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martedì 8 giugno 2021

Siamo tutte Saman

L’orribile assassinio di Saman lascia pietrificati, il cuore quasi si ferma nel vedere i filmati di padri e zii con la vanga in mano, nell’intuire le discussioni e la preparazione che ha preceduto un delitto che non può maturare in famiglia, da parte di chi dovrebbe amare e proteggere. 




È qualcosa che sembra possibile solo da parte di criminali incalliti ed estremi: mafiosi. Crimini estremi intesi per lo più a difendere quella cosa intoccabile: la Cosa nostra; la fonte e custode di quel potere che non è lecito mettere in discussione. 

In questo senso, letteralmente, “Cosa nostra” è anche la mentalità mafiosa del patriarcato che ancora in tutto il mondo offre comprensione esplicita agli uccisori di donne e ancora in troppi paesi (anche da noi fino a pochi anni fa) consente sconti surreali di pena o addirittura impunità per i femminicida. 

A ben vedere, di delitti così orribili ne vediamo in continuazione: fidanzate, mogli, figlie e bambini piccoli condannati a morte a sangue freddo per vendetta e spesso trucidati in modi raccapriccianti (fino a seppellire o bruciare vive) e tutto ciò avviene in un’indifferenza pressoché generale, perché per lo più la strage di donne viene vissuta come un effetto collaterale inevitabile dell’esistere, “come gli incidenti stradali”. Un'indifferenza che è anche delle istituzioni.

Improvvisamente, però, questo delitto evoca qualcosa anche in tutti quelli per cui il femminicidio non esiste e i loro sodali che il concetto di “femminicidio” addirittura lo irridono: e questi si svegliano perché il delitto non avviene in nome della "gelosia" o del raptus, ma della religione; anche se più precisamente qui è in nome dell'onorabilità familiare, in un ambito in cui la legge religiosa impone simili comportamenti come riparazioni di comportamenti vergognosi. 

Di fatto questo evento apre le porte ad altre forti emozioni, quelle del terrore delle orde islamiche; una paura che non si può liquidare nello stesso modo, irridendola.

Si, costoro fingono di non sapere che ogni anno, nella nostra civile culla cristiana, non solo ex compagni ma anche padri indegni premeditano, pianificano e attuano con ferocia inaudita esecuzioni di donne di famiglia; costoro in tutti questi casi gridano alla “pazzia” mentre se l’assassino è straniero accusano l’Islam, per criminalizzare gli stranieri (e chi cerca di risolvere i problemi della loro presenza). 

È un processo distorto, ma questa paura ha un fondamento, e la cosa che fa più paura è che non facciamo niente di veramente serio per affrontare questo problema

Qualcosa di serio non è certo criminalizzare, respingere e radicalizzare chi fugge con i suoi bagagli di dolori e di retaggi culturali.

Qualcosa di serio è un lavoro sociale e culturale serio; quello che in Occidente ha fatto ininterrottamente, ormai da un secolo, solo il movimento delle donne.

Si: è vero che oggi i paesi in cui le donne sono più in difficoltà sono quelli a guida religiosa, o filo-religiosa, di matrice islamica, paesi in cui i retaggi culturali agitati dai fanatici  creano anche vere e proprie prigioni mentali di massa. Questo non si può liquidare come irrilevante. 

E si, anche da noi fino a pochi anni fa, non dimentichiamolo mai: anche da noi (che abbiamo dedicato agli uccisori di donne fior di canzoni romantiche), uccidere donne era praticamente depenalizzato, lo stupro non era nemmeno reato contro la persona

Ma di questo non è lecito accusare (solo) le religioni con tutto il loro portato di oppressione: la capacità intimidatoria delle religioni è solo uno strumento (il più efficace!) usato dal patriarcato come arma pesante contro le donne. 

E qui una piccola parentesi: quando nel 2016 Sadiq Khan si candidò come sindaco di Londra, con quel nome spaventoso e la sua religione di origine sollevò un’ondata di timori, e poi la sua elezione fu vista come l’inizio dell’islamizzazione di Londra. Invece si è dimostrato un sindaco tollerante e veramente progressista, amministratore capace e capace di ridurre i conflitti e infatti, pur nel clima di litigiosità che continua a peggiorare, è stato rieletto un mese fa per un secondo mandato

Allora si può essere mussulmani e tolleranti? difensori dei diritti di tutte e di tutti? Si, si può. 

Ma allora: è la "religione" da criminalizzare e combattere, o l'integralismo e le barriere culturali che lo alimentano? 

