martedì 28 giugno 2016

Comunicare per il lavoro: coaching di Young Women Network

Nel mercato del lavoro, specie se autonomo, sono sempre più importanti le cosiddette soft skills, in primis la comunicazione; ma non tutte sono in grado di comunicare in modo efficace. A questo tema è dedicato il terzo e ultimo appuntamento del percorso di coaching creato da Young Women Network in collaborazione con Mediobanca, storica banca d’affari italiana.

L’appuntamento è per lunedì 4 luglio 2016 alle 19.00, Piazzetta E. Cuccia 1, Milano. Il workshop sarà tenuto da Nancy Cooklin, coach e formatrice che collabora ai percorsi di leadership per aziende italiane e multinazionali, tra cui AXA, Bulgari, Citibank. La Conklin, autrice del libro “Crea te stessa”, gestisce con il marito anche una società di training e coaching del Nord Italia. Dopo un aperitivo di benvenuto, il workshop approfondirà i  presupposti della comunicazione; come usare i sensi e come entrare in sintonia con l’interlocutore; l’uso del linguaggio; la tecnica di ricalco e guida. Iscrizioni gratuite fino ad esaurimento posti, riservate alle socie Young Women Network; per associarsi: a questo LINK • Per accredito stampa: comunicazione.ywn@gmail.com • Altre info a questo LINK

domenica 26 giugno 2016

Bici e girasoli: un Giro d'Italia contro la violenza

Il 21 giugno 2016 un giovane atleta di Fidenza, Andrea Raffaelli Enzi, è partito da San Donato Milanese con la sua bicicletta, per un giro d’Italia in cui porterà anche la voce delle donne e dei bambini che hanno subito e che subiscono violenza. 


Atleta e giovane padre, Andrea vuole con la sua prestazione dare sostegno alla battaglia contro il femminicidio ed il figlicidio intrapresa dall’Associazione Federico nel Cuore, fondata dalla mamma di quel bimbo che fu ucciso dal padre in un colloquio cosiddetto protetto: Federico che in quelle stanze fu lasciato solo


Una storia atroce ed emblematica che sprona tutti a interrogarsi e a chiedere un vero cambio rotta. Percorrendo l’Italia in bicicletta Andrea sarà testimonial dell'impegno contro la violenza domestica, portando un segnale a tanti uomini e giovani che come lui intendono sostenere il cambiamento culturale che serve attuare. 

E come prima tappa ha portato un girasole (simbolo della campagna contro il figlicidio e dell’Associazione Federico nel cuore), proprio nel luogo dove è stato ucciso il piccolo Federico: gli uffici ASL di San Donato Milanese.

Lì, nell’ambito dove doveva essere protetto, durante un incontro organizzato per tutelare il diritto del padre, Federico fu ucciso a coltellate dall'efferata violenza di quel padre che temeva, con cui non voleva stare. Ma forse, era la tesi degli operatori, non voleva starci perché condizionato dalla mamma! Eh... forse la mamma soffriva di cosiddetta PAS!? No, non voleva starci perché aveva ragione di averne paura. Eppure nessuno ascoltò né lui né la madre; eppure con quel padre il piccolo fu obbligato a starci, eppure fu ucciso, eppure né nel processo, né nel ricorso in Cassazione, il suo caso ha mai avuto giustizia. Colpevoli? zero. Ultima speranza, si attende ora l'esito del ricorso presso la Corte dei Diritti umani di Strasburgo, atteso entro l'anno. 

Grazie dunque ad Andrea che nel suo lungo viaggio ha accettato di portare la voce di donne e bambini che, mentre i centri antiviolenza chiudono, restano spesso inascoltati. Arriverà sino all’Etna e dedicherà l’attraversata dello Stretto a Sara, la ragazza recentemente uccisa a Roma dall’ex fidanzato, a tutte le altre “Sara”; al piccolo Federico, e a tutti i bambini che hanno avuto il medesimo atroce destino (quali, ad esempio, i fratellini Iacovone). Lo farà come ad indicare una direzione; come un girasole che sempre tende verso la luce; e, di città in città, lasciando un girasole anche in tanti altri luoghi dove altri figlicidi o femminicidi sono stati commessi.


Per altre info, e per invitare Andrea a transitare presso un particolare luogo, scrivere ad Antonella Penati: presidente@federiconelcuore.org • Tel. 345.0066295

L’Associazione Federico nel Cuore chiede ai giornalisti e relative testate, ai centri antiviolenza, a tutte le Associazioni sportive di aderire all’iniziativa, sostenerla e pubblicizzarla.

sabato 25 giugno 2016

Femminicidi e stragi: qual è il nesso?

A proposito del pezzo uscito ieri sulla mascolinità tossica (a mio avviso quanto mai necessario e attuale); a proposito del rapporto fra femminicidio ed eccidi di massa (prima di quell’articolo mai indagato e messo a fuoco da nessuno!! smentitemi se sbaglio) - vi ricordate la strage a Milano del 12 giugno scorso? Vi ricordate l'immobile completamente sventrato, come abbattuto da una bomba?


Peccato sia stato presto chiaro che la “fuga” era dolosa: dunque una bomba come un’altra.

E messa da chi? A quanto pare, stando alle tracce biologiche su un tubo del gas trovato svitato dal rubinetto a sfera sul muro e allacciato soltanto al piano cottura, tutti gli indizi portano al marito di quella signora, il quale, guarda caso, non si voleva affatto separare.
E così, pur di fargliela pagare alla sua amata, avrebbe pensato bene di farla saltare in aria con tutta la casa, ammazzando 3 persone e ferendone altre 9, alcune molto gravemente: incluse le sue piccole bambine di 7 e di 11 anni, che ora sono coperte di ustioni. Il presunto bombarolo, invece, pur ferito se l'è cavata, proteggendosi dietro un materasso.


Tale sig. Giuseppe Pellicanò è ora indagato per strage.
La manomissione del tubo ha causato la fuoriuscita di 6 metri cubi/ora, e al momento dell’esplosione in casa Pellicanò c'erano 47 metri cubi di gas metano; considerato che per provocare un'esplosione basta 1,5 metro cubo, poteva perfino uscirne un disastro ben peggio.
I giornali, naturalmente, mettono l’accento sulla “depressione” del poveraccio, che rischiava di restare solo. Così, per inciso, stava frequentando un professionista che si occupa di mediazione familiare per rendere meno traumatica la separazione. Sarebbe interessante sapere se i discorsi vertevano sul ricucire, o sul rispettare la volontà della donna.



Ma sarebbe ancor meglio ricordare che in questi casi, anziché fermarsi a discutere troppo, le donne devono telare, svignarsela! prima che sia troppo tardi. 

E sarà sempre troppo tardi quando inizieremo ad affrontare seriamente l’analisi di questi fenomeni, chiedendoci, seriamente, dove stanno i nessi?

