martedì 15 ottobre 2019

Le forze democratiche siriane curde spiegano perché sono costrette a considerare, e forse accettare, l'aiuto di Mosca e di Assad

«Il mondo ha sentito parlare per la prima volta di noi, le Forze Democratiche Siriane (SDF), solo nel caos della guerra civile del nostro paese. Di queste forze io sono il comandante in capo. Le Forze Democratiche Siriane contano 70mila soldati che dal 2015 (in realtà anche da prima: ma il 2015 è stato l'anno della storica vittoria di Kobane, città martire letteralmente rasa al suolo; ndr) combattono contro l’estremismo jihadista, contro l’odio etnico e l’oppressione delle donne. 


Sono diventate una forza di combattimento molto disciplinata e professionale. Non hanno mai sparato un solo proiettile verso la Turchia. I soldati e gli ufficiali americani, che ora ci conoscono bene, lodano sempre la nostra efficacia e abilità.
Ho sempre detto alle nostre forze: questa guerra è nostra! I terroristi jihadisti dello Stato islamico sono arrivati in Siria da tutto il mondo; siamo noi quelli che devono combatterli, perché hanno occupato le nostre terre, saccheggiato i nostri villaggi, ucciso i nostri bambini e ridotto in schiavitù le nostre donne.
Per salvare da questa grave minaccia il nostro popolo abbiamo perso 11.000 soldati e alcuni fra i nostri migliori combattenti e comandanti (e fra questi moltissime donne, ndr). Ho anche sempre istruito le nostre forze all’idea che gli americani e le altre forze alleate sono i nostri partner, e quindi dovremmo sempre assicurarci che non vengano danneggiati.
Tra l'illegalità della guerra, siamo sempre rimasti fedeli alla nostra etica e disciplina, a differenza di molti altri attori non statali. Abbiamo sconfitto Al Qaeda, sradicato lo Stato islamico e, allo stesso tempo, abbiamo costruito un sistema di buon governo basato sui governi locali, sul pluralismo e sulla diversità. Attraverso le autorità governative locali, abbiamo fornito servizi per arabi, curdi e cristiani siriaci
Abbiamo chiesto un'identità nazionale siriana pluralistica, inclusiva per tutti. È questa la nostra visione per il futuro politico della Siria: federalismo decentralizzato, nella libertà religiosa e nel rispetto delle differenze reciproche.
Le forze che comando sono ora dedicate alla protezione di un terzo della Siria contro l'invasione della Turchia e dei suoi mercenari jihadisti. L'area della Siria che difendiamo è stata un rifugio sicuro per i sopravvissuti ai genocidi e alle pulizie etniche commesse dalla Turchia contro curdi, siriaci, assiri e armeni negli ultimi due secoli.
Sono sotto la nostra responsabilità oltre 12.000 prigionieri terroristi dello Stato Islamico e sopportiamo il peso dei loro familiari radicalizzati. Proteggiamo anche questa parte della Siria dalle milizie iraniane.
Quando nessuno al mondo ci sosteneva, gli Stati Uniti ci hanno teso le mani. Ci siamo stretti la mano e abbiamo apprezzato il loro generoso supporto. E, su richiesta di Washington, abbiamo deciso di ritirare i nostri armamenti pesanti dal confine con la Turchia, di distruggere le nostre fortificazioni difensive e ritirare da quelle zone i nostri combattenti più esperti: perché, finché il governo degli Stati Uniti avesse mantenuto la sua parola con noi, la Turchia non ci avrebbe mai attaccato. Ma ora ci ritroviamo indifesi davanti alle lame turche (e su questo tradimento di Trump, anche tra le forze militari USA c'è chi si esprime indignato, come il generale Allen; ndr).
Il presidente Donald Trump promette da molto tempo di ritirare le truppe statunitensi. Comprendiamo e simpatizziamo: i padri vogliono vedere i loro bambini ridere fra le loro braccia, gli amanti vogliono sentire le voci dei loro partner sussurrare, tutti vogliono tornare a casa.
Del resto noi non chiediamo che i soldati americani combattano al nostro posto; sappiamo che gli Stati Uniti non sono la polizia del mondo. Ma vogliamo che gli Stati Uniti riconoscano l’importanza del loro ruolo nel raggiungimento di una soluzione politica per la Siria: siamo certi che Washington abbia sufficiente peso per mediare una pace sostenibile tra noi e la Turchia.
Noi crediamo nella democrazia come concetto chiave, ma alla luce dell'invasione della Turchia, e della minaccia esistenziale che questo attacco rappresenta per il nostro popolo, potremmo dover riconsiderare le nostre alleanze. Ora i russi e il regime siriano hanno avanzato proposte che potrebbero salvare la vita a milioni di persone che vivono sotto la nostra protezione. Sono promesse di cui non possiamo fidarci; ma, ad essere onesti, è difficile sapere di chi ci potremmo fidare.
È chiaro che la minaccia dello Stato islamico è ancora qui, con una rete di cellule dormienti in grado di scatenare un'insurrezione. Il gran numero di prigionieri del'Isis in un sistema carcerario inadeguato è come una bomba a orologeria che può esplodere in qualsiasi momento.
Sappiamo che dovremmo scendere a compromessi dolorosi con Mosca e Bashar al-Assad seguendo la strada di lavorare con loro. Ma se dobbiamo scegliere tra i compromessi e il genocidio della nostra gente, sicuramente sceglieremo la sua sopravvivenza.
La Siria ha due opzioni: una guerra sanguinaria, etnica e religiosa, se gli Stati Uniti lasciano senza raggiungere una soluzione politica, o un futuro sicuro e stabile - ma questo è possibile solo se gli Stati Uniti usano il loro potere e il loro peso per raggiungere un accordo prima di ritirarsi.
Il motivo per cui ci siamo alleati con gli USA è la nostra convinzione fondamentale nella democrazia. Siamo delusi e frustrati dall'attuale crisi. La nostra gente è sotto attacco e la sua sicurezza è la nostra prima preoccupazione. Rimangono due domande: come possiamo proteggere al meglio il nostro popolo? E gli Stati Uniti sono ancora i nostri alleati?».
Mazloum Abdi, generale delle forze democratiche siriane, a prevalente componente curda

