martedì 12 maggio 2020

COVID19. Produzione della carne: anche esasperazione della produttività e sfruttamento fra le cause del persistere del contagio

Per capire perché gli allevamenti intensivi costituiscono un grave fattore di rischio di malattie potenzialmente pandemiche, bisogna pensare a un complesso mix di concause, fra cui il loro ruolo nella produzione di polveri sottili, per giunta inquinate da virus e batteri. Ma riguardo alla diffusione del contagio c’è un altro importante elemento da non trascurare: il quadro di esasperazione della produttività e di sfruttamento che non è crudele solo verso gli animali e l’ambiente ma anche verso i lavoratori, impiegati in numero molto esiguo rispetto all’entità delle produzioni e dei fatturati.


Questo punto, riferito agli allevamenti negli Stati Uniti, è ben descritto da Michael Haedicke (sociologo della Drake University), in un articolo che riportiamo parzialmente di seguito:
(...) I grandi impianti di produzione della carne sono diventati focolai per l'infezione da coronavirus, insieme alle carceri e alle case di cura. Dal 1° maggio (fino al 6 maggio, ndr) fra i lavoratori della carne si sono avuti quasi 5.000 contagiati e 20 morti. Le aziende della carne, quindi, dallo stato di Washington allo Iowa alla Georgia hanno dovuto temporaneamente sospendere le attività, benché il presidente Trump abbia invocato il Defence Production Act per forzarne rapidamente le riaperture.
Come ha dichiarato il governatore dello Iowa Kim Reynolds, i focolai di virus nelle aziende della carne sono "molto difficili da contenere". Ma cosa rende queste attività così pericolose? Da sociologo che ha studiato i problemi del lavoro nel sistema alimentare, vedo due risposte.
In primo luogo, nell’industria della carne contribuiscono alla diffusione di Covid19 le condizioni di lavoro, modellate dalla pressione per la più alta produttività. In secondo luogo, le modalità con cui questa industria si è evoluta dagli anni Cinquanta rendono difficile per i lavoratori mettere in atto condizioni di sicurezza anche in tempi favorevoli, figuriamoci durante una pandemia. La combinazione di questi fattori aiuta a spiegare perché le industrie della carne negli Stati Uniti siano ora così pericolose e perché questo problema sarà difficile da risolvere. (...) 
Anche in condizioni normali, si tratta di luoghi di lavoro a rischio per via dell'uso di coltelli, seghe e altri utensili da taglio, nonché di tritacarne industriali e altri macchinari pesanti. Le lesioni traumatiche per incidenti sul lavoro sono comuni e gli errori possono avere conseguenze raccapriccianti. Ricercatori governativi hanno anche documentato tra i lavoratori lesioni croniche da sforzi di movimento ripetitivi. Le stesse condizioni che portano a incidenti e lesioni durante i periodi normali concorrono anche alla diffusione del coronavirus. Per comprendere questa connessione, è prima di tutto importante sapere che la produzione della carne è un'industria di volume; e più alta è la produttività giornaliera, cioè più animali trasforma in carne, più è lucrativa.
Ad esempio, lo stabilimento di Smithfield a Sioux Falls, nel Dakota del Sud (chiuso indefinitamente ad aprile dopo che centinaia di lavoratori sono risultati positivi al Covid19),  produce 18 milioni di porzioni di carne di maiale al giorno, Impiegando 3.700 persone [vuol dire quasi 4900 porzioni di carne prodotte al giorno per ogni lavoratore, circa 10 al minuto, ndr]. Per massimizzare l'efficienza la produzione avviene su una catena di montaggio - o meglio di smontaggio. I lavoratori stanno vicini e svolgono compiti semplici e ripetitivi su parti di animali mentre queste scorrono. Le linee si muovono in fretta, processando in media, in una sola ora, ben 1.000 maiali e addirittura oltre 8.000 polli. 


