sabato 31 dicembre 2016

La conaca di violenza contro le donne sui giornali: il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti si muove

Che linguaggio usare? come riportare obiettivamente e correttamente le notizie di violenza contro le donne? Ci sono voluti quasi 5 anni, ma finalmente, anche in Italia, il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti ha fatto proprie e condiviso le Linee Guida della Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ Guidelines for Reporting on Violence against Women).


Un documento a sua volta ispirato alla Dichiarazione dell'Onu sull'eliminazione della violenza contro le donne che risale nientemeno che al 1993. Altri 20 anni ci vollero per la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica (o Convenzione di Istanbul, del 2013). Sulla carta, benché dopo infinite lotte e attese di secoli, i progressi si ottengono, ma perché poi, nella pratica, tutto questo progresso tende a restare lettera morta? perché le resistenze alla parità sono altissime; e per la stessa ragione si assiste a continue recrudescenze di quella mentalità maschilista, tesa a ricacciare le donne in un ruolo subalterno e bloccato, che è anche all'origine della violenza stessa.
Sappiamo bene come la narrazione sia in gran parte terreno della realtà che viviamo. Ed ecco in breve come viene narrata la violenza sui media:

L'adozione di questo documento è dunque un nuovo passo non trascurabile. Ne manca un altro: in tutto il farraginoso sistema degli "aggiornamenti" obbligatori per il giornalisti, inserire qualcosa di obbligatorio, e di serio, su questo tema. Per non parlare di eventuali sanzioni in caso di comportamenti inaccettabili: in questi casi, l'Ordine dei Giornalisti che fa??? al momento un bel niente, praticamente.

Ma partiamo da qui; come scrive il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti stesso, il documento richiama i giornalisti all'uso di un linguaggio corretto, cioè rispettoso della persona, scevro da pregiudizi e stereotipi, ad una informazione precisa e utile alla comprensione delle vicende e della loro dimensione sociale: adottando nei casi di femminicidio anche il punto di vista delle vittime (anziché centrarlo sulla personalità dell'omicida) e salvaguardando la loro privacy; fornendo dati e pareri di esperti utili a collocare gli atti di violenza nel loro contesto storico e culturale, contro la convinzione che "la violenza sulle donne sia una tragedia inesplicabile e irrisolvibile".

Riportare notizie sulla violenza: Linee Guida della Federazione Internazionale dei Giornalisti
1. Identificare la violenza inflitta alla donna in modo preciso attraverso la definizione internazionale contenuta nella Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1993 sull'eliminazione della violenza nei confronti delle donne. 

2. Utilizzare un linguaggio esatto e libero da pregiudizi. Per esempio, uno stupro o un tentato stupro non possono venire assimilati a una normale relazione sessuale; il traffico di donne non va confuso con la prostituzione. I giornalisti dovranno riflettere sul grado di dettagli che desiderano rivelare. L'eccesso di dettagli rischia di far precipitare il reportage nel sensazionalismo. Così come l'assenza di dettagli rischia di ridurre o banalizzare la gravità della situazione. Evitare di suggerire che la sopravvissuta è colpevole o che è stata responsabile degli attacchi o degli atti di violenza subiti.

3. Le persone colpite da questo genere di trauma non necessariamente desiderano essere definite "vittime", a meno che non utilizzino esse stesse questa parola. Venir etichettati può infatti far molto male. Un termine più appropriato potrebbe essere "sopravvissuta".

4. La considerazione dei bisogni della sopravvissuta quando la si intervista consente di realizzare un reportage responsabile. Può trattarsi di un dramma sociale. Permettere alla sopravvissuta di essere intervistata da una donna, in un luogo sicuro e riservato, fa parte della considerazione di questo dramma. Si tratta di evitare di esporre le persone intervistate ad abusi ulteriori. Certi comportamenti possono mettere a rischio la loro vita e la loro posizione in seno alla comunità d'appartenenza.

5. Trattare la sopravvissuta con rispetto; rispettando la sua privacy e informandola in maniera completa e dettagliata sugli argomenti che saranno trattati nel corso dell'intervista e sulle modalità d'uso dell'intervista stessa. Le sopravvissute hanno il diritto di rifiutarsi di rispondere alle domande e di divulgare più informazioni di quanto non desiderino. Rendersi disponibile per un contatto ulteriore con la persona intervistata e lasciare le proprie generalità le permetterà di restare in contatto con il/la giornalista se lo vuole o ne ha bisogno.

6. L'uso di statistiche e informazioni sull'ambito sociale permette di collocare la violenza nel proprio contesto, nell’ambito di una comunità o di un conflitto. I lettori e il pubblico devono ricevere un'informazione su larga scala. L’opinione di esperti, come quelli dei DART (Centri post-traumatici), permette di rendere più comprensibile al pubblico l’argomento, fornendo informazioni precise e utili. Ciò contribuirà ad allontanare l'idea che la violenza contro le donne sia una tragedia inesplicabile e irrisolvibile.