Questa è la lettera con cui il generale delle SDF ha motivato di dover accettare l’aiuto della Russia e del presidente siriano Assad per fronteggiare l’invasione turca del nordest della Siria dove, lo scorso 9 ottobre, ha avuto inizio la sedicente ”Operazione fonte della pace” che altro non è che una criminale offensiva contro le forze curdo-siriane delle Ypg (Unità di protezione popolare), che da ormai 5 anni fronteggiano l'Isis con sacrifici immensi. 

sabato 12 ottobre 2019

Lettera aperta delle donne, dalla Siria del nord, alle donne di tutto il mondo

Le combattenti siriane lanciano un appello alle donne di tutto il mondo. Nelle stesse ore, l'Isis ha assassinato Havrin Khalaf, segretaria generale del Partito per il Futuro della Siria, giovane attivista, ingegnera, a capo di un movimento che era una speranza per tutto il mondo.
Come donne di diverse culture e fedi, provenienti dalle antiche terre della Mesopotamia, vi inviamo il nostro più caloroso saluto; e vi invitiamo a partecipare alle azioni per fermare la guerra di invasione della Turchia nella Siria e per superare il fascismo e il patriarcato in tutto il mondo! (in particolare l’invito, al momento della lettera, era per la Giornata mondiale d'azione del 12 ottobre, ndr). 

Vi scriviamo dal vivo della guerra nel nord est della Siria, imposta alla nostra terra dallo stato turco. Siamo sopravvvissute resistendo per 3 giorni ai bombardamenti dei caccia turchi e dei carri armati. Abbiamo visto le madri nei nostri quartieri prese di mira dai bombardamenti turchi quando escono di casa in cerca di pane per le loro famiglie. 