Come dice Waris Dirie (che fuggita dalla Somalia dopo essere stata infibulata combatte da decenni per i diritti delle donne), le persone che fuggono da paesi estremamente arretrati e penalizzati, dove si subisce molta violenza, andrebbero accolte con ancor più cura, e non “lasciate in un angolo”. In quell'angolo dove, isolati e disprezzati, gruppi chiusi finiscono per perpetuare forme di cultura tribale e relativi riti cruenti contro le donne


 

Sono decenni che (come si preconizzavano i disastri climatici che si stanno puntualmente avverando), si preconizzano ondate inarrestabili di migrazioni, dovute appunto all’intensificarsi di guerre, dittature, povertà e, appunto, condizioni climatiche sempre più estreme. Questo fenomeno non si può chiudere fuori sbattendo porte, perché è come il fumo e l'acqua; continuerà a penetrare comunque, ovunque; come il fumo o l'acqua questa folla che preme alle porte di tutti i Paesi non la si può arrestare; la si può solo convogliare, tentare di darle una direzione e uno sbocco. 

L’unico modo serio di affrontarla è dare assistenza e guardare, con vera profondità e serietà, alle problematiche culturali e di pressione sociale che vi possono ribollire, lavorare per una crescita di consapevolezza e tolleranza, e nel farlo mettere al centro la dignità della donna

La donna imprigionata e oppressa da un islamismo ancora involuto o la donna vilipesa e massacrata da tutto il porno con cui crescono i nostri figli: per ognuna di noi il patriarcato ha una gabbia e una condanna; ma siamo sempre noi donne e chi tocca una tocca tutte e tutte siamo ogni donna violentata e uccisa. Siamo tutte le donne italiane, e tutte le donne straniere.

Oggi tutte siamo Saman.

E per concludere, riguardo a tutti i paladini (e paladine!) delle donne che si risvegliano solo quando gli assassini non sono italiani (accusando invariabilmente le femministe di presunta indifferenza), un promemoria:

domenica 19 aprile 2015

Elezioni di giugno in Turchia: se un Partito decide di candidare solo donne

Presentiamo alle elezioni solo donne, perché solo le donne possono rappresentare la nostra rivolta contro l'ordine stabilito oggi in Turchia.
Secondo questa nota stampa 550 nomi nella lista elettorale, e sono tutti femminili. E perché alle prossime elezioni nazionali turche (il 7 giugno), per il Partito comunista KP si presenteranno solo candidate donne? "Presentiamo solo donne, perché solo loro possono rappresentare la nostra rivolta contro l'ordine stabilito in Turchia. Non si tratta solo della partecipazione delle donne alla politica. Il fatto è che quest'ordine imposto si fonda sull'oppressione femminile: non può esistere senza l'uccisione e l'umiliazione quotidiana delle donne".
Un discorso interessante! perché questi concetti fanno fatica a farsi largo, quanto quello che non esistono "diritti umani" senza diritti (anche) delle donne.
In verità, visto dall'Italia il quadro politico non è ancora chiarissimo; diverse dichiarazioni per le prossime elezioni puntano su donne e giovani - ma aspettiamo conferme. Se questa notizia verrà confermata, però, potremo parlare di scoperta e riconoscimento del patriarcato politico. 
Ecco, la motivazione di questa scelta.
Se davvero sarà questa, la scelta, eccola: l'idea innovativa. Eccolo, il segnale forte. Solo donne: e non certo per bellezza: ma perché - come ben dice questa acuta analisi -  (anche) le donne sono un sistema politico. Ed è ora di riconoscere gli obiettivi strategici dei sistemi politici; solo così certe "strane" alleanze non appariranno più così strane. 
Le donne sono un sistema politico che si contrappone, direttamente e frontalmente, a dittature e integralismi. E' talmente ovvio.. eppure stupisce che, per una volta, un'organizzazione politica abbia saputo (voluto) comprendere l'ovvio e tirare le dovute conseguenze.
E' quello che ha fatto la differenza in Kurdistan, e che lì ha consentito di respingere l'Isis
Tornando alla Turchia - si tratta più di un messaggio, un segnale politico, che di una vera occasione.. perché il KP è un partito di assoluta minoranza, che presumibilmente non potrà ottenere in Parlamento nemmeno un seggio. Alle ultime elezioni, le regionali del 2014, aveva solo 19.245 voti, appena lo 0,04%. Tuttavia il segnale che mandano è forte, non dubitiamo che avrà effetto sulla Turchia e nel mondo.
E il resto dei partiti turchi cosa fa? esattamente all'opposto del KP c'è il famigerato AKP, il partito islamico del premier Erdogan; sostenuto da un cantante (una specie di Apicella turco, ma purtroppo più popolare!): è Ugur Isilak, che il 7 giugno addirittura per il partito repressivo-religioso si candiderà. Uno che, sul fatto che partite si giocano proprio sulle donne, non si nasconde dietro a un dito. Ecco infatti il suo programma politico: “è nella natura della donna appartenere all’uomo. Nel profondo del suo cuore, se ogni femminista non si sente incatenata a un marito, o a un uomo, non sente di essere la sua schiava e di appartenergli, che venga a dirmelo in faccia: perché essere proprietà di un uomo è nella natura di ogni donna. Le femministe non possono essere felici perché negare di appartenere agli uomini è contro natura. Al contrario un uomo non appartiene a una donna, ne è il proprietario”. E per completare il pateracchio di balle assurte a verità assolute, questo simpatico portatore di disvalori sub-umani ha stravolto un canto popolare dell’Anatolia, per farne in inno elettorale che definisce Erdogan “luce della speranza per milioni” di turchi, “il leader che abbiamo atteso per anni” e “l’incubo degli oppressori”.
Tornando agli altri partiti turchi: i principali partiti di opposizione dicono di puntare sulle donne; il solo che presenterà liste paritarie (con il 50% di candidate donne), è il Partito Democratico del Popolo (partito di sinistra vicino al popolo curdo); e si tratta già di una scelta dirompente e di assoluta novità.
Tutti gli altri, complessivamente, presentano una componente femminile intorno al 20%. Ma se sono state lavate nel cervello al punto di aderire alle tesi del partito islamico, meglio sarebbe se fossero zero.

