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martedì 3 febbraio 2015

Le due presidenti che hanno guidato i grandi elettori per l'elezione del nuovo presidente della Repubblica: in un'intervista doppia

di Luisa Betti 
Per la prima volta nella storia d'Italia abbiamo avuto due donne alla guida degli oltre mille grandi elettori chiamati a eleggere il Presidente della Repubblica. In un'intervista parallela rispondono qui alle domande su come andare verso un paese che sia (anche) per donne.
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Il Paese che vorrei

Immagino un Paese dove il potere femminile sia vissuto come una cosa normale

Come dovrebbe essere l’Italia per diventare un Paese per donne? La domanda è posta a bruciapelo a quelle che ricoprono ruoli istituzionali e a chi, con le proprie decisioni, può determinare la vita di altre persone. Una sorta di brainstorming al femminile che parte dalla fine: l’immagine di un luogo dove una donna possa vivere a proprio agio. Una specie di sfida per le italiane che quest’anno, si sono ritrovate al 71esimo posto, su 136 Paesi, in materia di pari opportunità con gli uomini (Global Gender Gap Report del World Economic Forum di Ginevra). Un’inchiesta con interviste doppie che questa settimana mette a confronto due donne con cariche istituzionali: Laura Boldrini, presidente della Camera dei deputati, terza donna che nella Repubblica italiana ricopre questa alta carica dello stato, e Valeria Fedeli, vicepresidente vicaria al Senato [e poi Presidente del Senato dal 14 gennaio 2015 per tutta la durata della supplenza in cui Pietro Grasso è stato chiamato a svolgere il ruolo temporaneo di Presidente Supplente della Repubblica Italiana, ndr]. Due donne che, in maniera diversa ma affine, tentano di mettere in atto un cambiamento attraverso un’ottica di genere a partire dai loro ruoli istituzionali: nel linguaggio, nella cultura, in quello che propongono, ma soprattutto nel modo in cui esercitare un potere storicamente maschile.
Partiamo da un’immagine. Come dovrebbe essere l’Italia per diventare un Paese per donne?
Dovrebbe cambiare la cultura, sia per le donne che per gli uomini, con un’equa rappresentanza nei luoghi decisionali a partire dalle istituzioni stesse. Senza questo, il cambiamento non può avvenire. È un fatto di democrazia. Le donne possono davvero cambiare le carte in tavola ma devono poter decidere.
Come dovrebbe essere l’Italia? Intanto potrebbe essere un Paese diverso se tutte noi ci impegnassimo fin da bambine a non cedere alle pressioni e a esigere dai nostri fratelli pari suddivisioni di oneri in famiglia. Sono la prima di 5 figli e da piccola con mia sorella avevamo stabilito un punto: se aiutavano i fratelli, lo facevamo anche noi, altrimenti no. Oggi i miei fratelli sono uomini che a casa si danno da fare senza risparmiarsi.
Una ripartizione equa senza la quale forse è inutile parlare di pari opportunità?
Se c’è’ una ragazza più preparata di un ragazzo ma non viene scelta perché un giorno potrebbe decidere di fare un figlio, significa che non è cambiato nulla. Le donne che lavorano possono rimuovere gli ostacoli all’autodeterminazione delle altre donne, e questo fa bene a tutti. Vi ricordate il pane e le rose? Il pane è il salario e le rose sono le relazioni, cioè gli altri, la capacità di relazionarsi nell’idea che io sto bene se stanno bene gli altri. Tutelare il bene comune e costruire un futuro migliore è un valore per le donne ma fa bene anche agli uomini.
La divisione degli oneri non dovrebbe rappresentare un’eccezione, è essenziale ed è il punto di partenza, così come il pieno rispetto dei generi all’interno di una classe di scuola e di un nucleo familiare. Con questi presupposti di base gli uomini saranno naturalmente pronti a farsi carico di quello che ancora adesso viene attribuito alle donne come naturale e scontato. Una riflessione che deve partire dalle donne stesse. Noi non pensiamo mai quanto pesa la nostra carriera su altre donne, su nonne, baby sitter, tate, mentre il problema centrale rimane un welfare che non c’è.
Un welfare che in Italia non è mai stato un granché e che con la crisi sta per sparire.
Per fare un esempio, nel Nord Europa non esistono le badanti, e se accettiamo l’idea che solo poche donne possono andare avanti lasciando dietro tutte le altre, noi non saremo mai veramente emancipate. Perché solo quando tutte le donne potranno accedere a tutti i diritti, allora si potrà parlare di un reale avanzamento. Un paese per donne è un welfare che possa permettere a uomini e donne di fare lo stesso percorso senza eccezioni.
La scuola è un ambito su cui intervenire?
I punti sono tre: la famiglia, come dicevo, la scuola e i media. È fondamentale anche un sistema mediatico che valorizzi le donne senza insistere in maniera così pressante sugli stereotipi, che sono una gabbia mortale sia per noi che per gli uomini. La liberazione dagli stereotipi, è una liberazione per tutti. Ci si sente più autentici.
Proverei a immettere il benessere soggettivo nel discorso che stiamo facendo, sia per un uomo che per una donna. Liberarsi dagli stereotipi significa averne consapevolezza, vuol dire conoscere per poter cambiare attraverso un concetto di autonomia e di sostenibilità globale senza discriminazione. E per fare questo si deve partire per forza da un’istruzione che tenga conto del rispetto dei generi.
Partiamo da cose concrete: qual è la prima cosa da fare?
La prima cosa, secondo me, sono i testi scolastici e i programmi, che vanno cambiati dalle elementari introducendo conoscenze che tengano contro dei generi. Ma introdurrei anche la formazione per gli insegnanti fatta in termini professionali. Non è facile ma è la prima cosa.
