martedì 19 agosto 2014

Le donne in guerra non sono solo in prima linea, ma diventano esse stesse il campo di battaglia

"Non appena l’Iraq è sceso in guerra, le donne non sono state semplicemente in prima linea: loro sono diventate il campo di battaglia stesso" (Yifat Susskind*, sul Guardian).
Secondo il Rapporto Mondiale 2014 sull'Iraq, le donne sono prese di mira da tutte le forze militari – quelle di sicurezza governative e quelle islamiste - stuprate e torturate anche allo scopo di intimidire o punire i membri maschi della famiglia. 
La voce di Yanar Mohammed trema in modo evidente, mentre alza il telefono. Si scusa e si prende un momento per ricomporsi. E’ rimasta turbata da qualcosa che ha appena visto in Tv. È difficile immaginare che un’attivista come lei si lasci spaventare. La rete dei rifugi sotterranei che gestisce attraverso la sua organizzazione non profit per la libertà delle donne in Iraq, era stata pensata, originariamente, per proteggere le donne da delitti d'onore e abusi domestici. Ora è inondata di rifugiati. (…) Il conflitto tra il governo iracheno e il juggernaut fondamentalista islamico, o “stato islamico”, ha consumato la maggior parte del paese, nonché parti della Siria e Kurdistan - e i combattimenti sono in continua escalation. [E -  per le donne, niente, niente, niente di nuovo sotto al sole, ndr]. Venerdì 8 agosto, inviando armi e aerei da guerra al Kurdistan, anche gli USA sono entrati nella mischia, nella speranza di fermare quello che Obama ha definito un potenziale genocidio.
Originariamente chiamato stato islamico dell'Iraq e Sham o ISIS, il gruppo fondamentalista islamico prende forma nell'aprile 2013, guidato dall’ex-comandante qaedista Abu Bakr al-Baghdadi. I ribelli separatisi da Al-Qaeda hanno sconvolto il mondo con la loro spaventosa avanzata militare e la brutale persecuzione dei cristiani e altre minoranze religiose. Oltre al terrore e agli ininterrotti bombardamenti, hanno inflitto torture, decapitazioni e addirittura crocifissioni. Mentre infuria la violenza, Yanar dice che molti dei suoi rifugiati sono sopravvissuti all'impensabile. "Quando ne parlammo in giugno, la gente non ci credeva, perfino i nostri sostenitori ci hanno scritto che non potevano credere a quanto raccontavamo; ma ora arrivano i video”. In uno di questi una ragazzina dice di essere  stata violentata dalle truppe di Iside (gruppo islamista, ndr).
In giugno, gruppi per i diritti umani hanno reso noto che gli islamisti erano andati porta a porta, a Mosul, a strappare le donne dalle loro case per violentarle li, spesso in pieno giorno. Lei e sua sorella sono state violentate mentre erano in casa con la madre. Yanar dice che è impressionante che una giovane donna irachena parli così apertamente del suo calvario. Le superstiti da stupri, in tutto il Medio Oriente, in genere sono zittite dalla paura o dall’ostracismo delle stesse famiglie, alcune vengono uccise dai mariti o da altri membri maschi della famiglia, per “lavare” la vergogna e lo stigma. Questo aiuta a capire perché, ad oggi, le organizzazioni dei diritti umani hanno difficoltà a verificare gli episodi di stupro nelle zone di conflitto. Tirana Hassan (ricercatrice senior della divisione emergenze presso Human Rights Watch), dice che lei non ha potuto vedere prove di violenza sessuale sistematica perpetrata dalle truppe islamiste che, nonostante le uccisioni di massa, sperano di vincere i cuori e le menti nelle regioni conquistate. Ma, aggiunge, la luna di miele non durerà a lungo: "questa non è che la fase iniziale della partita e, se guardiamo quanto avvenuto in Siria sotto il controllo di Iside, vediamo che il gioco è lo stesso". Oltre a quanto perpetrato dall’ ISIS, Tirana dice di aver visto molta violenza anche da parte del governo iracheno e da vigilantes affiliati a entrambi i lati, o con nessuno: "in sostanza, tu hai masse di predoni, che si rendono responsabili di ogni tipo di orrendi crimini. Ed è molto probabile che tra questi ci siano anche violenze sessuali". Se le donne che viaggiano in gruppi, o con i parenti maschi, sembrano relativamente sicure, non sappiamo il prezzo che devono pagare le donne sole. E storie tragiche si inseguono. (…) Yanar dice di aver visto in prima persona come i corpi delle donne diventano danni collaterali dei combattimenti. Racconta di una donna presa di mira perché vedova di un combattente islamico: abusata sessualmente da militari, fuggì presso un'organizzazione di aiuto umanitario solo per scoprire che, anche lì, non era protetta: "dopo aver ricevuto i primi aiuti umanitari, si è diffusa la notizia che era vedova di un guerriero di ISIS; a questo punto sono stati i soldati a perseguitarla. Ora la donna ora è sicuro, ma troppo traumatizzata per parlare”. (..) La maggior parte delle volontarie che lavorano nei suoi rifugi si sono "formate" sul campo: sono anch’esse superstiti di stupro, riparate lì in cerca di aiuto. (..) I volontari hanno potuto portare una ragazza superstite di stupro (che doveva abortire con urgenza, ndr) in una clinica. L'aborto sarebbe permesso in Iraq ma solo se il feto è menomato o se c’è pericolo di vita, con le nuove leggi tentare un aborto è rischioso. (..) Dal 2003, da ben prima che lo stato islamico giungesse al potere in Iraq, l’organizzazione di Yanar ha operato in questo modo - attentamente, in modo sotterraneo - per dare protezione alle donne dagli efferati effetti della discriminazione sessuale. I regimi vanno e vengono. "Ma il problema non è certo ciò che [il governo] consente o meno". Yanar ha imparato che, quando la legge non è dalla tua parte, sei costretta a fare le tue regole.

*Yifat Susskind è direttrice esecutiva di MADRE, organismo internazionale per i diritti umani delle donne che opera in collaborazione con le donne locali.

Il sito di Rudaw riporta le testimonianze di ragazze rapite per essere abusate sessualmente: in una telefonata clandestina una racconta di essere prigioniera dei soldati islamici, insieme ad almeno altre 200 donne yazide, nei pressi di Baaji, nella provincia di Mosul: "tre, quattro volte al giorno vengono nel cortile della prigione. Le ragazze li supplicano di sparare alla testa (..) loro ne prelevano alcune e le portano ai loro emiri, che abusano di loro; quando tornano sono in lacrime, sfinite e umiliate". Fra i singhiozzi la ragazza supplica chiedendo aiuto, chiede anche di colpire la prigione con raid aerei per seppellirle e farla finita. Qualcuna è riuscita a scappare ma il dolore le ha distrutte: una madre racconta che tre delle sue figlie si sono uccise gettandosi dal monte Shingal, dopo essere state violentate dai miliziani dello Stato Islamico.

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