In questi giorni si sono alzate due questioni che hanno avuto un certo richiamo mediale: una riguarda le donne (ma anche uomini) oggetto di scambi e favori a livello politico, l’altra una certa pubblicità di stracci che richiamerebbe al femminicidio.
Nel primo caso la triste battuta di Franco Battiato, che nella veste di assessore alla cultura della Regione Sicilia ha tristemente apostrofato come 'tro*e' donne, ma appunto anche uomini, della politica italiana ribattezzando il nostro parlamento come luogo di esplicito 'mercimonio'; mentre la seconda questione riguarda un pubblicità che ha tappezzato Napoli in cui uno strofinaccio veniva definito efficace in quanto capace di far sparire 'le tracce' di un ipotetico femminicidio, suggerito da una foto in cui si intravedono gambe femminili dietro una figura maschile con in mano uno strofinaccio, che nella versione speculare diventavano gambe maschili con una donna in primo piano.
Due fatti che hanno giustamente indignato italiani e italiane, e che ha dato seguito al licenziamento in tronco di Battiato da parte del presidente della Regione Sicilia, Crocetta, e al ritiro della pubblicità chiesto dall’ancora ministra del lavoro con delega alle pari opportunità, Elsa Fornero. Due azioni tempestive che però non hanno nella maniera più assoluta risolto i problemi sollevati: nel primo caso quello del mercimionio (riferito da Battiato, ripeto, anche agli uomini e non solo alle donne), che rimane prassi nella cooptazione all’interno della politica italiana, con le dovute eccezioni naturalmente; così come il ritiro della pubblicità, pur essendo una buona iniziativa, non sposta una virgola sulle morti all’interno delle relazioni intime in Italia: una constatazione ancora più grave se si pensa che una ministra dovrebbe/potrebbe fare in termini concreti molto di più di quello che ha finora fatto Fornero. E ALLORA MI CHIEDO: cosa manca all'Italia per fare quel passo in più?
La ministra Fornero crede davvero che basti firmare la Convenzione di Istanbul o togliere la pubblicità che ispira al femminicidio per convincerci che sta risolvendo il problema (e come se fosse quella che spinge gli uomini a uccidere le partner)?
Quando l’ondata di sdegno non contempla azioni concrete, il rischio è di cadere in un moralismo vuoto e funzionale soprattutto a chi ha a cuore che le cose rimangano così come sono, perché applicare vere politiche contro il femminicidio significa investire soldi, e combattere la discriminazione sulle donne, o la tratta sessuale in cambio di favori politici, significa cominciare a promuovere realmente la soggettività femminile nei luoghi di potere. La stessa campagna contro il fermminicidio in Italia, cavalcata da alcuni anche per obiettivi personali, rischia di deviare rotta abbassando il livello del dibattito e finendo per allentare la reale pressione verso passi concreti di lotta contro la discriminazione di genere di cui la violenza è figlia. La prova del fatto che la discriminazione di genere in Italia è ben radicata nella nostra cultura – e che purtroppo non basta far togliere un cartellone pubblicitario quando siamo bombardati da messaggi e pratiche sessiste – ci viene offerta oggi e su un piatto d’argento dall’insospettabile capo dello Stato: Giorgio Napolitano. Diverse ore fa il nostro Presidente della Repubblica, sul filo della legittimità democratica, ha ripreso le redini del suo incarico proponendo due commissioni di saggi: “due gruppi ristretti per le riforme e le misure urgenti”. Due gruppi di lavoro che, su invito del Presidente della Repubblica, si riuniranno nel corso della prossima settimana stabilendo contatti con i presidenti di tutti i gruppi parlamentari, su proposte programmatiche in materia istituzionale e in materia economico-sociale ed europea, e avranno carattere “uno politico istituzionale e l’altro economico-sociale”, per preparare un rapporto che verrà presentato a Napolitano, o al presidente che verrà dopo di lui, con un lavoro che potrà essere una sorta di base programmatica per il nuovo governo (fonte Rainews 24).
Nella fattispecie la commissione per le riforme sociali ed economiche è composta da:
• Enrico Giovannini (presidente dell’Istat),
• Giovanni Pitruzzella (presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato),
• Salvatore Rossi (membro del Direttorio della Banca d’Italia),
• Giancarlo Giorgietti e
• Filippo Bubbico (presidenti delle Commissioni speciali operanti alla Camera e al Senato),
• il ministro Enzo Moavero Milanesi;
mentre la commissione per le riforme istituzionali comprende:
• Valerio Onida, Mario Mauro, Gaetano Quagliariello e Luciano Violante (fonte AGI).
Qual è la cosa strana di questo elenco e perché dovrebbe essere una risposta a quanto detto sopra? Nell’elenco dei 'saggi' non c’è neanche una saggia, niente, zero assoluto, nemmeno l’ombra o il profumo. Perché in un Paese realmente maschilista come il nostro, le decisioni importanti, quelle che determinano l’andamento del Paese in un momento come questo, devono essere prese da uomini, maschi, insomma “gente con le pal*e” (senza offesa per nessuno). Ed è per questo che, oggi, tutto ciò indigna più della infelice battuta di Battiato o della imbarazzante pubblicità con lo straccio. Perché la discrimazione subita dalle italiane, parte dall’accesso delle donne al potere e da quanto contano su questa bilancia, e finché ciò non sarà risolto, non solo continueranno le pubblicità sessiste ma anche i femminicidi.
In questa scelta di saggi è possibile che non ci siano donne? In fondo siamo più della metà, quindi è una questione di democrazia pura e semplice: al di là della legittimità di una operazione di questo tipo, il fatto che non ci siano donne all’interno queste due commissioni rivela il radicamento di una cultura che le donne non le calcola nemmeno, mica saranno tutte… cooptate?"
Luisa Betti (giornalista); 30 marzo 2013