venerdì 8 dicembre 2017

Libere e differenti davvero, ma anche presenti; è possibile un partito delle donne?

Nel suo post “libere e differenti ma fuori dalle istituzioni e dalla politica?”, che invitiamo a visitare e a commentare, Laura Cima constata che le “alternative” a sinistra restano maschili, e si interroga su come superare un immobilismo politico e femminile in cui ci sentiamo impantanate.

  
Alla domanda: “cari maschi di Liberi e Uguali perché avete escluso le donne?” lei stessa tenta di rispondere:
“perché le amiche delle formazioni che si sono riunite sotto lo stesso tetto almeno fino alle prossime politiche”, scrive, “hanno lasciato i loro leader maschi a guidarle senza fiatare, e questi devono farsi rieleggere per esistere. O sbaglio? Naturalmente (sul Manifesto) Fratoianni cerca di recuperare interloquendo con Norma Rangeri e Nadia Urbinati e, tirando in mezzo Nudm, la Colau e Olympe de Gouge, giura di essere “pronto a fare collettivamente la sua parte”. Ma se lasciamo solo uomini nelle istituzioni, siamo contente che gestiscano tutti i nostri soldi come gli pare e che non facciano mai passare leggi che ci interessano? (…) Almeno recuperiamo la petizione alla Camera dei Comuni nel 1832 d di Mary Smith: ”No taxation without representation”, principio già presente nella Magna Charta (1215) [e molto prima ancora! aggiungiamo noi, sancito nel 42 A.C. dalla storica orazione di Ortensia, cancellata dalla storia, ndr] e facciamo lo sciopero delle tasse. 
Poi valutiamo se iscriverci ai circoli anarchici e lavorare per far cadere lo Stato… Perché il nuovo partito più a sinistra del Pd ci riporta a prima della rivoluzione francese e non ci dice nemmeno come pensa di garantirci almeno l’habeas corpus - visto che, come risponde candidamente un partecipante “il maschile ci include” linguisticamente parlando; ma, gli ho ricordato, in tutto il mondo ci stupra, ci riempie di botte e ci uccide, oltre ad escluderci dalla cittadinanza”.
Il riepilogo che poi fa Laura Cima (a cui di nuovo rimandiamo), sulle lotte femministe degli anni Settanta, dice molto sulla capacità che hanno avuto le donne di cambiare le cose e di essere “protagoniste, nonostante il riflusso, della grande rivoluzione pacifica del Novecento che ha cambiato totalmente costumi e società”.
Ma allora appunto tumultuavano in tutte le scuole e le fabbriche ambiti di aggregazione quotidiana fisica, e non solo virtuale, e ancora non si erano cristallizzate, fra le donne, metodologie di lavoro omologhe a quelle degli uomini, con l’eterno corredo di sabbia negli ingranaggi che producono le relative rivalità.
La semplice e umile proposta fatta dallo strumento della politicafemminile [con l’invito che trovate qui] dal 2013 tenta di introdurre il concetto di un metodo nuovo (come quello abbozzato dalla breve esperienza di lavoro di Josefa Idem, e subito stroncato), senza il quale non si va da nessuna parte.
Il metodo del riconoscersi reciproco e di fare tesoro di tutto il lavoro delle altre donne, anziché ignorarlo (o addirittura svilirlo), in una sorta di coazione a ripetere del silenziare maschile.
Moltissime donne si sono abilitate a scrivere in autonomia e direttamente, su questo strumento orizzontale che si dà il compito di rilanciare tutte, di aiutare a fare girare idee e far conoscere i singoli ambiti di impegno di quelle che sono disposte ad usarlo, ma poi in pochissime lo sfruttano; e questo è solo uno, fra tanti esempi che si potrebbero fare, per non parlare astrattamente.
Tornando a Laura Cima: lei conclude che, poiché le ministre giovani e non, cooptate da Renzi, non hanno di certo migliorato la situazione del nostro paese, del loro partito e neanche di Renzi stesso, “non aspettiamo più nessun Ulisse che ci conduca in un mondo più giusto perché sappiamo che non esiste. E allora cosa aspettiamo a prendere il coraggio che le nostre sorelle nordiche hanno avuto dando vita a Feminist initiative? che donne di movimento come Ada Colau e professioniste affermate come Manuela Carmena, hanno mostrato, assumendosi la responsabilità di guidare le due più grandi città spagnole? visto che non è solo di pari opportunità che abbisogna il nostro paese ma di protagonismo di femministe capaci di guidare processi di cambiamento in Italia”.  
Vero; non solo in Svezia e in Norvegia ci provano, ma anche in Danimarca un partito femminista ha recentemente debuttato, per esempio; servirebbe forse un “partito delle donne” anche in Italia, capace di fare, finalmente, qualcosa di totalmente nuovo. Cosa aspettiamo, chiedi, cara Laura; forse di capire che per fare cose nuove serve anche un nuovo metodo. 
Tutte le donne e le associazioni (e anche questo blog) hanno sostenuto con forza nonunadimeno dal suo primo apparire; ma, anche qui, vediamo il metodo un tantino autistico che appare sempre il solito. Qual è la differenza? molto dialogo con i maschi delle realtà di ultra-sinistra e con l’universo queer, ma nella pratica moltissime donne se ne sentono escluse perché lo trovano impositivo: perché dà la linea
Peraltro, una linea troppo fiduciosa riguardo a posizioni presentate come “libertarie”, su argomenti cruciali come la prostituzione e la GPA, senza sviscerarne i pericoli che al movimento delle donne sono sempre stati chiari (vedi ad esempio gli insegnamenti di Françoise Héritier, saltati a piè pari, come tanti altri della storia del femminismo). 
Per quelle che hanno voglia di avvedersene, benché a nonunadimeno aderiscano in tante, pare che ancora di più si perdano per strada: in mille rivoli di commenti spiegano il perché ma lamentano anche di non  ricevere risposte; invece sarebbe il caso di iniziare a parlare anche di questo. 
Tornando al nocciolo: crediamo serva un metodo inedito capace di declinare una nuova inclusività; che sappia che la determinazione nelle lotte non deve implicare per forza ideologia e violenza, ma anzi il contrario: generosità e tenerezza, parole che ai più fanno ridere. Fa ridere soprattutto quelli che non sanno che il contrario della paura non è il “coraggio”, ma l’amore
Ma chi ha coscienza profonda di come, davvero, si produce la realtà dei fatti (e dunque della Storia e della biologia stessa), non ride; sa anche che - parlando in termini filosofici e perché no, quantistici, la realtà è prodotta da energie sottili molto più complesse di quanto appare in superficie. Le verità invisibili agli occhiE' un'ovvietà che in qualunque situazione di carenza si debba contrapporre quello che manca, e non aggiungere quello che abbonda. E’ in virtù di ciò che i Lepen, i Trump e i trumpettini de noàntri, i salvini meloni & co, sono i perfetti alleati degli estremisti islamici. 
Dunque in un mondo che brucia di calore e di violenza serve alimentare la corrente dell’indulgenza e dell’unione, della cura per ogni più piccola cosa che ha vita nel mondo, azzerare le risse; specie fra chi vuole cambiare. Contrapporre, in positivo, azioni nuove, ma poggiando su questo solido terreno.
Astratto? può darsi; o forse per niente. Si decida qualche donna, che abbia la personalità e la convinzione per farlo, a lanciare un partito al femminile capace di trasmettere questo: senza aspettare nessuno, come invitasse tutte e tutti a una festa chi-c’è-c’è-e-chi-non-c’è-non-c’è - e chissà, forse vedremmo che qualcosa di mai visto può diventare concreto.


