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lunedì 22 agosto 2016

Femminicidio: dati e analisi per un cambiamento

Grazie all’Università Niccolò Cusano per aver realizzato un'utile infografica , dal titoloStop alla violenza contro le donne. Dati e analisi per un cambiamento. Cliccando sull'immagine che segue la potrete consultare nella sua interezza.

Femminicidio: tutti i numeri nell’infografica di Unicusano


L'infografica, che raccoglie dati e analisi su femminicidio e violenza contro le donne, è dedicata alle donne che hanno subìto violenza, alle loro storie, e a quelle di tutte le altre il cui ricordo si perde col tempo
L'nalisi di questi dati rivela come, nonostante i casi di violenza sulle donne nel nostro Paese siano diminuiti, il femminicidio resti una delle piaghe più cupe e preoccupanti della società contemporanea, a livello globale. Nel mondo, la percentuale di donne che ha subìto una violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita è pari al 35%; in Italia, il 16% delle donne è stata vittima di episodi di stalking e circa il doppio ha subìto violenza fisica o sessuale. Sono dati allarmanti; ma la realtà rischia di essere ben peggiore: i dati disponibili, infatti, ancora non tengono conto del grande sommerso di cui non si ha contezza perché non denunciato.
Nella seconda parte l’infografica fornisce anche informazioni sui Centri Antiviolenza attualmente presenti nelle varie regioni italiane e consigli utili su come individuare i campanelli d’allarme di un rapporto malsano e potenzialmente pericoloso.

sabato 9 luglio 2016

Assemblea nazionale delle donne in autunno

Aggiornamento: qui > a questo post trovate tutte le informazioni; le date 2016: 8 ottobre assemblea nazionale [dalle 10,30 alle 17, all'Università La sapienza di Roma]; 25 Novembre manifestazione nazionale; 27 Novembre: nuova riunione organizzativa.
Donne: i diritti conquistati con lunghe e durissime lotte sono a repentaglio, tutti. Mentre la rappresentazione ufficiale magnifica una presunta raggiunto parità, nei fatti le contraddizioni restano irrisolte; noi donne rischiamo e perdiamo la vita con impressionante frequenza nelle relazioni con uomini violenti, dentro e fuori le nostre case; sperimentiamo la discriminazione nell’accesso e nella permanenza sul mercato del lavoro, l’inferiorità di salari e pensioni, lo scaricabarile sulle nostre spalle del lavoro di cura iniquamente distribuito, non visto, non valorizzato né riconosciuto.


La legge 194 per la maternità consapevole, che garantisce l'autodeterminazione e dà accesso all’aborto libero, gratuito e sicuro, è disattesa, svuotata, trasgredita in quasi tutto il nostro paese. La legge che punisce la violenza sessuale come grave reato contro la persona è ancora troppe volte calpestata nei commissariati e nei tribunali mettendo sotto accusa le donne al posto di assassini e stupratori. Le nuove leggi - vedi il cosiddetto decreto "antifemminicidio" - strumentalizzano le donne e basta.
Nella consapevolezza generale ancora non emerge la coscienza che la violenza maschile - quella espressa dall’uomo qualunque che sfrutta, picchia, perseguita, stupra, uccide - sia un dato strutturale e pervasivo della società, dunque non il frutto "della follia" ma di un sistema
La rappresentazione della violenza affidata agli esperti - criminologi, avvocati, psicoterapeuti - assicura una lettura opposta e neutra, che prescinde dall’analisi femminista, che sostiene il metodo dei Centri antiviolenza nati dall'esperienza e dal movimento delle donne.
Siamo davanti a un tentativo di svalutazione della storia, delle esperienze e delle pratiche del femminismo. Non per caso i Centri sono sempre più in difficoltà, e chiudono in molte città. L’intento, diventato palese con la pubblicazione del (cosiddetto) Piano Nazionale Antiviolenza, ora si concretizza con l’azzeramento delle condizioni di sostenibilità. Le misure di questo Governo, così come dei precedenti, contro la violenza - al di là della occasionale, temporanea, estemporanea indignazione per i femminicidi - sono frammentate, scarsamente finanziate e improntate a emergenza, sicurezza, ordine pubblico. In alternativa a questo si mira ad istituzionalizzare i Centri antiviolenza, svuotandoli di senso, azzerandone metodo specifico e dimensione politica.
La complessità, l’ampiezza e la gravità della violenza esercitata sulle donne sono tali da mettere in discussione e violare i fondamenti stessi della cittadinanza e dei diritti umani. Mentre lottiamo per noi stesse sappiamo bene che il fronte è grande quanto il mondo: e con immenso dolore e indignazione vediamo le nostre sorelle, donne come noi, con figli come i nostri, affogare nel Mediterraneo cercando scampo dalla violenza: guerre, dittature, fondamentalismi e terrorismo. Quelle che arrivano vive, sovente, sono già sopravvissute a prigione, torture, stupri, schiavitù sessuale, abusi di ogni genere. Nell’ipotesi migliore, invece di case tranquille e di cure, trovano centri di "accoglienza" e di transito; invece di incontrare l’azione sapiente e familiare di altre donne, che saprebbero come sostenerle, si scontrano con controlli e polizia.
Per questo, per tutto questo, è il momento per ascoltare le nostre diverse anime e riconoscerle come una ricchezza, con cui costruire un nuovo modo di stare al mondo creando e rafforzando alleanze, conquistando nuovi spazi pubblici e politici.