Per me è fondamentale dare eco nel dibattito pubblico, con un approfondimento che riporti all’attenzione nodi come la discriminazione sul lavoro fino al femminicidio. Chi ha incarichi istituzionali ha il dovere di portarlo avanti, dando voce alle donne: dalle sindache minacciate dalla ‘ndrangheta alle giovani che non trovano lavoro. Ma deve essere fatto dando segnali chiari. Immettere nel dibattito pubblico una questione non risolta ma solo sopita in questi anni in Italia, significa rimetterla all’ordine del giorno anche quando non è prevista. Come si è fatto con la ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, su cui ora stiamo stimolando gli altri Paesi per arrivare a 10 ratifiche e renderla così vincolante. Questioni che in generale sono scottanti, date le reazioni che suscitano.
Avere il coraggio di squarciare il velo a qualunque costo?
Sì, squarciare il velo è importante a costo di essere attaccate. La Convenzione di Istanbul la più straordinaria piattaforma sugli stereotipi che abbiamo perché contiene indicazioni su che fare a partire dalla prevenzione e con interventi a 360 gradi, compresi scuola e media. A questo aggiungerei che la presidenza della Camera amplifica costantemente con i suoi interventi, tutto il lavoro delle altre in positivo, anche di quella percentuale di donne in parlamento che incarnano una cultura differente.
È un rapporto difficile quello delle donne con il potere?
In questo Paese il rapporto tra donne e potere è variegato, com’è normale che sia. Quello che mi piacerebbe vedere, però, è la fine della sottomissione al capo gruppo maschio e l’esercizio di un pensiero autonomo delle donne. Sono molto rammaricata, per esempio, che nella corsa alla leadership del mio partito ci siano solo gli uomini. Appena fatta la direzione del Pd, io e poche altre abbiamo fatto un appello alle donne per candidarsi, ma se non hai una forte rete, non ci riesci. Le donne dovrebbero farsi delle domande su quanto sia importante essere sostenute e sostenere.
Le donne, spesso, non si avvicinano al potere non solo perché non hanno sostegno ma anche perché non hanno abbastanza autostima. Quindi attuano un’autocensura a priori. Fatti i necessari distinguo, diciamo che generalmente non osano ambire a ruoli di potere perché lo ritengono un terreno riservato agli uomini. E se s’incamera un diritto come fosse una concessione, non ci siamo. Per accedere a ruoli decisionali, le donne devono essere in grado di percepirlo come normale, e non c’è dubbio che quando questo avviene, e cioè quando vi è accesso di donne consapevoli a ruoli apicali, queste donne rischiano di più ma possono essere efficaci nel cambiamento. La mia esperienza nelle crisi umanitarie, ad esempio, mi ha insegnato che quando gli aiuti vengono dati alle donne arrivano al nucleo familiare a vantaggio di un certo numero di vite, mentre se vengono distribuiti al capo comunità, spesso si disperdono perché vengono utilizzati per altri scopi.
Le donne sono più capaci nelle situazioni di crisi, se hanno un potere decisionale autonomo dagli uomini?
In situazioni di crisi le donne dovrebbero avere una posizione predominate, dovrebbero essere coinvolte nelle trattative. Tenerle fuori dai tavoli decisionali è controproducente, poiché le donne sono spesso le prime a essere colpite sia in un conflitto che in una crisi economica, quindi sanno meglio di cosa c’è bisogno, sanno cosa fare e come farlo. È necessario valorizzare questi aspetti, se si vogliono trovare le soluzioni.
Cosa significa ricoprire un’alta carica dello stato per una donna?
Come in tutti gli ambiti è più dura e non si fanno sconti. Qualsiasi svista viene considerato un errore e il terreno a volte sembra minato. Per quanto mi riguarda, come nel mio precedente lavoro, lo porto avanti con impegno e non mi risparmio. Entro alle 9 e non esco mai prima delle 10 di sera, e il week end sono sempre fuori, a contatto con la gente, dove mi chiamano, e spesso, quando rientro, mi ritrovo lettere infilate nella borsa, tutte con richieste d’aiuto. Nei primi sei mesi da presidente della Camera sono arrivate 35 mila email. E siccome voglio che tutti abbiano ascolto, rispondiamo sempre, perché ognuno merita una risposta. Io svolgo questo ruolo dando peso alle istanze delle persone.
È un modo “femminile” di esercitare il potere o la ricerca di una strada diversa?
Non saprei, posso solo dire che a me non interessano posizionamenti, privilegi. Ritengo piuttosto che la politica debba essere più umile, più a contatto e al servizio della gente, e deve saper chiedere scusa, perché è con umiltà che si rinsalda il patto tra istituzioni e cittadini, e bisogna essere capaci di farlo, ora. So che questa è una strada in salita ma so anche che è necessario percorrerla. Le donne mi dicono: lei ci rida dignità, e io non posso deludere.
Farsi chiamare la presidente, insistere sui cambiamenti, avere una forte determinazione a non fare mai un passo indietro rispetto a se stesse, è aprire una nuova strada anche nella gestione del potere. Lo dico sempre, io sono una femminista e su questo non faccio passi indietro, qualsiasi sia la mia posizione. Nelle iniziative che prendo, prediligo sempre il rapporto con le donne e per me fare rete a livello istituzionale significa già essere protagonista del cambiamento.
Proposte?
Per scardinare bisogna partire dalle donne oggi presenti nelle istituzioni, con incarichi di responsabilità e incarichi sociali. Queste donne devono rappresentare una parte della nuova classe dirigente in tutti gli ambienti. Se fossimo nella condizione di unirci per un cambiamento reale, potremmo attuare una vera trasformazione.
Il punto è: avere potere significa avere la meglio nelle correnti di partito e sugli assetti, o piuttosto entrare in sintonia con la società, in empatia con la gente? Non si tratta di essere ingenui, ma di capire che il cinismo ammazza tutto: il giornalismo, la politica, tutto. È una grande malattia del nostro tempo. E non basta essere donna per avere questa visione. Non tutte le donne, ovviamente, hanno la stessa sensibilità e gli stessi obiettivi.
Immagino un Paese dove il potere femminile sia vissuto come una cosa normale 
(da La 27esimaora – Corriere.it )