7. Raccontare la vicenda per intero: a volte i media isolano incidenti specifici e si concentrano sul loro aspetto tragico. La violenza potrebbe inscriversi in un problema sociale ricorrente, in un conflitto armato o nella storia d'una comunità.

8. Preservare la riservatezza: fra i doveri deontologici dei giornalisti c'è la responsabilità etica di non citare i nomi e non identificare i luoghi la cui indicazione potrebbe mettere a rischio la sicurezza e la serenità delle sopravvissute e dei loro testimoni. Una posta particolarmente importante allorché i responsabili della violenza sono forze dell'ordine, forze armate impegnate in un conflitto, funzionari di uno stato o d'un governo o infine membri di organizzazioni potenti.

9. Utilizzare le fonti locali. I media che assumono informazioni da esperti, da organizzazioni di donne o territoriali su quali possano essere le migliori tecniche d'intervista, le domande opportune e le regole del posto, otterranno buoni risultati ed eviteranno situazioni imbarazzanti o ostili; come accade quando un cameraman o un giornalista s'introducano in spazi privati o riservati senza alcuna autorizzazione. Da qui l'utilità d'informarsi precedentemente su costumi e contesti culturali locali.

10. Fornire informazioni utili: un reportage che citi i recapiti di  persone qualificate da contattare, così come le generalità delle organizzazioni e dei servizi d'assistenza, sarà d’aiuto fondamentale alle sopravvissute, ai testimoni e ai loro familiari, ma anche a tutte le altre persone che potranno venire colpite da un'analoga violenza.


sabato 17 dicembre 2016

Sugli attacchi a Valeria Fedeli

Scrive Luciana Castellina: Io non so come siano andate le cose per quanto riguarda i titoli di studio di Valeria Fedeli. Penso si sia probabilmente trattato di definizioni imprecise che spesso vengono date ai diplomi da scuole o corsi anomali come quello che Valeria ha frequentato a suo tempo a Milano. E che dunque non ci sia stato, da parte sua, alcun dolo nel recepire quel documento.


Per la cronaca, il linciaggio mediatico di omofobi che contesta alla Fedeli di non aver conseguito nemmeno il diploma di istruzione secondaria superiore, gioca in modo sporco sulle terminologie: avendo lei infatti conseguito il diploma di abilitazione all'insegnamento nelle scuole materne, titolo magistrale istituito negli ordinamenti di studio italiani di scuole o istituti magistrali di durata triennale vigenti fino al 1997. Tale titolo magistrale (che (nel previgente ordinamento dava accesso alla formazione per le professioni sanitarie, sociali ed educative, come alle scuole per infermieri, assistenti sociali e educatori professionali) è infatti riconosciuto in Italia di istruzione secondaria superiore, benché allo stato attuale non consenta il proseguimento degli studi universitari.
A prescindere da tutto questo, da parte nostra ci troviamo perfettamente d'accordo con quanto scrive ancora la Castellina: Sono però scandalizzata per il dibattito che ne è seguito, segno – questo sì davvero – del regresso civile e politico del nostro paese, purtroppo anche di qualche pezzo della sua sinistra. Ma come sarebbe: parlamentari e ministri devono essere tutti laureati? E cioè la rappresentanza politica dovrebbe esser circoscritta ai ceti che per tradizione (e generalmente non per merito) hanno completato il curriculum degli studi fino all’ultimo grado? Ma vi rendete conto di cosa c’è dietro questa orrenda polemica? Uno dei vanti dei comunisti, che tutt’ora rivendico, è di aver avuto parlamentari operai e braccianti, che spesso non avevano neppure completato le elementari. Ne ricordo molti. Con rimpianto. In particolare l’ultimo con cui ho parlato (per via di un libro che stavo scrivendo), solo un paio di anni fa, scomparso ormai come quasi tutti: Riccardo Di Corato, senatore e bracciante, protagonista di storiche lotte pugliesi.
Valeria Fedeli non appartiene a quella generazione e dunque immagino che di scuole ne abbia frequentate ben più di Riccardo. Ma è scandaloso che si sia sviluppata una campagna come quella che infuria ora sui giornali, col contributo anche di qualcuno che così pensa di attaccare il governo.
Ma  Fedeli – immagino l’obiezione – non è solo parlamentare, è Ministro proprio dell’Istruzione, che ha dunque competenza sull’Università di cui non può occuparsi visto che non l’ha frequentata. Ebbene, proprio questo a me pare un dato positivo: mi piace pensare che sulla formazione universitaria venga rivolto finalmente lo sguardo di chi ne è stato escluso. In un tempo in cui il valore della competitività a tutti i costi sta diventando il valore centrale del nostro sistema, e si vorrebbero trasformare ovunque le università – secondo l’orribile modello britannico – in macchine per selezionare una élite prestigiosa (e privilegiata), lasciando che gli altri si arrangino e vengano via via marginalizzati, ben venga chi per propria storia terrà conto che quel che serve è l’inclusione. Che, cioè, un buon sistema educativo è quello che tiene conto dell’ultimo e non solo del primo. (La mia, sia chiaro, non è la difesa di questo governo, né delle posizioni politiche di Valeria Fedeli, compagna con cui in passato ho persino condiviso un partito, ma da cui oggi sono politicamente assai distante. La mia è rabbia per il tipo di posizioni che sono emerse attorno alla vicenda dei suoi titoli di studio). [Fonte: "A proposito della ministra Valeria Fedeli", Il Manifesto del 16/12/2106]