Per questo invitiamo tutte ad accogliere l'invito a un incontro nazionale a Roma in autunno: una assemblea di tutte le donne – di tutte quante vogliano cambiare per creare condizioni di vita diverse e approcci che rispettino il vivere insieme – nella quale darci nuove prospettive, intervenire sulla scena politica e culturale, nella consapevolezza che siamo noi donne il “soggetto imprevisto” della storia.



Consapevoli che, con la propria competenza ed esperienza, e solo in quanto guidate da un pensiero altro - altro dall'arroganza millenaria e guerrafondaia del potere maschile, solo le donne possono - potrebbero! rigenerare e cambiare radicalmente l’intera struttura delle sfere di potere democratico.





venerdì 11 dicembre 2015

Violenza contro le donne: perché i Centri Antiviolenza bocciano l'emendamento Giuliani sui codici rosa

Da giorni i centri antiviolenza italiani stanno contestando l'emendamento Giuliani alla legge di Stabilità che vorrebbe introdurre il cosiddetto Codice Rosa in ogni ospedale italiano. E' stato anche lanciato un appello firmato da D.i.Re,  Udi, LeNove, Ferite a morte, Casa Internazionale delle Donne, Telefono Rosa, Fondazione Pangea, e Be Free per chiedere il ritiro delle firme dei deputati e delle deputate all'emendamento. 
Il Codice Rosa è un percorso attivato nel 2010 all'Ausl di Grosseto, eppoi esteso nel 2014 in tutta la Toscana, che prevede percorsi rigidi nel caso una donna si rivolga al pronto soccorso a causa delle violenze. L'emendamento prevede "l'istituzione di un Gruppo interdisciplinare coordinato tra le procure della Repubblica, le regioni e le Aziende Sanitarie locali (ASL) finalizzato a fornire assistenza giudiziaria e sanitaria riguardo ad ogni aspetto legato alla violenza o all'abuso" e  anche "l'istituzione di un Coordinamento di Gruppi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con il Ministro della Giustizia, il Ministro dell'Interno e il Ministro della Salute". In parte è fuffa perché ci sono già leggi che prevedono la procedibilità d'ufficio rispetto a determinati reati e in parte è pericoloso perché espone le donne a rischi. L'emendamento punta a rafforzare l'azione penale in tutto il Paese senza preoccuparsi che ci siano  in ogni territorio dove verrà applicato, luoghi idonei  che  possano accogliere le donne con i loro figli, come le  Case Rifugio. L'emendamento non si preoccupa nemmeno che  esistano reti collaudate tra centri antiviolenza e istituzioni che agevolino i difficili percorsi di uscita dalla violenza e che sostengano le donne per il tempo necessario a costruire una autonomia economica o ad individuare altre risorse. 
La denuncia penale, si stenta a capirlo, non è lo strumento principe con il quale affrontare il problema della violenza e da solo non mette al sicuro le donne. Le associazioni che hanno lanciato l'appello contestano fra l'altro un testo che ritiene le donne vittime di violenza: appartenenti a fasce di soggetti vulnerabili che possono facilmente essere psicologicamente dipendenti e per questo vittime dell'altrui violenza". Sparisce completamente una lettura di genere del fenomeno della violenza maschile anche in violazione di quanto dice la Convenzione di Istanbul. Non è certo la dipendenza affettiva delle donne, ammesso che in ogni caso di violenza ci sia davvero  quel problema,  a commettere stupri, stalking e femminicidi ma la violenza maschile. Quando il governo ci stupirà positivamente occupandosi di sostegno all'autonomia economica delle donne e del rispetto delle direttive europee che vorrebbero 5700 posti letto per le vittime di violenza invece delle attuali 500? E quando finalmente si lanceranno programmi nelle scuole, nei licei, nelle università per occuparsi della prevenzione della violenza?
@nadiesdaa