Tutti voi maschi "non maschilisti", voi "non violenti" siete chiamati a partecipare: perché anche se vi credete assolti,  anche voi siete per sempre coinvolti. E, ancora per inciso, stando alla statistica di questa infografica (fonte: Toxic masculinity in the US gun Phallocracy), gli uomini italiani (già noti per essere in prima fila nel turismo sessuale e pedofilo) appaiono coinvolti a un livello da paura:






venerdì 24 giugno 2016

La mascolinità tossica: parla un uomo. Per esempio James Hamblin

Dopo Orlando, e a proposito di eccidi di massa, violenze incontrollate (e quindi, aggiungiamo, di femminicidi), possiamo parlare di uomini? chiede James Hamblin, facendo su Atlantic una interessante disamina di cosa è la mascolinità o virilità tossica, cioè infarcita di dettami su come un uomo dovrebbe e non dovrebbe essere; dettami che sono poi alla base di quella violenza maschile che pervade il mondo intero, dominando ogni modalità di relazione, e che per inciso fa si che anche i killer di massa siano, praticamente, tutti maschi. Non un tema qualunque, ma il tema: eppure sempre trascurato. Perché? 


Già, perché?? anche su quest'omissione Hamblin dice qualcosa.
La virilità tossica è il tema per eccellenza - quella cosa, la sola cosa che accomuna, in effetti, tutte le violenze misogine e di massa, dal killer di Orlando allo stupratore di Stanford  


Qualcosa di cui grazie a Dio si inizia a parlare [in fondo a questo pezzo una serie di link] anche nei media che di solito liquidano le cause con le peggiori banalità, tutte come incidenti di percorso, ma se ne parla ancora troppo poco, e soprattutto non si agisce
Dopo il massacro di Orlando, alla veglia di Brooklyn, Hamblin nota che vicino al palco improvvisato, spiccava una scritta leggera: l’amore vince l'odio. E nota che, in effetti, arginare la violenza significa de-costruire l’odio; considerare ogni elemento che lo origina e consente ci siano tanti psicopatici. E il fatto stranoto, ma a malapena considerato, è che praticamente tutti gli assassini di massa, semplicemente, sono tutti uomini: maschi. Nel suo pezzo “perché gli assassini di massa sono sempre maschi”, il Time citava la percentuale del 98%. Scrive dunque James Hamblin che questa statistica rende la mascolinità stessa la sola caratteristica davvero comune a tutti i killer, l'unica rispetto a tutti gli altri elementi che vengono di solito citati: religione, razza, nazionalità, appartenenza politica, o storie di malattia mentale. Su Salon la scrittrice Amanda Marcotte sostiene che l'attaccamento nazionale a modelli di virilità dominante è uno dei motivi principali per cui in USA c'è un tasso così alto di violenza, prendendo ad esempio anche la storia del killer di Orlando: l’indagine condotta su di lui dall'FBI per minacce a un collega di lavoro, la sua rabbia alla vista di uomini che si baciano, gli abusi fisici che commetteva sulla moglie, costretta a chiedere l’aiuto dei genitori per riuscire a sfuggirgli.
Quello del killer di Orlando è un caso da manuale di quel fattore oggi noto come mascolinità tossica: cioè di quello specifico modello di virilità orientato al dominio e al controllo. E quando, da uomini, cerchiamo il controllo, quando sentiamo in noi che dobbiamo ottenerlo, possiamo risentirci e odiare: la mascolinità tossica alimenta in noi aspettative che ci predispongono alla delusione, e noi trasformiamo quella delusione in rabbia e odio e la scarichiamo sugli altri.
Il Washington Post cita lo psicologo Arie Kruglanski, secondo cui l'atto più primordiale a cui ricorre un essere umano che si sente debole è esercitare un potere su altri esseri umani; come disse anche un certo piccolo filosofo non-virile, la paura porta alla rabbia; la rabbia porta all’odio; l’odio conduce alla sofferenza...



Scrive ancora Marcotte: diverso se la mascolinità tossica si limitasse un atteggiarsi ridicolo fra uomini!


... ma la continua pressione a dover costantemente dimostrare virilità e a guardarsi da tutto ciò che è considerato femminile, o femminilizzante, è la principale ragione per cui negli Stati Uniti abbiamo tante maledette sparatorie.

Si, di certo siamo in grande ritardo nell’esaminare il ruolo della mascolinità nella  genesi dell’odio. Come ricorda ancora Hamblin: c'è stata una certa discussione dopo che, nel suo manifesto di 137 pagine, il killer di Santa Barbara ha letteralmente dichiarato il mio problema sono le ragazze, in quanto gli negavano quello che lui riteneva gli fosse dovuto. E dopo la sparatoria Washington Navy Yard nel 2013, in mezzo al dibattito sul dare la colpa alla diffusione delle armi piuttosto che alla malattia mentale, la NPR si limitò a chiedere: ma perché questi feroci sparatori sono sempre maschi? (e in effetti, dal 1982, su 60 sparatorie di massa una sola volta fu coinvolta una donna).



Tuttavia, poi, il pezzo prende una piega sbagliata: citando la sociologa Lin Huff-Corzine che dice che gli uomini preferiscono le armi da fuoco, mentre le donne sono più propense a scegliere i coltelli (!!, ndr). La criminologa Candice Batton ha suggerito che, rispetto alle donne, gli uomini hanno più probabilità di sviluppare attribuzioni negative di colpa esterne, che si traducono in rabbia e ostilità verso gli altri. Le donne, invece, attribuiscono più facilmente le colpe a sé stesse, dirigendo la rabbia al proprio interno, sotto forma di senso di colpa e depressione
Il che è più vicino a una sorta di spiegazione - in effetti la depressione colpisce le donne il doppio degli uomini. Ma anche qui si sorvola su qual è la ragione per cui gli uomini e le donne tendono a far fronte alle difficoltà in modo diverso: il ruolo della mascolinità nell'insegnare agli uomini ciò che ci si aspetta da loro e che loro sono tenuti a fare. E se questo modo di far fronte alle cose non è di per sé necessariamente violento, certo l’ignoranza non si abbina bene con le armi da fuoco.   
Nel suo insieme, per la sua intolleranza verso gli omosessuali l’assassino di Orlando è anche un caso da manuale di proiezione verso l'esterno del disgusto di sé. Ma se una cultura diversa della mascolinità lo avesse incoraggiato ad accettare la propria sessualità, avrebbe accumulato una simile rabbia? Scrive ancora la Marcotte: avere armi sempre più grandi e pistole più terrificanti è la semplice e innegabile sovra-compensazione con cui uomini insicuri cercano di dimostrare quanto sono virili. Non è una discussione da tenere sul piano razionale, ma attiene al dramma psicologico sui loro timori di castrazioneMa questo è anche il punto in cui l'argomento rischia di perdere aderenza, in quanto mette gli uomini sulla difensiva. Non tutti gli uomini è la replica costante a (presunte) critiche becere della mascolinità. Nessuno vuole essere associato a questa violenza: nessuno fra tutti i possessori di armi, tutti i pazienti bipolari, tutte le persone che si identificano con una religione, e nemmeno tutti gli uomini. In tutti questi casi, la stragrande maggioranza del gruppo sono persone umane e compassionevoli, inorridite dalla violenza a portata di mano.



