venerdì 21 marzo 2014

L'inverno più caldo, le decisioni più urgenti: per il clima serve una svolta. Immediata

Strano inverno, vero? E di colpo è il 21 marzo, e tra ieri e oggi uno dei più importanti incontri per le decisioni - dalle relazioni internazionali al clima - che ci riguardano più da vicino: quelle che possono determinare salvezza o accelerazioni verso un baratro fin troppo annunciato. 
Entro il 2015 si decidono troppe cose, non possiamo confidare nei nostri "saggi" governi: tocca a noi tirare dal lato giusto - e fa piacere che una pioggia di suggerimenti stia investendo Renzi su twitter. Una preghiera: alziamo l'intensità di questi richiami. Partiamo da qui. Smettiamo di pensare che esista qualcosa, qualunque cosa, più rilevante o urgente del dare uno stop alla tragedia climatica. No pianeta, no tutto il resto.
Riflettiamo un momento. E' incredibile che siamo ancora tutti così inerti. Ma davvero crediamo che qualcuno ci salverà, se non lo facciamo noi stessi? che i potenti che hanno portato il pianeta a questo stato faranno qualcosa di serio per spontanea iniziativa..? No. Serve che le donne comprendano il rapporto fra condizione femminile e ambiente. Serve che le donne, per prime, non guardino più a obiettivi separati e coltivino visioni di insieme. Serve combattere il militarismo e farlo in una dimensione più consapevole. Serve che tutti i movimenti per i diritti e la pace si stringano intorno alle donne. Serve un nuovo asse fra tutti gli attivismi, che metta al centro madre terra. Serve tenersi attentamente aggiornati sui segnali positivi e la nascita di nuovi strumenti - e usarli. Serve capire che non si può più aspettare. 
Il momento di agire è adesso.
Qui le priorità dell'Europa secondo la presentazione di Barroso. Ma una cosa è ormai appurata: come documenta il video che vi presentiamo, quando gli enti ufficiali pongono obiettivi che sembrano ambiziosi, stiamo giocando già molto al ribasso. Tocca a noi - solo a noi - premere per correggere il tiro.

giovedì 20 marzo 2014

Donne e informazione: se la cifra è il disprezzo la parità viene caricaturizzata

Riguardo alla persistente confusione fatta, nell'informazione, tra strumenti per garantire pari opportunità nelle candidature e presunte "quote rosa", scrive sul Corriere la costituzionalista Marilisa D'Amicocome donna e come costituzionalista mi sento in dovere di fare un appello: si misurino più attentamente le parole. E nel suo pezzo fornisce tutte le notizie utili a dimostrare come non di "quote rosa" si debba parlare, in quanto simili norme "non sono affatto meccanismi costrittivi ma solo promozionali". Le sue argomentazioni sono chiare. Resterà sempre un mistero, dunque, come la redazione abbia pensato di sostituire il titolo da lei proposto (paura della parità) con "le quote rosa in Parlamento" - in contrasto con il suo stesso contenuto
E ancor più dispiace che l'autore del pezzo a cui lei fa riferimento replichi (in articolo immediatamente a fianco), liquidando le sue ragioni come stupidaggini - come se  il tema della parità fosse degno solo di gag e battute. E per giunta apostrofandola sarcasticamente di "signora" (e sappiamo tutti che chiamare qualcuno - che si esprime sul piano professionale -"signor/signora".. serve a negarne le competenze): in altre parole essere umano di sesso femminile non avente titoloForse ignora che Marilisa D'Amico è non solo professore di diritto costituzionale all'Università degli Studi di Milano, ma anche vicepresidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa - o forse non gli interessa. Sul significato di tutto ciò ciascuno tragga le proprie conclusioni. Per chi è interessato a un'informazione precisa ecco  il resto dell'articolo:
..(si misurino più attentamente le parole) specie nel richiamare ossessivamente e severamente presunti rischi che correrebbe il merito, facendo spazio alle donne. Su questo giornale un ex-direttore ha utilizzato il suo prestigio (e quello del più autorevole quotidiano nazionale) per dichiarare - letteralmente - che la parità di genere sarebbe "un residuo di democratismo che inquina e rallenta il paese, e che in realtà discrimina, e sarebbe addirittura lesiva delle donne stesse: nell’utopia che si concreta, poi, storicamente, nell’imposizione, dall’alto, di costrizioni che ledono, con la dignità, le elementari libertà di chi vogliono favorire". Ricordo dunque che le obiezioni mosse contro gli emendamenti bocciati alla Camera (bocciatura che per il bene del Paese mi auguro sarà smentita dall'iter successivo) sono le stesse sollevate in varie occasioni davanti al giudice amministrativo, che ha annullato giunte regionali o comunali non rispettose del principio di parità. E confermati dalle più recenti pronunce della Corte Costituzionale la quale in particolare ha ritenuto pienamente rispettosa della Costituzione l’introduzione della doppia preferenza di genere (sentenza 4/2010 della legge elettorale della Campania). E ha affermato come la libertà politica debba rispettare il principio supremo di uguaglianza e il principio di legalità (sentenza 81/2012).
Tutte queste decisioni hanno acclarato come simili norme - che è assai scorretto bollare come quote - non siano affatto meccanismi costrittivi ma solo promozionaliLe azioni delle donne per dare compimento agli auspici con cui (ormai 70 anni fa!) Teresa Mattei salutava la nuova Costituzione, sono stati sistematicamente oggetto di attacchi concentrici e feroci, inferti a sproposito in nome del merito e della Costituzione. In oltre 10 annitutte le azioni legali per vanificare le giuste istanze delle donne sono state respinte solo in virtù della loro piena legittimità, e grazie al valore e al duro lavoro delle donne impegnate a sostenerle. A questo duro lavoro occorre rendere merito e non ignorare gli esiti dei passi già fatti o fingere che non ci siano mai stati.
Si tratta di una conquista non solo per le donne ma per una democrazia effettiva.
(Marilisa D'amico)