L'esperienza delle donne è che Valeria Fedeli sia una persona seria, equilibrata e preparata, politicamente e giuridicamente; quasi un'eccezione, in un panorama di politici totalmente analfabeti sulle questioni più banali. Come scrive Valentina Santarpia sul Corrierein realtà la ministra è stata presa di mira in particolare per il suo curriculum dagli organizzatori del Family Day per la sua militanza femminista e la sua lotta alle discriminazioni di genere. La Fedeli intanto ha commentato: «Va bene sostenere i migliori ma mai dimenticarsi di chi non ha avuto le condizioni per poter partecipare e studiare fino al percorso universitario». Alla sua prima uscita pubblica da ministra per l’inaugurazione della nuova residenza per studenti fuori sede dell’università Lumsa di Roma, ha risposto implicitamente così agli attacchi che le erano stati rivolti. «Credo che il diritto allo studio sia la chiave indispensabile per moltiplicare il benessere creativo e intellettuale, per rendere la società inclusiva. Affronterò con umiltà e dedizione il mio nuovo incarico, mettendo testa e cuore e pensando sempre agli studenti e alle attese delle loro famiglie. Obiettivo importante del mio mandato sarà innovare senza escludere, ascoltare e dialogare senza urlare, procedere senza dividere».

Ci auguriamo che la ministra abbia modo di dimostrare le sue capacità nella pratica, potendo svolgere il mandato che le è stato affidato, e che pensiamo sia perfettamente in grado di rispettare.
Questa disgustosa storia, aggiungiamo, assomiglia troppo al disgustoso fuoco incrociato che colpì la ministra Josefa Idem non appena fu presentato il suo ottimo progetto di lavoro per le donne,  e che l'abbatté prima ancora che potesse muovere un passo. Con il solito metodo da sempre efficace contro le donne: quello dei 2 pesi e 2 misure.
Lasciandoci, da allora e come sempre, SENZA un ministero né una ministra per le Pari Opportunità.

domenica 11 dicembre 2016

Uccisa da un raptus? No, da un uomo. Lettera all’ordine dei giornalisti

L’ultimo rapporto di monitoraggio mondiale dei media GMMP2015 (Gender Media Monitoring Project), registrando la preoccupante persistenza del sessismo (e di conseguenza di modalità sessiste nel rappresentare le notizie), nel giornalismo e negli organi di stampa di ogni Paese, raccomanda di tracciare politiche e pratiche mediatiche tese a promuovere una comunicazione più gender-equal.


Cioè egualitaria, più aderente alla realtà dei fatti, più attenta alla rappresentazione e alla rappresentanza femminile. Un invito raccolto dalla WACC (Associazione mondiale per la comunicazione cristiana) che, proprio il 10 dicembre, nella Giornata internazionale dei diritti umani (nonché giornata conclusiva dei "16 giorni per vincere la violenza contro le donne”) lancia una campagna per l’eliminazione del sessismo nei media entro il 2020. Contemporaneamente, in Italia, per iniziativa delle attiviste di Rebel Network, parte una lettera sul tema rivolta all’Ordine dei Giornalisti; ecco il testo:
Le Attiviste di Rebel Network chiedono all’Ordine Nazionale dei Giornalisti di intervenire con una potente azione di moral suasion affinché nel dare le notizie relative ai femminicidi si abbandonino espressioni fuorvianti e sminuenti della gravità del reato quali “delitto passionale”, “raptus”, “pista sentimentale”, “gelosia”. Questa terminologia induce di fatto a giustificare azioni criminali e violenze reiterate, non solo ostacolando il superamento di una cultura misogina ma rendendosene inconsapevolmente complice. Chiediamo inoltre che l’Ordine inserisca tra i suoi obiettivi prioritari del 2017 la scrittura e ratifica di una “Carta del Rispetto della dignità delle donne”. Una carta che sappia, come la “Carta di Treviso” per i minori (si pensi all’ uso del termine “baby-squillo”), dare indicazioni deontologiche definitive su come rispettare l’immagine e la dignità delle donne. Crediamo che questo documento potrà essere una fondamentale dimostrazione di quanto l’Ordine vorrà contribuire, con tutte le donne e gli uomini di questo Paese, a fare la sua preziosa parte in quel cambiamento culturale necessario e non più rinviabile per contrastare il femminicidio e porre fine alla violenza maschile contro le donne. Rebel Network, con le giornaliste associate, è a disposizione dell’Ordine per eventuali confronti e approfondimenti in merito, nonché per contribuire a giornate formative sul linguaggio e le modalità di comunicazione.