Il peggior rischio di qualsiasi analisi preventiva è di dividere ulteriormente la gente; il pericolo, nell'analisi della violenza, è quindi nel quadro troppo estesoO, almeno, nel fatto che il quadro sia percepito come tale.

(...) Quando l'autore Sam Harris ha tentato di focalizzare il ruolo della teologia nelle sette violente è stato bollato come demagogo frusta-musulmani (…); ma dopo una sparatoria è altrettanto difficile parlare di prevenzione in termini di salute mentale: essendo la malattia mentale già stigmatizzata è complicato menzionarla nei dibattiti sulla violenza. La condizione di emarginazione delle persone affette da disagio mentale, così come quella degli americani non-cristiani, compromette in partenza qualsiasi discussione.

In confronto, intervenire sulla mascolinità è semplice. Gli uomini non sono il genere discriminato e ciò che chiamiamo mascolinità è soggetta a molte variabili; in gran parte malleabile, per molti versi si può o non si può insegnare. Se qualcuno sembra condannare la mascolinità in generale (e Marcotte chiarisce  esplicitamente che non è il suo caso), allora la discussione regredisce. Ma l'idea di mascolinità tossica, criticamente, non è un atto d'accusa radicale degli uomini o del genere. E solo l’ammissione che la mascolinità può essere tossica, a volte.
La tossicità di qualsiasi cosa è sempre e solo una questione di contesto; e il contesto odierno è quello in cui una pericolosa setta militante sta cercando di radicalizzare le persone influenzabili nel paese più abbondantemente provvisto di armi del mondo. Il contesto di oggi è che, in cima a tutto questo, ci sono uomini traboccanti di insicurezza da cui ci si attende che si esprimano solo in certe ristrette modalità.
Nessuna causa è l’unica, e ogni incremento avviene un po’ per volta: prevenire l'abuso di armi da fuoco non sembra immediatamente politicamente realistico; le divisioni create dalle religioni persisteranno; nessun sistema sarà presto in grado di fornire un’assistenza completa alla salute mentale. L'arbitrarietà e la pervasività della mascolinità, invece, rendono questo strumento particolarmente efficace su scala personale, di giorno in giorno, minuto per minuto. [testi in rosso tratti dal pezzo di Hamlin che trovate qui].

La conclusione è che la mascolinità tossica è precisamente il terreno più importante, ma anche il più efficace, su cui è necessario intervenire. E invece non si fa un bel niente. Cosa aspettiamo? L'intera cultura occidentale si fonda sullo stupro!


Addirittura i dibattiti a Montecitorio si svolgono sotto a una scena di violenza misogina e stupro (il fregio del Sartorio che celebra il ratto delle Sabine), da sempre interpretata non come abominio, ma come atto epico fondativo. Ancor oggi nelle scuole tutta questa violenza viene presentata acriticamente, come fatto, appunto, fondativo (come in effetti è)! E nessuno si sogna di metterla in discussione. Cosa aspettiamo?? saremo sempre indietro,  di certo in ritardo sui seminatori di odio.

Ben conoscono, invece, il valore di questo tema i reclutatori dell'orrore, che comprano emarginati con le promesse di schiave sessuali, la moneta più ambita dall'uomo debole: il dominio sulle donne.

giovedì 23 giugno 2016

La politica superata e quella nuova da inventare. E alle nuove sindache diciamo

Scrive su Noi Donne Tiziana Bartolini che i ballottaggi del 19 giugno hanno ridisegnato il sentire delle italiane e degli italiani e aperto squarci in muri di gomma. Vero. E - anche se l'affermazione del femminile non ci è mai parso nel minimo interesse dei 5Stelle, però uno di questi squarci è stato proprio quello che ha portato al vertice 2 donne.


E la prima donna in Campidoglio in 3.000 anni di storia - come sottolinea la stampa estera; e a  proposito: in Campidoglio, quante donne in rapporto ai partiti? Eccole: M5S: 16 donne su 29 seggi • Pd: 3 su 6 • Fratelli d’Italia: zero su 4 • lista Marchini: zero su 2. 
Inoltre vero anche che il risultato dei 5Stelle è stato travolgente: con la vittoria di 19 ballottaggi su 20, l’affermazione del M5S è stata diffusa e con una valenza simbolica oltre che storica. Così avveniva anche nel 2013, sull'onda di un immenso afflato di cambiamento, ma tutte le speranze di cambiamento, allora, caddero nel nulla; tutto è ricominciato come al solito; ed è anche per questo che, se allora votavamo con speranza, adesso votiamo ancora per il cambiamento, ma ci tocca lottare con la disperazione. L'occasione storica di allora fu sprecata, e non solo dal Movimento 5stelle; quel momento di speranze però lo ricordiamo bene; è proprio allora che è nata la rete-blog della Politica Femminile; è in quel momento che - senza essere nessuno, "solo" donne, gruppi eterogenei di donne - abbiamo invitato tutte e tutti a una politica in grado di includere anche il femminile, e cercato anche di spiegare: ma il femminile, in che senso?
Alle nuove sindache, dunque, oggi diciamo: ascoltate - almeno voi, finalmente, le donne. Mettete a frutto (anche) il vostro prezioso essere donne - obbligate la politica a rispondere: ma di quale crescita si parla? come superare la cultura (e dunque l'economia e la politica) dello stupro? 
Riflettete sul metodo - perché tutto parte da lì.
Ai LINK che trovate cliccando su quelle parole chiave ci sono i suggerimenti con cui vi auguriamo buon lavoro, incluse le moltissime di noi che NON vi hanno votato. Non sprecate il vostro essere donne ma ascoltateci e avrete così, proprio dalle donne, il miglior sostegno: ora speriamo ardentemente che ce la farete, che stupirete tutte e tutti.



Riguardo a uno sguardo al femminile su questi risultati elettorali, torniamo all'editoriale di Tiziana Bartolini, che scrive: con l’affermazione travolgente di Virginia Raggi a Roma e l’irresistibile rimonta di Chiara Appendino a Torino, il vento pentastellato ha recapitato l’avviso di sfratto alla politica ‘tradizionale’ con sentita richiesta di portarsi via anche le architetture, le logiche, i riti e altri vecchi arnesi del mestiere. Qualcosa si è mosso nel profondo di un paese stanco e disorientato, che ha affidato la sua protesta agli attuali interpreti dell’antipolitica. Il tempo dirà come questa energia si tradurrà in progetto politico organico, in una visione di sistema che sia effettivamente alternativa. La partita, a detta degli stessi grillini, non sarà semplice da giocare. Bella scoperta! 
Dal nostro punto di vista, quello di genere, la nuova situazione ci sollecita molte riflessioni - e qualche domanda - che hanno il pregio di sembrare un po’ meno scontate. 
Cominciamo dalle domande
1. come sono state candidate ed elette le donne?
Tante donne, candidate ed elette sindache o 'minisindache', in questa tornata elettorale sono diventate protagoniste. La cosa non ha suscitato particolare interesse nei media e, pare, neppure nel corpo elettorale. Speriamo che qualche analista studi, tra i flussi, anche quello del genere. Ci dica, cioè, se le candidate sono state scelte anche in quanto donne e se hanno attratto maggiormente il voto delle elettrici. Sarebbe interessante capire se la consuetudine delle donne di non votare altre donne è andata in soffitta insieme alla vecchia politica, particolare non trascurabile.
2. Quante erano le candidate ai Consigli comunali, quante sono state elette, dove e con quali meccanismi?
Il voto disgiunto, infatti, consente di votare più liberamente il sindaco mentre sono maggiori le pressioni esercitate per il voto di lista e la preferenza. L’incremento di preferenze femminili sarebbe un’altra novità. Il M5S in Campidoglio porta 16 donne su 29 seggi, il Pd 3 su 6, Fratelli d’Italia nessuna donna su 4 e la lista Marchini porta 2 consiglieri e nessuna consigliera. Per dire.

Passando alle considerazioni, partiamo dalla consapevolezza che una così folta presenza di donne non coincide con l’affermazione del femminile e della piena autonomia, né è il frutto diretto del femminismo. Anche l'allocuzione di Raggi “Sono la prima donna sindaco di Roma” rimarrà nella storia come un’occasione perduta per dire al mondo, e a se stessa, chi è e da dove viene. Nonostante l’autorevole conforto dell’Accademia della Crusca e delle più alte cariche dello Stato. Analogamente Appendino è sindaco di Torino. Peccato, ma contiamo di conquistarle presto alla causa dei femminili grammaticalmente e politicamente corretti.
A parte questa assonanza, le due prime cittadine d’Italia sono diverse in quanto ad autonomia di movimento e di pensiero. Da Torino i segnali sono arrivati subito, con la prima, efficace, dichiarazione; intendimento confermato con il rifiuto di firmare il contratto con lo staff del Movimento, come invece ha fatto Raggi. 
Orientamenti, primi passi, tracce… che però non spostano il senso più profondo di queste elezioni. La presenza di così tante donne è il segno di un cambio di passo, speriamo irreversibile, per la politica tutta. 
È un dato di realtà che interpella i movimenti delle donne sia sul piano simbolico sia su quello concreto e più immediato, nel breve e nel medio periodo. L’impatto dell’onda d’urto cui stiamo assistendo, e che durerà qualche anno, non può non lasciare tracce nella cultura diffusa e, come donne, non possiamo consentire che accada. Anzi, il tema ci pare sia immaginare nuove modalità di relazioni, trovare le sintonie necessarie affinché non siano sprecate le straordinarie potenzialità che il femminile, e la differenza di cui è portatore, si affermi sulla scena pubblica
Il pericolo serio che si corre è che la neutralità espressa attraverso il non essere, fieramente, né di destra né di sinistra, si possa traslare nella neutralità sul versante del genere buttando al macero intere biblioteche e faticose elaborazioni. Non si hanno notizie di soggetti femminili o femministi più o meno organizzati dentro o intorno al M5S e, anche se questo potrebbe non essere di per sé significativo, è un elemento che qualcosa dice. 
In concreto appare improbabile intavolare un ragionamento facendo pesare la nostra storia e le nostre battaglie. Il valore storico, probabilmente, è riconosciuto insieme all’onore e al merito. Ma è tempo di andare avanti. Il punto è con quali strumenti e idee, con quale ordini di priorità, con quali parole d’ordine. Non sarà facile ma è inevitabile e, forse, anche benefico mettere alla ‘prova del tempo’ categorie di giudizio e approcci consolidati. Se tutto cambia, o dovrebbe cambiare, anche le griglie di lettura delle donne possono mettersi in discussione. 
Queste giovani sindache hanno, tra le tante ed enormi responsabilità di governo di città complesse, anche quella di non fallire, oltre che come grilline, anche in quanto donne [e, aggiungiamo, sono incaricate di rimediare a scempi; anziché risorse si ritrovano in mano le pesanti eredità di ininterrotte politiche maschili predatorie, ndr].


Avremo noi donne, tutte insieme, l’umiltà e il coraggio di superare, ciascuna, la singola appartenenza partitica, la ripulsa, l’invidia, la voglia di vendetta? Non è scontato né facile che una saldatura avvenga tra storie e genealogie femminili tra loro molto diverse e distanti. Ma sappiamo che se non saremo capaci, noi tutte, di fare un salto di qualità, che è relazionale e politico, le magiche traiettorie che questo giro hanno aperto alle donne varchi impensabile fino a pochi mesi fa, potrebbero ricomporsi escludendole. Perché, lo ripetiamo continuamente, mai nulla è conquistato per sempre. 
Ezio Mauro (su a Repubblica del 21 giugno) ha parlato di “desertificazione culturale” e di “cambiamento senza progetto, senza alleanze sociali, senza uno schema di trasformazione” descrivendo il contesto in cui si è potuto affermare “l’antisistema”. Difficile dargli torto se non si sposta il punto di osservazione. Eccolo, il nodo. Ce lo abbiamo, noi donne, un punto di osservazione specifico? Che non è un programma elettorale ma una visione politica unificante che si riconosce in una cornice culturale capace di andare oltre i partiti del Novecento. Riusciamo a tracciarla e condividerla senza dividerci? 
Il momento della verità non è arrivato solo per il Pd alla ricerca di se stesso, per il centrodestra allo sbando o per gli esultanti, per ora, eredi di Grillo.

Coraggio donne, questa tornata elettorale interroga più che mai tutte le forze, e noi donne siamo forza. Non tiriamoci indietro.


martedì 21 giugno 2016

Tutte le sindache d'Italia

Sono 1.087. Le 24 Sindache elette nei 126 ballottaggi del 19 giugno (che si aggiungono alle 1.063 già in carica) su questi 126 sono solo il 19% ; ma fra loro ci sono la prima sindaca della storia di Roma: Virgina Raggi, oggi sindaca di oltre 7.212.000 abitanti (tra quelli di Roma Capitale e quelli della Città Metropolitana), e la seconda sindaca di Torino: Chiara Appendino, oggi sindaca di circa 3.722.000 persone (tra Torino e relativa Città Metropolitana).

Anche se le donne elette non sono tantissime, qualcosa di veramente nuovo è successo: sono finalmente volti femminili quelli sulle prime pagine dei giornali, quelli che rimbalzano anche fuori dai nostri confini; per la prima volta la capitale italiana è andata a una donna e, soprattutto, queste donne sono state votate senza timori, in massa; è stato dunque il ballottaggio delle donne. Certo, non sono donne con una storia femminista alle spalle, competenze di genere probabilmente nemmeno ne hanno; ma sono in tempo a farsele. Forse faranno anche presto, consapevoli della nuova responsabilità che le ha investite; ed è quello che speriamo.
Ora, gli stessi che esultano per l'umiliazione del Pd, già corrono a svillaneggiarle; ecco ad esempio la penosa prima pagina del cosiddetto Libero quotidiano - per cui le elette di Roma e Torino non sono donne, non sono politiche ma, paternalisticamente, le ragazze - e il titolo dice tutto: prova del fuoco per le ragazze. Ma saranno capaci? 


