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domenica 26 ottobre 2014

Ebola: noi possiamo agire. Ebola NON si sconfigge con la paura, ma con...

Ebola: come possiamo agire? noi dobbiamo farlo. Prima: per dimensionare il problema, un po' di notizie utili - anzi, necessarie. Premesso che secondo l’ONU restano solo poche settimane per contenere il virus: milioni di persone sono già in pericolo. Premesso che l'umanità è un solo organismo: non possiamo pensare che una simile malattia del sistema non ci riguardi tutti. 
Premesso che è ridicolo illudersi di contenerla ai poveri - anzi: alle donne dei poveri  (queste ultime, sobbarcandosi il lavoro di cura, sono il 75% dei morti *) - e cioè che c'è un solo modo per difendersi: collaborare tutti, e subito, e generosamente, per respingerla.
1. l'OMS avvisava già in settembre che Ebola è un'epidemia senza precedenti 
2. Da pochi casi in soli 3 paesi (e già terrificante) di prima dell'estate, avremo 10.000 nuovi casi a settimana entro dicembre: ma allo stato attuale troveranno solo 4.300 letti per assisterli. Intanto il tasso di mortalità è salito dal 50 al 70%.
3. Entro gennaio 2015 si stima che i contagiati saranno 1 milione e 400mila. Lo stesso scopritore del virus conferma che l'epidemia corre più veloce della capacità di reazione.
4. Del resto, chi dovrebbe agire non fa proprio nulla, o quasi: siamo in mano a inetti (nel migliore dei casi), e salvo eccezioni sembrano tutti assenti. O peggio! Se ci sono per fare allarmismi utili solo a seminare razzismo. E saremmo pazzi a delegare a loro le soluzioni.
Premesso quanto sopra, un'avvertenza: non dobbiamo avere paura. Anche su questo, alcuni argomenti:
1. a Napoleone - personaggio per molti versi esecrabile, va però riconosciuta la dote del coraggio. Quando i suoi soldati, in Egitto, cadevano come le mosche sotto la peste, lui gridava fra i moribondi che il contagio aveva buon gioco perché attecchiva sulla paura: per dimostrarlo li scuoteva, li toccava, non temeva in nessun modo la malattia; e in parte aveva ragione. Niente come la paura agisce sulla dinamica delle cose materializzandone le peggiori conseguenze.
2. Contrariamente a quanto si pensa, però, il contrario della paura non è il "coraggio": ma è l'amore (anche se, nel caso di Napoleone amore della gloria, di una visione folle di conquista). E' l'amore, se ci pensate, che dà la forza e il coraggio di affrontare qualunque rischio e sconfigge qualunque paura. Bene, armiamoci di quello: è così che davvero, e più che in qualunque altro modo, possiamo fare la differenza.
3. Dal dire al fare: che fare? Nella pratica: scrive Avaaz che a pensarci è incredibile, ma la nostra risposta a questo pericolo mortale non solo può salvare delle vite, ma può anche aiutarci a capire cosa siamo e qual’è il nostro ruolo: una comunità globale, che crede nei legami che ci rendono una sola famiglia, e agisce come tale. Gli eroi che si sono offerti volontari tramite Avaaz dimostrano che vale la pena mettere a rischio ogni cosa per salvare ogni singola vita. Vogliamo sostenere questa incredibile umanità, farlo da tutto il mondo, per quanto ognuno di noi può dare, prima che questo spiraglio di speranza si chiuda. Nelle ultime due settimane, migliaia di persone della nostra comunità si sono offerte volontarie per andare in Africa Occidentale e aiutare a contrastare il diffondersi dell’Ebola. È una scelta di incredibile eroismo che testimonia quanto ci sentiamo interdipendenti e membri di un’unica comunità globale
Nel nostro piccolo, senza chiedere a nessun* di partire, chiediamo, anche da qui, che tutte e tutti ci attiviamo contagiandoci l'un l'altro con la solidarietà, attivandoci con la comunicazione e offrendo un piccolo contributo: se solo 50mila di noi donassero 16 € a testa (scrive Avaaz) potremmo prendere 10 ambulanze e 2mila tute protettive. Quante persone si possono salvare, con queste semplici attrezzature? quanti contagi si possono prevenire? 
Queste sono cose basilari, ed è quasi criminale che la comunità internazionale non sia riuscita a procurarne a sufficienza. Consegnandole in tempo a dottori e infermieri locali e internazionali potremmo aumentare notevolmente la possibilità di mettere l’Ebola sotto controllo prima che sia troppo tardi per fermare l’epidemia. I sistemi sanitari di interi paesi sono al collasso. Medici e infermieri locali sono morti cercando di curare i malati senza avere il giusto equipaggiamento. E finora la risposta internazionale è inadeguata: solo alcuni tra i Paesi più ricchi hanno promesso dei medici, e comunque meno dei membri di Avaaz che si sono offerti volontari.  