mercoledì 19 marzo 2014

Lucina Di Meco: sostenete la petizione per la democrazia paritaria

La settimana scorsa la Camera ha votato (con voto segreto) bocciando gli emendamenti per garantire la democrazia paritaria nell'Italicum.
Scrive Valeria Fedeli, prima firmataria di questa petizione, che la mancata modifica all’Italicum in merito alla parità di genere è una sconfitta per l’Italia. Una sconfitta che mostra provincialismo e visione miope, assenza di coraggio e attitudine invece ad un conservatorismo difensivo e lontano dagli interessi del Paese. Una sconfitta cui è necessario rimediare nel passaggio al Senato. Si può giudicare come si vuole il testo uscito dalla Camera. Ognuno ha legittimamente la propria opinione. Il punto politico oggi è quello di evitare di riaprire la discussione in generale. Sbaglia chi pensa che su soglie o preferenze ci siano margini di modifica. Chi ipotizza questo mostra eccessiva ingenuità o malafede, perché significherebbe far saltare l’accordo e affossare la riforma. Una riforma che invece è urgente per restituire efficacia e credibilità alle istituzioni, alla politica, al sistema Paese tutto. Non si faccia allora confusione, con l’obiettivo di ritornare a quella prassi di dibattito in cui tutto si mescola, tutto si ipotizza, tutto si somma, ma poi nulla si realizza.
Esiste già un largo fronte di battaglia trasversale, manifestatosi nel Paese e alla Camera, e che è stato sconfitto dal voto segreto [secondo il collaudato copione a cui le donne hanno inutilmente chiesto di non ricorrere, ndr]. Ma la battaglia è ancora aperta: chiedo dunque di diffondere la petizione per sostenere questo fronte trasversale di uomini e di donne coraggiose che si battono per affermare il principio della democrazia paritaria.
Firmatela e diffondetela per dire, ai senatori e alle senatrici che voteranno sul testo dell’Italicum, che la parità di genere non è una questione tecnica, di procedura normativa, ma una questione politica, culturale e strategica decisiva.
Perché se non è paritaria, che democrazia è?
Lucina Di Meco, New York 19 marzo 2014 