Una lettera che in poche ore ha raccolto oltre 200 firme. A tutte e a tutti raccomandiamo di sostenere questa istanza, su cui da tanti anni le donne si battono senza ottenere risposte. Per i giornalisti, ad esempio, sono previsti corsi obbligatori annuali di aggiornamento: possibile che non contemplino anche qualche aggiornamento obbligatorio sul tema del linguaggio sessista? aggiornamenti che consentano loro di conoscere studi come quelli messi a punto dal GMMP? e che trattino della capacità di rappresentare correttamente la cronaca sulle violenze contro le donne? Una cura non più rimandabile, per una vera #scuoladigiornalismo.


Per consultare i rapporti GMMP 2015:

domenica 27 novembre 2016

#26Nov #nonunadimeno grazie a tutte. Ci rivediamo a Bologna: 4 e 5 febbraio 2017

E così, come previsto siamo arrivate da tutta Italia, dopo mesi di incontri e riunioni e discussioni, ciascuna nel proprio ambito; abbiamo portato noi stesse e oltre 200.000 donne in piazza (e non solo donne), il 26 novembre. E oggi, 27 novembre, una delegazione di mille attiviste si è poi ritrovata, alla Sapienza, per discutere sui prossimi passi da fare; primo fra tutti mettere a punto un piano antiviolenza serio, su cui farsi ascoltare. Un grazie alle organizzatrici, a tutte quelle (e quelli) che hanno partecipato, e a noi stesse. 
Prossimo appuntamento: Bologna, 4 e 5 febbraio 2017










sabato 19 novembre 2016

Stati Uniti: la rivalsa della supremazia maschilista. Ma gli uomini non si illudano

Autoritarismo, razzismo e maschilismo sono strettamente intrecciati; ne scrive Guido Viale nel pezzo Stati Uniti: la rivalsa della supremazia maschilista, ove osserva come l’affermazione di uomini come Trump e dei suoi omologhi europei siano segni del ripiegamento verso un fondamentalismo occidentale nei cui confronti la partita decisiva non si potrà giocare senza una vigorosa ripresa del movimento femminista. 


Lea Melandri commenta, in risposta, che di appelli simili, a un femminismo ignorato o dato per morto, ne abbiamo già sentiti: chi ha dimenticato la chiamata di politici e media perché il "movimento delle donne" scendesse in piazza contro il governo Berlusconi? In piazza ci saremo, il 26 novembre, contro una cultura maschile che passa per normalità e rispetto a cui il virilismo (razzista, omofobo, xenofobo, nazionalista, fondamentalista, ecc) non è che l'espressione manifesta.
Ma, aggiunge: gli uomini non si illudano che sarà il femminismo, nostrano o di altre culture, a salvarli dalla rimonta maschilista - da Trump ai movimenti xenofobi e di destra in Europa - dal momento che è proprio l'avanzamento della libertà delle donne, nel privato come nel pubblico, a scatenare le reazioni violente dei loro simili. Il virilismo, dalle origini ai giorni nostri, è "invenzione" e fondamento primo di tutte le civiltà conosciute finora, cioè della visione del mondo con cui il sesso maschile ha imposto il suo dominio e il suo privilegio. Per questo, capovolgendo le attese di Viale, dirò che contro razzismo, maschilismo e fondamentalismi di ogni tipo la partita decisiva non si potrà giocare senza una vigorosa presa di responsabilità degli uomini riguardo alla violenza dei loro simili e senza una critica alla "naturalizzazione" che il sessismo ha fatto del rapporto di potere tra i sessi e di tutte le disuguaglianze che la storia vi ha costruito sopra.

Che sia sponsorizzato da fondamentalismi islamici o da suprematisti bianchi, oggi come ieri il virilismo è tossico e, alla lunga lo è per tutti. Svegliatevi, maschi, prima che quel piatto di lenticchie vi vada di traverso definitivamente, finendo per strozzare anche voi.


mercoledì 16 novembre 2016

Cattedra Unesco ‘per la parità dei sessi e l’emancipazione femminile’ all’università di Amma

Mata Amritanandamayi Devi, la leader spirituale indiana che ha abbracciato ad oggi 36 milioni di persone nel mondo, di cui 30 mila a Milano (Malpensa Fiere a Busto Arsizio) nell'ultimo week end, nell'ambito del tour europeo partito da Londra l'11 ottobre, il 27 ottobre a Parigi davanti a 8 mila persone, ha partecipato alla cerimonia tramite la quale le Nazioni Unite hanno ufficialmente nominato l’Amrita university, da lei fondata, come prima Cattedra Unesco (700 le università in rete in 128 nazioni) per la parità dei sessi e l'emancipazione femminileIn quell'occasione Ruchira Kamboj, ambasciatore e rappresentante dell'India all'Unesco, ha dichiarato:  “È la prima Cattedra Unesco della storia in questa disciplina. Quello che è ancora più straordinario è la strategia utilizzata, volta a tracciare le vulnerabilità di donne e bambine a vari livelli e da diverse prospettive, per poi trovare le migliori soluzioni possibili e replicabili da altri attraverso la ricerca, lo studio, la formazione e lo scambio di buone norme".
Non c'è al mondo una forza più grande dell'istruzione femminile per favorire lo sviluppo, la resilienza e la pace. L’università Amrita e l’Unesco condividono gli stessi scopi umanistici”  - ha aggiunto Peter Wells, capo della sezione per l'Istruzione superiore dell'UnescoQui il testo completo sull'evento milanese, l'attività spirituale e benefica di Amma col programma Embrancing the world, e le sue parole sul potenziale infinito delle donne.

martedì 8 novembre 2016

Donne e popolo: la strana coppia in tempo di populismo

L'Associazione Preziose invita le donne a una giornata di riflessione sulla relazione fra donne e populismo: donne e popolo, la strana coppia.  