Abbiamo visto una granata NATO fare a pezzi la gamba di Sara, di 7 anni, e uccidere suo fratello Mohammed di 12 anni. Stiamo assistendo al bombardamento di quartieri e chiese cristiane, mentre le nostre sorelle e fratelli cristiani, i cui nonni sono sopravvissuti al genocidio nel 1915, sono ora assassinati dall'esercito del nuovo impero ottomano di Erdogan. Due anni fa, abbiamo visto che, con fondi ONU e UE, lo stato turco ha costruito un muro di confine di 620 km per rafforzare fisicamente la divisione del nostro paese e impedire a più rifugiati di cercare scampo in Europa. Ora, assistiamo al fatto che i carri armati stessi dello stato turco, i soldati e i gruppi killer jihadisti hanno rimosso parte del muro per invadere le nostre città e villaggi. 
Stiamo assistendo al modo in cui i quartieri, i villaggi, le scuole, gli ospedali e il patrimonio culturale di curdi, Ezidi, arabi, siriaci, armeni, ceceni, circassi, turkmeni e altre culture che vivono qui in comune, sono presi di mira da attacchi aerei e fuoco di artiglieria. Vediamo come migliaia di famiglie siano costrette a fuggire dalle loro case per cercare rifugio senza nessun posto sicuro dove andare. Inoltre, vediamo i commandos killer dell'ISIS attaccare nuovamente città come Raqqa, che due anni fa era stata liberata dal regime terroristico dello Stato Islamico grazie alla lotta comune della nostra gente (e lo stesso avviene ora a Kobane, che nel 2015 era stata liberata dall'Isis grazie alle forze curde, ndr). Ancora una volta, vediamo gli attacchi militari congiunti dell'esercito turco e dei loro mercenari jihadisti contro Serêkani, Girêsipi e Kobane

Questi sono solo alcuni degli incidenti che abbiamo affrontato da quando Erdoğan ha dichiarato la guerra, il 9 ottobre 2019.
Mentre l'operazione di pulizia etnica genocida della Turchia fa i primi passi, vediamo anche la coraggiosa resistenza di donne, uomini e giovani che alzano la voce in difesa della loro terra e della loro dignità. Per 3 giorni i combattenti delle forze democratiche siriane SDF, insieme a YPJ e YPG, hanno combattuto con successo in prima linea per prevenire l'invasione e i massacri della Turchia. Donne e persone di tutte le età fanno parte di tutti i campi di questa resistenza per difendere l'umanità, le conquiste e i valori della rivoluzione femminile nel Rojava. 


Come donne, siamo decise a combattere finché non raggiungeremo la vittoria della pace, della libertà e della giustizia. Per raggiungere il nostro obiettivo, facciamo affidamento sulla solidarietà internazionale e sulla lotta comune delle donne e di tutti coloro che amano la libertà.
Chiediamo di:
• fermare immediatamente l'invasione e l'occupazione della Turchia nella Siria settentrionale e orientale
• istituire una No-Fly-Zone per la protezione della vita delle persone nella Siria settentrionale e orientale
• prevenire ulteriori crimini di guerra e pulizia etnica da parte delle forze dell'esercito turco, dell'ISIS, di El Nusra e di altre organizzazioni killer jihadiste
• garantire la condanna di tutti i criminali di guerra secondo il diritto internazionale
• interrompere il commercio di armi con la Turchia
• attuare sanzioni politiche ed economiche contro la Turchia
• adottare misure immediate per una soluzione politica della crisi in Siria con la rappresentanza e la partecipazione di tutte le diverse comunità nazionali, culturali e religiose in Siria.

lunedì 30 settembre 2019

Lettera aperta degli scienziati del clima agli studenti in lotta per il Pianeta

In risposta ai tanti fake, ai giornalisti, politici e agli haters che gridano addirittura al complotto, o alla presunta "mancanza di basi scientifiche" delle proteste per il clima #fridaysforfuture, e addirittura invitano saccentemente i ragazzi a tornare a scuola, rimandiamo alla lettera aperta del marzo scorso, rivolta agli studenti dagli scienziati del CNR e dell'Istituto di ricerca per la Protezione Idrogeologica. Di seguito il testo completo:
Cari studenti che state scioperando per il clima, 
noi scienziati e studiosi dei cambiamenti climatici e dell’ambiente vi offriamo tutto il nostro sostegno

