ARCHIVIO/DOCUMENTI • Francamente [dice il dott. Mukwege], non capisco l’indifferenza della comunità internazionale nei confronti delle congolesi e delle donne in generale. Davvero, non riesco a capire.
Bè. Non lo capisci, dottore, precisamente perché tu capisci. Solo perché tu non solo sai - quello che sono costrette a vivere le donne, ma lo vivi insieme a loro, lo lasci penetrare in te. Quindi, a differenza di quasi tutti gli altri uomini, e della comunità del potere (fatta quasi solo da uomini), tu anche capisci. E' precisamente quel tuo capire che ti impedisce di comprendere l'indifferenza degli altri.
Mukwege è un ginecologo congolese che ha dedicato la vita alle donne del suo paese, fra le più martirizzate al mondo dagli stupri e dalla violenza maschile, nonché dalle immani conseguenze e difficoltà sanitarie. Uno sterminio, e fra quelle che sopravvivono moltissime arrivano all’ospedale con gli organi genitali completamente distrutti da violenze inaudite; molte di quelle salvate, già curate una volta, muoiono poi in assalti successivi, o tornano in ospedale dopo nuovi stupri.
Al Panzi Hospital da lui fondato, Mukwege ne ha già soccorse e curate molte decine di migliaia; per questo, nel 2013 è stato insignito del Right Livelihood Award, o Premio Nobel alternativo, riconoscimento conferito a coloro che “offrono risposte pratiche ed esemplari alle sfide più urgenti poste dal presente”. La risposta di Mukwege è nei fatti, in una vita straordinaria; a cui Colette Brackman ha dedicato una biografia,
e poi anche un film documentario, realizzato da Colette insieme a Thierry Michel ["L'uomo che ripara le donne. La collera di Ippocrate"]. Un film ora in uscita nelle sale, ma che rischiava di non uscire (proprio) in Congo. Il Governo ha tentato di proibirlo, perché: colpevole di aver "travisato le testimonianze delle donne e calunniato le forze militari" (sic). Che vuoi che siano, oltre 500.000 donne stuprate in 16 anni. Ma i "fatti" di Mukwege sono anche le sue parole*; che soprattutto gli uomini dovrebbero tenere bene a mente:
"Ancor prima di qualsiasi chirurgia, è necessario soccorrere le donne psicologicamente, perché arrivano qui talmente traumatizzate che non si può iniziare nessun trattamento senza dare prima un appoggio psicologico. I colpevoli di questi crimini distruggono la vita al suo punto d’inizio. Le donne non possono più avere bambini. Così gli stupratori distruggono le loro comunità, le loro generazioni future, anche quando non uccidono le donne. Agli uomini che stuprano dobbiamo dire: non lo accettiamo. Se non stupri ma non parli contro lo stupro è come se lo accettassi. Continuerò il mio lavoro finché il mondo sarà consapevole della brutalità delle violenze sessuali compiute sulle donne durante i conflitti. E la comunità internazionale deve far cessare i conflitti nella Repubblica democratica del Congo: che non sono etnici, ma territoriali, basati sulle risorse minerali. La regione di Kivu è ricca, infatti, di coltan, sostanza usata per cellulari e portatili. Senza volontà politica la situazione non cambierà. (…). Eppure la comunità internazionale non si muove. Come si può pensare di tradire i traguardi della civiltà a tal punto da restare inerti e con le mani in mano? Non si potrà dire, come accaduto in altri momenti bui della storia, che la comunità internazionale non sapeva. Loro sanno tutto. Ma per loro è normale che la donna soffra. Come se fosse nella sua natura, come se lo stupro di migliaia di donne fosse meno grave della morte di un solo uomo. Molti uomini credono che lo stupro sia "solo" un rapporto sessuale non consenziente. Ma non è così.
È una distruzione della persona, e nella Repubblica Democratica del Congo va avanti sistematicamente da sedici anni. Sedici anni di demolizione delle donne [anni che ora sono 18, ndr], sedici anni di disgregazione di una società. E la situazione non fa che peggiorare. In ogni guerra si cerca di decimare la popolazione del nemico, di occupare il suo territorio e di indebolire la sua struttura sociale. Da questo punto di vista lo stupro è indubbiamente efficace. Accanirsi sull’apparato genitale delle donne è un modo di attaccare “la porta d’entrata della vita” stessa. La maggior parte delle giovani donne violentate non potrà più avere figli. Le altre, contaminate dall’aids e altre malattie, diventano “sorgenti di virus” e “strumenti di morte” per i loro compagni e per i bambini nati dagli stupri, che tra l’altro saranno rifiutati ed emarginati dalla comunità e forse un giorno diventeranno bambini soldato".