• Nell’attuale slittamento della democrazia verso il populismo, si può rigiocare lo storico legame tra donne e popolo in una nuova forma della politica?
• Il protagonismo femminile nella vita pubblica può ristabilire la differenza tra puro uso del potere e libera autorità generativa che il populismo confonde in una deriva autoritaria?
• Quali esperienze di governo esistono in fedeltà al legame tra donne e popolo?
Queste sono le domande e i temi della discussione collettiva a cui tutte sono invitate. Al termine della discussione verrà presentata la Fondazione della Scuola di alta formazione per donne di governo. 
Introduce e coordina Luisella Conti (presidente dell’Associazione “Preziose”)
Saluto di Maria Cannata (presidente del “Circolo della Rosa” di Verona)
Interventi di apertura:
Annarosa Buttarelli, Nella strana coppia, il punto di leva che alza il cielo
Oriella Savoldi, Esperienze di governo delle operaie
Anna Maria Piussi, Il pensiero della differenza alla prova del populismo
Nadia Lucchesi, Anna, la guerra, il popolo
Luana Zanella, Dall’esperienza delle Vicine di casa alla fondazione della Scuola per donne di governo Dopo i brevi interventi iniziali, si continuerà fino alla conclusione del seminario, dando la parola a chi vorrà portare il proprio contributo di riflessioni, di pratiche e di invenzioni politiche. 
Luisella Conti, Alessandra De Perini, Nadia Lucchesi, Franca Marcomin, Maria Teresa Menotto, Luana Zanella, Maria Cannata, Morena Piccoli

L'incontro è a Verona, il 12 novembre 2016 - 9.30/18.00; Società Letteraria in Piazzetta Scalette Rubiani 1 • per comunicare la partecipazione e l’eventuale intenzione di intervenire, scrivere a: s.deperini@gmail.com o a conti.conti.luisa@gmail.com 

domenica 6 novembre 2016

Nonunadimeno, RebelRebel e le donne verso la manifestazione nazionale: un contributo di DonneinQuota

Ringraziamo le organizzatrici e le partecipanti al raduno RebelRebel di Osimo e Ancona, insieme a tutte quelle che si sono riunite per #nonunadimeno l’8 ottobre a Roma; e tutte quelle con cui ci ritroveremo alla manifestazione nazionale di Roma, il 26 novembre prossimo, e nel successivo incontro del 27.
Come contributo a questo importantissimo risveglio delle donne portiamo 2 temi: quello del riconoscimento reciproco e quello dell’immagine delle donne nella televisione pubblica.




1. l’argomento del riconoscimento reciproco, delle nostre rispettive esistenze e dei relativi operati, è di centrale importanza; perché oggi non è ancora abbastanza valorizzato, ma è alla base stessa di quell’efficace sostegno reciproco di cui abbiamo bisogno più di ogni cosa. Nel nostro paese siamo in moltissime a occuparci in vario modo di diritti delle donne; l’altra faccia di questa grande ricchezza è la debolezza che discende dalla frammentazione. Le donne non hanno aiuti e accedere a finanziamenti è difficilissimo; avere dunque sufficienti risorse, fra le quali un efficiente ufficio stampa, rimane un sogno; di conseguenza ogni realtà, fuori dal proprio territorio e dai circoli web delle donne, fatica a farsi conoscere, e dunque ad imporsi. Per questo è vitale unire le forze il più possibile; e questo si realizza a partire dal sostenerci l’un l’altra facendo conoscere non solo il proprio operato, ma quello di tutte.  
[in proposito ricordiamo che da anni, con un portale che opera senza protagonismi,  la Rete delle reti femminili offre a tutte efficaci strumenti da usare in questa direzione. Suggeriamo anche di partecipare alla mappatura delle nostre realtà: ognuna di noi può accedere direttamente e inserire la scheda della propria associazione (o sito) e di altre. Tutte possono inoltre accreditarsi come autrici ai blog della politicafemminile (nazionale e regionali) per dare risonanza alle proprie opinioni e azioni].