Ci unisce il desiderio di studiare la realtà, e una delle realtà che oggi purtroppo emerge è la difficoltà per gli esseri umani a rimettersi in discussione: così si spiegano gli attacchi contro di voi e le accuse ingiuste, come quella di avere sporcato una piazza che avete lasciato pulitissima o di essere pupazzi nelle mani di adulti che vi userebbero - sono accuse che servono, a chi le inventa, ad evitare di prendere coscienza della crisi climatica in cui ci troviamo
E' un riflesso fin troppo umano; a nessuno fa piacere sapere che il nostro pianeta rischia di diventare inospitale, con un drammatico calo delle risorse a nostra disposizione. 
Ma non è moralmente accettabile che si neghi pubblicamente il dato scientifico, come ci è capitato di leggere in questi giorni. Possiamo affermare con certezza che se leggete di qualcuno che nega che i cambiamenti climatici dipendano dall’uomo, oppure che nega siano un grave pericolo, non sta parlando della realtà, ma della difficoltà ad accettarla
E il vostro, il nostro compito è di aiutare a diffondere questa importante consapevolezza. Perché sul clima non esistono nemici, solo interlocutori da persuadere alla realtà. 
Vi chiediamo allora di tentare assieme di persuadere la classe politica, di andare insieme ad incontrarla. 
Prima delle elezioni del 2018 ci siamo uniti in un comitato, “La Scienza al Voto”, per convincere tutte le forze politiche a fare del contesto ambientale in pericolo il centro di ogni altra politica – e abbiamo proposto un accordo di legislatura trasversale, ritenendo che molte azioni siano importanti ed urgenti qualunque sia l’appartenenza a partiti o movimenti: abbiamo in effetti incontrato alcune disponibilità, ma manca ancora una consapevolezza diffusa e di conseguenza un’azione adeguata. 
I politici non ci devono temere: la politica è l'arte di organizzare la vita sociale, e ai politici spetta il grandioso, storico compito di organizzare la transizione ecologica. 
A noi spetta di ricordare loro che ci sono però due elementi basilari da rispettare, cui peraltro l'Italia si è già obbligata aderendo all'Accordo di Parigi: 
-  una riduzione delle nostre emissioni molto maggiore di quella ad oggi prevista, indispensabile per limitare l'aumento della temperatura a 1,5°C rispetto all'era preindustriale, e dunque le catastrofi più gravi (e naturalmente un efficace adattamento ai cambiamenti non più evitabili);
-  un impegno sostanziale verso i paesi più poveri, secondo il principio della giustizia climatica, poiché essi sono i meno responsabili e i più colpiti dalla manomissione del clima, e devono essere aiutati a svilupparsi rinunciando all'uso dei combustibili fossili - che a noi occidentali è invece stato permesso – come pure ad adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici, potenzialmente in grado di suscitare migrazioni epocali.
I politici potranno naturalmente essere stimolati da un'opinione pubblica consapevole della crisi climatica e delle sue soluzioni, e potranno a loro volta stimolare i cittadini a raggiungere questa consapevolezza – sostenuti da coloro che formano le coscienze e il pensiero collettivo, gli insegnanti e i giornalisti, cui spetta uno speciale dovere di raggiungere una consapevolezza in materia di manomissione del clima e di possibili soluzioni alla crisi. 
Cari studenti, la strada di fronte a noi è difficile, ma chiara. Vogliamo, se lo ritenete opportuno, percorrerla insieme? 

Antonello Pasini, fisico e climatologo, CNR (Coordinatore)
Carlo Barbante, chimico e climatologo, CNR e Universita Ca’ Foscari, Venezia
Leonardo Becchetti, economista, Universita di Tor Vergata, Roma
Alessandra Bonoli, ingegnere della transizione, Universita di Bologna
Carlo Cacciamani, fisico e meteorologo, Protezione Civile
Stefano Caserini, ingegnere ambientale, Politecnico di Milano
Claudio Cassardo, meteorologo e climatologo, Universita di Torino
Sergio Castellari, fisico e meteorologo, INGV
Andrea Filpa, urbanista, Universita di Roma Tre
Francesco Forastiere, epidemiologo, CNR
Fausto Guzzetti, geologo, CNR
Vittorio Marletto, fisico e agrometeorologo, ARPAE Emilia-Romagna e AIAM
Cinzia Perrino, biologa ed esperta di qualita dell'aria, CNR
Nicola Pirrone, ingegnere ed esperto di cambiamenti globali e inquinamento atmosferico, CNR Mario Motta, ingegnere dell'energia, Politecnico di Milano
Gianluca Ruggieri, ingegnere ambientale, Universita dell’Insubria
Federico Spanna, agrometeorologo, Regione Piemonte e AIAM
Stefano Tibaldi, fisico e meteorologo, CMCC
Francesca Ventura, fisico e agrometeorologo, Universita di Bologna e AIAM 