mercoledì 6 dicembre 2017

Dedicato a tutti quelli che "la violenza non è di genere"

Se oggi mi suicidio non è per ragioni economiche, ma per rispedire ad Patres le femministe che mi hanno rovinato la vita. 

Dopo 7 anni in cui non succede niente di buono ho deciso di mettere i bastoni fra le ruote a queste viragoAnche se i media mi definiranno uno ‘sparatore folle’, mi ritengo invece una persona razionale ed erudita, che solo la forza della Morte ha costretto a intraprendere atti estremi. E dato che, scienza a parte, sono per natura un conservatore, le femministe hanno da sempre la speciale facoltà di farmi infuriare. Mentre pretendono di mantenere i vantaggi che derivano dall’essere donne (come assicurazioni più economiche, o il diritto a una lunga maternità preceduta da una lunga aspettativa) cercano anche di arraffare quelli degli uomini. Per esempio, è ovvio che se si eliminasse la distinzione maschile/femminile alle Olimpiadi, non ci sarebbero più donne, salvo che negli eventi decorativi. Perciò si guardano bene dal cercare di rimuovere quella barriera. Sono talmente opportuniste che non trascurano certo di trarre vantaggio dalle conoscenze accumulate dagli uomini attraverso i secoli. E ogni volta che possono cercano sempre di rappresentarli negativamente. (dalla dichiarazione suicida di Marc Lépine)

