E’ una svolta epocale - possiamo dirlo – benché alquanto tardiva; e anche se non sappiamo ancora quale peso e seguito potrà avere... proprio perché in ritardo. Ma finalmente le più alte autorità islamiche nigeriane mandano un segnale deciso contro la brutalità di Boko Haram, mettendo così il dito sulla piaga dell’offensiva islamista – cioè del progetto politico che, ammantandosi di “religione”, impone sistemi autoritari e schiavizzanti. Svolta che, ne siamo certe, si deve in primis alla dura battaglia delle donne africane, le quali – come scrive Leymah Gbowee - si sono attivate in Nigeria e in tutto il continente per portare all’attenzione del mondo il recente (ennesimo) rapimento di centinaia di ragazze. Ed ecco: i leader musulmani nigeriani sono convocati alla moschea centrale di Abuja, dal sultano di Sokoto, per una giornata nazionale di preghiera contro l’ascesa dei sanguinari leader islamisti quali Boko Haram.
La convocazione (per domenica 25 maggio), annunciata venerdi da Muhammad Sa' ad Abubakar III, invita a partecipare il vicepresidente Namadi Sambo e tutti i governatori musulmani della Nigeria: "il National Muslims Prayers for Peace and Security in Nigeria intende aiutare il paese a superare le attuali sfide alla sicurezza”. Invito ripreso da diversi giornali nazionali e rilanciato in tutto il mondo. Certo, ufficialmente l’azione non è stata presa sotto la spinta delle donne: la chiamata segue a una lettera aperta indirizzata al sultano da un uomo, l’attivista Shehu Sani, il quale ha chiesto alla maggiore autorità religiosa di fare di più per aiutare la liberazione delle studentesse rapite in massa lo scorso 14 aprile: “Le ragazze di Chibok hanno pistole puntate alla testa e catene alle mani; su di noi incombe la spada dei posteri. I religiosi nigeriani, specialmente nel nord, dovrebbero muoversi al di là delle preghiere e attivarsi autonomamente per raggiungere gli insorti e trattare il rientro in sicurezza di queste ragazze". E incide il fatto che Boko Haram minaccia ora le antiche monarchie islamiche, tra cui quella del sultano di Sokoto: contro queste autorità religiose ha già sferrato attacchi mortali, accusandole di tradimento dell’Islam. Lecito dunque dubitare, oggi, dell’efficacia che avrà questa azione, dopo che per tanto tempo l'orrenda violenza in nome della religione è stata tollerata – e spesso strumentalizzata - al punto di consentirle di andare fuori controllo. La sola speranza è che i musulmani di tutto il mondo smettano di avere paura e prendano in mano con decisione la difesa della tolleranza, della pace e del rispetto delle donne come valori di base da promuovere nelle rispettive interpretazioni religiose.
Ma se questo accadrà lo dovremo alle donne: la vera forza della resistenza resta in mano a loro, le sole che – pur schiacciate da repressioni durissime - abbiano dimostrato di saper dare vita a un soggetto collettivo, liquido quanto potente, in grado di non farsi piegare dalla paura.
In paesi martoriati come l’Africa, sono loro le più coraggiose resistenti e solutrici dei conflitti: le donne cristiane e musulmane, che sempre più collaborano attivamente reciprocamente. E che ottengono rilevanti successi politici, benché sistematicamente ignorati dall'informazione: il loro ruolo, nonostante sia sottostimato e non incoraggiato, cresce inesorabile. Da Lola Shoneyin a Solange Lusiku, fino alle moltissime che rischiano nell'anonimato… è a loro che bisogna ricorrere! A loro la nostra riconoscenza. Da loro verrà la soluzione.
In paesi martoriati come l’Africa, sono loro le più coraggiose resistenti e solutrici dei conflitti: le donne cristiane e musulmane, che sempre più collaborano attivamente reciprocamente. E che ottengono rilevanti successi politici, benché sistematicamente ignorati dall'informazione: il loro ruolo, nonostante sia sottostimato e non incoraggiato, cresce inesorabile. Da Lola Shoneyin a Solange Lusiku, fino alle moltissime che rischiano nell'anonimato… è a loro che bisogna ricorrere! A loro la nostra riconoscenza. Da loro verrà la soluzione.
Nessun commento:
Posta un commento