Gli attacchi alle mobilitazioni per il clima continuano senza posa: dalle dietrologie farneticanti di giornalisti rissosi e sempre schierati con la politica della paura, però contro le persone, e di politici a loro affini; perfino da isolate voci di scienziati in ritardo sulla Storia: a cui certo non appartiene Carlo Rubbia.. ma i suddetti giornalisti riescono anche, giocando sui titoli, a fargli dire il contrario di quello che lui effettivamente dice... e le persone superficiali rilanciano, senza aver capito niente. 
Preferiscono dar credito agli haters che diffondono tranquillamente foto false con cui si attribuiscono ai manifestanti comportamenti incivili
Ma cosa vi aspettavate, che quelli che per decenni non hanno fatto niente, nascondendo sotto il tappeto la realtà e inventando falsi nemici con cui mettere tutti contro tutti, si svegliassero di colpo? che comprendessero finalmente che diluvi e incendi trascineranno via anche loro? e smettessero quindi di rissare e arraffare?
Macché; continueranno a remare dalla parte sbagliata, come pirati che si infilzano, con lo scrigno sotto al braccio, mentre il galeone affonda. 
Da parte nostra cercheremo sempre di riparare la nave, salvando anche loro; ognuno faccia la sua parte; grazie Greta, grazie a tutti quelli che partecipano.
Nessuno è grato più di tutti noi, che gridiamo inascoltati da decenni [e qui ci sono solo alcuni fra gli esempi più recenti: Si deve dichiarare lo stato di emergenza nazionale (4 ottobre 2015) -  il mondo brucia. Dichiarare l'emergenza ambientale globale (24 luglio 2018) - ma di quale crescita stiamo parlando? - (3 febbraio 2013) - Chiamata urgente delle donne per il clima (11 ottobre 2013) eccetera.. ]; no, nessuno è più grato a questa ragazza, che con la sua straordinaria tenacia è riuscita a farsi udire, a far udire anche la nostra voce.

PS.. e a proposito delle pseudo-notizie  di certi giornali grondanti rabbia: secondo Libero  "500 scienziati" avrebbero scritto all'Onu, smentendo Greta e i dati sul surriscaldamento globale. E chi sarebbero? nessun link, nessun approfondimento, perché è meglio non approfondire. Si scoprirebbe che i presunti "studiosi", che contrappongono le loro certezze a quelle degli scienziati (veri) più autorevoli al mondo, (oltre a non essere affatto "500" ma solo poco più di una decina) altro non sono che personaggi al servizio delle compagnie petrolifere, capitanati da Guus Berkhout: uomo della Shell fondatore, appunto, di una organizzazione negazionista olandese nata proprio con lo scopo di diffondere campagne contro la riduzione delle emissioni. Complimenti a tutti: negazionisti e stampa anti-scientifica che si appella alla "scienza".

giovedì 25 aprile 2019

Il 25 aprile festa della libertà ritrovata. Non perdiamo coscienza che la dobbiamo sempre difendere

di Liliana Segre • Per me il 25 aprile del 1945 non fu il giorno della Liberazione. Non poteva esserlo perché io quel giorno ero ancora prigioniera nel piccolo campo di Malchow, nel Nord della Germania. C’era un grande nervosismo da parte dei nostri aguzzini, ma non sapevamo nulla di quel che accadeva in Europa. A darci qualche notizia furono dei giovani francesi prigionieri di guerra mentre passavano davanti al filo spinato. «Non morite adesso!», scongiurarono alla vista delle disgraziate ombre che eravamo.


