sabato 13 ottobre 2018

Aborto, sicari, civiltà. Una riflessione di Luisa Muraro sulle ultime, controverse, parole del Papa

Non stupisce, ovviamente, che un religioso debba fermamente respingere il concetto stesso di aborto; ma ultimamente il Papa ha detto parole che sono state interpretate come un durissimo attacco alla regolamentazione dell'aborto, nonché offensive per i pochi che resistono nel tentare di far rispettare una legge dello Stato sempre più attaccata e isolata, mentre le donne rischiano di ricadere nel risucchio dagli orrori dell'aborto clandestino.


Un bel dilemma, quello dell'aborto, qualcosa che chi ha una vera coscienza non può risolvere con la semplificazione moralista. Né con i giudizi con l'accetta. E qui la faccenda, riguardando la capacità riproduttiva stessa e la autodeterminazione delle donne, è ancora più complessa, e sempre in modo molto attento occorrerebbe rifletterci sopra. E' uscito ieri, sulla Libreria delle donne, un commento di Luisa Muraro; lo sottoponiamo dunque anche alla vostra riflessione. Scrive la Muraro:
Il Papa insegna regolarmente il catechismo cattolico e lo fa con tutta la libertà e l’autorità che vanno riconosciute ad ogni insegnante. Anche lui, come gli altri e le altre che lo fanno, lo fa più o meno bene. Arrivato al quinto comandamento, Non uccidere, il papa ha parlato del valore della vita e ha detto: la vita è aggredita dalle guerre, dalle organizzazioni che sfruttano l’uomo, dalle speculazioni sul creato e dalla cultura dello scarto, e da tutti i sistemi che sottomettono l’esistenza umana a calcoli di opportunità, mentre un numero scandaloso di persone vive in uno stato indegno.
Subito dopo si è messo a parlare del problema dell’aborto.
Il problema dell’aborto esiste, le donne lo sanno. Ma era questo il momento e il modo giusto per parlarne?
Le parole usate dal papa suggeriscono una parziale giustificazione della sua scelta. Ha detto: «Non si può sopprimere una vita per risolvere un problema». Forse non sta parlando dell’aborto in generale ma di un ulteriore problema che si sta ponendo ai nostri giorni. Sta diventando possibile tracciare il DNA del feto con l’analisi del sangue materno, e diagnosticare così la possibilità di futuri problemi di salute nella creatura nascente. In caso di diagnosi infausta, la futura madre (e non lei soltanto) si troverebbe in una drammatica situazione.
Apro una parentesi: chiamo futura madre la donna che, trovandosi incinta, ha detto sì, ci sto. E così, con la sua accettazione, il progetto di vita che è l’embrione si è convertito in un progetto di vita umana. La dottrina cattolica non fa questa distinzione, che invece è di primaria importanza e che io mi autorizzo, in ipotesi, ad attribuire al papa.
Domanda: quando il papa dice «Non si può sopprimere una vita per risolvere un problema», si rivolge alla futura madre per convincerla a restare fedele alla sua iniziale accettazione nonostante una diagnosi infausta? Risposta: sì e no.
Se fosse semplicemente sì, sarebbe come non avere idea del vissuto di una donna che si scopre incinta di una creatura (la sua creatura!) che è più o meno gravemente malata. Sarebbe metterla in croce, cosa che la morale sessuale cattolica ha già fatto in un passato che speriamo sia veramente passato. Sarebbe, insomma, una risposta non umana né cristiana.
Sì e no, ho detto. Le parole citate sono rivolte alle donne, ma non alla singola lasciata sola e neanche lasciata sola con la sua dottoressa per tentare una decisione che fatalmente andrà sul piano inclinato della salvezza personale, a meno di un’impennata eroica che io non raccomando a nessuna. Le parole sono rivolte a una donna inserita in una civiltà degna di questo nome, dove le possibilità offerte dalla conoscenza non sono comandate dal profitto e dal successo ma hanno il tempo di maturarsi nella ricerca del meglio per sé e gli altri, mai l’uno senza gli altri.
Uno scienziato francese, impegnato in queste ricerche, ha detto: siamo premuti dagli investimenti privati in cerca di profitti; questa, che si annunciava una promettente rivoluzione scientifica, sta mutandosi in una rivoluzione sociale che va troppo in fretta (fonte: Le monde, Science & Médecine, 26 settembre 2018). 


Accade così che le persone singole siano prematuramente caricate di scelte funzionali non al bene comune dei più, ma al profitto dei meno. Penso in primo luogo alle donne, perché si tratta, ancora una volta, di loro e del potere di dare la vita
Esattamente questo, infatti, è capitato con la PMA, la procreazione medicalmente assistita, che ha fatto da strumento per il business della cosiddetta GPA, come ho scritto sul Sottosopra intitolato Cambio di civiltà, punti di vista e di domanda, al seguito degli studi di Laura Corradi e di tante altre femministe.
Se la mia lettura si avvicina al vero, nel catechismo del papa non c’è stato un brusco passaggio dalla critica dell’ordine, anzi disordine dell’economia globale, al problema dell’aborto; non c’è stato l’uso pretestuoso della sofferenza dei molti per una condanna dell’aborto, come tanti giornali hanno inteso in buona o cattiva fede. L’insegnamento del Non uccidere riguarda anche l’aborto, sì, ma solo per dire che per essere buoni ci vuole una civiltà e che, oggi, questa necessaria civiltà della convivenza sta venendo meno.