Quella che segue è una versione in 3D dell'intervento sugli obiettivi dell'Italia che, secondo il sito Formiche, è stato portato dal nostro Ministro per l'Ambiente Galletti al COP21. 3D in quanto - al di là della loro piatta apparenza astratta - tenta di espandere le parole dette alle loro ovvie implicazioni reali.
Sotto è riportato il testo originale che potete confrontare. E questo il solo significato che riusciamo a cogliere secondo qualunque logica, in relazione ai puri fatti:
L’Italia che scommette sull’economia green (che non è certamente l'attuale governo, e ancor peggio sarebbe con le opposizioni della destra dichiarata) vorrebbe vivere la COP21 come una grande occasione per scrivere il futuro. Abbiamo la consapevolezza e insieme la necessità di dover raggiungere assieme a tutti gli Stati del pianeta un’intesa alta e allo stesso tempo realistica: ma perché sia realistica dovete capire che deve escludere di investire in rinnovabili ma anzi pompare sul petrolio ancor di più, come fa la nostra legge di stabilità. Un'intesa dunque in grado di vanificare l’enorme mobilitazione attorno al tema del contrasto ai cambiamenti climatici che si è verificata lungo tutto il 2015, un anno di svolta parolaia, anche per la comunità internazionale, nelle tematiche ambientali. Trovare un accordo per contenere il surriscaldamento globale sotto l’asticella dei 2°C non è un’urgenza per noi. Lo è solo di alcuni Stati e dei poveracci, delle prossime generazioni e in verità per tutto il mondo, per il presente immediato prima ancora che per il futuro. Il non fare può costare carissimo, in tutti i sensi, lo sappiamo eppure perseveriamo nel fare il contrario.
E pazienza anche per i 250 milioni di rifugiati ambientali che, se non verrà tenuta sotto il livello di guardia la febbre della Terra, lasceranno i loro territori invivibili e migreranno per trovare rifugio dagli effetti immediati dei cambiamenti climatici: gli eventi atmosferici estremi, la mancanza di risorse vitali e le guerre per accaparrarsele (sulle quali si fanno ottimi business, su cui speriamo riprenda questa maledetta crescita).
Del resto, che dobbiamo fare? rendetevi conto dei costi economici (secondo l’Agenzia internazionale dell’energia 5 trilioni di dollari di investimenti aggiuntivi dal 2020 a 2035) che servirebbero per sostituire le tecnologie e gli impianti obsoleti che oggi utilizzano in maniera inefficiente le risorse naturali! ma siamo pazzi?
Ma anche dei 500 miliardi di dollari aggiuntivi in termini di investimenti che servirebbero per sostenere nel prossimo decennio l’inazione sul contrasto ai cambiamenti climatici. Ci penseranno le generazioni future! Raggiungere un’intesa equa, vincolante, trasparente e con impegni misurabili nel tempo, e cioè passare il confine tra vecchia e nuova economia, è davvero troppo complicato. La sconfitta rappresentata dal dover subire le tensioni socioeconomiche che i cambiamenti climatici innescano è comunque meno stressante che trovare la volontà reale di superarle.
In questi mesi, del resto, abbiamo registrato tanti segnali importanti verso un’intesa: nessuno viene dal governo italiano, ma non si può avere tutto. Ci pensa il Papa, con l’Enciclica Laudato si’, a restituire alla questione dei cambiamenti climatici quella dimensione umana ed etica che in questi anni aveva spesso smarrito, noi non siamo mica un ente di beneficienza! siamo uomini pratici, ci interessano semmai letture puramente economiche e di ordine tecnico, totalmente miopi ma capaci di farci sparare spot ottimistici a capocchia e di farci vincere le elezioni.
L’interpretazione del problema ribadita dal Santo Padre all’Assemblea delle Nazioni Unite di New York richiama alle proprie responsabilità ogni singolo governo e ogni singola coscienza, beninteso che siano disposti ad ascoltare. Concetti come ecologia integrale o debito ambientale indicano con chiarezza cosa siano chiamate a fare le nazioni più ricche per sostenere quelle più povere, per avvicinare il pianeta a un modello di sviluppo sostenibile sotto il profilo economico, ambientale e morale.