domenica 19 ottobre 2014

Cento anni di guerre bastano: oggi la Perugia-Assisi per la Pace

Siete mai stati a una marcia della pace da Perugia-Assisi?
se non l'avete mai fatto andateci: è un'esperienza di pace, letteralmente, che scende nel profondo; qualcosa di connesso con lo spirito reale delle persone che partecipano, un flusso ininterrotto, fra strade e campi, che snoda un respiro unico, caldo e amichevole - un respiro di pace. 


Tantissimi giovani, ma anche persone di ogni età; tante istituzioni locali: quest'anno presenti 525 città, 275 tra Comuni e Regioni, molte centinaia di associazioni, e anche la presidente della camera, Laura Boldrini. Che si mette a disposizione per «una task force istituzionale». Ma qualcosa non c'è, benché continuamente sollecitato e ansiosamente atteso: un segnale del Governo per dare un taglio alle armi

giovedì 3 ottobre 2013

A Lampedusa tragedia delle tragedie. Vicine a tutti i migranti e alla sindaca Giusi Nicolini

Ennesima, immane tragedia a Lampedusa, figlia dell'assenza di qualunque piano nazionale e internazionale volto alla prevenzione, all'accoglienza e all'integrazione e di un ventennio italiano di colpevoli politiche della paura e della repressione. Vergogna. Vergogna italiana e internazionale.
La sindaca Giusi Nicolini, in lacrime chiede: "basta! ma cosa aspettiamo? cosa aspettiamo oltre tutto questo? è un orrore continuo, le dimensioni ancora non le conosciamo. Se è vero che sul barcone erano 500, e in salvo sul molo ce ne sono solo 170, è davvero un orrore".
Orrore nell'orrore, coloro che da 20 anni "affrontano" il problema immigrazione con leggi poliziesche e lager, coloro che hanno voluto la famigerata legge Bossi-Fini, quelli che non hanno saputo fare altro che seminare paura e creare sacche di violenza e alienazione, oggi si scagliano sulle ultime arrivate: "Tutta la colpa è della politica buonista della coppia Boldrini-Kienge", osa affermare Gianluca Pini, il capogruppo della Lega a Montecitorio.

lunedì 30 settembre 2013

Il dono innato della Boldrini. Si, ma quale?