6 dicembre 1989: il tizio di cui sopra, di 25 anni, irrompe armato di legale carabina nel Polytechnique di Montreal; un bel ragazzo; una faccia da bravo ragazzo. Separa i maschi dalle femmine e inizia la fucilazione di massa delle colpevoli: donne che hanno osato iscriversi alle facoltà di ingegneria. Prima della fucilazione, la sentenza: “siete femministe, e io odio le femministe”; e falciò 27 ragazze. Quattordici persero la vita; erano:
Geneviève Bergeron (nata nel 1968), facoltà di Ingegneria civile;
Hélène Colgan (nata nel 1966), facoltà di Ingegneria meccanica;
Nathalie Croteau (nata nel 1966), facoltà di Ingegneria meccanica;
Barbara Daigneault (nata nel 1967), facoltà di Ingegneria meccanica;
Anne-Marie Edward (nata nel 1968), facoltà di Ingegneria chimica;
Maud Haviernick (nata nel 1960), facoltà di Ingegneria dei materiali;
Barbara Klucznik-Widajewicz (nata nel 1958), scuola infermieristica;
Maryse Leclair (nata nel 1966), facoltà di Ingegneria dei materiali;
Anne-Marie Lemay (nata nel 1967), facoltà di Ingegneria meccanica;
Sonia Pelletier (nata nel 1961), facoltà di Ingegneria meccanica;
Michèle Richard (nata nel 1968), facoltà di Ingegneria dei materiali;
Annie St-Arneault (nata nel 966), facoltà di Ingegneria meccanica;
Annie Turcotte (nata nel 1969), facoltà di Ingegneria dei materiali.

Poi il maschio giustiziere si spara a sua volta. In tasca ha la dichiarazione di cui sopra, con un allegato: una lista di 19 donne colpevoli di aver intaccato, con i loro successi, il legittimo rango maschile. 
Le superstiti si laurearono, battendosi da quel momento contro il sessismo e gli stereotipi. Successivamente al massacro, le iscrizioni femminili alla facoltà di Ingegneria crebbero rapidamente dal 13% al 19%.

Dedicato a tutti quelli che “la violenza è una sola”, la violenza “non è di genere”, “esiste anche la violenza delle donne contro gli uomini”.

A questa tremenda vicenda Denis Villeneuve dedicò il film "Politechnique". L'autore della recensione che trovate QUI conclude così: 
Consiglio la visione del film a un pubblico rigorosamente maschile. Parla di noi. Non sono cose belle.
Anzi, sono cose che mi fanno vergognare, che mi fanno male, perché le grandi tragedie sono figlie delle piccole concessioni: "Ma si! Scherziamo sui gay! Ma certo! Le donne? Cazzi e cazzotti! I negri? A casa loro!” Affidatevi alle ruspe, all’odio dei frustrati. Un giorno qualcuno dirà che siete voi "il problema”. Un giorno riceverete l’odio che avete seminato, l’indifferenza che avete propagandato, e nessuno vi piangerà.





venerdì 1 dicembre 2017

Invidia del pene? no, dell'utero. La vera origine del dominio maschile

Ricordando Françoise Héritier, scomparsa in questi giorni dopo una lunga vita di studi
Se non tutte, davvero in tante crediamo che le donne, fin da bambine e ovunque, non si siano mai sognate di avere alcuna “invidia del pene”. Semmai, con buona pace di Freud, la cosa che le femmine umane da sempre “Invidiano” ai loro maschi è la libertà, con l’autodeterminazione che ne deriva. Quindi nulla che esista nel corpo e in natura, ma solo nella sovrastruttura: quella imposta nelle società umane dal dominio maschile. 
Ma il mito dell'invidia del pene è, appunto, parte di quella narrazione maschile che da sempre ci spiega come stanno le cose. Infinitamente più recente è l'emergere di un punto di vista integrato da quello femminile, nonché della coscienza che negli uomini esista “l’invidia dell’utero”. Coscienza che peraltro fatica a farsi strada e viene contrastata, forse perché è proprio questo il vero fattore all’origine della suddetta sovrastruttura di dominio. 
Una delle pensatrici che meglio ha illuminato questa relazione è l’antropologa Françoise Héritier. 


Ho più volte proposto di inserire nei programmi scolastici l'insegnamento dell’antropologia. C’è ancora chi crede che questa disciplina studi popoli esotici e sia rivolta al passato; invece essa parla proprio al presente. Conoscere le regole e i meccanismi attraverso cui si costituiscono le società è importante quanto sapere che la terra gira intorno al sole. (F. Héritier)

Allieva di Claude Lévi-Strauss e, dopo di lui, direttrice del Laboratoire d'anthropologie sociale del Collège de France, aveva messo il dominio maschile al centro delle sue ricerche, focalizzando proprio nella paura e nell’invidia del potere generativo femminile l’ossessione degli uomini, fin dai tempi più antichi, a sottomettere e possedere il corpo delle donne. 
Il suo lavoro era naturalmente sfociato in un attivismo femminista e sempre al fianco delle battaglie omosessuali, incluse quelle per il diritto all'adozione per le coppie omosessuali, e per la procreazione medicalmente assistita. Pur respingendo la pratica dell’utero in affitto a causa del relativo corollario di rischi di (ulteriore) mercificazione del corpo delle donne.  
A chi non avesse avuto finora la fortuna di incontrarla e conoscerne il pensiero, suggeriamo alcuni libri tradotti anche in italiano: