domenica 3 agosto 2014

A #Gaza, a #Israele e al mondo intero: servono nuovi leader con nuove idee

Non solo Gaza e Israele, ma il mondo intero ha urgente bisogno di nuovi leader, con nuove idee. Gaza e Israele sono  l'esempio migliore dell'alleanza strettissima che cementa fra loro certi nemici:  e bisogna dire basta alle alleanze del potere nel nome della guerra

Alle voci di pace la bocca viene tappata. Ma qualcuno che, invece che alla guerra, lavora per un'alleanza fra i popoli, nel nome della Pace, esiste. Fra mille ostacoli, pian piano si sta facendo sentire - ma che fatica. Chi sono? Fly for Peace, per esempio; o il network Jewish Voice for Peace. Con la sua Young Jewish Declaration… il manifesto di pace dei suoi ragazzi. O la rete European jews for a just peaceper esempio.  Nacquero nel 2011


Mentre in Israele i giovani mettevano in dubbio le vere ragioni delle scelte di guerra:


intanto, a Gaza, sorgeva contemporaneamente il GYBO: l'organizzazione spontanea Gaza Youth Arising

Questo video è un eccezionale documento su una novità politica di estrema importanza, che  sbocciò a Gaza nel 2011 - nell'anno di #Occupy, che come il maggio del 68 si propagò con immensa forza in tutto il mondo. 
Non erano dunque solo i giovani israeliani e gazaki, a sollevarsi contro la politica della guerra, e le politiche della paura che giustificano la guerra, eternamente la guerra, spostando l'attenzione dalle necessità vere dell'umanità. Era il vento di #occupy, che ovunque produsse primavere, che - però - ovunque produssero mostri. La colpa però non è solo dei mostri, ma di chi i mostri li liscia e li accarezza, e li nutre, come cani da guardia - anche se a rischio di restare azzannati. La solita, vecchia storia, vecchia come il mondo - perché chi governa il mondo il suo scettro non lo vuole mollare. E la retorica del patriottismo.. la politica della paura - you know.. it works the same way in any country
A Gaza, i giovani di Gybo furono repressi da Hamas durissimamente. Essere critici verso il potere espone ad accuse di antipatriottismo - non è una nuova invenzione, anche Gõring e Göbbels avevano già una lunga storia cui attingere.
E in Palestina l'antipatriottismo è praticamente sinonimo di sionismo… addirittura! Non sia mai. E non succede lo stesso in Israele? Anche se formalmente il linguaggio è un altro, la sostanza è esattamente la stessa. E la comunità internazionale si sbraccia, ma cosa fa per sostenere i venti di pace?
Nulla, in realtà, tutti parlano di pace, ma chi si ribella alle politiche della guerra, che avvince in ferrei abbracci i governanti, è schiacciato senza pietà - e di questo tutti sono complici. Di queste notizie non si parla nemmeno, non si sa nulla, come mai? semplicemente non vengono diffuse. E allora anche questi eventi, semplicemente, finiscono per non essere esistitiSono loro, che dobbiamo sostenere. E' alla politica della paura che bisogna dire basta. Pochi giorni fa un ex-ministro dell'Autorità Palestinese, che ha passato 12 anni in carcere in Israele, Ashraf Al-Ajrami, e un ex-militare israeliano, Benjamin Rutland, hanno lanciato un appello comune, criticando duramente sia l'operato di Hamas sia del governo israeliano. Utopisti? forse, ma sono queste voci che bisogna sostenere.


E' a loro, che bisogna guardare - invece di gridare accanitamente a chi sia "più colpevole", se israeliani o palestinesi: perché le popolazioni son in entrambi i casi vittime, non "colpevoli". Sono nuovi governanti, con nuove idee, quello di cui abbiamo bisogno. Servono dieci, cento, mille Pepe Mujica.
Oggi, su L'Internazionale, Francesca Spinelli ci parla dell’Union juive française pour la paix, creata nel 2002 oggi riunisce 11 organizzazioni su 10 paesi europei: per l'Italia partecipa la Rete-Eco (Ebrei contro l’occupazione). Dalla sua intervista riportiamo solo alcune domande, botta e risposta: 
• Domenica scorsa avete partecipato alla manifestazione di solidarietà alla Palestina che si è svolta a Bruxelles. Molti mezzi d’informazione hanno messo in primo piano i disordini. Quel è stata la sua impressione?
Ero nel servizio d’ordine dell’Upjb e ho visto che c’erano dei provocatori: 10-20 persone davvero decise a fare casino e qualche decina di adolescenti che gli andavano appresso. Erano comunque pochi rispetto all’insieme dei manifestanti. È un peccato che i mezzi d’informazione si siano soffermati su questo aspetto. Non tutti, però: la principale emittente pubblica, la Rtbf, si è mostrata più equilibrata.
• Avete molti contatti con i movimenti progressisti in Israele? Sì, con organizzazioni come Breaking the silence, B’Teselem, Women in black e altre ancora. Cerchiamo di aumentare la loro visibilità invitando i loro rappresentanti in Belgio. A settembre, per esempio, parteciperemo a una settimana di eventi organizzata dalla piattaforma Watermael-Boitsfort Palestine. I progressisti in Israele subiscono pressioni terribili in un clima di isteria collettiva, frutto di una politica di estrema destra che dura da dieci anni. Le persone ormai hanno interiorizzato i Leitmotiv del governo.
• Sul piano politico che soluzione auspicate al conflitto israelo-palestinese? In un articolo del 2006 un altro membro dell’Upjb, Michel Staszewski, si diceva a favore della soluzione di uno stato unico ricollegandola al movimento Brit Shalom, che negli anni venti e trenta del novecento difendeva il principio dell’uguaglianza completa tra arabi ed ebrei in Palestina. Anche su questo punto siamo divisi tra chi appoggia la soluzione a due stati e chi la soluzione dello stato binazionale. La politica di colonizzazione d’Israele oggi rende sempre più improbabile la soluzione a due stati, a meno di chiedere lo smantellamento totale delle colonie, cosa che Israele difficilmente accetterebbe. In ogni caso non sta a noi decidere il quadro delle negoziazioni, il nostro obiettivo è far rispettare il diritto internazionale e ricordare che Israele non parla a nome di tutti gli ebrei. Inoltre rifiutiamo di presentare questo conflitto come una guerra di civiltà. Per noi è un conflitto classico, territoriale. È evidente che Israele non è interessato alla sicurezza, è solo un pretesto, e infatti il governo ha rifiutato la tregua di dieci anni proposta da Hamas. Non è un caso se l’attacco è cominciato quando si annunciava un principio di riconciliazione tra Hamas e Al Fatah. Un governo di unità nazionale è proprio quello che Israele non vuole, come non vuole che la Cisgiordania si militarizzi e che i palestinesi facciano ricorso alla Corte penale internazionale.
• L’8 luglio European jews for a just peace ha inviato una lettera a Catherine Ashton, affermando, tra le altre cose: “Non ci si può aspettare che tutti i palestinesi si comportino sempre come Gandhi o Martin Luther King di fronte alle continue provocazioni” [di Israele]. A 12 anni dalla nascita di questa rete europea, qual è il bilancio della vostra azione? Abbiamo creato la coalizione per mostrare che gli ebrei progressisti in Europa non sono isolati. Non è stato semplice, perché i movimenti nei vari paesi non hanno esattamente le stesse posizioni. Siamo d’accordo sugli obiettivi, è sul metodo che discutiamo. Ma la cosa evolve in modo positivo, come dimostra la lettera a Catherine Ashton. Ora vorremmo portare la nostra azione a un livello superiore, magari aprendo un ufficio qui a Bruxelles.

1 commento:

  1. in tema vi segnalo questo articolo, un piccolo saggio di Edward Said sul conflitto fra Israele e Palestina
    http://www.leparoleelecose.it/?p=15641

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