Ma vi rendete conto che casino sarebbe metterli in pratica? Meglio scodellare parole in libertà e senza senso, tipo "è stata l’Europa, grazie anche al ruolo attivo dell’Italia nel semestre di presidenza, ad aver dato per prima l’esempio migliore di coesione e responsabilità".
Ma vi rendete conto che casino sarebbe metterli in pratica? Meglio scodellare parole in libertà e senza senso, tipo "è stata l’Europa, grazie anche al ruolo attivo dell’Italia nel semestre di presidenza, ad aver dato per prima l’esempio migliore di coesione e responsabilità".
L’accordo raggiunto nel nostro continente (ma gli obiettivi dell'Italia quando arrivano? questa è pignoleria, disfattismo; fatemi finire) – riduzione del 40% delle emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 1990, l’aumento del 27% del consumo di fonti energetiche rinnovabili e il raggiungimento di un target indicativo, pari al 27%, nel settore dell’efficienza energetica – è oggi il più autorevole viatico per un accordo globale e ispiratore di altre importanti prese di posizione. Traguardi non nostri, beninteso, e per giunta l' Unfccc (l'organismo Onu che presiede la COP), ha detto chiaro che per rimanere entro i 2 gradi l’Ue dovrebbe tagliare le emissioni di CO2 almeno del 60% rispetto al 2010 (mentre il target individuato in sede europea di -40% rispetto al 1990 equivale solo a -27% rispetto al 2010, ndr).
Ma per dire qualcosa senza dire niente, ci piace ricordare gli impegni congiunti presi dai massimi emettitori di anidride carbonica, Cina e Stati Uniti, il Clean power plan di Obama, il patto per il Clima di dieci oil&gas tra cui l’Eni, l’elevatissimo numero di contributi già arrivati dagli Stati per Parigi.
Ma per dire qualcosa senza dire niente, ci piace ricordare gli impegni congiunti presi dai massimi emettitori di anidride carbonica, Cina e Stati Uniti, il Clean power plan di Obama, il patto per il Clima di dieci oil&gas tra cui l’Eni, l’elevatissimo numero di contributi già arrivati dagli Stati per Parigi.
Ecco, si, che c'entra l'Italia? scarichiamo il barile sulla Francia. L’Europa nella capitale francese ha una missione complessa e importante: può e deve essere il motore di un’intesa che tenga dentro tutti, che sia accettabile per i grandi come per i piccoli Paesi, per quelli ricchi (ma non so se includere tra questi l'Italia, un grande paese! certo, ma scusate, al momento non è che qui trippa per gatti ne resti molta) e per quelli in via di sviluppo. L’orizzonte che l’Europa s’è data è “zero emissioni” al 2100; e pazienza se gli scienziati hanno già dimostrato che sia un obiettivo tecnicamente raggiungibile, e tassativo, entro il 2050. Non è un sogno, ma un vero incubo che ci ritroviamo ancora a questo punto. Bè, torniamo all'orizzonte di cui sopra: è un punto di riferimento alto e qualificante, un obiettivo al quale tendere e verso il quale spingere la comunità internazionale: ci vadano loro. Per farlo occorre la consapevolezza politica, prima ancora che scientifica, della necessità di un accordo in grado di rappresentare il paradigma di un nuovo ordine mondiale. Da parte nostra, se gli altri fanno quadrato, si mettono d'accordo e ci mettono all'angolo, si vedrà; senza seri stanziamenti di fondi di incoraggiamento, e multe milionarie per inadempienze, di certo noi non muoveremo un dito.
Voglio proprio vedere se esiste la possibilità di un accordo che sia in grado nello stesso momento di: ridurre le emissioni globali, mettere in campo risorse finanziarie adeguate per gli interventi di adattamento necessari ai Paesi più poveri e più esposti ai cambiamenti climatici, definire nuove tecnologie sostenibili per uno sviluppo socioeconomico dei Paesi poveri senza ricorrere ai combustibili fossili (e qui noi ci tiriamo fuori: poveri si, ma non così tanto da dover rinunciare a trivellare), portarci a un sistema energetico con risorse rinnovabili che giunga all’efficienza energetica.
Avviarci, insomma, a un mondo con meno disuguaglianze – senza le stridenti contraddizioni dei nostri tempi – verso un modello di sviluppo pienamente circolare; certo, certo. L’Italia per tutto questo è pronta a fare la sua parte ma, come dicevo, solo dopo che tutta la pappa sarà pronta e saremo veramente forzati a farlo. Al momento ci basti ricorrere alle solite parole in libertà, per affermare ad esempio che già l'ha fatto. Quando? massì dai, nel semestre italiano di presidenza delle istituzioni europee, in cui ha riaffermato la centralità della dimensione ambientale nelle scelte economiche. Il che poi non significa metterle in atto, che c'entra! che posso farci se la pressione delle società petrolifere ha portato a eliminare dal pacchetto Ue 2030 gli obiettivi vincolanti per i Paesi-membri su rinnovabili ed efficienza? Ma tornando a quel che ha fatto l'Italia, la conclusione è coincisa con il significativo risultato della Cop20 di Lima - un nulla di fatto, insomma.
Lo ha fatto tenendo fede ai suoi impegni e raggiungendo – come ha ufficializzato l’Onu – il traguardo di riduzione delle emissioni fissato dal primo periodo di impegno del protocollo di Kyoto; naturalmente non è vero - ma chi va a controllare? L’Italia insomma ci crede, che con le parole si risolve tutto; la stampa omissiva dà sempre una mano e insomma abbiamo le carte in regola per essere ottimisti.
E gli obiettivi dell'Italia dove sono? e nel concreto, in che termini? boh! noi non ne abbiamo trovati. Non ci aspettavamo che dichiarasse chessò, lo stato di emergenza climatica che potrebbe davvero cambiare le cose; ma forse Galletti ha comunicato qualche iniziativa concreta? magari ha incluso qualcosa delle richieste fatte dalle imprese italiane? O qualche spunto dai richiami delle donne?
No, sembra che qui ci sia tutto, ma proprio tutto. Ma grazie se qualcuno vorrà segnalare qualche punto che ci fosse eventualmente sfuggito, dopo lettura attenta dell'intervento letterale e integrale, così come pubblicato oggi da Formiche.net, e che trovate di seguito:
L’Italia che scommette sull’economia green non può che vivere la Cop21 come una grande occasione per scrivere il futuro. Abbiamo la consapevolezza e insieme la necessità di dover raggiungere assieme a tutti gli Stati del pianeta un’intesa alta e allo stesso tempo realistica, che non vanifichi l’enorme mobilitazione attorno al tema del contrasto ai cambiamenti climatici che si è verificata lungo tutto il 2015, un anno di svolta per la comunità internazionale nelle tematiche ambientali. Trovare un accordo per contenere il surriscaldamento globale sotto l’asticella dei 2°C non è un’urgenza solo di alcuni Stati o delle prossime generazioni: lo è per tutto il mondo, per il presente immediato prima ancora che per il futuro. Il non fare può costare carissimo, in tutti i sensi.