2. sul tema dell’immagine delle donne nella televisione pubblica vogliamo condividere con voi la nostra profonda preoccupazione. Quest’anno è scaduta la convenzione ventennale Stato-Rai. Il 12 aprile scorso il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) ha convocato una consultazione definita “pubblica”, durante la quale 160 persone (in rappresentanza di 62 associazioni, 20 enti pubblici e istituzioni, 11 centri studi e think tank), hanno lavorato su 16 tavoli tematici. Ma, nonostante le nostre pressioni, le associazione di donne impegnate da anni contro il sessismo nei media e a favore della par condicio di genere non sono nemmeno state invitate. E’ stata una gravissima e ingiustificabile esclusione, che ha cancellato il lavoro, e i risultati, di 6 anni di interlocuzione con i precedenti governi, che avevano portato all’inserimento nel Contratto di Servizio 2010-2012 (tuttora vigente), di 13 emendamenti sull’immagine della donna. Inoltre è stata ignorata, e non si è ritenuto di utilizzare nemmeno come base di partenza, la bozza del Contratto di Servizio 2013-2015 (che aveva completato il suo iter fino all’approvazione, per il quale abbiamo combattuto e alla cui stesura abbiamo collaborato), che si presentava come la più avanzata, dal punto di genere, in tutta la storia della Rai. Il MISE ha messo online un questionario inteso a una “consultazione pubblica” (non pubblicizzata e con domande che riteniamo peraltro inadeguate). A consultazione terminata, è in preparazione la convenzione; e il prossimo passo sarà la discussione per il nuovo Contratto di Servizio. Per evitare che le donne ne siano escluse, insieme alla Rete per la Parità stiamo organizzando un convegno dal titolo: “CambieRai per non cambiare mai. Donne vere in tv” (a Roma, il 23 gennaio 2017). Invitiamo le attiviste di Roma e le giornaliste a partecipare, chiediamo a tutte attenzione al tema e aiuto alla divulgazione.
Buon lavoro a tutte; Donatella Martini

Chi siamo DonneinQuota nasce a Milano nel 2006 dal corso Donne, Politica e Istituzioni, promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità e riproposto in più edizioni in decine di università italiane allo scopo di favorire l’ingresso delle donne in politica. Ci occupiamo principalmente di 
• rappresentanza politica femminile: per raggiungere una democrazia paritaria che rispecchi la società reale composta al 50% da donne e al 50% da uomini; 
• rappresentazione  della  donna  nei  media:  in  base  alla  Risoluzione  del  Parlamento europeo del 3 settembre 2008 sull'impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini [2008/2038 (INI)]. Rappresentanza e rappresentazione sono temi strettamente collegati.
La strumentalizzazione e la stereotipizzazione dell’immagine femminile, infatti, contribuisce pesantemente a relegare le donne in ruoli subalterni, ostacolando il raggiungimento della parità nel lavoro, in politica e nei luoghi dove si decide. A favore della rappresentanza politica femminile nel 2010 abbiamo avviato, e vinto, il ricorso al Tar della Lombardia contro la Giunta Regionale, composta allora da 15 assessori uomini e una sola donna. Questo è stato solo il primo di altri ricorsi al Tar sostenuti successivamente per le stesse ragioni. E siamo in costante collegamento con le realtà politiche femminili per dar loro risonanza e sostegno. Riguardo alla rappresentazione della donna nei media abbiamo effettuato azioni di contrasto in molti casi di pubblicità sessista, e fondato - insieme alla Camera del lavoro/CGIL e all’associazione Amiche di ABCD - il Comitato Immagine Differente che in tema ha prodotto un DDL.  Siamo nel direttivo del Coordinamento Italiano della Lobby Europea delle Donne. Facciamo parte dell’Accordo di Azione Comune per la Democrazia Paritaria, che raggruppa oltre 50 associazioni femminili italiane. Dal 14 febbraio 2013 organizziamo ogni anno a Milano il flashmob mondiale contro la violenza sulle donne One billion rising. Nel marzo 2013 abbiamo fondato Wecams (Women’s European Coalition against Media Sexism), una coalizione europea contro il sessismo nei media che, con l’appoggio di alcune eurodeputate, sta facendo pressione al Parlamento europeo affinchè le numerose risoluzioni sul tema diventino direttive vincolanti. Nel settembre 2013 è nato - su spinta propulsiva della nostra associazione - il Centro di Ricerca Interuniversitario Culture di genere, che raggruppa sei università milanesi (Università degli Studi di Milano e di Milano Bicocca, Bocconi, Politecnico, IULM e S.Raffaele) e con il quale collaboriamo attivamente.

domenica 30 ottobre 2016

UnWomen candida Wikidonne al premio GemTech per l'inclusione digitale

Il progetto Women in red per ridurre il gender gap in Wikipedia tra i finalisti a livello mondiale


UnWomen, sezione delle Nazioni Unite che si occupa di parità di genere,  ha candidato il progetto #WiR a concorrere al premio #GemTech (Gender Equality Mainstreaming), rivolto a organizzazioni o singole persone impegnate nel promuovere la parità attraverso l'integrazione con le nuove tecnologie. Il progetto Wikidonne (di cui ricordiamo qui anche Herstory), per Wikipedia, candidato nella prima delle tre sezioni (quella dedicata all'applicazione della tecnologia per l'inclusione 'digitale' delle donne), su 14 candidati totali è l'unico ad avere una estensione globale in quanto, tramite il web, si rivolge al mondo intero. Qui: il testo completo



domenica 23 ottobre 2016

Caro Emis, cara Cristina, caro Emis. Caro Emis again. 4 messaggi in segreteria

Volevo abbassare le armi ora dovrò spararti / non mi dire di calmarmi, è tardi stronza / fanculo al senso di colpa, non ci saranno sbocchi / voglio vedere la vita fuggire dai tuoi occhi

ma cos'hai capito? ma quale violenza? ma anche un bambino capisce che "è il contrario"! 