martedì 18 marzo 2014

Francesca Izzo: altro che quote rosa, è democrazia paritaria

Scrive Francesca Izzo su l'Unità che la battaglia per la democrazia paritaria è tutt'altra cosa dalle quote rosa. Perché le donne non chiedono né vogliono tutele e soprattutto le più giovani sanno che negli studi e nei concorsi possono competere al pare con i maschi e con risultati anche migliori.  E' la qualità della democrazia in gioco, da sottrarre all'arbitrio o alla "generosità" degli uomini che numerosi abitano i luoghi delle istituzioni e della rappresentanza.
E’ accaduto con la parola “femminicidio”: al principio c’era una resistenza fortissima ad usarla perché brutta e urticante, ma poi l’ha spuntata perché è l’unico termine appropriato per denotare l’uccisione di una donna solo perché è donna. Quando con una grande campagna di informazione si è chiarito che mariti, fidanzati, conoscenti le uccidono perché, aspettandosi acquiescenza e subordinazione, non riescono invece a tollerare la loro libertà e il loro rifiuto, allora il termine è diventato di uso corrente. Ecco ora siamo alle prese con un’analoga situazione, forse ancora più difficile. L’espressione che deve entrare nell’uso comune è “democrazia paritaria” ma deve combattere per affermarsi contro quella semplice e diffusa di “quote rosa”. In questi giorni di quote rosa se ne è scritto e detto a destra e manca per raccontare dell’iniziativa di un consistente numero di deputate di inserire nella nuova legge elettorale il principio della parità. Chi si è dichiarato a favore chi contro, ma tranne pochissime eccezioni, tutti a parlare di quote rosa. 
Appena qualche giorno fa, ad esempio, Gian Antonio Stella ne ha sostenuto la necessaria e temporanea introduzione per vincere uno storico gap. Invece una platea vasta, arringata a sorpresa ieri sera a Che tempo che fa da una Luciana Litizzetto anti quote, è duramente contraria perché respinge le tutele, vuole il merito e non i recinti protetti. Soprattutto le giovani donne si mostrano ostili: hanno misurato a scuola, negli studi, nei concorsi il loro valore e sanno di poter competere alla pari con i loro coetanei e quindi non vogliono essere ricacciate nel ghetto degli svantaggiati, di quote infatti si parla per chi ha degli handicap, per le minoranze … 
Hanno pienamente ragione: le donne non sono una minoranza e per giunta oggi le giovani donne sono forti, preparate e competitive, altro che svantaggiate. E allora? Il fatto è che le parole sono le cose e usare la parola quota per indicare qualcosa di diverso produce terribili fraintendimenti. Democrazia paritaria è l’espressione adeguata. Adeguata ad indicare che la rappresentanza del popolo (quella che con il voto eleggiamo in parlamento), per essere democratica e non “oligarchica”, deve dare “rappresentazione” del dato basilare che il popolo è fatto per metà da uomini e per metà da donne e che quindi la composizione parlamentare deve essere paritaria. I criteri con i quali vengono scelti i rappresentanti, cioè i famosi merito, qualità e competenza dei candidati riguardano in egual misura sia gli uomini che le donne e prescindono dalla regola paritaria, a meno che non si pensi che merito, qualità e competenza abbondino tra gli uomini e scarseggino tanto drammaticamente tra le donne da dover ricorrere a sciocche incompetenti per rispettarla. La democrazia paritaria non configura alcuna concessione, alcun regalo o tutela, è la semplice presa d’atto (frutto però di un’epocale rivoluzione culturale e politica) che il popolo sovrano è fatto di uomini e donne e non è una nozione neutra, indistinta. E’ stata quella nozione neutra a consentire, anche nella storia repubblicana, di considerare “normale” che la rappresentanza fosse monopolizzata dagli uomini e che la presenza delle donne fosse un’anomalia, un’eccezione da giustificare con meriti altrettanto eccezionali. Questa visione, diffusa ancora oggi, è l’eredità di un lungo passato che non vuole passare, nel quale la politica era per definizione cosa esclusivamente di uomini e alle donne era vietato, proibito di occuparsene e qualcuna, per sfidare il divieto, ci ha rimesso pure la testa. La democrazia paritaria è il compimento della democrazia, perché porta a compimento l’inclusione delle donne nella polis. E fa anche un’altra cosa non meno rilevante: sottrae all’arbitrio o alla “generosità” degli uomini che ne detengono le chiavi una parte del potere di decidere, rendendo più libere le donne.
Non si chiedono meriti o medaglie speciali alle donne per entrare nella cittadella della rappresentanza,né ci aspettiamo azioni miracolistiche dalla loro presenza. Ma credo sia chiaro a tutti che una rappresentanza popolare composta per metà da donne cambiamenti nella concezione e nella concreta azione politica li produce e sicuramente in meglio, vista la crisi drammatica di credibilità e di fiducia delle istituzioni rappresentative.
Fonte: Francesca Izzo, L'Unità 18 marzo 2014

lunedì 17 marzo 2014

Sulla parità di genere si gioca la credibilità delle istituzioni

Scrive Valeria Fedeli che sulla parità di genere si gioca la credibilità del Pd e delle istituzioni, la qualità del processo democratico e del rilancio del Paese: La mancata modifica all’Italicum in merito alla parità di genere è una sconfitta per l’Italia. Una sconfitta che mostra provincialismo e visione miope, assenza di coraggio e attitudine, invece, a un conservatorismo difensivo e lontano dagli interessi del Paese. Una sconfitta cui è necessario rimediare nel passaggio al Senato.