PARTECIPIAMO. Partecipa. Ecco cosa puoi fare donando anche piccole cifre:
• con 2 €:  comprare sapone per prevenire l’infezione 
• con 23 €: formare un insegnante per istruire sulla prevenzione bambini e famiglie
• con 220 €: fornire un kit di protezione personale per salvaguardare chi assiste i malati
• con 40.000 €: comprare, trasportare e equipaggiare un’ambulanza.
• con 95.000 €: comprare attrezzature e forniture per aprire un centro di cura da 50 letti.
* SI: le donne sono il 75% dei morti. Come aveva osservato per prima Julia Duncan-Cassell (ministra alle Pari opportunità della Liberia) nel 75% dei casi sono le donne ad ammalarsi e a morire. Anche se nel caso delle altre malattie è meno eclatante, è sempre così: ricade sempre sulle loro spalle il lavoro di cura, sono sempre le donne le prime a soccorrere i mariti, i figli, gli anziani che si ammalano. Sono loro che lavano, medicano, imboccano; loro che portano in ospedale i più gravi e li assistono anche lì. Sono ancora loro a raccogliere, a lavare le salme e a prepararle per le sepolture. Furono donne incinte le prime vittime, già nel 1976, quando il virus fu "scoperto" per la prima volta a Yambuku, in Congo - e da allora ha covato diversi focolai, ma non se ne è occupato nessuno: e a chi poteva interessare? erano solo negri, donne, poveri; donne dei poveri. Bene, facciamocene una ragione: ora non è più così. Maschi o femmine, bianchi o neri, occidentali o no: siamo tutti coinvolti. 

E condannati ad amarci. O a farci danno l'un l'altro tutto il tempo, come imbecilli.