Vale la pena leggere la lettera di Cristina, la risposta di Emis (che pare di sentirle, le unghie sul vetro, il rumore che fanno), e la contro-risposta di Cristina, in fondo allo stesso post (che il tuo “dovere di artista” non ti stimoli ad occuparti di migranti altrimenti potresti spaziare con «Muori profugo di merda alzo il muro e vaffanculo»).
Però, il coro dei fan dice che quelle come lei non capiscono.

Ma non capiscono cosa? che non è Emis a pensare quelle parole? [eppure lei l'ha specificato come prima cosa: non ho mai pensato che quel pezzo fosse autobiografico; e allora di che parliamo?] no, di cosa pensa Emis qui importa poco; quello che importa è cosa pensano masse di potenziali assassini; è questo il punto. E allora gridare all'artista incompreso è alquanto peloso.
Fare l'artista incompreso, che fa finta di non comprendere l'obiezione mossa, ancora di più. Ma secondo Emis anche grazie a questa polemica tanti giovani si stanno confrontando con una realtà che magari ignoravano fino a ieri; si, certo: l'esistenza di Emis, i suoi dischi e i suoi concerti.
Non ci piove che, in rapporto a questo, il marketing del prodotto Emis ha centrato l'obiettivo. Ma non è certo quello che dice Emis.

Secondo lui quella canzone è il suo modo di esprimere dissenso sul femminicidio; e come lo esprime? gridando (con forza) tutto, e solo, il punto di vista del femminicida. E nella sua risposta a Cristina le dice anche che la reazione di chi non condivide quel modo di esprimere dissenso (nel caso lei) dimostra che il suo intento era corretto.
Ah, bè.
Ora, Emis, anche una canzonetta di un po’ di tempo fa, diceva prendi una donna, trattala male - lascia ti aspetti per ore, non farti vivo e quando la chiami fallo come fosse un favore / e allora sì vedrai che t'amerà - chi è meno amato più amore ti dà. lallallààà... Ma poi un contro-pensiero aggiungeva: caro amico non sono d'accordo - parli da uomo ferito - non esistono leggi d'amore, basta essere quello che sei... senza l'amore un uomo che cos'è? E' questa l'unica legge che c'è.
Così, tanto per fare un esempio. 
Invece tu di contro-pensiero ne hai messo zero; hai deciso (dici) di raccontarlo in una maniera diversa, più d’impatto, dal punto di vista di chi ammazza (parole tue); ecco, appunto: un punto di vista unilaterale. E siccome il punto di vista sparato nel mondo è solo quello di chi ammazza, quell’impatto è solo sulle donne - contro di loro; e solo contro di loro; il pugno nello stomaco pure, fattene una ragione.
Scrivi non riesco proprio a pensare che qualcuno pensi ad emulare il personaggio che interpreto, come non penso che la gente cominci ad emulare personaggi negativi di film, libri e via dicendo; ah si??! ma dove vivi?
Le canzoni ispirano, non lo sapevi? e le canzoni, per i fan, non sono una fiction (come Gomorra): ognuna è un manifesto, un richiamo a una filosofia di vita. Vaglielo a spiegare, a migliaia di persone da qui all'eternità, che scherzavi; anzi, che criticavi; che volevi dire il contrario.

Ai coglioni predisposti al femminicidio quella canzone ispira solo pensieri tossici; ed è dai pensieri che nascono le azioni. A noi donne, che veniamo fatte a pezzi da quelli come il tizio a cui dai voce tu, la tua “canzone” può ispirare solo un controcanto.

Non mi dire di calmarmi è tardi, stronza 
Non ci dire di calmarci è tardi, sei un mandante 

Fanculo il senso di colpa non ci saranno sbocchi 
Fanculo la tua “buona fede” non chiedere sconti

Voglio vedere la vita fuggire dai tuoi occhi 
Voglio vedere ritirata la tua canzone

Io c’ho provato e tu mi hai detto no
perché nessuna è “mia” e quella non è musica ma istigazione 

E ora con quella cornetta ti ci strozzerò
e per la sua ispirazione, il peso di ogni donna morta anche su te resterà


Strozzatici tu invece, con quella cornetta; fanculo lo diciamo noi Emis; la vita dagli occhi è fuggita a troppe donne - e continua a farlo - un fiume di vite che scorre verso il nulla senza soste; strappate a forza da uomini che avevano quegli esatti pensieri. Vuoi provare a metterti, per una volta, nei pensieri delle donne? allora, per favore, prova a leggere anche un'altra lettera, questa > lettera a oscar Pistorius.
Al momento tu la voce non l’hai data alle uccise, ma solo a loro, agli assassini. Che tu abbia il discernimento per capirlo o no, quella canzone è e resta un peana di guerra, un megafono da cui risuona un inno alla mascolinità tossica; e fa ridere, ridere, di un riso amaro, che chi l’ha scritta, e lanciata nel mondo come una bomba a chiodi, osi aggiungere la beffa di reclamarla come un atto contro il femminicidio
Se sei un uomo - uno di quelli che non hanno paura di chiedere scusa, quella canzone ritirala; è meglio. Fanne una seconda versione; cambia le parole, introduci la voce delle donne.