venerdì 20 febbraio 2015

La lettera del giovanissimo Saman Naseem, fra i curdi condannati a morte in Iran

La lettera di Saman non è personale, come quella che Reyaneh (giustiziata in Iran pochi mesi fa) aveva indirizzato alla mamma.
E' una fredda accusa che fa la cronaca di un trattamento disumano da parte di un sistema giudiziario dittatoriale - e particolarmente crudele.  
Saman doveva essere "giustiziato" (che ridicola parola) ieri, ma l'impiccagione sembra reinviata a sabato 21 febbraio. Al momento non si sa dove sia Saman [vedi aggiornamento a fondo pagina], e si teme una esecuzione in segreto, alla larga dalle proteste.
Esecuzione data per certa da diversi messaggi sui social, ma che per ora non trova conferme: le organizzazioni umanitarie stanno indagando. Nel frattempo di lui dobbiamo parlare, come di molte altre cose importanti e correlate. E prima di tutto bisogna dire che la resistenza curda va sostenuta dal basso, perché chi ha potere i Curdi li ignora, sul piano delle notizie, e li perseguita, nei fatti: e se tutti - Iran incluso - attaccano i Curdi dobbiamo chiederci il perché. Ricordando che, contro l'abominevole minaccia dell'Isis, e della Jihad sanguinaria, i Curdi stanno difendendo tutti.
Cara madre, Sholeh dal cuore tenero, nell'altro mondo siamo tu ed io gli accusatori, e gli altri gli accusati. Vedremo quale sarà la volontà di Dio. Così si concludeva la lettera di Reyaneh, anche lei arrestata giovanissima, e poi condannata a morte - non dall'Isis, ma dallo stesso regime chiamato in causa oggi. E questo è l'atto di accusa di Saman:
La tortura è iniziata immediatamente, con l'arrivo nell'isolamento. Una cella dalle pareti trattate con materiali speciali e progettata espressamente per torturare. Dopo un solo assaggio degli strumenti usati per la mia tortura, quelle terrificanti esperienze hanno iniziato a ripetersi nella mia mente come un film in replay. Le celle della prigione sono così piccole che ci si può appena sdraiare, con il WC separato da un muro aperto: la superficie della stanza è solo 2 metri di lunghezza e 50 centimetri di larghezza. Tutto appariva diverso, con una videocamera sopra la mia testa che registrava tutti i miei movimenti, anche nel bagno. Era l'inizio di 97 giorni di torture e sofferenze. In questo periodo sono stato torturato in ogni modo, con tutto. Nei primi giorni le torture erano talmente pesanti che non ero in grado di camminare. Tutto il mio corpo era nero e blu. Per ore stavo appeso al soffitto per le braccia e le gambe. Durante la tortura e l'interrogatorio mi tenevano gli occhi bendati e non potevo vedere i miei torturatori. Hanno tentato con ogni mezzo disumano di ottenere una confessione. Continuavano a dire che avevano arrestato la mia famiglia, che mi avrebbero seppellito con un caricatore come avevano già fatto ai miei compagni, che mi avrebbero ammazzato qui e fatto una tomba di cemento. Di notte, quando cercavo di dormire, facevano forti rumori che me lo impedivano. Avevo solo 17 anni quando mi hanno arrestato. Per tutto questo tempo non ho mai avuto alcun contatto con la mia famiglia. Hanno registrato il mio interrogatorio mentre ero sotto questa pressione e tortura, bendato e semi-inconscio. Io dichiaro che riprese e intervista sono state fatte in queste condizioni. 
Più tardi, quando un programma di news della TV nazionale iraniana (canale 1) ha trasmesso il mio appello, sono stato liberato e mandato a casa. Ma era solo una bugia e una messa in scena per il pubblico: dopo la quale mi hanno riarrestato e condannato a morte.
Il processo e ogni difesa in tribunale sono stati del tutto superficiali, perché i miei avvocati non potevano difendermi, il giudice mi ha perfino minacciato più volte di pestaggio. I miei avvocati ha dovuto dimettersi a causa delle pressioni dei servizi segreti iraniani. Alla fine, sono stato condannato a morte; e dopo la condanna della Corte di Mahabad, il 16 febbraio 2013 sono stato trasferito da Mahabad nella prigione centrale di Orumiye. Dopo 2 anni la sentenza di morte è stata confermata dalla Corte suprema. La possibilità di un nuovo processo non è ancora chiara, ma poiché la mia sentenza è definitiva la possibilità della mia esecuzione è  imminente.
Saman Naseem, prigioniero politico curdo nel braccio della morte, carcere centrale di Orumiye, Iran
Febbraio 2015
Che ne è, oggi, di Saman? Firmiamo l' appello di Amnesty per la sua salvezza, e quest'altra petizione in suo favore - mentre le speranze sono sempre più esili.
NB - a poche ore da questo post, la notizia dell'avvenuta esecuzione di Saman -  e purtroppo anche dei 2 fratelli Ali Efşarî e Habîbullah Efşarî ! è data per certa dal sito inglese di ANF News.



