Dopo una lunghissima storia di esclusioni basate sulle motivazioni più risibili, dal 1996 le donne hanno cominciato a crescere costantemente in Magistratura, sbaragliando i colleghi maschi nei concorsi, fino a raggiungere una maggioranza più o meno stabile (che nel 2013 è giunta addirittura al 63%!). Questo nonostante ostacoli quali molestie e intimidazioni (e contro le concorsiste addirittura da parte delle stesse forze dell’ordine), che sono vere proprie violenze, mai registrate nei confronti degli uomini.
E benché siano in altissima presenza numerica, ai vertici le donne non hanno mai attinto nemmeno al 20%; la loro esclusione dal Consiglio Superiore della Magistratura è ancora più eclatante: le presenze femminili oscillavano dal 4% all’8%, e poi dall'8 al 16% (arrivando a quattro). Quest'anno il segnale di regresso non giunge tanto dal numero complessivo delle donne elette (che restano la solita minoranza), ma dal preciso segnale politico inviato dall'attuale aula parlamentare, in cui pure le donne numericamente non mancano; ma a quanto pare non vi ha voce nessuna spinta paritaria. il lumicino delle battaglie per la parità si è spento: a proposito di cambiamento potremo vantare anche questo traguardo. Fra gli eletti dai parlamentari per il CSM si contano zero donne, è #tuttimaschi.
Eppure i dati (facciamo qui riferimento a quelli disponibili dal 2007 al 2013) dicono che le donne sotto procedimento disciplinare sono di gran lunga meno degli uomini (30% contro il primato maschile del 70%). Anche sui tempi di deposito delle sentenze le magistrate sono in netto vantaggio sui colleghi maschi, in quanto i loro ritardi sono di molto inferiori. Di molto inferiore, rispetto ai maschi, è infine anche il numero di magistrate con incarichi universitari incompatibili con la mole di lavoro che devono già svolgere; e che come tali andrebbero banditi.
D’altro lato si devono proprio alle donne diverse sentenze che costituiscono un progresso nei diritti per tutti; elemento che, anziché essere loro riconosciuto come positivo, è (ovviamente) fra le prime ragioni della loro esclusione
Vi ricordate di Gabriella Luccioli? Magistrata di prim’ordine, dall'indiscusso profilo professionale, anche superiore ai concorrenti maschi, in Cassazione dal 1988 e candidata nel 2013 alla carica di Primo Presidente di Cassazione, aveva tutti i titoli per essere eletta e per rompere la paradossale regola dei soli maschi dove si decide.
Ma le fu fatale (questa fu precisamente la motivazione!) proprio l’aver sancito il progresso di diritti che danno fastidio alle forze più retrive: dalla sentenza Englaro a quella che apri alle adozione da parte di coppie gay, a quella in difesa dei bambini contesi.
L’assenza di meccanismi che mettano fine a questi soprusi viola gli art. 3 e 51 della Costituzione; e i diritti delle donne (e non parliamo di quelli dei bambini), sono quelli della maggioranza della popolazione, come possono venire rispettati se ai vertici il criterio di giudizio è solo maschile?
Il CSM è l’organo di auto-governo che decide su nomine dei giudici, promozioni, trasferimenti, sanzioni; un punto nevralgico da cui le donne si vedono, oggi, ancora più espulse. Per questo la lettera di ADMI al Presidente della Repubblica giunge quanto mai opportuna, e invitiamo tutte le donne a sostenerla e a darle la massima diffusione.
Come giustamente scrive oggi Antonio Rotelli per il Manifesto:
chi sceglie i magistrati a cui affidare gli incarichi direttivi? Il Consiglio superiore della magistratura! Non mi pare possa negarsi che la composizione di genere abbia un impatto a mio avviso determinante su queste scelte. È la storia del potere (maschile) che tende a conservarsi e rigenerarsi. La stessa cosa vale per gli uffici a giurisdizione o di competenza nazionale, dove le donne sono solo il 33% (tutti i dati dell'Ufficio statistico del Csm aggiornati a luglio del 2017).
chi sceglie i magistrati a cui affidare gli incarichi direttivi? Il Consiglio superiore della magistratura! Non mi pare possa negarsi che la composizione di genere abbia un impatto a mio avviso determinante su queste scelte. È la storia del potere (maschile) che tende a conservarsi e rigenerarsi. La stessa cosa vale per gli uffici a giurisdizione o di competenza nazionale, dove le donne sono solo il 33% (tutti i dati dell'Ufficio statistico del Csm aggiornati a luglio del 2017).
Il Parlamento aveva il dovere di scegliere alcune tra le tantissime professioniste che hanno i requisiti per diventare componenti del Csm.
Anche in questo caso, i numeri fanno la differenza: le avvocate italiane, anche se di poco, sono più numerose dei colleghi maschi, mentre nel mondo accademico sono donne il 52% dei dottori di ricerca, il 48% dei ricercatori, il 37% dei professori associati, il 22% degli ordinari (dati al 31 dicembre 2016). Il basso numero delle ordinarie è l'emblema del potere maschile, che nelle università si conserva con grande maestria.
Ma proprio per questo, in quel 22% andavano scelte quelle giuriste - e ce ne sono tante - che molto lustro avrebbero potuto dare al Csm.
Eppure. Il Parlamento sotto questo governo del cambiamento ha cambiato: in peggio.
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