E’ abbastanza impressionante la molteplicità di giudizi malevoli, quando non addirittura insultanti (e, purtroppo, non pochi commenti volgari) apparsi su media, organi di stampa e network a proposito del 50% di donne nel Governo Renzi.
Si adopera talora un linguaggio che fa concorrenza a quello delle peggiori e più degradate tifoserie calcistiche [storia che si ripete, ndr].
Si adopera talora un linguaggio che fa concorrenza a quello delle peggiori e più degradate tifoserie calcistiche [storia che si ripete, ndr].
Quando va bene, c’è un’inondazione di elementi biografici e di curricola delle donne ministre, ma non degli uomini ministri.
Non mancano tuttavia anche argomentazioni provenienti da fonti che sul tema hanno ragionato, le quali meritano una risposta.
Non mancano tuttavia anche argomentazioni provenienti da fonti che sul tema hanno ragionato, le quali meritano una risposta.
Sono dunque necessarie alcune precisazioni.
L’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria ha ritenuto che le donne, con la loro capacità di iniziativa e di cura, competenza e intelligenza, attenzione e cultura siano un soggetto decisivo per un’azione diretta a salvare l’Italia dal degrado e ad avviarne una rinascita, ma ha constatato che le donne sono quotidianamente colpite nei loro diritti e nelle libertà, che su di esse viene scaricato il costo maggiore della crisi e che si continua a estrometterle dai luoghi delle decisioni.
Per questi motivi l’Accordo persegue l’obiettivo di realizzare la partecipazione paritaria delle donne alla gestione della Cosa Pubblica nei luoghi decisionali, nelle istituzioni pubbliche e nelle assemblee elettive di tutti i livelli.
La richiesta di modificare la proposta di legge elettorale denominata Italicum (a prescindere dal giudizio che le singole associazioni hanno espresso in merito a tale sistema elettorale) non è finalizzata a “conquistare qualche posto in più per le donne”. La richiesta è parte dell’azione diretta a combattere la discriminazione fondata sul sesso, perché la democrazia non è compiuta, anzi non é una vera democrazia, se non è paritaria e non escludente.
E da una democrazia paritaria siamo ben lontani. Basti pensare ai recenti risultati delle elezioni in Basilicata oppure al fatto che in Sardegna una legge elettorale intrinsecamente antidemocratica ha ridotto il numero delle presenze femminili nell’assemblea regionale, escludendo persino una donna, nota scrittrice, che aveva raccolto il 10% dei consensi.
Sotto questo profilo un Consiglio dei Ministri composto per metà di ministre donne è un segnale per il paese. Questa constatazione non significa un giudizio positivo sul Governo Renzi né sulla qualità delle singole donne chiamate a farne parte: ogni associazione, movimento o rete femminile aderente all’Accordo ha in proposito la propria opinione e si tratta sicuramente di opinioni diverse e talora opposte.
Purtroppo, a offuscare la novità del 50 e 50 sono giunte le nomine dei viceministri e sottosegretari in prevalenza maschi. Il Governo così nell’insieme ha solo il 27% di donne. Poche le discussioni su come sono vestiti gli uomini e sulla loro competenza, tante le preoccupazioni in noi! [e sulle donne, ndr].
L’Accordo di azione comune per la democrazia paritaria è consapevole che non tutte le donne sono migliori degli uomini: ci sono donne capaci e donne inette, donne dedite al bene comune e donne che pensano solo alla carriera, donne che si considerano rappresentanti di altre donne e donne che si omologano ai modelli maschili, donne generose e donne avide e autoreferenziali. E non si può escludere che anche fra le donne che ricoprono cariche istituzionali esistano queste diverse tipologie. Ma questo non significa che, invece, tutti gli uomini siano capaci e disinteressati.
L’Accordo perciò ritiene inaccettabile che si faccia l’esame del sangue soltanto alle ministre donne, e si chiede perché non si faccia altrettanto per i ministri uomini. E’ sconcertante che ci si sbracci a cercare “il pelo nell’uovo” soltanto quando a occupare un posto di responsabilità è una donna. Non può non ingenerarsi il sospetto che gli uomini facciano blocco contro il pericolo della concorrenza, che cioè l’apertura di spazi alle donne appaia loro incompatibile con l’esercizio del loro potere e con la tensione alla sua conservazione
Vogliamo discuterne?
Per Noi Rete Donne, da Daniela Carlà, Marisa Rodano e Roberta Morroni
Alle associazioni e ai gruppi aderenti all’Accordo, Roma, 1 marzo 2014
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