domenica 25 gennaio 2015

Quelle donne uccise nelle piazze delle rivoluzioni tradite, ieri e oggi

Lei si chiamava Sondos Reda Abu Bakr e aveva solo 17 anni. L'altra lei si chiamava Shaima El Sabbagh: ne aveva 34, e aveva un bimbo di 5 anni; e portava in mano dei fiori. 
Loro le hanno freddate con due colpi, si direbbe deliberatamente e a sangue freddo. Tutto ciò nell'anniversario della rivoluzione egiziana del 2011; che fu purtroppo seguita dalla vittoria dei Fratelli Mussulmani, il cui presidente, Morsi, è stato presto spodestato dal colpo di Stato che ha insediato in sua vece una giunta militare. Sono state loro le prime vittime di un anniversario che ha poi portato a un bilancio gravissimo, con molti morti e feriti.

Quella nella foto è Shaima: nell'istante in cui sta per crollare a terra morta, inutilmente soccorsa da un ragazzo che cerca di sostenerla.
L'altra lei ha solo 11 anni, è rimasta solo gravemente ferita, e non ne conosciamo il nome.
Hoda Abdel-Moneim, portavoce della coalizione rivoluzionaria delle donne egiziane, ha protestato contro i continui crimini della polizia contro le donne, e condannato la giunta militare "per l'implacabile campagna di crimini brutali contro le figlie patriottiche dell'Egitto", dichiarando alla stampa che questo omicidio a sangue freddo arriva proprio nel momento in cui, si suppone, il regime festeggia un anniversario (25 gennaio 2011) spazzato via dal colpo di stato: "il messaggio della giunta militare a tutti i rivoluzionari è dunque che il colpo di stato è stato fatto solo per uccidere e stroncare la rivoluzione, eliminando ogni manifestazione rivoluzionaria in patria, anche quelle altamente civili e dignitose, salutate come benvenute da tutto il mondo. Gli uomini e le donne della rivoluzione dovrebbero rispondere a tale messaggio persistendo nella loro attività rivoluzionaria, che da quattro anni non si placa, per eliminare tirannia, dispotismo e oppressione, e per liberare l'Egitto dalla regola militare autoritaria repressiva". 
D'accordo su tutto... Ci convince molto meno la fiduciosa conclusione di Hoda: "mentre assistiamo a sempre più crimini da parte della giunta contro le ragazze e le donne d'Egitto, tutti apprezziamo la grandezza e nobiltà del legittimo eletto Presidente, il cui messaggio al popolo di Egitto incoraggia e promuove il rispetto per le donne [???, ndr]. Ciò induce tutti a sostenere il Presidente Morsi e a fare ogni sforzo per ripristinare, a qualunque costo, la legittimità che lui rappresenta".
Che l'alternativa proposta alla giunta militare sia un Presidente pro-sharia non può tranquillizzare nessuno.. o meglio, nessuna. Purtroppo, se fatto fuori un dittatore se ne fa un altro, se quell'altro è "religioso" si cade dalla padella nella brace. Perciò - con quel che abbiamo già visto in Irak e in Siria, quel "a qualunque costo" ci tranquillizza ancor meno.
E di tutto ciò una cosa fa veramente paura: che dietro a tutto ciò ci siano affari tali, per cui gli Stati della democrazia, quelli che a parole sanno tanto bene condannare e tracciare spartiacque, veri passi di diplomazia e di pace non ne sanno fare, né vogliono e possono farne. E' questo il vero ordine di problemi con cui è ora di cominciare a misurarci.