Eppure nell'ottobre 2019 l'amministrazione Trump ha eliminato i pochi limiti di velocità della linea di produzione negli impianti delle carni suine e anche i limiti per i singoli impianti di lavorazione del pollame. Velocità e organizzazione degli allevamenti e del confezionamento delle carni promuovono entrambe la diffusione del coronavirus. I dipendenti lavorano fianco a fianco a un ritmo che rende difficile, se non impossibile, praticare comportamenti protettivi come coprire starnuti e tosse.
L'Ente per il controllo e la prevenzione delle malattie ha pubblicato linee guida che includono distanziatori di almeno 180 cm e barriere, adottati da alcuni impianti, ma le pressioni per la rapidità della produzione possono limitarne l’efficacia.
Per capire come mai i lavoratori della carne tollerano queste condizioni difficili e pericolose bisogna guardare alla storia del settore. Secondo molti lavorare in questi impianti è sempre stato difficile e pericoloso come descritto nel 1906 in "The Jungle", il famoso romanzo di Upton Sinclair; un libro che descriveva i lavoratori della carne nella prima metà del Novecento a Chicago, in condizioni simili a quelle dell'industria moderna. Eppure, per diversi decenni dopo la seconda guerra mondiale, le condizioni di lavoro negli impianti della carne erano migliorate costantemente a seguito della pressione esercitata dagli stessi lavoratori. A partire dal 1943, il sindacato United Packinghouse Workers of America organizzò i dipendenti della carne nelle principali città, assicurando accordi generali con le più grandi aziende, come Armor e Swift, che garantivano salari e condizioni di lavoro standard in tutto il settore.
Una fonte dell'influenza dell'UPWA era la sua capacità di costruire alleanze interrazziali. (…) Il logo del sindacato, che raffigurava mani in bianco e nero serrate, simboleggiava la sua capacità di colmare le differenze. Il suo sostegno al movimento per i diritti civili negli anni '60 rivelava anche il suo impegno per l'uguaglianza razziale. Ma negli anni '70 il sindacato era in declino. Un fattore chiave è stata la decisione delle aziende leader del settore di spostare la produzione da città con una forte tradizione sindacale (come Chicago e Kansas City), a cittadine sparse nelle Grandi Pianure e negli Stati Uniti sud-orientali.
Per molte ragioni le forze lavoro rurali sono più difficili da organizzare rispetto a quelle urbane. La maggior parte delle piccole città non ha una storia sindacale e anzi spesso è forte il sentimento anti-sindacale (…). Inoltre, nelle piccole città questi impianti sono spesso i principali datori di lavoro, quindi lavoratori e autorità municipali dipendono entrambe da loro per l'occupazione e per le entrate fiscali. Questa relazione crea un'enorme pressione che induce deferenza verso le aziende di trasformazione delle carni.
Inoltre, dalla fine del Novecento, consolidandosi il settore, le industrie della carne bovina, pollame e altre carni si sono ingrandite, mentre poche proprietà, come Cargill e Tyson, hanno finito per dominare tutto il settore. Questa sorta di monopolio dà loro una capacità ancora maggiore di controllare le condizioni di lavoro e i salari.
Infine, gli impianti di oggi reclutano spesso lavoratori dal Messico e dall'America Centrale, alcuni dei quali potrebbero non avere l'autorizzazione legale a lavorare negli Stati Uniti, e rifugiati senza molte alternative di impiego e senza familiarità con le precauzioni sul lavoro.
La precarietà legale ed economica rende difficile sfidare i datori di lavoro. Anche differenze culturali, lacune linguistiche e pregiudizi razziali possono porre ostacoli all'azione collettiva. Le organizzazioni dei lavoratori non sono scomparse; la United Food and Commercial Workers Union ha invitato l'amministrazione Trump a garantire sicurezza durante la pandemia, ma sta combattendo una battaglia impari. Nonostante le rassicurazioni di Trump che gli impianti chiusi riapriranno in sicurezza, c’è da aspettarsi che le pressioni per l’alta produttività e i limiti nella capacità di difendersi dei lavoratori faranno sì che le infezioni persistano.
Nell’industria della carne, come in altri settori, la pandemia ha rivelato come le persone che svolgono un lavoro "essenziale" per gli americani possano essere trattate come se fossero sacrificabili. 

Questi impianti si somigliano in tutto il mondo. Com'è la situazione in Italia?

Le immagini degli allevamenti intensivi che si possono trovare ovunque sono talmente scioccanti che non vogliamo metterle qui; ma fate un giro in rete e ne avrete immediatamente un'idea.


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