Riguardo alla persistente confusione fatta, nell'informazione, tra strumenti per garantire pari opportunità nelle candidature e presunte "quote rosa", scrive sul Corriere la costituzionalista Marilisa D'Amico: come donna e come costituzionalista mi sento in dovere di fare un appello: si misurino più attentamente le parole. E nel suo pezzo fornisce tutte le notizie utili a dimostrare come non di "quote rosa" si debba parlare, in quanto simili norme "non sono affatto meccanismi costrittivi ma solo promozionali". Le sue argomentazioni sono chiare. Resterà sempre un mistero, dunque, come la redazione abbia pensato di sostituire il titolo da lei proposto (paura della parità) con "le quote rosa in Parlamento" - in contrasto con il suo stesso contenuto.
E ancor più dispiace che l'autore del pezzo a cui lei fa riferimento replichi (in articolo immediatamente a fianco), liquidando le sue ragioni come stupidaggini - come se il tema della parità fosse degno solo di gag e battute. E per giunta apostrofandola sarcasticamente di "signora" (e sappiamo tutti che chiamare qualcuno - che si esprime sul piano professionale -"signor/signora".. serve a negarne le competenze): in altre parole essere umano di sesso femminile non avente titolo. Forse ignora che Marilisa D'Amico è non solo professore di diritto costituzionale all'Università degli Studi di Milano, ma anche vicepresidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa - o forse non gli interessa. Sul significato di tutto ciò ciascuno tragga le proprie conclusioni. Per chi è interessato a un'informazione precisa ecco il resto dell'articolo:
..(si misurino più attentamente le parole) specie nel richiamare ossessivamente e severamente presunti rischi che correrebbe il merito, facendo spazio alle donne. Su questo giornale un ex-direttore ha utilizzato il suo prestigio (e quello del più autorevole quotidiano nazionale) per dichiarare - letteralmente - che la parità di genere sarebbe "un residuo di democratismo che inquina e rallenta il paese, e che in realtà discrimina, e sarebbe addirittura lesiva delle donne stesse: nell’utopia che si concreta, poi, storicamente, nell’imposizione, dall’alto, di costrizioni che ledono, con la dignità, le elementari libertà di chi vogliono favorire". Ricordo dunque che le obiezioni mosse contro gli emendamenti bocciati alla Camera (bocciatura che per il bene del Paese mi auguro sarà smentita dall'iter successivo) sono le stesse sollevate in varie occasioni davanti al giudice amministrativo, che ha annullato giunte regionali o comunali non rispettose del principio di parità. E confermati dalle più recenti pronunce della Corte Costituzionale la quale in particolare ha ritenuto pienamente rispettosa della Costituzione l’introduzione della doppia preferenza di genere (sentenza 4/2010 della legge elettorale della Campania). E ha affermato come la libertà politica debba rispettare il principio supremo di uguaglianza e il principio di legalità (sentenza 81/2012).
(Marilisa D'amico)
E ancor più dispiace che l'autore del pezzo a cui lei fa riferimento replichi (in articolo immediatamente a fianco), liquidando le sue ragioni come stupidaggini - come se il tema della parità fosse degno solo di gag e battute. E per giunta apostrofandola sarcasticamente di "signora" (e sappiamo tutti che chiamare qualcuno - che si esprime sul piano professionale -"signor/signora".. serve a negarne le competenze): in altre parole essere umano di sesso femminile non avente titolo. Forse ignora che Marilisa D'Amico è non solo professore di diritto costituzionale all'Università degli Studi di Milano, ma anche vicepresidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa - o forse non gli interessa. Sul significato di tutto ciò ciascuno tragga le proprie conclusioni. Per chi è interessato a un'informazione precisa ecco il resto dell'articolo:
..(si misurino più attentamente le parole) specie nel richiamare ossessivamente e severamente presunti rischi che correrebbe il merito, facendo spazio alle donne. Su questo giornale un ex-direttore ha utilizzato il suo prestigio (e quello del più autorevole quotidiano nazionale) per dichiarare - letteralmente - che la parità di genere sarebbe "un residuo di democratismo che inquina e rallenta il paese, e che in realtà discrimina, e sarebbe addirittura lesiva delle donne stesse: nell’utopia che si concreta, poi, storicamente, nell’imposizione, dall’alto, di costrizioni che ledono, con la dignità, le elementari libertà di chi vogliono favorire". Ricordo dunque che le obiezioni mosse contro gli emendamenti bocciati alla Camera (bocciatura che per il bene del Paese mi auguro sarà smentita dall'iter successivo) sono le stesse sollevate in varie occasioni davanti al giudice amministrativo, che ha annullato giunte regionali o comunali non rispettose del principio di parità. E confermati dalle più recenti pronunce della Corte Costituzionale la quale in particolare ha ritenuto pienamente rispettosa della Costituzione l’introduzione della doppia preferenza di genere (sentenza 4/2010 della legge elettorale della Campania). E ha affermato come la libertà politica debba rispettare il principio supremo di uguaglianza e il principio di legalità (sentenza 81/2012).
Tutte queste decisioni hanno acclarato come simili norme - che è assai scorretto bollare come quote - non siano affatto meccanismi costrittivi ma solo promozionali. Le azioni delle donne per dare compimento agli auspici con cui (ormai 70 anni fa!) Teresa Mattei salutava la nuova Costituzione, sono stati sistematicamente oggetto di attacchi concentrici e feroci, inferti a sproposito in nome del merito e della Costituzione. In oltre 10 anni, tutte le azioni legali per vanificare le giuste istanze delle donne sono state respinte solo in virtù della loro piena legittimità, e grazie al valore e al duro lavoro delle donne impegnate a sostenerle. A questo duro lavoro occorre rendere merito e non ignorare gli esiti dei passi già fatti o fingere che non ci siano mai stati.
Si tratta di una conquista non solo per le donne ma per una democrazia effettiva.(Marilisa D'amico)
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