DI MESSAGGI IN SEGRETERIA METTINE 4.

Perché tutto il resto, ricamarci intorno, arrampicarsi sui vetri, non serve; così com'è quella canzone è un pericolo.



mercoledì 19 ottobre 2016

19 ottobre: scioperi e manifestazioni delle donne in tutta l'America Latina #NiUnaMenos

Per la prima volta anche le donne argentine scendono in sciopero, e lo fanno a livello nazionale, e accompagnate da manifestazioni in contemporanea in Mexico, Cile, Uruguay; in tutto il Sudamerica, con un tam tam degli hashtag #Niunamenos e #latinoamericafeminista.

L'ennesimo femminicidio, di Lucia Peres, una ragazza 16enne violentata e torturata a morte da diversi uomini, non è, appunto, che l''ennesimo di una list infinita; questa prima volta delle donne, invece, sia l'inizio di una reazione che dovrebbe estendersi a macchia d'olio, dilagare per tutto il Pianeta.
Anche qui, verso la manifestazione nazionale, discutendo in ogni città e paese, in ogni singolo gruppo, anche le donne italiane ci sono.

mercoledì 12 ottobre 2016

Serve un femminismo migrante contro fondamentalismi e fascismi

La violenza maschile sulle donne non ha colore, religione, né cultura ma è trasversale a tutte le società patriarcali perché serve a mantenere uno squilibrio di potere tra maschi e femmine. Tuttavia, sappiamo che vi sono forme di violenza importate con la migrazione, che ricadono principalmente sulla pelle delle donne migranti, quando non sono messe nella condizione di far valere i loro diritti.


Oggi scontiamo il risultato di politiche antirazziste “neutre” che hanno privilegiato i diritti culturali rispetto ai diritti individuali, rafforzando il patriarcato all'interno di alcune comunità migranti. Dobbiamo ricordarci di difendere la LAICITÀ non solo contro i fondamentalisti cattolici ma contro le ingerenze di tutte le religioni che oggi abitano questo Paese nella sfera pubblica e nelle scelte di autodeterminazione delle donne.
L'intercultura è un processo complesso, da curare giorno dopo giorno nel dialogo e nel conflitto, che fallisce se non si mette al centro la salvaguardia dei diritti e delle libertà individuali delle donne. Per questo preferiamo parlare di INTERCULTURA DI GENERE.
Per le donne migranti l’attuale legge sull’immigrazione sottintende un duplice ricatto: da un lato le rende maggiormente sfruttabili nel mondo del lavoro, mentre dall’altro le vincola ai documenti del marito in caso di ricongiungimento familiare. Il permesso di soggiorno può diventare così per le donne straniere uno strumento di controllo patriarcale nelle mani di padroni e familiari violenti.
Le donne richiedenti o beneficiarie di protezione internazionale sono sopravvissute a molteplici forme di violenza maschile. Si tratta di discriminazioni di genere, violenza domestica, tratta a fini di sfruttamento sessuale, difficile accesso ad un sistema educativo e socio-assistenziale efficiente, abusi legati a pratiche tradizionali come i matrimoni forzati (compresi quelli precoci), le mutilazioni dei genitali, gli stupri correttivi; il tutto esasperato da fondamentalismi religiosi sempre più diffusi e radicati e dalle guerre in corso.
In mancanza di corridoi umanitari, le/i migranti sono costrette/-i ad intraprendere viaggi in totale insicurezza. Per le donne il viaggio costituisce un pericolo ancora maggiore, in quanto sono esposte a stupri sistematici usati anche come arma di ricatto per sfruttarle economicamente e sessualmente.
Nei Paesi di transito e d’arrivo, le donne trovano altra violenza. In assenza di politiche che adottino uno sguardo di genere, i centri di cosiddetta “accoglienza”, finanziati con i fondi pubblici, sono spesso teatro di abusi sessisti; fuori dai centri, oltre alla sempre crescente discriminazione razzista intrecciata a quella di genere, c’è la violenza istituzionale di politiche economiche e sociali che, rafforzando povertà e diseguaglianze, ricade doppiamente sulla pelle delle donne migranti.


Nell’attuale contesto di quotidiane violenze a sfondo sessista e razzista, diventa di fondamentale importanza denunciare gli abusi vissuti dalle donne migranti e richiedenti asilo e sostenerle nella realizzazione dei loro progetti di vita.
Per questo chiamiamo alla lotta un nuovo FEMMINISMO MIGRANTE, che sappia tener conto delle differenze di classe e di status che influenzano profondamente le possibilità di autodeterminazione delle donne e che contrasti l'avanzata dei fondamentalismi e dei fascismi Tramaditerre.org