Care sorelle, vi siamo grate per il vostro lavoro, per i messaggi di coraggio e di forza che state lanciando con il movimento del 7 novembre.
L'invito a manifestare è giunto forte anche in Italia, dove la situazione, circa le molteplici forme di violenza a cui le donne sono soggette, è molto grave.
Abbiamo lanciato anche noi un appello, un moto emozionale per proporre un tavolo di lavoro comune, per riuscire a materializzare anche da noi qualcosa di simile a ciò che siete riuscite proficuamente a realizzare in Spagna. Un esperimento di politica delle donne, per tornare a rendersi visibili, incidere in modo adeguato alle circostanze, fare pressione sui luoghi decisionali, sul Governo in primis.
In tante abbiamo voluto credere che potesse nascere qualcosa di indipendente, spontaneo, autonomo. Abbiamo tentato di coinvolgere le varie componenti dei gruppi/associazioni femminili e femministe italiane, su un progetto che portasse le donne italiane a collaborare a un testo, a una piattaforma che ragionasse sulla situazione italiana e rivendicasse gli interventi più urgenti. Portare le donne italiane nuovamente in piazza, sarebbe stato solo il punto finale di un lavoro condiviso e di una modalità operativa utile anche per il futuro. Non siamo riuscite a coagulare il desiderio di manifestare esplicitamente, tutte insieme, la nostra insofferenza per una situazione che per noi donne italiane ha gravissimi punti di sofferenza, visto che la violenza machista si esprime in molteplici modi. Ringraziamo quante hanno condiviso questo sogno, ma la realtà italiana non è quella spagnola. Nonostante questo, abbiamo deciso di portare comunque in Spagna un messaggio dall'Italia, non rappresentiamo certamente tutte le italiane, ma non ce la sentiamo di restare indifferenti a tutti gli episodi di violenza che colpiscono le donne.
Desideriamo tornare a “manifestarci” nelle piazze per rendere visibili i problemi. Siamo consapevoli che il nostro spazio di azione, di pensiero e di confronto non può coincidere più soltanto con i luoghi fisici e ideali del nostro paese, ma dobbiamo imparare a rapportarci anche all'esterno, soprattutto all'Europa, come popolo e come progetto di comunità europea.
In Italia manca un corpo intermedio che sappia dare voce alle donne, monitorare l’azione di governo e delle istituzioni, suggerire un cambio di rotta. Ci vorrà tempo, lavoro, condivisione, ma non dobbiamo lasciarci scoraggiare dalla lunghezza della strada che abbiamo davanti. Questo tentativo di uscire da una situazione cristallizzata lo dobbiamo a tutte le donne, soprattutto a quelle che non riescono a far sentire la loro voce. La realtà ci dice che una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni, ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, i fatti ci illustrano che oggi si denuncia di più, ma resta comunque ancora forte lo stigma su queste donne, spesso oggetto di linciaggio mediatico, specie sui social network. Si tenta di contrastare questo fenomeno, ma non sembra bastare, se non si va alle sue radici, ossia alle origini di questa cultura dello stupro e della violenza. E lì che troviamo il patriarcato, che con un’azione reiterata di “restaurazione” riporta le donne sotto il totale controllo degli uomini, attraverso l’uso sistematico della violenza.
L’Italia ha aderito alla Convenzione di Istanbul, ma una firma non è un sufficiente segnale di comprensione del fenomeno e di una volontà chiara di contrastarlo. I mezzi messi a disposizione sono sempre troppo pochi, come conferma l’ultimo Piano antiviolenza, con il quale è stato erogato qualche milione di euro alle Regioni, senza che sia organizzato un controllo su come questi fondi vengono poi distribuiti e utilizzati. Non sempre si comprende la necessità di lavorare sulle nuove generazioni, contrastando le discriminazioni, aiutandole a comprendere la ricchezza e l’importanza delle differenze, impostando un lavoro fondato sulla cultura del rispetto, superando le barriere di genere, costruendo relazioni sane e non imperniate di cultura machista, facendo comprendere che la mascolinità non coincide con l’uso della forza e della sopraffazione. Altra grave mancanza di questo Piano antiviolenza è un efficace Piano anti-tratta, che tenti di mettere in campo le migliori strategie per arginarne il fenomeno. Manca finanche una cabina di regia che sappia programmare e monitorare le azioni per contrastare le violenze di genere. Ma come approntare misure del genere ove manchi un Ministero delle Pari Opportunità e maggiori investimenti nel relativo Dipartimento?
Il machismo permea le nostre vite, tanto che per molte donne questa è “normalità”. Una normalità pericolosissima perché apre la porta a ogni tipo di violenza, le donne sono facilmente oggettificate, de-umanizzate, tanto che i loro diritti appaiono più deboli e facilmente bypassabili. Lo vediamo chiaramente con le nostre sorelle vittime di tratta, trattate alla di esseri sub-umani che possono essere uccise, cancellate, deportate perché non rientrano nello schema di donna costruito dagli uomini in secoli di storia.
La violenza non ha mai senso o giustificazione! La violenza non deve avere spazio nelle nostre vite! Basta violenze, basta femminicidi, non dobbiamo assuefarci alla violenza. La violenza deve diventare una questione di stato ai primi posti dell’agenda politica.
Chiediamo, quindi, che si attui pienamente in Italia la Convenzione di Istanbul e che si seguano puntualmente le raccomandazioni CEDAW, monitorandone periodicamente l’applicazione.
Auspichiamo misure cautelari più stringenti per gli uomini che sono stati denunciati per aver commesso atti di violenza, perché la donna che denuncia deve sentirsi tutelata e protetta veramente. Esigiamo che tutti i livelli istituzionali si impegnino a contrastare la violenza contro le donne, in ogni sua forma e in ogni ambito della nostra vita.
Qualsiasi politica si decida di mettere in campo, ci auguriamo che ci si ricordi che si tratta di difendere delle vite umane, di donne in carne e ossa, con le loro storie reali, che hanno diritto a vivere serenamente senza che qualcuno decida di rovinare e distruggere le loro esistenze.
Il vostro lavoro, care compagne spagnole, deve essere di sprone a chi sente forte in sé il senso di un impegno in tal senso. Con la Marcha Estatal contra las violencias machistas del 7 novembre siete riuscite nell’obiettivo di portare in pubblico donne che a viva voce reclameranno i propri diritti e chi, come noi ha deciso di tentare infruttuosamente il vostro percorso, non solo marcerà idealmente con voi a Madrid, ma proverà nel prossimo futuro a rendere fattivamente concrete le ragioni delle rivendicazioni delle donne italiane. Ognuna con le proprie capacità e competenze, per raggiungere quanto più sia auspicabile l’obiettivo non di rappresentarle, ma di renderle consapevoli che possono rivendicarle da sé in prima persona quelle stesse ragioni.
E, soprattutto, impariamo a credere alle donne e sosteniamole davvero tutte/i.
Per cercare di donare al nostro paese un clima di verità e giustizia.
• Per adesioni a questa lettera: lasciate un commento a questo post [del gruppo fb Noi non ci stiamo].
• Rimandiamo inoltre anche a questa lettera che, sia in italiano sia in spagnolo, è stata indirizzata alle amiche spagnole da Resistenza Femminista.
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