giovedì 8 gennaio 2015

Dalle organizzazioni musulmane francesi e italiane: appello a reagire con fermezza al terrorismo

Non solo dalla base musulmana, dunque, sale l'indignazione: dopo il massacro di Charlie Hebdo, le organizzazioni musulmane francesi hanno chiamato tutti gli Imam a condannare violenza e terrorismo da qualunque parte si presentino, invitando tutti i musulmani a partecipare compattamente alla manifestazione nazionale indetta per l'11 gennaio. Di oggi anche la dura presa di posizione del Centro culturale Islamico d’Italia, che gestisce la Grande moschea di Roma
Questo il comunicato delle comunità francesi, firmato da Dalil Boubakeur, Rettore della Grande Moschea di Parigi e Presidente del Consiglio francese del culto musulmano (CFCM):
Le organizzazioni musulmane di Francia (FGMP, RMF, UOIF, CCMTF, FFAICA, Moschea de l’Ile de la Réunion, CIMG Francia), riunite giovedì 8 gennaio presso la grande Moschea di Parigi, su iniziativa del Presidente del Consiglio musulmano francese, rispondendo all'appello solenne del Presidente della Repubblica all'unità nazionale, e alla responsabilità delle organizzazioni religiose:
• 1. invitano i cittadini musulmani di Francia a osservare oggi, a mezzogiorno, un minuto di silenzio, con tutta la nazione, in memoria delle vittime del terrorismo che ha colpito con eccezionale violenza la rivista Charlie Hebdo;
• 2. invitano gli Imam di tutte le moschee di Francia a condannare, con la massima fermezza, la violenza e il terrorismo da ovunque essi provengano, durante la preghiera solenne del venerdì;
• 3. chiamano i fedeli musulmani, alla fine della preghiera del venerdì, a un raccoglimento dignitoso e silenzioso in memoria dei nostri connazionali, vittime del terrorismo;
• 4. sollecitano i cittadini di fede musulmana ad aderire compattamente alla manifestazione nazionale di domenica 11 gennaio 2015, per affermare il loro desiderio di vivere insieme in pace e nel rispetto dei valori della Repubblica.
Le organizzazioni musulmane, profondamente scioccate e rattristate dall'assassinio dei nostri connazionali, giornalisti e poliziotti, si uniscono al dolore delle famiglie delle vittime, e condividendolo, vogliono testimoniare la propria solidarietà, nazionale e cittadina, davanti all’enormità di questa tragedia.
L'appello a rompere il silenzio, e a reagire all’ennesimo attacco terroristico, arriva anche dal Centro culturale islamico d’Italia (che gestisce la Grande moschea di Roma). Questo il comunicato:
Il Centro Islamico Culturale d’Italia condanna con forza l’attentato compiuto a Parigi contro la sede della rivista francese Charlie Hebdo ed esprime le proprie condoglianze ai familiari delle vittime della strage esprimendo vicinanza ai Parigini, alle forze dell'ordine della capitale e a tutto il Popolo francese per il brutale attacco subito. Il Segretario Generale del Centro Islamico, Abdellah Redouane, ricorda che quello di oggi è certo in primo luogo il momento nel quale esprimere la nostra solidarietà e vicinanza alle famiglie delle vittime e al popolo francese per il grande tributo di sangue versato, il momento per stringerci a tutti loro e condividerne il dolore, ma è anche un momento per riconsiderare il fallimento del vivere insieme voluto e causato da elementi terroristici. E’ necessario restare uniti contro la barbarie e la violenza e lavorare sempre di più uniti, non solo per garantire e difendere la libertà di stampa e di opinione, ma più in generale per proteggere la democrazia, minacciata da forze oscurantiste di inusitata mostruosità. Ogni silenzio è divenuto ormai intollerabile e inaccettabile, un silenzio pieno di ignavia non può che trascendere nella connivenza e nella complicità. Va respinto. Siamo tutti chiamati a fare un esame di coscienza, ma anche a rispondere a voce alta a questa minaccia. Poiché la minaccia si alimenta del silenzio. Ciò si può fare solo rafforzando il lavoro di chi è impegnato in prima linea in favore del dialogo tra le religioni e le culture e per la promozione dei principi di pluralismo e rispetto della libertà. E' dovere inderogabile di ognuno di noi, di ogni credente

