ogni giorno, con sconforto, si ripetono nel nostro Paese. 

Chiediamo, anche, al Ministro degli Esteri italiano di farsi portavoce con il Governo inglese delle nostre proteste e del nostro sostegno a quelle donne che non devono sentirsi isolate. Vogliamo accendere su di loro un gigantesco faro. E lo riaccenderemo ogni qual volta nel nostro Paese una donna sarà anche solo sfiorata dalla mano di un uomo, richiamando le istituzioni e gli organi preposti a proteggerle e liberarle dalla paura e da una violenza che non sembra avere mai fine. 

Noi Rete Donne, 17 marzo 2021

sabato 6 marzo 2021

Lui la chiama direttrice, essendo una donna; lei lo corregge con "direttore"

In risposta a quanto accaduto ieri sul palco di Sanremo, una riflessione di Gianna Fratta, Direttrice d’orchestra. Commenta Fratta: "La mia professione ha un nome ed è direttore": ecco, ancora, come inanellare parole in una frase in grado di ignorare contemporaneamente grammatica, lingua, processi, percorsi di decenni



Ecco come distruggere in un secondo, davanti a milioni di italiani, il cammino lungo e spesso tortuoso di migliaia di donne. Su Rai Uno si veicola, in diretta, in prima serata, un messaggio pericoloso e diseducativo nella forma e nei contenuti, davanti a milioni di ragazze e ragazzi. Già li sento i vari "i problemi sono ben altri", "pensate ai contenuti", "le lotte non sono queste", "ministra è cacofonico", "il ruolo non ha sesso". Ci combatto da una vita e grazie alle mie lotte di direttrice d'orchestra e alle lotte di tutte quelle prima di me, la signora di ieri può stare su un podio; cosa impensabile fino a qualche decennio fa.

Ma torniamo alla nostra lingua, a come, se ce ne fosse bisogno, può essere modificata per come si modifica la realtà, a come può diventare strumento di emancipazione, di cambiamento, di parità. 

Riflettevo, ad esempio, sul fatto che nessuna sarta si sognerebbe di dire “scusi, mi chiami sarto, lo preferisco”, mentre ancora esistono avvocate, direttrici d’orchestra, ministre che rivendicano il cosiddetto “maschile professionale”, retaggio di una sottocultura che degrada il femminile

Non è che siamo più autorevoli, credibili, competenti se ci facciamo chiamare col maschile, siamo solo meno consapevoli, dunque più insicure. Strano, poi, che più il lavoro è figo, altolocato, più numerose sono le donne dei no, scusi, preferisco ministro, prego, mi chiami ingegnere, per cortesia, direttore, per carità, avvocato.

Non è una rivendicazione femminista la mia, forse è una questione di politica di genere, ma soprattutto è una questione di consapevolezza. Non è una polemica o una battaglia sessista, tanto meno una recriminazione; è l'italiano, è la nostra lingua e come va usata, come, eventualmente può essere anche modificata con i cambiamenti sociali (ma non è questo il caso, perché il femminile di direttore c’è e può e deve usarsi)... I tempi sono maturi, anzi marci! Non sentiamoci più fighe a farci chiamare avvocato o direttore, che rischiamo solo di passare per persone che hanno bisogno di sentirsi “maschi” per essere considerate brave, nel migliore dei casi; per ignoranti, nel peggiore. E con noi chi ci asseconda. 

Il cambiamento parte da noi! Dalle donne e dagli uomini capaci di cambiare il mondo. Dalle direttrici e maestre d’orchestra che sanno di esserlo! Da chi non vuole lasciare il pianeta che ha trovato, ma cambiarlo in un mondo migliore e più giusto per tutti. Un mondo in cui la parità viene anelata ad ogni livello, in ogni modo, con ogni mezzo e il combattimento alle disuguaglianze, intolleranze, discriminazioni altrettanto.


Grazie a Gianna Fratta per aver detto a caldo, con questa importante riflessione, quello che in tante sentivamo il bisogno di dire.