Un obiettivo già difficile, e secondo Fedeli è irrealistico tentare di andare oltre - ma su questo punto non ci si può arrendere, ecco dunque l'appello che fa al proprio partito: 
Si può giudicare come si vuole il testo uscito dalla Camera. Ognuno ha legittimamente la propria opinione. Il punto politico oggi è quello di evitare di riaprire la discussione in generale. Sbaglia chi pensa che su soglie o preferenze ci siano margini di modifica. (...) Inserire correzioni per garantire che la nuova legge elettorale sia effettivamente paritaria è il (solo, ndr) punto di modifica possibile nel passaggio della legge al Senato. E su questo si deve concentrare l’impegno del Pd nel costruire le condizioni politiche che rendano possibile l’intesa sulla parità di genere. Si parte già dall’esistenza di un largo fronte di battaglia, che si è manifestato nel Paese e alla Camera, e che è stato sconfitto dal voto segreto, dalla pavidità di qualche deputato e dal maschilismo di molti. È un fronte trasversale, che unisce donne e uomini di tutte le forze politiche che hanno sostenuto l’accordo e approvato la legge. Un fronte che pur rispettando l’accordo, vuole migliorarlo in un elemento significativo che incide sulla qualità intrinseca della democrazia che vogliamo realizzare anche attraverso la legge elettorale.
Vogliamo una democrazia paritaria non per un capriccio, ma perché è l’unico modo per cui davvero la nostra democrazia può accettare la sfida del cambiamento, governare le trasformazioni in atto nel Paese e nel mondo mettendo insieme le energie, le competenze e la forza di tutte e tutti. 
La parità di genere non è una questione tecnica, di procedura normativa, ma una questione politica, culturale e strategica decisiva: di qualità della rappresentanza, della democrazia, della competitività e delle possibilità di rilancio dell’Italia. È una questione di valori, una questione che precede ogni riforma, e che deve essere prevista da ogni processo riformatore. Fin dal primo momento in cui si è iniziato concretamente a parlare della nuova legge elettorale, alla fine dello scorso anno, abbiamo detto - e iniziato a costruire un’alleanza larga - che, quale fosse il sistema alla fine scelto, avrebbe dovuto rispettare parità di candidature femminili e maschili e parità tra elette ed eletti.
Non si tratta di quote, di un riequilibrio statistico, di un tema di parte, di una battaglia femminile. Una legge elettorale, effettivamente paritaria dal punto di vista di genere è un modo per rendere viva e attuata la nostra Costituzione (lavorando per la rimozione degli ostacoli all’uguaglianza - art.3 - e la promozione delle pari opportunità - art.51 -), un modo per scegliere l’innovazione culturale e di sistema, per dare forza e concretezza alle speranze di cambiamento. Le forze politiche che hanno sostenuto la riforma si comportino in modo responsabile e si assumano l’onore - perché di onore si tratta, non di un onere - di una scelta storica. Il Senato, che non è interessato dalla riforma, che vedrà cambiare la propria natura e funzioni, e che per l’ultima volta si esprimerà in materia di legge elettorale, ha la possibilità di intestarsi questa innovazione, un’innovazione che fa bene all’Italia.
Un’innovazione che riguarda non solo la legge elettorale nazionale, ma anche quella per il rinnovo del Parlamento europeo, con il voto della settimana prossima sul ddl di cui sono prima firmataria per introdurre la doppia preferenza di genere. Una norma che va approvata, senza scaricare strumentalmente su di essa i malcontenti legati all’Italicum e invece facendo in modo che la legge sia attuata già dalle Europee di maggio. 
Lo dico chiaramente, allora, a tutte e tutti, leader politici, senatori e senatrici, uomini e donne: sulla parità di genere ci giochiamo la credibilità nostra e delle istituzioni, la qualità del processo democratico e del rilancio del Paese, il futuro di tutte e tutti, a partire dalle ragazze e dai ragazzi che saranno cittadine e cittadine dell’Italia di domani. Pensiamo a loro quando dovremo votare, e non agli interessi di una parte politica o della parte sola maschile del Paese.
Valeria Fedeli, 17 marzo 2014

Piero Ostellino contro parità di genere: risponde (indirettamente) Marco Travaglio