mercoledì 7 gennaio 2015

Grazie Charlie Hebdo

Già 12 i morti di stamattina a Parigi, falciati a colpi di kalashnikov nella redazione di Charlie Hebdo -  già da anni nel mirino di gentucola che ha paura di ogni critica. Fra loro 4 fra i più grandi vignettisti francesi, inclusi il direttore Charbonnier, amaramente profeta nella sua ultima vignetta:
e il grande Wolinski, e ancora feriti gravi… Colpevoli di che? di fare satira vera - quella che non spara contro la Croce Rossa, perché non discrimina in base a chi fa più paura. Prima di tutto, lacrime e sangue, dolore e rabbia e solidarietà a ideatori e disegnatori trasformati, loro malgrado, in soldati in prima linea, falciati a decine così, nel cuore di Parigi. E gratitudine, si, vera gratitudine.
Per essere stati sempre al fianco di chi meritava di essere difeso; ora siamo tra quelle e quelli che vorrebbero dirvi, fra le altre cose, grazie.


E si, aveva ragione il Papa: siamo in piena terza (e anche quarta!) Guerra Mondiale, la guerra diffusa che si gioca non tra "paesi", ma tra i poteri e le ideologie. Resta intatto il concetto alla base di ogni guerra: la predazione e la sottomissione dell'altro; diversi i metodi e le strutture degli eserciti, e ancora più ambiziosi gli obiettivi finali. In buona sostanza, da una parte i terrestri, dall'altra chi li vuole scomandazzare, terrorizzare, sottomettere e sfruttare, fino ad azzerare ogni capacità di reazione. A qualunque titolo: che siano banche, o multinazionali, o dittatori, sceicchi e fanatici di ogni genere, e benché appaiano in conflitto fra loro, formano tutti divisioni dello stesso esercito - li accomuna affinità di intenti, e lo squisito mix di volgarità, avidità, crudeltà, bassezza che fa ribrezzo. Da un lato, gente inerme; il più delle volte intenta ai propri affari quotidiani (sopravvivere, o riparare qualcosa, difendere magri diritti), dall'altra esseri armati fino ai denti, in risse  - sempre! - da mille contro 1.
Attenzione: noi donne, le dimenticate dalla storia - siamo sempre nei pensieri di costoro. Siamo il loro primo target. Perché l'intera umanità si schiavizza meglio se si divide il lavoro in due... se lo si prepara dividendo per bene il territorio da schiavizzare in territori minori e separati, e si inizia a incatenarne per bene una prima metà: non lo dimentichino mai, i libertari incapaci di essere solidali con le donne.
Serve stringere i nostri eserciti, creare un solido asse fra gli attivismi: quelli per i diritti, l'equità di genere, la sostenibilità e la pace.

Diritti

Equità di genere

Pace

Sostenibilità

Non si possono separare aspetti che sono tutti facce della stessa cosa. E non si può abbassare la guardia; al contrario: alziamo il tiro.





martedì 19 agosto 2014

Le donne in guerra non sono solo in prima linea, ma diventano esse stesse il campo di battaglia

