di Luisa Betti • Dopo diversi rinvii e incertezze, è stato presentato oggi a Roma il Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (come previsto dall’articolo 5 della legge 119 che nel suo interno conteneva norme per il contrasto alla violenza contro le donne).
Un momento atteso per un Piano che è passato di mano in mano e che ha avuto traversie ben prima della sua nascita, con le dimissioni della ex ministra Josefa Idem che fu costretta a passare, suo malgrado, le redini delle Pari opportunità alla viceministra del lavoro, Cecilia Guerra, durante il governo Letta, fino ad arrivare all’attuale Giovanna Martelli, consigliera di pari opportunità del presidente del consiglio, Renzi. Un Piano straordinario che ha avuto nella sua incubazione un lungo momento di confronto in un tavolo interministeriale, e precisamente quello che Idem aveva ideato come task force ad hoc sulla violenza contro le donne e che doveva essere, nelle sue intenzioni, un tavolo istituzionale affiancato da un altro tavolo in cui si sarebbero sedute le associazioni che da tempo lavorano in Italia sul fenomeno. Un confronto che la viceministra Guerra ha abilmente assottigliato, non solo togliendo di mezzo il tavolo della società civile ma decidendo di invitare a quello interministeriale soltanto alcune associazioni del vasto panorama italiano, e precisamente quelle che oggi hanno firmato dichiarazioni congiunte contro l’attuale Piano varato da Giovanna Martelli: un comunicato critico che nasce dal fatto che alla fine neanche quelle associazioni che sono state invitate al tavolo interministeriale, sono state prese in seria considerazione nella stesura del Piano antiviolenza.
DiRe, Telefono Rosa, Udi, Pangea e Maschile Plurale – questi i gruppi che hanno partecipato al tavolo istituzionale – lamentano oggi che “il ruolo dei centri antiviolenza risulta depotenziato in tutte le azioni del piano e vengono considerati alla stregua di qualsiasi altro soggetto del privato sociale senza alcun ruolo se non quello di meri esecutori di un servizio”, che “la distribuzione delle risorse viene frammentata senza una regia organica e competente e che quindi, non avrà una ricaduta sul reale sostegno dei percorsi di autonomia delle donne”, e infine che “il sistema di governance delineato nel Piano implica e non garantisce il buon funzionamento di tutto il sistema nazionale e pone inoltre problemi giuridici di coordinamento a livello locale”, vanificando “il funzionamento delle reti territoriali già esistenti indispensabili per una adeguata protezione e sostegno alle donne”.