Ci sono donne che hanno pensato bene di attaccare la presidente della Camera in difesa del loro diritto a essere sguattere felici. Bene, siamo anche noi felici per loro, senza offesa. Perché chi scrive, se posso fare una nota personale, adora servire chicchessia (a maggior ragione marito e figli, soprattutto perché nessuno dà il fatto per scontato). 
Ma questo non significa che tale modello debba essere apprezzato e tantomeno imposto di default a tutte le donne. Perciò, sulla falsariga di quella lettera (che dispiace molto vedere sbandierata come un trofeo di cui vantarsi nel sito di Beppe Grillo) abbiamo scritto qualcosa anche noi, alla Presidente. Certo quella signora aveva il diritto di scrivere la sua; e noi sentiamo il dovere di dire che, da donne, abbiamo un altro punto di vista. Eccolo:

sabato 16 marzo 2013

Laura Boldrini, una vittoria di tutte. Auguri Presidente!

Auguri Presidente! L'elezioni di Laura Boldrini alla Presidenza della Camera non è solo il riconoscimento delle sue capacità e del lavoro che sinora ha svolto come portavoce dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, ma è una vittoria e un riconoscimento per tutte le donne, ancora oggi poco valorizzate nelle istituzioni e nella vita politica del Paese. 
Ci auguriamo che la sua elezione segni una svolta e che altre donne vengano chiamate a dare il loro contributo alla guida delle istituzioni politiche e sociali del Paese.
Laura Boldrini, 51 anni, già funzionario e portavoce dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, è la terza donna a ricoprire la carica dopo Nilde Iotti e Irene Pivetti. Boldrini è stata eletta a Montecitorio nelle file di Sel. Ha dichiarato di essersi candidata perché «indignata dalla politica come tanta altra gente in Italia» e perché «non ci si può limitare a lamentarsi».
Dall'edizione online de L'Unità, riportiamo il suo intervento di ringraziamento subito dopo l'elezione. Parole nuove, importanti che segnalano preziose novità per tutte e per tutti.
«Vorrei innanzitutto indirizzare il mio saluto rispettoso al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano». 
«Faccio i miei auguri soprattutto ai più giovani: a chi siede per la prima volta in quest'aula. Sono sicura che insieme riusciremo nell'impegno straordinario di rappresentare nel migliore dei modi le istituzioni repubblicane». 
Arrivo a questo incarico dopo aver trascorso tanti anni a difendere e rappresentare i duiritti degli ultimi in Italia e nel mondo. E' un'esperienza che mi accompagnerà sempre e che metto al servizio di questa Camera». 
«Il mio pensiero va a chi ha perduto certezze e speranze. Abbiamo l'obbligo di fare unabattaglia vera contro la povertà, e non contro i poveri: dobbiamo garantirli uno a uno. Quest'Aula dovrà ascoltare la sofferenza sociale. Dovremo farci carico dell'umiliazione delle donne uccise da violenza travestita da amore. Dovremo stare accanto ai detenuti che vicono in condizioni disumane e degradanti. Dovremo dare strumenti a chi ha perso il lavoro o non lo ha mai trovato, a chi rischia di perdere la Cig, ai cosiddetti esodati, che nessuno di noi ha dimenticato. Ai tanti imprenditori che costituiscono una risorsa essenziale per l'economia italiana e che oggi sono schiacciati dal peso della crisi, alle vittime del terremoto e a chi subisce gli effetti della scarsa cura del nostro territorio». 
«In Parlamento sono stati scritti dei diritti costruiti fuori da qui e che hanno liberato l'Italia e gli italiani dal fascismo. Ricordiamo il sacrificio di chi è morto per le istituzioni e dei morti per la mafia, che oggi vengono ricordati a Firenze». 
«Molto dobbiamo anche al sacrificio di Aldo Moro e della sua scorta. Scrolliamoci di dosso ogni indugio, nel dare piena dignità alla nostra istituzione che sta per riprendere la centralità del suo ruolo». 
«Facciamo di questa Camera la casa della buona politica. Il nostro lavoro sarà trasparente, anche in una scelta di sobrietà che dobbiamo agli italiani». 
«Sarò, la presidente di tutti, a partire da chi non mi ha votato, ruolo di garanzia per ciascuno di voi e per tutto il Paese». 
«L'Italia è Paese fondatore dell'Unione europea, dobbiamo lavorare nel solco del cammino tracciato da Altiero Spinelli. Lavoriamo perché l'Europa torni ad essere un grande sogno, un luogo della libertà, della fraternità e della pace. Anche i protagonisti della vita religiosa ci spingono a fare di più, per questo abbiamo accolto con gioia i gesti e le parole del nuovo pontefice, venuto emblematicamente "dalla fine del mondo"». 
 «Un saluto anche alle istituzioni internazionali e - permettetemi - anche un pensiero per i molti, troppi volti senza nome che il nostro Mediterraneo custodisce». 
 «La politica deve tornare ad essere una speranza, una passione».