Ma quali ragazze! ma per favore.


Ma si rodano il fegato i maschilisti di ogni lato. Da parte nostra buon lavoro a tutte le elette. Raggi a Roma, Appendino a Torino, e le altre chi sono, e dove? eccole: ad Altopascio (LU): Sara D’Ambrosio • ad Anguillara Sabazia (RM): Sabrina Anselmo • ad Arcore (MB): Rosalba Piera Colombo • ad Ardenno (SO): Laura Bonat • ad Assisi (PG): Stefania Proietti • a Battipaglia (SA): Cecilia Francese • a Brindisi: Angela Carluccio • a Carbonia (CI): Paola Massidda • a Carmagnola (TO): Ivana Gaveglio • a Cascina (PI): Susanna Ceccardi • a Ciriè (TO): Loredana Devietti Goggia • a Civita d’Antino (AQ): Sara Cicchinelli • a Favara (AG): Anna Alba • a Montevarchi (AR): Silvia Chiassai • a Oderzo (TV): Maria Scardellato • a Palo del Colle (BA): Anna Zaccheo • a Peschiera Borromeo (MI): Caterina Molinari • a Savona: Ilaria Caprioglio • a Sulmona (AQ): Annamaria Casini.

Buon lavoro a tutte loro, augurandoci che tutte faranno il possibile per dare un vero contributo anche nella direzione della parità, e per svincolarsi il più possibile dalle pastoie dei relativi partiti e dai loro (eventuali) mentori maschi; e, magari! per inaugurare nuovi metodi, una politica più femminile.

Ma soprattutto...  Fate qualcosa di femminista: siate libere!





domenica 12 giugno 2016

Femminicidio: parla un uomo e giornalista. Michele Serra, ad esempio

Femminicidio nel parere di alcuni uomini; oggi (vedi anche parla l' "esperto"i prof. Crepet), un pezzo di Michele Serra, di cui apprezziamo molti passaggi (anche se in altri punti constatiamo come diverse evidenze sfuggano perfino al commentatore più amico, com'è in questo caso Serra). Il pezzo titola Femminicidio: l'ossessione dei maschi che uccidono. Non basta la psicologia a spiegare l'orrore delle tante donne assassinate; ed ecco il testo (grassetti, tutti di apprezzamento, sono nostri): Sui maschi che uccidono o sfregiano la femmina che li rifiuta (con lo scopo, lucidamente feroce, di renderla "inservibile" ad altri maschi) si esercitano molto le discipline psicologiche, criminologiche e antropologiche, come è utile e anzi indispensabile che avvenga. Ma credo - e lo dico da maschio - che su quella rovente, tremenda questione, non si eserciti abbastanza la parola politica.


Al netto dei materiali psichici complessi e oscuri che ci animano, molti dei nostri comportamenti sono determinati dalle nostre convinzioni e dalle nostre idee. Ciò che siamo è anche ciò che vogliamo essere. O che tentiamo di essere. Se non rubiamo non è solamente per il timore della punizione, o perché non ne abbiamo la stretta necessità economica. È perché abbiamo ripugnanza etica del furto.
Quando ero ragazzo, negli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo, si è decisamente sopravvalutato il potere che le convinzioni e le idee potessero esercitare sulla nostra vita; vita quotidiana compresa. "Il privato è politico", si diceva allora [o meglio, le femministe dicevano, già allora, ndr], volendo significare che ogni nostro atto, anche domestico, anche invisibile alla Polis che tumultuava e rumoreggiava sotto le nostre finestre, avesse valore pubblico e producesse il suo effetto politico. Era una forzatura ideologica che l'esperienza provvide, per nostra fortuna, a sdrammatizzare e infine a diradare, facendoci sentire un poco meno "responsabili del mondo" almeno dentro i nostri letti, un poco meno sottomessi al Dover Essere ideologico [e su questo, invece, a nostro parere l'approfondimento maschile e collettivo si è semplicemente, purtroppo! arenato; ndr]
Vennero scritti libri e girati film sulla presuntuosa goffaggine che pretendeva di avere instaurato, in quattro e quattr'otto, libertà di costumi e liberalità di sentimenti. Non erano così facilmente arrangiabili, i sentimenti e gli istinti, alle nuove libertà. Non così addomesticabili il dolore inferto e subito, l'abbandono, la gelosia.
Ma la decompressione ideologica dei nostri anni è funesta in senso contrario. Le idee, che a noi ragazzi di allora parvero fin troppo determinanti, oggi vagolano in forma di detriti del passato oppure di scontate banalità. Hanno perduto molto del loro appeal: in positivo, perché è finita la sbornia ideologica, ma anche in negativo, perché molte fortissime idee hanno perduto la loro presa sul discorso pubblico, impoverendolo e istupidendolo. Per esempio l'idea - e veniamo al punto - che la donna appartenga a se stessa ("io sono mia"), che la sua persona e il suo corpo non siano mai più riconducibili alle ragioni del patriarcato e del controllo maschile. Se c'è mai stata, al mondo, un'idea rivoluzionaria, è quella: ribalta una tendenza millenaria, smentisce spavaldamente la Tradizione, muta la struttura sociale perfino più radicalmente di quanto la muterebbe la sovversione della gerarchia padrone-operaio. Perché non se ne sente più l'eco, di quello slogan così breve e di così implacabile precisione? [perché le voci che impongono concetti di massa e che fanno rumore sono quasi tutte maschili; e se sono femminili sono messe lì da maschi. Perché il potere NON vuole sentire e sapere; perché non ci ascoltate. Ndr]. Forse perché lo si dà per scontato (non essendolo!); forse perché nessun "principio" assoluto riesce più a ottenere credito in una società smagata, relativista più per sfinimento che per cinismo. [Ribadiamo: "quello slogan di così implacabile precisione" vibra ogni giorno, da sempre e ancora oggi, in tutto l'attivismo femminista; ma non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire, ndr].
Eppure, volendo ridurre all'osso la questione del femminicidio, è proprio l'ignoranza o il rifiuto maschile di quel principio - io sono mia - il più evidente, perfino il più ovvio di tutti i possibili moventi. No, tu non sei tua, tu sei mia. Il mio bisogno è che tu stia con me, e del tuo bisogno (non stare più con me) non ho rispetto, o addirittura non ne ho contezza. Tu esisti solamente in quanto mia; in quanto non mia, esisti talmente poco che cancello la tua vita. Certo, la stratificazione psichica è profonda, cause e concause si intrecciano, paure e debolezze si sommano producendo, nei soggetti più sconquassati, aggressività e violenza. Ma il "via libera" all'aggressione, alla persecuzione, allo stalking, al delitto scatta anche perché nessuna esitazione "ideologica" interviene a soccorrere il carnefice, nessuna occasione di dibattito interno gli è occorsa, a proposito di maschi e di femmine.
Politica e cultura (ovvero: il processo di civilizzazione) esistono apposta per non abbandonare la bestia che siamo alla sua ferinità e ai suoi istinti [si, però l'ideologia del "tu sei mia" NON è istinto ma sovrastruttura, cultura appunto, ndr], regolando in qualche maniera i rapporti sociali, rendendoli più compatibili al bisogno di incolumità e dignità di ogni persona. 
Questo non esclude, ovviamente, che ci siano stalker e aguzzini di buona cultura e di idee liberali [ed eccoci al punto! la "buona cultura liberale" di quegli aguzzini NON è liberale davvero perché è patriarcale; e il patriarcato stesso è fondato sullo stupro. E nessuna profonda revisione culturale è mai davvero avvenuta in quanto è stata costantemente, sapientemente e accuratamente contrastata; ndr]. Ma è l'eccezione che conferma la regola: costumi e comportamenti di massa sono largamente influenzati, e sovente migliorati, dalla temperie politica e culturale dell'epoca. 
È nell'Italia rinnovata e modernizzata degli anni Sessanta che la contadina siciliana Franca Viola si ribella al ladro del suo corpo e pronuncia, entusiasmando milioni di spiriti liberi, il suo semplice ma inequivocabile "io sono mia" prefemminista e presessantottino, con la mitezza luminosa di una Lucia aggiornata che rimette al suo posto il donrodrigo di turno. È sempre in quell'Italia che, con fatica, si arriva finalmente a mettere in discussione l'obbrobrio giuridico del "delitto d'onore", che verrà finalmente cancellato vent'anni dopo. Ed è a livello popolare, mica solo nei "salotti", è nel profondo della società che quei fermenti circolano, quelle discussioni si animano, quei confitti indirizzano il senso comune. [Ma qualcuno anche fra gli uomini lo riconosca, finalmente, senza lasciare solo Wolinski! che tutto questo fermento fu opera del femminismo, delle femministe allora così moleste, ma senza le quali nessun maschio avrebbe fatto il benché minimo passo avanti, sul piano della consapevolezza delle relazioni! ndr].
Non so quanto dipenda dalla mia storia psichica o dalle mie attitudini caratteriali il fatto che io non abbia mai alzato un dito su una donna. Ma so per certo che dipende in buona parte, per dirla molto banalmente, dalla mia volontà di non farlo; dalla mia educazione e dall'esempio ricevuto in famiglia; dalle mie inibizioni culturali, che mi fanno considerare indegna e vile la sopraffazione dell'altro; infine, e non ultimo, dalle mie convinzioni politiche, che mi conducono fortemente a credere che la libertà delle donne sia condizione (forse la prima condizione) della libertà di tutti.
Come disse a milioni di persone, con la sua ruvidezza a volte così necessaria, Luciana Littizzetto al Festival di Sanremo di qualche anno fa, "chi picchia una donna è uno stronzo". Poi, certo, è soprattutto di aiuto, di assistenza e perfino di pietà che hanno bisogno anche gli stronzi, soprattutto gli stronzi. Ma la prima domanda da porre, al femminicida in carcere o in altro luogo di recupero e cura, è sempre e solamente una, semplice, facile da capire, ineludibile: ma non lo sapeva, lei, che le donne non sono di sua proprietà? Non glielo aveva mai spiegato nessuno(il testo in rosso è il pezzo di Michele Serra, su Repubblica, 12 giugno 2016)




