lunedì 16 agosto 2021

Servono immediati corridoi umanitari per le donne afghane. L'appello della giudice afghana Tayeba Parsa

Il 14 agosto la giovane giudice afghana Tayeba Parsa, anche a nome dell'Associazione delle donne giudici dell'Afghanistan, aveva lanciato un nuovo disperato appello. Fra le altre cose ha dichiarato: “Sapete, i talebani vogliono vendetta e sappiamo che prendono di mira per primi i militari e la magistratura; e le donne. 


Diversi di loro li abbiamo processati e condannati, ma le donne che lavorano e occupano un ruolo di potere nella società sono già bersagli naturali per i talebani, che si rifiutano di concedere qualunque diritto alle donne. E non appena conquistano un'area aprono la prigione e liberano i loro sostenitori. Noi donne giudici siamo molto preoccupate. Sappiamo che la nostra vita è in grave pericolo; io, essendo giudice nella sezione commerciale della Corte d'appello di Kabul, ho perseguito molti uomini d'affari potenti e senza scrupoli negli ultimi anni, uomini che molto spesso hanno stretti legami con i talebani; ho condannato membri della mafia e talebani. Negli ultimi 20 anni abbiamo potuto sperimentare la democrazia, lo stato di diritto e lo sviluppo dei diritti delle donne, ma perderemo tutti questi progressi. Torneremo indietro di 100 anni. Noi amiamo il nostro lavoro e il nostro paese, ed è terribile che il solo modo di salvarsi sia cercare di fuggire; cosa anche molto difficile, specie per i magistrati. Molti paesi hanno chiuso le loro ambasciate ed è estremamente difficile ottenere i documenti necessari. Ma se vogliamo vivere, non c'è altro modo: se rimaniamo qui saremo imprigionate o moriremo”. 

Attualmente ci sono circa 250 giudici donne nel paese, le quali rappresentano solo l'11% della professione; tutte sono regolarmente oggetto di intimidazioni e aggressioni, due di loro sono state giustiziate già a gennaio. La maggior parte di loro si concentra a Kabul e con certezza, con l’arrivo dei talebani, la loro sorte è segnata. Tayeba Parsa è ancora più a rischio in quanto appartiene alla minoranza hazara, storicamente perseguitata dai talebani.

Le donne giudice afghane hanno chiesto aiuto all'Associazione internazionale delle donne giudici (IAWJ), che rappresenta più di 6.500 giudici in oltre 100 paesi. Mona Lynch, direttrice regionale di IAWJ per il Nord America, ha risposto garantendo il suo impegno: “queste donne coraggiose, ha detto, in questi 20 anni hanno lottato per uno stato di diritto e un governo stabile in Afghanistan, sempre minacciate per il loro lavoro; ora hanno bisogno di aiuto e noi saremo la loro voce”. L’Associazione ha esortato le parti coinvolte nei negoziati di pace a garantire i diritti delle donne e delle bambine, e in particolare delle magistrate, che si trovano in pericolo estremo. Chiede inoltre ai governi di includere le donne giudici afgane e le loro famiglie nelle misure speciali concesse a interpreti, giornalisti e altro personale che ha fornito servizi essenziali alle forze militari straniere in Afghanistan. Sollecita infine che le donne giudice vengano incluse tra i gruppi prioritari selezionati dal governo canadese, che ha annunciato di voler accogliere 20.000 rifugiati afgani.

Ma Tayeba Parsa ha sollecitato invano aiuto perché la comunità internazionale intervenisse subito per fermare l'avanzata dei talebani e la caduta del governo afghano, e per avere soccorso perché lei e le sue colleghe potessero fuggire in tempo dal Paese.

Ora Kabul è caduta, il terrore si è abbattuto sulla città; che sarà di loro?

Come ha dichiarato Qorbanali Esmaeli, presidente dell'Associazione culturale degli afghani in Italia, "la città è preda di un terrore indescrivibile. La cosa più preoccupante, più assurda ed atroce è che le donne e le bambine sono considerate bottino di guerra. Ho due sorelle e diverse nipoti, temo per loro e per tutte le ragazze". 



Firmiamo la petizione per corridoi umanitari destinati in particolare alle donne afghane: la trovate a questo link. Ci auguriamo anche che al più presto i governi prendano provvedimenti urgenti per l’accoglienza di coloro che fuggono davanti a questo orrore: non parcheggi di “clandestini”, ma progetti seri di ospitalità, integrazione e futuro.