venerdì 22 agosto 2014

Tragedia Ebola: un problema che riguarda tutti, per affrontarlo partiamo da noi

Cosa succede al mondo? ad alzare lo sguardo oltre i confini della nostra penisola pare veramente di essere entrati in un circolo vizioso para-apocalittico. 
Dall’Ucraina al Medio Oriente, dall’Africa subequatoriale a quella occidentale si assiste ad una disperazione infinita causata dall’uomo all'uomo, come nel caso delle incredibili, atroci guerre alimentate dai fanatismi dell'ISIS. Mentre Hamas e Israele, per citare solo alcuni dei pessimi interpreti di questa tragedia quotidiana, o gli ex connazionali in guerra in Ucraina alimentano un bollettino di morte che non accenna a finire. A questo tumulto civile si aggiunge l’epidemia di ebola: si contano già oltre 1.350 morti in Liberia, Guinea, Sierra Leone, ed ora anche in Nigeria, è un incubo che si estende sfiancando i volontari che si prestano da decenni a rendere meno impossibili le vite di quei martoriati popoli. 
Può sembrare quasi una speculazione intellettuale - o azzardata - mettere in relazione questi diversi mali estremi del mondo, ma non lo è se si considera come  il mondo oggi sia, non solo un organismo naturale unico (come lo è qualunque ecosistema), ma anche un sistema integrato di stati sempre più fortemente interconnessi tra loro, dai confini sempre più labili.
Non a caso la prima reazione al virus di ebola è stata la chiusura delle frontiere e l’aumento dei controlli del traffico aereo di merci e persone. Scelta sacrosanta e doverosa, per non estendere l’epidemia ad altri paesi oltre a quelli già contagiati. Ciò però non può bastare a risolvere il problema. Fin da subito, anche se in maniera discontinua, USA, UE e Cina si sono attivati per portare soccorso ai paesi colpiti (tra i quali, non dimentichiamo, la Nigeria rappresenta forse la più importante economia africana assieme al Sud Africa), ma, nei fatti, in loco sono rimaste solo le ONG come il CUAMM (Medici con l'Africa, che ha attivato una raccolta fondi) e MSF. Nei giorni scorsi l’OMS ha ammesso che l’epidemia è stata sottovalutata  - basti vedere quanto si è aggravata la situazione in un solo mese; questo grafico è del 23 luglio:
- e che servono maggiori attenzioni, partendo dalla necessità di aumentare il personale preparato. Serve un impegno diretto dei sistemi sanitari occidentali, com’è già successo in passato per malattie che falcidiavano le popolazioni del terzo mondo e rappresentavano un rilevante pericolo per quelle dei paesi sviluppati.
Non è solo una questione di umanitaria misericordia, dunque, ma sta anche nell’interesse egoistico di ciascuno di noi che questo male sia debellato. E’ notizia di ieri che il dottor Kent Brantly, contagiato dal virus mentre era in missione in Liberia, sia stato dimesso dall’ospedale di Atlanta, pare grazie al siero sperimentale ZMapp, così come si sono visti grandi progressi sull’infermiera Nancy Writebol. La notizia è eccezionale, perché per la prima volta mette in dubbio che il virus non sia curabile. Ma, anche se la casa farmaceutica dichiara di aver fornito ai paesi africani le sue scorte gratuitamente, aggiunge di non essere pronta a produrre il siero su larga scala. E allora, qui e ora devono intervenire i governi occidentali, finanziando la conclusione della ricerca e garantendo che il siero sia celermente riproducibile su base industriale. Costa? certo, intervenire ha sempre un costo; ma, se dobbiamo fare domande ciniche, forse è bene chiedersi anche che costi ha l'epidemia, e dove ci porterebbe continuare a sottostimare il problema.


Più in generale, va ripensato l’intero ordine mondiale. La situazione di così grave squilibrio, in un mondo divenuto così piccolo per cui ogni accadimento, anche lieve, può incidere ovunque sul pianeta, necessita una profonda revisione della politica estera e internazionale. E' ora di finirla di sedersi sull'assioma che i (pochi) Paesi ricchi possano utilizzare la maggior parte delle risorse dei (molti) paesi poveri, spesso alimentandone le crudeli dittature, chiudendo gli occhi di fronte a evidenti ingiustizie per ragioni di immediato interesse politico e/o di sfruttamento economico: tutto ciò non solo non è più tollerabile dal punto di vista morale, ma neppure più sostenibile, lo ripeto, nello stesso interesse di chi di questo squilibrio ha sempre approfittato. Questa disomogeneità costringe i paesi occidentali a costosi interventi militari, spesso forieri di guai peggiori, o altrettanto costosi sforzi umanitari: missioni di ogni genere, sempre provvisorie, mai risolutive. 
Serve un nuovo piano di sviluppo per tutto il pianeta,  su nuovi paradigmi economici e culturali, a vantaggio di uno sviluppo sostenibile non solo a parole, a sua volta perseguibile solo con la riduzione delle diseguaglianze. Possiamo cominciare dal rivedere questo nostro modo di intendere la soluzione dei problemi restringendo il campo, fino a ridurlo a quello del nostro giardino. Solo così potremo allargare  quella visione provinciale che troppe volte fa del nostro Paese uno stato piccolo piccolo. 
Laura Puppato