sabato 11 giugno 2016

Networking a Roma con Elisa Garito (TEDxRoma) e Young Women Network

Piccole opportunità sono spesso l'inizio di grandi imprese, diceva Demostene. Young Women Network (YWN), associazione dedicata al networking, mentoring ed empowerment delle giovani donne, nata nel 2012 a Milano, sbarca a Roma per creare, anche nella capitale, una rete di giovani professioniste - con diversi profili e background - incentivando il confronto e la condivisione di esperienze, attraverso la promozione di eventi di networking e formazione.
L’appuntamento è per giovedì 16 giugno 2016 alle 19.00 al bistrot Assaggi d’Autore (Via dei Lucchesi 28, Roma), nella splendida cornice della Fontana di Trevi. Le partecipanti  potranno anche ascoltare la testimonianza informale di Emilia Garito, AD e fondatrice di Quantum Leap. una dei primi Patent Broker Italiani, e di New Trends Domains–Booking The Future. Da ingegnera e inventrice è esperta di innovazione e tecnologie e con entusiasmo si è dedicata a creare la community TEDxRoma, delle cui ultime edizioni è organizzatrice.
Nel segno del nostro motto #AchieveMoreTogether vogliamo creare una rete di giovani professioniste con diversi background ed incentivare occasioni di confronto e di condivisione di esperienze tra le stesse anche su Roma, dice Valentina Capogreco, Chapter Curator di YWN Roma. Siamo sicure che lo sviluppo professionale possa correre in parallelo con quello personale, anche grazie a esempi di successo, imprenditorialità al femminile e di grande determinazione, che possano fungere da modello ispiratore per tutte le giovani partecipanti.
Iscrizioni gratuite e aperte fino ad esaurimento posti. Costo della consumazione a carico dei partecipanti.

sabato 4 giugno 2016

Lotta al femminicidio: dal 2 giugno la bandiera delle donne è un vestito rosso alla finestra

di Nadia Somma • Dopo la commozione per la morte di Sara Di Pietrantonio, dalla rete è partita spontaneamente una iniziativa. Un messaggio diffuso su Whatsapp e Twitter, ha invitato le italiane a compiere azioni contro la cultura del femminicidio. Il 2 giugno si è tenuto un flash mob in diverse città italiane (lanciato dalla blogger Simona Sforza) per dire basta alla violenza contro le donne. Insieme al flash mob è stata lanciata l’idea  di esporre drappi rossi alle finestre e ai balconi delle case, eppoi rilanciare in rete l’iniziativa.  Così è accaduto che durante la Festa della Repubblica, al tricolore celebrato con la  parata di un esercito e dei suoi carri armati, si è  sovrapposto  il drappo rosso esposto dalle donne contro la violenza maschile. Esiste una frattura, una stonatura tra questi due mondi e modi di celebrare una appartenenza. Qualcosa su cui riflettere.


Anarkikka, illustratrice e femminista, ha disegnato una vignetta e ha creato l‘hashtag #Saranonsarà  sollecitando uomini e donne,  insieme al gruppo #ObiettiamoLaSanzione, a rilanciare domenica 5 giugno, l’iniziativa della rete,  per  invitare ad una mobilitazione permanente contro la violenza e il sessismo.