LA PAROLA AGLI UOMINI/RASSEGNA • La confusione creata fra misure per il riequilibrio di genere nelle candidature e la presunta imposizione di "quote rosa" ha dato logo a moltissimi articoli che non esitiamo a definire fuorvianti. In tema interviene sul Corriere anche l'ex-direttore Piero Ostellino, in modo che suona, per molte, come un'offesa. Perché? Ecco le sue tesi (in rosso le parole del suo articolo, in nero i nostri commenti): "L’idea di introdurre la «parità di genere» - l’applicazione di un sistema di «quote rosa» preferenziali, nelle candidature femminili per le competizioni elettorali e in alcuni ambiti economici e finanziari nei quali dovrebbe contare il merito - è l’ultimo caso della degenerazione della cultura politica dominante che disprezza il mercato, ignora le libertà e il merito individuali...
[tema cruciale, il merito, su cui è importante ribattere il chiodo; come ricordano noti campioni di merito come Maurizio Gasparri, ndr].
Riprende Ostellino:  (L’idea di introdurre la «parità di genere»assegna al governo il compito di correggere e di modificare l’evoluzionismo naturale [naturale? di quale "natura" parliamo: quella di Wilma dammi la clava?e propone la regolamentazione-burocratizzazione dell’intera vita sociale. In realtà, [in realtà? non si intitola "il dubbio" questa rubrica, Ostellino?, ndr] la «parità di genere» ripropone la regola che domina ogni burocrazia e, da noi, la Pubblica amministrazione, dove promozioni, aumenti salariali e carriere procedono, più che per merito, per precostituiti automatismi e/o per anzianità, premiando indifferentemente chi se lo merita e chi no. Il sistema di «quote», a favore delle minoranze nell’accesso a certi College, alle Università, a certi livelli nell’impiego pubblico, a quelli più alti nella PA e/o a facilitazioni sociali ed economiche, era stato adottato, negli Usa, a temperamento delle discriminazioni razziali delle quali avevano sofferto i neri. Si è rivelato subito controproducente, addirittura fallimentare [bè! c'è chi interpreta invece che, senza quella forzatura, mai gli Usa avrebbero visto un presidente nero, ndr], perché anomalo e avverso rispetto al sistema socio-politico e alla cultura del Paese [e qui si potrebbe dire che, rispetto a un sistema sociopolitico in cui il razzismo aveva oggettiva incidenza le quote razziali siano state salutari. Ma, di fatto, quello che qui si omette di dire, è che sono state oggettivamente un bene, in epoche in cui senza le quote nessun nero avrebbe avuto accesso a niente; diverso oggi: ora che abbiamo un Colin Powel, una Condoleza Rice e un Barack Obama - potremmo dire che non hanno più senso, ndr]. 
Ma, secondo Ostellino: ..a rifiutarlo sono stati gli stessi beneficiati che aspiravano a migliorare la propria condizione per meriti propri, non per decisioni altrui.  [ma quali meriti poteva far emergere la maggioranza degli afroamericani fino a pochi decenni fa? saper sopravvivere tra mille difficoltà economiche e di accesso allo studio? a noi sembra si vada fuori dal seminato con citazioni alquanto vaghe: affermazioni simili dovrebbero poggiare su fonti verificabili e riferite a periodi precisi, ndr] Ma fonti zero.
E infine conclude il pezzo: (…) le «quote» preferenziali [preferenziali?, ndr] in favore di una parte della popolazione sono un residuo del democratismo - attenzione: che è cosa diversa dalla democrazia liberale, e dell’egualitarismo, che è altra cosa dall’eguaglianza delle opportunità sostenuta dai liberali. Democratismo e egualitarismo inquinano ancora il Paese, rallentandone lo sviluppo e la crescita [interessante opzione; a noi risulta che siano semmai corruttele, clientele e patriarcato asfittico, a rallentare il paese, ma forse viviamo in 2 paesi diversi, ndr]. Forse, la Politica - insieme dei poteri di indirizzo e di coazione di ogni governo - dovrebbe darsi una regolata, soprattutto culturale. [forse si! forse si, Ostellino! per uscire dalle secche di un patriarcato che sostiene clientele, ndr] E adoperarsi per uscire dalle secche del Novecento, statalista, dirigista e totalitario, produttore di (false) certezze pubbliche, come quell’astrazione ideologica che è «la collettività» e in nome di un’idea di Bene comune autoritaria - e entrare nel mondo contemporaneo «come è» -scettico, relativista, empirico - nel quale ogni proposizione prescrittiva è verificabile, se vera o falsa, nella realtà effettuale e non si rifugia nell’utopia che si concreta, poi, storicamente, nell’imposizione, dall’alto, di costrizioni che ledono, con la dignità, le elementari libertà di chi vogliono favorire". Fonte: Corsera, 14 marzo 2013
Macché! le "secche", si direbbe, sono le maree che tentano, invano, di montare dal basso per fare un po' di pulizia in un sistema bloccato, in cui le nomine avvengono per cooptazione maschile e in base al merito di poter fare quanti e quali favori a questo o a quello, non certo in base al merito-tout court. Ma, in conclusione, le serie proposte di emendamenti sono liquidate come costrizioni che ledono, con la dignità, le elementari libertà di chi vogliono favorire (noi, le donne)possiamo essere d'accordo? No questo è troppo. E sorge un sospetto - che fa venir voglia di rispondere citando un altro uomo (per ironia della sorte non noto per femminismo):
  • Se non si professasse "liberale" ogni 2 per 2 e non scrivesse in virtù di questo sul Corriere della Sera, Piero Ostellino meriterebbe la considerazione pressoché nulla che si deve ai tipici intellettuali italiani che attaccano sempre il cavallo alla mangiatoia giusta: craxiani quando comanda Craxi, berlusconiani oggi che comanda Berlusconi, domani dipende da chi comanderà. (Marco Travaglio)
Non intendiamo avallare questa interpretazione, ovviamente. Ma un'associazione di idee sorge spontanea: perché ci risulta che, ad oggi, come dall'eternità che abbiamo alle spalle, continuino a comandare, inesorabilmente, e sempre con gli stessi metodi - ancora gli uomini e solo gli uomini.
Al di là delle battute dettate dallo sconcerto, concludiamo però con una domanda seria, all'ex-direttore del Corriere della Sera: è al corrente che tutte le surreali argomentazioni portate contro la parità di genere sono state già ampiamente stracciate (come inconsistenti e pretestuose) dalla Cassazione e dalla Corte Costituzionale?