(* parole di Mukwege tratte da diverse dichiarazioni e interviste)
Tutta la nostra riconoscenza al dott. Mukwege, che comprende come il corpo delle donne sia il primo campo di battaglia di ogni conflitto. E che, per opporsi a tutto questo ha unito al suo duro e coraggioso lavoro di medico anche quello di attivista nella denuncia degli orrori contro le donne e nella richiesta di soluzioni del conflitto nel Congo orientale; un attivismo che i signori della guerra non gli perdonano. Nel 2012, dopo aver parlato alle Nazioni Unite chiedendo “una condanna unanime per i gruppi di ribelli responsabili delle violenze sessuali”, Mukwege sfuggi a un'aggressione armata di uomini che presero in ostaggio le figlie e tentarono di ucciderlo. Si rifugiò in Europa con la famiglia, ma fu poi convinto a tornare dalla protesta delle donne locali e da allora opera incessantemente nel suo ospedale a Panzi, dove deve vivere rinchiuso e protetto da guardie del corpo.
Al Panzi Hospital da lui fondato, Mukwege ne ha già soccorse e curate molte decine di migliaia; per questo, nel 2013 è stato insignito del Right Livelihood Award, o Premio Nobel alternativo, riconoscimento conferito a coloro che “offrono risposte pratiche ed esemplari alle sfide più urgenti poste dal presente”. La risposta di Mukwege è nei fatti, in una vita straordinaria; a cui Colette Brackman ha dedicato una biografia,
e poi anche un film documentario, realizzato da Colette insieme a Thierry Michel ["L'uomo che ripara le donne. La collera di Ippocrate"]. Un film ora in uscita nelle sale, ma che rischiava di non uscire (proprio) in Congo. Il Governo ha tentato di proibirlo, perché: colpevole di aver "travisato le testimonianze delle donne e calunniato le forze militari" (sic). Che vuoi che siano, oltre 500.000 donne stuprate in 16 anni. Ma i "fatti" di Mukwege sono anche le sue parole*; che soprattutto gli uomini dovrebbero tenere bene a mente:
"Ancor prima di qualsiasi chirurgia, è necessario soccorrere le donne psicologicamente, perché arrivano qui talmente traumatizzate che non si può iniziare nessun trattamento senza dare prima un appoggio psicologico. I colpevoli di questi crimini distruggono la vita al suo punto d’inizio. Le donne non possono più avere bambini. Così gli stupratori distruggono le loro comunità, le loro generazioni future, anche quando non uccidono le donne. Agli uomini che stuprano dobbiamo dire: non lo accettiamo. Se non stupri ma non parli contro lo stupro è come se lo accettassi. Continuerò il mio lavoro finché il mondo sarà consapevole della brutalità delle violenze sessuali compiute sulle donne durante i conflitti. E la comunità internazionale deve far cessare i conflitti nella Repubblica democratica del Congo: che non sono etnici, ma territoriali, basati sulle risorse minerali. La regione di Kivu è ricca, infatti, di coltan, sostanza usata per cellulari e portatili. Senza volontà politica la situazione non cambierà. (…). Eppure la comunità internazionale non si muove. Come si può pensare di tradire i traguardi della civiltà a tal punto da restare inerti e con le mani in mano? Non si potrà dire, come accaduto in altri momenti bui della storia, che la comunità internazionale non sapeva. Loro sanno tutto. Ma per loro è normale che la donna soffra. Come se fosse nella sua natura, come se lo stupro di migliaia di donne fosse meno grave della morte di un solo uomo. Molti uomini credono che lo stupro sia "solo" un rapporto sessuale non consenziente. Ma non è così.
È una distruzione della persona, e nella Repubblica Democratica del Congo va avanti sistematicamente da sedici anni. Sedici anni di demolizione delle donne [anni che ora sono 18, ndr], sedici anni di disgregazione di una società. E la situazione non fa che peggiorare. In ogni guerra si cerca di decimare la popolazione del nemico, di occupare il suo territorio e di indebolire la sua struttura sociale. Da questo punto di vista lo stupro è indubbiamente efficace. Accanirsi sull’apparato genitale delle donne è un modo di attaccare “la porta d’entrata della vita” stessa. La maggior parte delle giovani donne violentate non potrà più avere figli. Le altre, contaminate dall’aids e altre malattie, diventano “sorgenti di virus” e “strumenti di morte” per i loro compagni e per i bambini nati dagli stupri, che tra l’altro saranno rifiutati ed emarginati dalla comunità e forse un giorno diventeranno bambini soldato".
(* parole di Mukwege tratte da diverse dichiarazioni e interviste)
Tutta la nostra riconoscenza al dott. Mukwege, che comprende come il corpo delle donne sia il primo campo di battaglia di ogni conflitto. E che, per opporsi a tutto questo ha unito al suo duro e coraggioso lavoro di medico anche quello di attivista nella denuncia degli orrori contro le donne e nella richiesta di soluzioni del conflitto nel Congo orientale; un attivismo che i signori della guerra non gli perdonano. Nel 2012, dopo aver parlato alle Nazioni Unite chiedendo “una condanna unanime per i gruppi di ribelli responsabili delle violenze sessuali”, Mukwege sfuggi a un'aggressione armata di uomini che presero in ostaggio le figlie e tentarono di ucciderlo. Si rifugiò in Europa con la famiglia, ma fu poi convinto a tornare dalla protesta delle donne locali e da allora opera incessantemente nel suo ospedale a Panzi, dove deve vivere rinchiuso e protetto da guardie del corpo.
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