"Non appena l’Iraq è sceso in guerra, le donne non sono state semplicemente in prima linea: loro sono diventate il campo di battaglia stesso" (Yifat Susskind*, sul Guardian).
Secondo il Rapporto Mondiale 2014 sull'Iraq, le donne sono prese di mira da tutte le forze militari – quelle di sicurezza governative e quelle islamiste - stuprate e torturate anche allo scopo di intimidire o punire i membri maschi della famiglia. 
La voce di Yanar Mohammed trema in modo evidente, mentre alza il telefono. Si scusa e si prende un momento per ricomporsi. E’ rimasta turbata da qualcosa che ha appena visto in Tv. È difficile immaginare che un’attivista come lei si lasci spaventare. La rete dei rifugi sotterranei che gestisce attraverso la sua organizzazione non profit per la libertà delle donne in Iraq, era stata pensata, originariamente, per proteggere le donne da delitti d'onore e abusi domestici. Ora è inondata di rifugiati. (…) Il conflitto tra il governo iracheno e il juggernaut fondamentalista islamico, o “stato islamico”, ha consumato la maggior parte del paese, nonché parti della Siria e Kurdistan - e i combattimenti sono in continua escalation. [E -  per le donne, niente, niente, niente di nuovo sotto al sole, ndr]. Venerdì 8 agosto, inviando armi e aerei da guerra al Kurdistan, anche gli USA sono entrati nella mischia, nella speranza di fermare quello che Obama ha definito un potenziale genocidio.
Originariamente chiamato stato islamico dell'Iraq e Sham o ISIS, il gruppo fondamentalista islamico prende forma nell'aprile 2013, guidato dall’ex-comandante qaedista Abu Bakr al-Baghdadi. I ribelli separatisi da Al-Qaeda hanno sconvolto il mondo con la loro spaventosa avanzata militare e la brutale persecuzione dei cristiani e altre minoranze religiose. Oltre al terrore e agli ininterrotti bombardamenti, hanno inflitto torture, decapitazioni e addirittura crocifissioni. Mentre infuria la violenza, Yanar dice che molti dei suoi rifugiati sono sopravvissuti all'impensabile. "Quando ne parlammo in giugno, la gente non ci credeva, perfino i nostri sostenitori ci hanno scritto che non potevano credere a quanto raccontavamo; ma ora arrivano i video”. In uno di questi una ragazzina dice di essere  stata violentata dalle truppe di Iside (gruppo islamista, ndr).
In giugno, gruppi per i diritti umani hanno reso noto che gli islamisti erano andati porta a porta, a Mosul, a strappare le donne dalle loro case per violentarle li, spesso in pieno giorno. Lei e sua sorella sono state violentate mentre erano in casa con la madre. Yanar dice che è impressionante che una giovane donna irachena parli così apertamente del suo calvario. Le superstiti da stupri, in tutto il Medio Oriente, in genere sono zittite dalla paura o dall’ostracismo delle stesse famiglie, alcune vengono uccise dai mariti o da altri membri maschi della famiglia, per “lavare” la vergogna e lo stigma. Questo aiuta a capire perché, ad oggi, le organizzazioni dei diritti umani hanno difficoltà a verificare gli episodi di stupro nelle zone di conflitto. Tirana Hassan (ricercatrice senior della divisione emergenze presso Human Rights Watch), dice che lei non ha potuto vedere prove di violenza sessuale sistematica perpetrata dalle truppe islamiste che, nonostante le uccisioni di massa, sperano di vincere i cuori e le menti nelle regioni conquistate. Ma, aggiunge, la luna di miele non durerà a lungo: "questa non è che la fase iniziale della partita e, se guardiamo quanto avvenuto in Siria sotto il controllo di Iside, vediamo che il gioco è lo stesso". Oltre a quanto perpetrato dall’ ISIS, Tirana dice di aver visto molta violenza anche da parte del governo iracheno e da vigilantes affiliati a entrambi i lati, o con nessuno: "in sostanza, tu hai masse di predoni, che si rendono responsabili di ogni tipo di orrendi crimini. Ed è molto probabile che tra questi ci siano anche violenze sessuali". Se le donne che viaggiano in gruppi, o con i parenti maschi, sembrano relativamente sicure, non sappiamo il prezzo che devono pagare le donne sole. E storie tragiche si inseguono. (…) Yanar dice di aver visto in prima persona come i corpi delle donne diventano danni collaterali dei combattimenti. Racconta di una donna presa di mira perché vedova di un combattente islamico: abusata sessualmente da militari, fuggì presso un'organizzazione di aiuto umanitario solo per scoprire che, anche lì, non era protetta: "dopo aver ricevuto i primi aiuti umanitari, si è diffusa la notizia che era vedova di un guerriero di ISIS; a questo punto sono stati i soldati a perseguitarla. Ora la donna ora è sicuro, ma troppo traumatizzata per parlare”. (..) La maggior parte delle volontarie che lavorano nei suoi rifugi si sono "formate" sul campo: sono anch’esse superstiti di stupro, riparate lì in cerca di aiuto. (..) I volontari hanno potuto portare una ragazza superstite di stupro (che doveva abortire con urgenza, ndr) in una clinica. L'aborto sarebbe permesso in Iraq ma solo se il feto è menomato o se c’è pericolo di vita, con le nuove leggi tentare un aborto è rischioso. (..) Dal 2003, da ben prima che lo stato islamico giungesse al potere in Iraq, l’organizzazione di Yanar ha operato in questo modo - attentamente, in modo sotterraneo - per dare protezione alle donne dagli efferati effetti della discriminazione sessuale. I regimi vanno e vengono. "Ma il problema non è certo ciò che [il governo] consente o meno". Yanar ha imparato che, quando la legge non è dalla tua parte, sei costretta a fare le tue regole.

*Yifat Susskind è direttrice esecutiva di MADRE, organismo internazionale per i diritti umani delle donne che opera in collaborazione con le donne locali.