«Tenete duro. La guerra sta per finire. E i tedeschi stanno perdendo sui due fronti: quello occidentale con gli americani e quello orientale con i russi». Nelle ultime ore da prigioniere assistemmo alla storia che cambiava. Fuori dal lager ci costrinsero all’ennesima orribile marcia ma niente era uguale a prima. La mia personale festa di liberazione fu quando vidi il comandante del campo mettersi in abiti civili e buttare a terra la sua pistola. Era un uomo terribile, crudele, che a ogni occasione picchiava selvaggiamente le prigioniere. La vendetta mi parve a portata di mano, ma scelsi di non raccogliere quell’arma. All’improvviso realizzai che io non avrei mai potuto uccidere nessuno e questa era la grande differenza tra me e il mio carnefice. Fu in quel momento che mi sentii libera, finalmente in pace.
Il 25 aprile del 1945 fu quindi un’esplosione di gioia che mi sarebbe arrivata più tardi filtrata dai racconti di amici e famigliari. Avevo avuto bisogno di una tregua prima di tornare in Italia. E dovevo guarire da troppe ferite per riuscire a fare festa insieme agli altri. Ero stata ridotta a un numero, costretta a vivere in un mondo nemico e costantemente con il male altrui davanti a me, come diceva Primo Levi. Ci vollero anni perché riscoprissi il sentimento della felicità collettiva.
Poi quel momento è arrivato. E il 25 aprile è diventata una festa famigliare, la festa della libertà ritrovata. Simboleggiava la caduta definitiva del nazifascismo e la liberazione. E rendeva omaggio al sacrificio di partigiani e militari, ai resistenti senz’armi, ai perseguitati politici e razziali. Era la festa del popolo italiano ma anche una festa celebrata in famiglia insieme a mio marito Alfredo, che era stato un internato militare in Germania per aver detto no alla Rsi. Avevamo patito entrambi la privazione della libertà e potevamo capire il significato profondo di quella data che poneva le fondamenta della democrazia e della carta costituzionale. Ogni 25 aprile sventolavamo idealmente la nostra bandiera.
Non ho mai smesso di sventolare quella bandiera. E ancora oggi mi ostino a spiegare ai ragazzi perché è una festa fondamentale. Ma è sempre più difficile combattere con i vuoti di memoria. Solo se si studia la storia si comprende cosa è stato il depauperamento mentale di masse di italiani e tedeschi indottrinate dai totalitarismi fascista e nazista. Bisogna raccontare alle giovani generazioni cos’è stata la dittatura, soprattutto ora che il saluto romano non stupisce più nessuno. Mi chiedo se a una parte della politica non convenga questa diffusa ignoranza della storia. Chi ignora il passato è più facilmente plasmabile e non oppone “resistenza”.
In anni non lontani, c’è stato anche chi ha proposto di abolire il 25 aprile dal calendario civile. Temo che prima o poi si arriverà a cancellarlo. Perché il tempo è crudele: livella i ricordi e confonde la memoria, mentre le persone muoiono e le generazioni passano. Qualche anno fa ci siamo illusi che intorno a questa data fosse stata raggiunta l’unanimità delle forze politiche. Oggi leggo con preoccupazione che alla festa della Liberazione si preferisca una cerimonia di altro genere. Se devo dire la verità, rimango esterrefatta. In tarda età assisto a degli atti che non avrei mai immaginato di vedere: soprattutto avendo vissuto cosa volesse dire essere vittime prima del 25 aprile, quando la democrazia non c’era, e dissidenti e minoranze venivano imprigionati, torturati e anche uccisi.
Così come rimango tristemente stupita di fronte alla cancellazione della prova di storia alla maturità. La mancanza di memoria può portare a episodi come quello che ha coinvolto pochi giorni fa un istituto alberghiero di Venezia. Un insegnante su Facebook ha offeso la Costituzione con parole che preferisco non ripetere. E si è augurato che Liliana Segre finisca in «un simpatico termovalorizzatore». Questa non l’avevo ancora sentita: probabilmente il «simpatico termovalorizzatore » è la forma aggiornata del forno crematorio.
Preferisco però concentrarmi sui moltissimi italiani che mi vogliono bene. E insieme ai quali festeggerò il 25 aprile, un rito laico che continua a emozionarmi. E a portarmi via con sé. Perché la libertà è una condizione assoluta, irrinunciabile. E non importa se qualche ministro resterà a casa. Sono sicura che domani saremo in tanti a provare la stessa emozione civile. Buon 25 aprile a tutti.
Fonte: Il 25 aprile, la mia nuova Resistenza 

martedì 2 aprile 2019

Il Congresso delle Famiglie a Verona, le donne, gli oppressi

di Giuliana Nuvoli • Il Palazzo dei Congressi, a Verona, ha chiuso i battenti; le camionette della polizia e dei carabinieri si sono allontanate; i turisti sono tornati i signori di piazza dell’Arena. La tre giorni del Congresso delle famiglie ha lasciato strascichi fastidiosi e un profondo senso di disagio. Per molti motivi: una informazione superficiale; una moltitudine di racconti viziati; concetti arbitrariamente deformati; linguaggi impropri, offensivi e inopportuni.