L’obiettivo é quello di realizzare  interventi articolati che incidano sulla cultura - vera prevenzione, e non leggi che "inaspriscano le condanne", senza andare alla radice.
Abbiamo smesso di pubblicare i numeri delle donne vittime di femminicidio ma non per questo quei crimini sono cessati. La cadenza è rimasta la stessa, una ogni due giorni. Sara con il suo sguardo limpido e tenero, si muoveva  nella vita con tutto il desiderio che si può avere a ventidue anni. Il “bravo ragazzo” che era stato insieme a lei per due anni l’ha inseguita e  uccisa sulle strade di Roma perché si era sentito rifiutato. 
Una morte  simile a quella della giovane pakistana di 19 anni, picchiata e bruciata viva durante una spedizione punitiva attuata  da cinque uomini. La sua colpa? Aver rifiutato una proposta di  matrimonio. In Italia come in Pakistan o in altre regioni del mondo, le donne possono essere  ammazzate per le loro scelte. Avviene in virtù di leggi in vigore o di leggi inscritte nella memoria che negano loro individualità, identità, desideri. Le  azioni degli uomini che le uccidono sono il prodotto di una cultura millenaria, costruita su linguaggio, miti, religione, immaginario, stereotipi, ruoli di genere imposti,  dove anche la violenza ha una sua funzione. E’ l’estremo atto che sancisce il potere maschile sulla vita delle donne.
In Francia, nello stesso giorno in cui Sara veniva uccisa, un uomo uccideva la moglie. Due giorni dopo l’uccisione di Sara, è avvenuto un altro femmicidio in Italia. Nella provincia di Milano, Maria Teresa Meo è stata accoltellata dal marito che poi si è suicidato. Una donna è stata trovata in fin di vita a Valderice, dopo essere stata aggredita e forse stuprata. Ieri a Bologna, una donna incinta è stata avvelenata con la soda caustica: il compagno ha confessato. 
Eppoi ci sono le violenze rivelate dalle indagini statistiche, sempre smentite dai sostenitori e dalle sostenitrici del  machismo, queste ultime spesso più realiste del re. Spesso si liquida il fenomeno come invenzione delle femministe o con la tesi  che i dati descrivano una quota accettabile di violenza maschile. Una normalità con cui le donne dovrebbero continuare a  convivere, senza lamentarsi troppo, limitando la loro libertà. Ma nessun messaggio, nessuna prescrizione o ammonimento  viene rivolto agli autori di violenza. Ci si dimentica troppo spesso che fino al 1981, una legge, una delle tante, alleggeriva le loro azioni grazie al delitto d’onore e, fino al 1997, la legge definiva lo stupro un crimine contro la morale e non contro la persona.
La cultura del femminicidio resiste nella ipocrisia dei politici che accusano di indifferenza i passanti che non hanno aiutato Sara eppoi sono ostaggio (quando non sono i sostenitori) dei movimenti conservatori e integralisti cattolici, che impediscono  di sensibilizzare i giovani nelle scuole contro il sessismo, l’omofobia, il razzismo. 
Nel  Parlamento si mette mano al problema solo per dare risposte securitarie eppoi è finita lì. E spesso a quella ipocrisia si somma l’ignavia di fronte al rischio di chiusura dei centri antiviolenza, come sta avvenendo a Roma. Il centro antiviolenza comunale “Donatella Colasanti Rosaria Lopez” che ha accolto 10mila donne, rischia di scomparire. Ancora una volta alle attiviste viene chiesto di battersi con una petizione pubblica perché  non venga perso un luogo che accoglie le vittime di violenza.
La cultura del femminicidio resiste se la sua denuncia sociale è affidata ad una cattiva informazione. Stereotipi e banalità rafforzano la costruzione culturale del desiderio maschile e la  violenza contro le donne resta ancorata alla narrazione del binomio romantico amore-odio, amore-morte. Se  nelle trasmissioni televisive o sulla stampa non si fanno approfondimenti, se si lascia spazio ad opinionisti (i soliti) disinformati o peggio, se si cavalca il fatto di cronaca solleticando il lato emotivo del pubblico, si  distorce lo svelamento della violenza contro le donne. Il sessismo è radicato ancora e lo testimoniano i commenti che sul web, in dispregio della morte delle donne, ripetono rancorosamente “se l’è cercata”.
E’ avvenuto anche nel caso della giovane brasiliana stuprata da 33 uomini, fotografata ferita e in stato d’incoscienza, ed esposta ad una gogna gradita a 500 utenti di fb. 
Il caso  ha fatto esplodere le proteste delle donne brasiliane. In Italia come nel mondo,  le donne vittime di violenza diventano, per la cultura maschilista, figlie di nessuno e la responsabilità della violenza sessista ricade su di loro come una colpa. Alla violenza degli autori si aggiunge la violenza della società. Altre volte  il fastidio avvertito per le vittime può essere legato ad un senso di colpa collettivo che  non viene elaborato, e fa scattare una rabbiosità sorda ad ogni sentimento o empatia.
Oppure accade di peggio. Si narra il massacro di una donna senza  alcun pudore, brutalmente, come in quel titolo di Libero che ha parlato di Sara come di una ragazza “arrostita” suscitando indignazione e proteste. Qualche giorno dopo, in difesa di una scelta deprecabile, Vittorio Feltri, il suo direttore, ha banalizzato l’episodio e ha pronunciato parole che ancora dileggiano la morte violenta e disumana di una giovane donna. Senza empatia, senza vergogna alcuna.
La cultura del femminicidio resiste con una giustizia che rivittimizza le donne nei tribunali, che trasforma le vittime di stupro in imputate o che continua a giudicare i femminicidi come atti istintivi, non premeditati. Si riesuma il concetto del raptus eppure conosciamo le dinamiche delle violenze e dello stalking. Gli atti violenti sono pensati, immaginati, preparati, spesso, con giorni e mesi di anticipo, persino anni.
Al movimento delle donne e a quegli uomini, sempre più numerosi, che ne condividono l’attività politica e che partecipano al sogno di costruire una società diversa, spetta riprendere da dove si è lasciato. Ogni volta. Riscrivendo le stesse parole, impegnandosi ogni giorno in progetti politici e riaffermando la  speranza di un cambiamento con pensieri e azioni. Per Sara e per le altre che ci sono state e che non sono più. Per i diritti di tutte che comprendono sempre, senza escludere mai, i diritti di tutti.
@nadiesdaa

giovedì 2 giugno 2016

Femminicidio: parla l'esperto. Il prof. Crepet, ad esempio

Nel giorno del 70° anniversario del voto femminile la protesta delle donne contro il femminicidio soffia come vento nel moltiplicarsi di iniziative in piazza e sui social. Questo vento gonfia come vele i vestiti rossi sui balconi, che sbattono come bandiere per rendere visibile il sangue delle donne versato dagli uomini - la voce inascoltata delle donne si fa colore e grida.


Ma, dopo l’ultimo atroce delitto maschile, quello contro Sara, mentre tutto questo accade, vediamo cosa scrive e cosa ci consiglia in merito lo psicologo, psichiatra, esperto (?) e scrittore; non uno qualunque, uno autorevole, uno che scrive libri e “va in televisione”, e da lì consiglia, rincuora, dà certezze a milioni di persone: il prof. Crepet, per esempio. Sintetizziamo, riportando letteralmente le sue parole:

1. Ragazze, mai, mai andare all'ultimo appuntamento. Mai cedere, dopo la rottura di una storia soprattutto se la persona (persona? è sempre un maschio prof. Crepet, ndr) l'ha presa male, ha già alzato la voce o le mani, e andare all'incontro per farsi ridare gli effetti personali. Chi se ne importa delle scarpe, dei vestiti, delle catenine, delle foto... Si può sostituire tutto. E se proprio è necessario, andateci in gruppo. 
Tutto ok; e siamo d'accordo che all'ultimo appuntamento mai. Ma siamo certi prof. Crepet che al cuore del problema ci sia l’ingenuità finale delle donne che non si aspettano di essere uccise?