Pensiamo ai 250 milioni di rifugiati ambientali che, se non verrà tenuta sotto il livello di guardia la febbre della Terra, lasceranno i loro territori invivibili e migreranno per trovare rifugio dagli effetti immediati dei cambiamenti climatici: gli eventi atmosferici estremi, la mancanza di risorse vitali e le guerre per accaparrarsele. Pensiamo poi ai costi economici, ai 5 trilioni di dollari di investimenti aggiuntivi dal 2020 a 2035 che, ci dice l’Agenzia internazionale dell’energia, serviranno per sostituire le tecnologie e gli impianti obsoleti che oggi utilizzano in maniera inefficiente le risorse naturali. Ma anche ai 500 miliardi di dollari aggiuntivi in termini di investimenti che servirebbero per sostenere nel prossimo decennio l’inazione sul contrasto ai cambiamenti climatici. Raggiungere un’intesa equa, vincolante, trasparente e con impegni misurabili nel tempo significa allora passare il confine tra vecchia e nuova economia. Tra la sconfitta rappresentata dal dover subire le tensioni socioeconomiche che i cambiamenti climatici innescano e la volontà reale di superarle. In questi mesi abbiamo registrato tanti segnali importanti verso un’intesa. Voglio innanzitutto citare l’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, che ha restituito alla questione dei cambiamenti climatici quella dimensione umana ed etica che in questi anni aveva spesso smarrito, a vantaggio di letture puramente economiche e di ordine tecnico. Un’interpretazione del problema che il Santo padre ha ribadito all’Assemblea delle Nazioni Unite di New York e che richiama alle proprie responsabilità ogni singolo governo e ogni singola coscienza. Concetti come ecologia integrale o debito ambientale ci indicano con chiarezza cosa siano chiamate a fare le nazioni più ricche per sostenere quelle più povere, per avvicinare il pianeta a un modello di sviluppo sostenibile sotto il profilo economico, ambientale e morale. È stata l’Europa, grazie anche al ruolo attivo dell’Italia nel semestre di presidenza, ad aver dato per prima l’esempio migliore di coesione e responsabilità.
L’accordo raggiunto nel nostro continente – riduzione del 40% delle emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 1990, l’aumento del 27% del consumo di fonti energetiche rinnovabili e il raggiungimento di un target indicativo, pari al 27%, nel settore dell’efficienza energetica – è oggi il più autorevole viatico per un accordo globale e ispiratore di altre importanti prese di posizione: gli impegni congiunti presi dai massimi emettitori di anidride carbonica, Cina e Stati Uniti, il Clean power plan di Obama, il patto per il Clima di dieci oil&gas tra cui l’Eni, l’elevatissimo numero di contributi già arrivati dagli Stati per Parigi. L’Europa nella capitale francese ha una missione complessa e importante: può e deve essere il motore di un’intesa che tenga dentro tutti, che sia accettabile per i grandi come per i piccoli Paesi, per quelli ricchi e per quelli in via di sviluppo. L’orizzonte che l’Europa s’è data è “zero emissioni” al 2100. Non è un sogno, ma un punto di riferimento alto e qualificante, un obiettivo al quale tendere e verso il quale spingere la comunità internazionale. Ma per farlo occorre la consapevolezza politica, prima ancora che scientifica, della necessità di un accordo in grado di rappresentare il paradigma di un nuovo ordine mondiale. Che sia cioè in grado nello stesso momento di: ridurre le emissioni globali, mettere in campo risorse finanziarie adeguate per gli interventi di adattamento necessari ai Paesi più poveri e più esposti ai cambiamenti climatici, definire nuove tecnologie sostenibili per uno sviluppo socioeconomico dei Paesi poveri senza ricorrere ai combustibili fossili, portarci a un sistema energetico con risorse rinnovabili che giunga all’efficienza energetica. Avviarci, insomma, a un mondo con meno disuguaglianze – senza le stridenti contraddizioni dei nostri tempi – verso un modello di sviluppo pienamente circolare. L’Italia per tutto questo è pronta a fare la sua parte. L’ha fatto nel semestre italiano di presidenza delle istituzioni europee, in cui ha riaffermato la centralità della dimensione ambientale nelle scelte economiche, la cui conclusione è coincisa con il significativo risultato della Cop20 di Lima. Lo ha fatto tenendo fede ai suoi impegni e raggiungendo – come ha ufficializzato l’Onu – il traguardo di riduzione delle emissioni fissato dal primo periodo di impegno del protocollo di Kyoto. L’Italia insomma ci crede e ha le carte in regola per essere ottimista. (Gianluca Galletti, 30 novembre 2015)
Il concetto della nostra traduzione di questo testo si ispira, quale dotta citazione, all'antica rubrica di Cuore (settimanale di resistenza umana) "parla come mangi", con le più sbrigative traduzioni di Piergiorgio Paterlini.