In primo luogo è falso che vi siano state due diverse visioni del mondo e della famiglia a confronto: una delle due parti condannava l’altra, senza alcuna forma di comprensione o di rispetto. Se non sei come me andrai all’Inferno: la diversità non era contemplata. E la zona laica, dove ogni credenza è accettata e dove tutti sono dialoganti alla pari; quella zona laica, che dovrebbe coprire l’intero globo terracqueo, semplicemente non esisteva.
L’ ”Avvenire” ha pubblicato queste parole: “Se la questione famiglia è diventata divisiva […] è evidente che qualcuno ha sbagliato a dosare toni e parole, non ha avuto cura di costruire alleanze di pace ma solo piani di battaglia […] privilegiando scelte oltranziste ed estremiste”. Le scelte oltranziste ed estremiste di cui parla non appartengono solo a questo Congresso: sono un’ombra nera che sta prendendo corpo in modo consistente nei cinque continenti, e con modalità disparate. Due macro-sistemi sono entrati in crisi: il potere patriarcale e il capitalismo. E stanno arrivando i colpi di coda del dragone che muore: velenosi, violenti, disperati. E la disperazione è, non di rado, letale.


A Verona la vera novità è stata la forza del “trans-femminismo”, che ha visto la presenza di attiviste dalla Croazia, dalla Polonia, dall’Argentina, e da altri paesi ancora, che hanno sfilato sabato con almeno 100.000 persone, e che si sono riunite in assemblea domenica, per tirare le somme di tre giorni di dibattiti, in cui ricercatrici da Berlino, Belgrado, Varsavia e Parigi, hanno tenuto panel di discussioni non solo di stampo femminista. 

La liberazione del genere femminile (ancora lontana!) è la liberazione di tutti gli oppressi. E saranno le donne a compiere questa trasformazione necessaria per la sopravvivenza del genere umano: e lo dico con serena certezza e senza retorica, ormai da decenni.
I penosi tentativi di chi ha cercato di bollare la manifestazione di sabato come “presenza di femministe pagate” e “turismo organizzato” (parlo del ministro Salvini) non possono intaccare in alcun modo la bellezza e l’intensità di quella festa. C’era un sole caldo e una Verona festante. Dal giorno precedente polizia e carabinieri presidiavano il Palazzo dei Congressi; alle 14 la piazza era stata chiusa per l’arrivo di esponenti di governo e di leader politici. Poco importava: il corteo avrebbe percorso un’altra strada, partendo dalla stazione di Porta Nuova. Eravamo una marea, che si muoveva fra gli applausi e i sorrisi della gente sui marciapiedi; chi era alle finestre cantava e ballava; e bambini, disabili in carrozzina, coppie anziane, studenti dei due sessi, signore composte dal passo deciso seguivano le ragazze (venti? trenta?)  variamente dipinte che, danzando, aprivano il corteo.
E il corteo era composto da decine di migliaia di persone che erano società civile, lì, sotto il sole, a difendere i diritti di tutti. Di ogni singolo individuo perché potesse essere ciò che desiderava, nelle modalità che gli erano necessarie e nel territorio di sua appartenenza.
Nel pomeriggio di domenica c’è stato il corteo dei sostenitori del Congresso: molto meno numeroso e certo non altrettanto ben accolto dai cittadini. 
E’ questo che conforta: dietro le finestre abbiamo visto una città che pareva svegliarsi dal torpore di provincia benestante, per aprirsi su un mondo dove tutti abbiano spazio e accoglienza.
“Non una di meno. Insieme siam venute, insieme torneremo”. Le donne sapranno cambiare il mondo. Tutte, insieme. Perché tutti possano avere una vita vera, insieme.
Giuliana Nuvoli