venerdì 19 dicembre 2014

Un'avvocata risponde, per i Centri antiviolenza emiliano-romagnoli, all'intervista diffamatoria pubblicata dal quotidiano Qq - qelsi

Attacchi infondati e sommari ai Centi antiviolenza. 
Ricevo e pubblico questa lettera dell'avv. Susanna Zaccaria del Foro di Bologna, chiedendo di aiutare a diffonderla sul web
Scrivo la presente a nome e per conto del Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna e della Casa delle donne per non subire violenza Onlus di Bologna - che rappresento. Dopo aver preso visione dei contenuti apparsi sul quotidano on line qelsi il 10 dicembre scorso dal titolo Vi racconto il buisness delle associazioni antiviolenza, preme fornire le seguenti precisazioni:
A quanto consta, la signora Marzia Schenetti non si è rivolta a nessun centro aderente al Coordinamento dei centri antiviolenza dell'Emilia-Romagna per avere un aiuto per la situazione di violenza che ha subito, quindi non può parlare per esperienza diretta. Lo ha fatto invece per la presentazione di un suo libro, (cosa che è avvenuta) e successivamente per avere la retribuzione di un suo spettacolo teatrale. In questa seconda occasione le è stato risposto che - pur apprezzando il suo impegno artistico a favore della tematica della violenza contro le donne - non era possibile finanziare uno spettacolo teatrale, non avendo il centro antiviolenza fondi da destinare a questo scopo.
La mission dei centri antiviolenza, in linea con tutte le disposizioni internazionali, oltre a quella di fare promozione per un cambiamento della cultura e della politica, è quella di offrire supporto e percorsi di protezione alle donne che chiedono aiuto per uscire dalla violenza (counseling, ospitalità, supporto alla ricerca del lavoro, ecc.), non quella di erogare contributi direttamente alle donne che si rivolgono a loro, se non nella forma di rimborsi per i trasporti, il vitto, le spese telefoniche, ecc. Per questa esigenza, oltre al supporto dei servizi sociali territoriali, nella regione Emilia-Romagna esiste la Fondazione vittime di reato alla quale ci si può rivolgere per avere un contributo che possa -  almeno in parte – risarcire il danno che la violenza ha prodotto. I centri, per scelta, offrono supporto relazionale e percorsi di empowerment affinché le donne si rafforzino e si proteggano dalle relazioni danneggianti, ricostruendo nuove traiettorie di vita. I centri antiviolenza si sono sempre battuti perché lo stato riconosca un adeguato risarcimento alle vittime e di fatto indirizzano alla Fondazione vittime di reato molti casi ogni anno. Le avvocate che fanno riferimento ai centri antiviolenza, oltre a fare consulenza gratuita presso i Centri, supportano le donne con il gratuito patrocinio laddove è permesso dalla legge e in linea con le disposizioni dell’Ordine degli avvocati. Le attività della Casa delle donne di Bologna (e lo stesso si può dire per gran parte dei centri aderenti al Coordinamento) sono solo parzialmente coperte da fondi pubblici, per il resto si provvede con donazioni private, progetti, fundraising, destinazione del 5 per mille e un grande numero di ore di lavoro  volontario messo a disposizione anche dalle operatrici retribuite.