Già: sono oltre 10 anni che si susseguono cause legali (maschili) contro ogni minimo tentativo di introdurre norme per il riequilibrio di genere. Ma ogni volta le più alte cariche della Magistratura devono concludere che non di privilegi, né di "forzature" si può parlare, ma semmai di dare agli elettori un'opzione in più nella scelta di chi votare. A chi lo ignora, suggeriamo un aggiornamento: un giornalista è tenuto a tenersi informato anche se non è più direttore. Se invece chi scrive non lo ignora, un articolo che finge di non saperlo appare come un'autodenuncia che si condanna da sè.

domenica 16 marzo 2014

Legge elettorale: inaccettabile confondere parlando di "quoterosa". Carlassare: cosa è costituzionale e cosa no

PARITA' E COSTITUZIONALITA'/RASSEGNA • Intervistata da Liana Milella la costituzionalista Lorenza Carlassare torna sulla legge elettorale, già duramente criticata sul piano costituzionale
E la ringraziamo ora per aver definito il termine "quote rosa", in rapporto agli emendamenti per il riequilibrio di genere, come inaccettabile. Perché quel termine lo è: e fingere che sia corretto è far finta di non capire
Addirittura definire tali emendamenti "anticostituzionali", poi, una mascalzonata - che non solo Francesco Paolo Sisto pro-domo Forza Italia, ma molti commentatori maschi non esitano a commettere. Ci dispiace, ma sulla Costituzione è ben più autorevole Carlassare. Che dice: Mi sono sempre battuta contro questa stupida denominazione di "quote rosa", usata per abbassare la serietà e l'importanza di un discorso che riguarda la democrazia e l'integrazione della rappresentanza. La Consulta si è già pronunciata sul tema [dell'equilibrio fra i generi nelle candidature, ndr]. Con la sentenza 49/2003 ha fugato ogni dubbio e ha respinto il ricorso del governo su una legge della Val d'Aosta che prevedeva la presenza obbligatoria di entrambi i sessi nelle liste elettorali". Garantire la parità di chance e d'elezione tra uomo e donna lo impongono importanti documenti internazionali e l'articolo 51 della Costituzione, rafforzato dalla modifica del 2003. Ritengo proprio  che sarebbe incostituzionale il contrario, perché l'art. 51 è chiarissimo nel voler assicurare la parità di chance. Chiede Milella: cosa promuove fra le opzioni alternanza uomo-donna, capilista alternati, o il 40% di essi alle donne? Francamente nessuna, perché non rispettano la parità di chance. L'alternanza non serve perché potrebbe essere eletto solo il capolista, e se è maschio il discorso è chiuso. La seconda è veramente stravagante, perché non vedo come si possano comparare collegi del tutto diversi tra loro. La terza è uguale alla seconda, ma ulteriormente peggiorata. Se le liste non fossero bloccate andrebbe consentito il doppio capolista e la doppia preferenza. L'ha adottata la Regione Campania, il governo è ricorso alla Consulta, ma ha perso. Ci sarebbe la piena parità di chance perché all'elettore verrebbe consentito di esprimere una seconda preferenza per un candidato di sesso diverso. La preferenza, poi, eviterebbe il maggior vizio di incostituzionalità, un elettore cui viene negata qualsiasi possibilità di scelta. Fonte: Così questa riforma è incostituzionale, bisogna dare le stesse chance a tutti 

venerdì 14 marzo 2014

Parità di genere: il grande imbroglio dei media tra "quote rosa" e domande sbagliate

Le mie risposte sono limitate, devi farmi la domanda giusta.. (prof. Alfred Lanning, protagonista di “Io robot” di Isaac Asimov)
I media ce l’hanno messa tutta per stravolgere il significato della battaglia per introdurre la parità di genere nella nuova legge elettorale. Titoli e articoli sulle quote rosa, come si trattasse di un concorso con quote, stavolta sì, di posti riservati a categorie sociali svantaggiate e non della richiesta di (dovuti) accesso e rappresentanza alla pari per il genere femminile e maschile, come prescrivono gli art. 3 e 51 della Costituzione (l'elaborazione grafica è di Iole Natoli).
Tutti a riempirsi la bocca col “merito” dimenticando che le liste sono bloccate, che si vota il partito e non si scelgono gli eletti o le elette. Tutti a domandare ai propri lettori e telespettatori cosa ne pensassero - però con domande fuorvianti e risultati deprimenti per chi crede e rivendica la parità di genere anche in politica. Repubblica e Sky tg in prima fila. 
Peccato che, appunto, le domande dei loro sondaggi fossero poste male - quando non addirittura incomprensibili, come quella di Repubblica - oltre che già corredate di discutibili spiegazioni preconfezionate nelle risposte:
E tutto questo è servito: per rinvigorire i tanti “meritevoli” onorevoli maschi che la loro poltrona non intendono perderla o peggio cederla alle donne. Prima hanno introdotto la “quota vip” con la possibilità di candidarsi in ben 8 collegi, poi col voto segreto hanno affossato tutti gli emendamenti col 50e50 e le norme antidiscriminazione di genere.
Ma non hanno convinto i cittadini, uomini e donne, che interrogati in modo comprensibile,  con campioni ritenuti rappresentativi,  hanno detto con chiarezza che alla parità di genere ci credono e ci tengono molto, come dimostrano due diversi sondaggi realizzati per la trasmissione Ballarò e per il tg3:


Pur non essendo patita della “rottamazione”, siamo sicuri che questa debba riguardare solo il dato anagrafico e non anche un  genere, maschile appunto, che da sempre è al comando della scena pubblica? Senza aver peraltro ottenuto performance esaltanti se il Paese si ritrova in questa crisi così drammatica.
Consigliamo vivamente il presidente del consiglio Matteo Renzi di tenere conto di questo, più che dei titoli e articoli dei media. Rimasti, insieme alla politica, uno dei baluardi del potere maschile in Italia. E di ascoltare le cittadine e i cittadini se vuole migliorare la legge elettorale al Senato e cambiare davvero verso al Paese.
Cinzia Romano

giovedì 13 marzo 2014

La vergognosa disinformazione che cavalca le "quote rosa" e ne fa armi da guerra: contro le donne

Esce oggi sul Corriere, nella sezione "interventi & repliche", e sulla 27ora, una (molto opportuna) precisazione dell'Acccordo di Azione Comune per la Democrazia Paritaria: non si tratta di quote rosa. Facciamo chiarezza. 
Si, facciamola: e scopriremo che 
1. gli emendamenti per il riequilibrio di genere richiesti alla Legge elettorale niente hanno a che vedere con le "quote rosa" [di per sè, peraltro, ottima cosa];
2. approfondita la faccenda, semmai di quote azzurre, da sempre obbligatorie, si dovrebbe parlare.

Ma partiti e (spiace dirlo), compattamente anche la maggior parte dei media, hanno evidentemente interesse a sguazzare nella confusione: tanto da fare delle "quoterosa" un (velenoso) mantra ridicolizzante che vanifica tutti gli sforzi delle donne. Benché ciò che è davvero ridicolo siano solo le obiezioni maschili:
)
Ed eccco il testo completo del comunicato:
Il 10 marzo i deputati italiani si sono nascosti dietro al voto segreto per respingere emendamenti alla nuova legge elettorale volti a consentire anche alle donne un vero accesso alle candidature. Non si tratta, dunque, di "quote rosa": come portato quasi ovunque all'attenzione dell'opinione pubblica. [
Ma proprio brandire in modo fuorviante lo spauracchio di presunte "quote rosa" ha consentito di ignorare il vero concetto da mettere a tema, confondendo l’opinione pubblica e dando un alibi a questo comportamento. Non è stata messa debitamente in luce la necessità, invece, di rompere meccanismi chiusi, oggi costruiti in modo da negare alle donne opportunità di candidature in posizioni di eleggibilità.
E attenzione - questo vigliacco copione si è già ripetuto in diversi consigli regionali, dalla Puglia alla Sardegna, per affossare leggi per la doppia preferenza: mentre nelle interviste, a parole, i politici inneggiano alla partecipazione delle donne, sottilmente adombrano forzature e poi la stroncano con un uso indebito del voto segreto.
Poco possono le donne contro questo sbarramento: nella consolidata tendenza alla cooptazione reciproca tra uomini (sia nelle cariche politiche, sia nel girotondo tra "poltrone decisionali" di vario tipo), le donne hanno oggettivamente un accesso ai media molto più scarso rispetto ai colleghi maschi (del resto quante segretarie di partito abbiamo? quanti direttrici di testate nazionali?) e assai minori mezzi economici in campagna elettorale (elemento trascurato di correttezza). E in conclusione: molto scarse possibilità di essere conosciute dall’elettorato. Se aggiungiamo che le donne vengono generalmente candidate in posizioni di facciata, senza eleggibilità, non è questo un meccanismo che garantisce semmai “quote azzurre”?
In tutto ciò le donne di oggi (non diversamente dalle "suffragette" dell’800) vengono sarcasticamente presentate, nelle interviste, da certa satira e da molta stampa, come figure ridicole: mezze calzette che pretenderebbero posti garantiti senza averne titolo. Visione molto opportuna, ma solo per la compagine maschile che con le donne non intende competere.
E il risultato è quanto avvenuto nell'aula di palazzo Montecitorio, proprio in concomitanza con l'8 marzo: uno schiaffo a tutte le donne del Paese, e un passo indietro nella Storia. Per uno scarto di pochi voti.
Vanificare la battaglia portata avanti dalle donne e dagli uomini alla Camera dei deputati, che hanno promosso e votato emendamenti per la rappresentanza (anche) di genere, è una ferita insanabile: non solo per il cammino delle donne, ma per l’avanzamento di un Paese in crisi.
Riteniamo doverosa questa denuncia, e di offrire un punto di vista più ampio all'opinione pubblica. Le donne, fuori e dentro il Parlamento, non si arrendono.
Con l’augurio all’Italia che la partita per uscire dall'anacronismo, che si riapre ora in Senato, si risolva positivamente.
12 marzo 2014, Acccordo di Azione Comune per la Democrazia Paritaria
per info e contatti: danielacarla2@gmail.com