2. Abbiamo tante responsabilità e questo è l'effetto perverso, pensando all'età anagrafica del ragazzo, di 25 anni di consensi per tutto, 25 anni di poverino, tesoro ecc, per poi arrivare agli ultimi due dove ci sono stati dei 'no'. Dei 'no' che sono diventati frustrazione. 
Tutto ok; ma siamo certi che anche questo sia al cuore del problema? la smidollataggine delle genitrici che non immaginano che i figli diverranno per ciò assassini?

3. Ne ho visti tantissimi di casi del genere, dove ha imperato un modus educandi sbagliatissimo e fuorviante, dove durante l'infanzia e l'adolescenza non c'è stato un 'no' che ti ha insegnato a crescere, a saper accettare la sconfitta. Si arriva al 'no' senza anticorpi. E' come una patologia che si affronta senza difese immunitarie. Chi si sente dire 'no' non capisce più niente e vuole uccidere chi ha osato tanto. 
Ahhh ecco; più sberle, ci volevano, più spazio ai padri! altrimenti, e che ci vuole a capirlo? Chi si sentirà dire un ’no' - ma da "chi" prof. Crepet? chi si sentirà dire un no dal capufficio, il vigile, il direttorie banca che nega un mutuo non capirà più niente e lo vorrà uccidere? E’ così prof. Crepet? No, lei dimentica di dire che chi "è da uccidere per aver osato tanto" è sempre una donna, la mia donna, prof. Crepet.

4. un'altra riflessione, che faccio proprio da psichiatra: attenzione all'ambiente che frequenta l'altra metà (non è l’ "altra metà", prof Crepet, nella statistica è sempre lui che pesta e uccide: il maschio; ndr). Se uno frequenta giri dove si usano ad esempio le armi, anche per sport, beh un po’ di attenzione in più ce la metterei perché potrebbe esserci contiguità fra quel tipo di cultura e l'atteggiamento che poi si ha nella vita. Molti casi di femminicidio sono maturati in questi contesti.
Ahhh ecco; e poi diciamolo; non vorremo mica criminalizzare l’òmo solo perché è òmo? quelli sono mostri! casi isolati.. e salvo rare eccezioni (sempre pazzi isolati) sono poràcci, stranieri barbari, magari camorristi.. è normale che sta gente fa ste cose qua; e mi sa che scava scava, a ben vedere i femminicidi erano tutti di quel tipo di cultura lì, e tu cretina, che ci stavi a fare con gente come loro?

5. Nell’amore, poi, oggi non c'è leggerezza. E da padre dico: per favore, ragazze, vi scongiuro, aprite gli occhi. Basta con la storia della crocerossina che salva il mondo! Lasciate perdere. Indipendentemente da questo poi, bisogna che una ragazza - quando è in situazioni difficili e ha capito che lui non è certo un 'uomo da biblioteca' visto che magari ha già alzato la voce e ha detto che cose era meglio non avesse mai detto - molli subito. Ragazze l'ingenuità è un peccato mortale in questi casi.  
Ecco, appunto, ma tu cretina, possibile che ti metti sempre nei guai, e poi noi maschi ci vediamo tutti messi in croce, come se fosse un problema “maschile”..!? e non di qualche pirla e, soprattutto, di voi donne che beati chi vi capisce, volete raddrizzar le gambe ai cani?

6. Cosa dire alle madri dei figli maschi? Cresceteli insegnando loro che la violenza è una cosa stupida. Inutile. Devono sapersi difendere è chiaro ma da altro. Insegnategli a mettere una pietra sopra alle storie che finiscono, insegnate in generale ai figli, maschi e femmine, a saper perdere. La violenza è l'arma degli impotenti. Questo ragazzo che ha ucciso è un impotente, non sessualmente si intende, ma un impotente davanti alle avversità della vita. Un impotente perché non è riuscito a metterci una pietra sopra. Non è riuscito a perdere.
E si, le madri hanno le loro responsabilità, l’abbiamo già detto! e questo tema a prof. Crepet particolarmente piace. E si vedano anche dichiarazioni precedenti, ancora più pregnanti:


ma insomma, dice l'esperto, c'è anche che bisogna saper perdere, non sempre si può vincere, e allora cosa vuoi.. lo diceva anche una bella canzone dei tempi miei. E comunque è così per uomini e donne, ragazze e ragazzi, che c’entra il femminicidio? E’ così prof. Crepet? 

No, non è così, come la dipinge lei. E aggiungo che invece la pietra sopra quel tizio, il “ragazzo”, ce l’ha messa, prof. Crepet: l’ha messa, fisicamente e letteralmente, sopra a Sara stessa, così come una bella pietra tombale si mette, su tutto il problema, liquidandolo come fa lei.

Prof. Crepet, si lo so che il mio parere vale meno di zero, specie ai suoi (e altrui) occhi maschili. Ma da donna e da femminista le ritirerei la patente, quella di guida dei genitori e delle giovani generazioni, perché lei le porta a sbattere.
Sbattere contro il solito muro, di pietre o di gomma, del maschilismo che sa benissimo quello che fa, ma fa finta di non sapere, di non capire, di non vedere. Quella cultura complice che finisce sempre, prima o poi, per parlare di inasprire le pene: e mai di prevenire, andare alla radice. E questo è uno SCANDALO.


Così come è uno scandalo continuare a chiudere gli occhi sul problema della mentalità maschile tossica; giustificandola sempre come fosse una sorta di reazione naturale, e comprensibile, a ferite della sensibilità inferte da donne cattive.


Per fortuna quello zic di lucidità introspettiva necessario ce lo mette il criminologo. Ah no, pardon, la criminologa; (perché stranamente, pur essendo anche presidente della società italiana di criminologia è una donna); ora capisco. E' Isabella Merzagora, infatti, che dice:

La vicenda della giovane bruciata viva a Roma è dolorosa e orrenda nelle modalità, ma parlando dal punto di vista criminologico si tratta di un caso piuttosto tradizionale di femminicidio da possesso, una delle forme più diffuse. Tutto muove dalla discriminazione di genere, che esiste e resiste, secondo cui l'uomo non accetta che sia la donna a lasciarlo e dalla relazione tra dipendenza e criminogenesi. La dipendenza nella coppia è pericolosa, ma in una società come la nostra, in cui non esistono più i tradizionali punti di riferimento (partiti, chiesa, famiglia d'origine), il legame affettivo tra due persone resta l'unico confronto affettivo e sociale. Quando la coppia si rompe è il disastro. L'aspetto più grave è che il possesso e la dipendenza sono un fenomeno piuttosto diffuso anche tra i giovani

Ecco, ripartiamo da qui. Te lo dico con le parole di un uomo.
Chi ha orecchie per intendere intenda.

Tutte le dichiarazioni citate sono tratte dall'articolo Agi: "Ragazza uccisa a Roma: Crepet, mai andare all'ultimo appuntamento".