Il sito di Rudaw riporta le testimonianze di ragazze rapite per essere abusate sessualmente: in una telefonata clandestina una racconta di essere prigioniera dei soldati islamici, insieme ad almeno altre 200 donne yazide, nei pressi di Baaji, nella provincia di Mosul: "tre, quattro volte al giorno vengono nel cortile della prigione. Le ragazze li supplicano di sparare alla testa (..) loro ne prelevano alcune e le portano ai loro emiri, che abusano di loro; quando tornano sono in lacrime, sfinite e umiliate". Fra i singhiozzi la ragazza supplica chiedendo aiuto, chiede anche di colpire la prigione con raid aerei per seppellirle e farla finita. Qualcuna è riuscita a scappare ma il dolore le ha distrutte: una madre racconta che tre delle sue figlie si sono uccise gettandosi dal monte Shingal, dopo essere state violentate dai miliziani dello Stato Islamico.

sabato 24 maggio 2014

Finalmente l'appello musulmano contro la brutalità islamista. Ma serve una svolta che si avrà solo grazie alle donne

E’ una svolta epocale - possiamo dirlo – benché alquanto tardiva; e anche se non sappiamo ancora quale peso e seguito potrà avere... proprio perché in ritardo. Ma finalmente le più alte autorità islamiche nigeriane mandano un segnale deciso contro la brutalità di Boko Haram, mettendo così il dito sulla piaga dell’offensiva islamista – cioè del progetto politico che, ammantandosi di “religione”, impone sistemi autoritari e schiavizzanti. Svolta che, ne siamo certe, si deve in primis alla dura battaglia delle donne africane, le quali – come scrive Leymah Gbowee - si sono attivate in Nigeria e in tutto il continente per portare all’attenzione del mondo il recente (ennesimo) rapimento di centinaia di ragazze. Ed ecco: i leader musulmani nigeriani sono convocati alla moschea centrale di Abuja, dal sultano di Sokoto, per una giornata nazionale di preghiera contro l’ascesa dei sanguinari leader islamisti quali Boko Haram. 
La convocazione (per domenica 25 maggio), annunciata venerdi da Muhammad Sa' ad Abubakar III, invita a partecipare il vicepresidente Namadi Sambo e tutti i governatori musulmani della Nigeria: "il National Muslims Prayers for Peace and Security in Nigeria intende aiutare il paese a superare le attuali sfide alla sicurezza”. Invito ripreso da diversi giornali nazionali e rilanciato in tutto il mondo. Certo, ufficialmente l’azione non è stata presa sotto la spinta delle donne: la chiamata segue a una lettera aperta indirizzata al sultano da un uomo, l’attivista Shehu Sani, il quale ha chiesto alla maggiore autorità religiosa di fare di più per aiutare la liberazione delle studentesse rapite in massa lo scorso 14 aprile: “Le ragazze di Chibok hanno pistole puntate alla testa e catene alle mani; su di noi incombe la spada dei posteri. I religiosi nigeriani, specialmente nel nord, dovrebbero muoversi al di là delle preghiere e attivarsi autonomamente per raggiungere gli insorti e trattare il rientro in sicurezza di queste ragazze". E incide il fatto che Boko Haram minaccia ora le antiche monarchie islamiche, tra cui quella del sultano di Sokoto: contro queste autorità religiose ha già sferrato attacchi mortali, accusandole di tradimento dell’Islam. Lecito dunque dubitare, oggi, dell’efficacia che avrà questa azione, dopo che per tanto tempo l'orrenda violenza in nome della religione è stata tollerata – e spesso strumentalizzata - al punto di consentirle di andare fuori controllo. La sola speranza è che i musulmani di tutto il mondo smettano di avere paura e prendano in mano con decisione la difesa della tolleranza, della pace e del rispetto delle donne come valori di base da promuovere nelle rispettive interpretazioni religiose.
Ma se questo accadrà lo dovremo alle donne: la vera forza della resistenza resta in mano a loro, le sole che – pur schiacciate da repressioni durissime - abbiano dimostrato di saper dare vita a un soggetto collettivo, liquido quanto potente, in grado di non farsi piegare dalla paura.
In paesi martoriati come l’Africa, sono loro le più coraggiose resistenti e solutrici dei conflitti: le donne cristiane e musulmane, che sempre più collaborano attivamente reciprocamente. E che ottengono rilevanti successi politici, benché sistematicamente ignorati dall'informazione: il loro ruolo, nonostante sia sottostimato e non incoraggiato, cresce inesorabile. Da Lola Shoneyin a Solange Lusiku, fino alle moltissime che rischiano nell'anonimato… è a loro che bisogna ricorrere! A loro la nostra riconoscenza. Da loro verrà la soluzione.