Doveroso aggiornamento:
1. il dibattito è proseguito con bacchettate di ex-direttore Piero Ostellino;
2. seguite da replica di costituzionalista D'Amico; cui (non cavallerescamente, e nemmeno paritariamente - visto che ulteriore replica a lei non è data) non  è stata lasciata l'ultima parola: il pezzo è uscito contrappuntato da contestuale re-replica di Ostellino; di entrambi i pezzi diamo conto qui.

mercoledì 12 marzo 2014

Aspettando il Senato (dolorosamente)

Dunque ancora una volta  sul corpo delle donne si consuma - oltre allo scontro di culture che pure c'è - anche l' ennesima faida interna alla politica. Si accanisce su quel corpo e la sua materialità sociale, la sua presenza ingombrante, con l'irresponsabile costanza di non ritenerlo meritevole di essere "pari".
Noi ripetiamo parità di genere, per tutti certo. Ma come fanno a volerla se hanno già così tanto, come privarsi del tutto, se non arrivano davanti al baratro? Del pericolo o della consapevolezza, ma un baratro che imponga di arretrare.

C'è un problema di formazione, di sensibilità politicamente immatura che proprio non sa, non coglie la presenza femminile come un fattore che nel tempo può produrre, io credo  necessariamente, un'altra pratica del potere con altri livelli di efficacia nel fare. Non la colgono adesso, non la coglievano prima.
Dicono, ma se le donne accedono davvero al potere della politica e diventano tutte laRussiane? per dire, nessuna categoria lombrosiana. E allora? ne avrebbero diritto come gli uomini. Ma credo che non sarebbe così. A un tratto, senza saperlo, il nostro genere sarebbe d'inciampo al potere maschile. Malgrado ogni  appartenenza ciascuna si troverebbe costretta a chiedere, esigere, modelli organizzativi e sociali diversi. Non dico tutte, le damigelle del capo resteranno come tanti paggetti dei capi, ma verso il cambiamento saremo  molte più di quanto crediamo.
Inciampi trasversali, com’è infatti accaduto su una norma elettorale che non è una norma,  ma l’enorme boato a copertura integrale di piazza del Popolo: se non ora quandoooooooooo..  un boato femminile, non maschile, non loro.
Penso che tutte quelle casalinghe, impiegate, professioniste, mai entrate in politica e arrivate in quella piazza, di questo scontro sulla legge elettorale abbiano potuto capire poco. Nei tecnicismi e soprattutto nella condivisione del sentimento: non c'è per ora boato e i politici lo sanno. Però i politici sbagliano spesso, non hanno visto arrivare la tempesta dei grillini ed erano paciosi nei loro algoritmi di vittoria.
Tuttavia, mentre la politica cambia i suoi cavalli, a volte mi assale un desiderio - infantile?- di una leader, individuale e collettiva, che trascini cuore e cervello al cambiamento, e sogno una Patty Smith popolare come Elisa che scenda in campo (lo so segno dei tempi, scusate), anelo a una giovane Malala Yousafzai, l'attivista pakistana che ha parlato all'Onu. Certo, è meglio che non ci sia, un discorso noto, antico, irriducibili alla "capa". Eppure occorre riconoscere che  questo oggi ci rende più deboli, impari quando arriva lo scontro diretto con un genere maschile sul tema compatto, o quasi.
Ieri scendevano dall’ascensore della mia azienda 10 dirigenti, tutti uomini, un piccolo branco che rideva soddisfatto di una riunione, alcuni anche miei amici. Erano così distanti dalla consapevolezza del baratro o anche solo da quel tocco di umiltà necessaria nella transitoria vittoria. La sera vedendo a Gazebo la sintesi di quanto è successo - la bocciatura di ogni emendamento sembrava dire “ora non avete più niente, nemmeno quello che forse c'era” - mi veniva da piangere per una sconfitta su ciò che non avrei più creduto possibile, non a questo punto.

Poi ho sorriso mentre Zoro commentava i titoli dei giornali “toh! il Pd si spacca???? che novità, che nostalgia”. Perché anche nei dolori occorre riconoscere la sapienza del ridicolo.
Maria Giordano