La (in)giustizia familiare tedesca e la colpa di un’avvocata
Brasiliana: essere nata in un paese extraeuropeo
J.R. è avvocata, figlia di un avvocato
ed è brasiliana. Si reca in Germania per conseguire un Master in
Giurisprudenza. Qui conosce un altro giovane avvocato. Si innamorano, si
sposano, nascono due figli. I due giovani avvocati decidono di trasferirsi in
Brasile con i due figlioletti. Lei trova subito lavoro, il marito no.
Poco dopo il matrimonio entra in crisi.
I due si separano e lui torna da solo
in Germania. J.R., che ha ottenuto l’affido dei bambini, ma non vuole privarli
del padre, programma presto un soggiorno di un paio di mesi in Germania,
affinché i tre possano stare insieme.
Dopo poche settimane dall’arrivo in
Germania, l’esperienza devastante: lo Jugendamt (Amministrazione della
gioventù) le porta via i figli e i loro passaporti, accusandola di volerli
rapire e portare in Brasile. E’ lo Jugendamt
che ha così appena rapito i bambini, ma per il sistema tedesco è lei la
rapitrice, con tutte le conseguenze che questo comporta. J.R. non può rientrare
in Brasile perché non può e non vuole lasciare i bambini ancora molto piccoli,
è dunque costretta a restare in Germania dove non ha lavoro, è costretta a
trascurare la sua vita lavorativa in Brasile e a intraprendere una serie di
azioni legali per la restituzione dei bambini. Nulla da fare. Il sistema della cosiddetta giustizia
familiare tedesca funziona benissimo come sempre nel trattenere i bambini in
Germania e invertire i dati di fatto: per i tribunali tedeschi il Brasile
diventa il paese delle vacanze, anziché quello di residenza abituale e la
Germania, dove lei e i bambini si erano recati in visita, diviene il paese nel
quale i bambini avrebbero sempre vissuto e devono continuare a vivere. Lei, in quanto non-tedesca e possibile
rapitrice, è solo qualcuno da allontanare e cancellare dalla vita dei bambini,
così come la lingua e tutta la famiglia rimasta in Brasile. Una volta
manipolata in questo modo la realtà di partenza, J.R. non potrà che perdere,
così come perdono sempre i genitori non-tedeschi, in tutti i gradi di giudizio
e in tutti i tribunali della Repubblica Federale di Germania. Intervistato, il
prof. Astuto, spiega: “La
nazionalità tedesca prevale, a detrimento dei diritti fondamentali […] due pesi
e due misure, a seconda che si tratti di una madre tedesca o di una madre
straniera”. Così è sempre e per tutti, genitori italiani, francesi,
polacchi, spagnoli, brasiliani ….
Dopo lo shock e le azioni legali per
riavere i suoi bambini, quando ancora pensava di poter dimostrare velocemente
l’errore di partenza che ha portato a trattarla come una criminale, J.R. si
rende conto che la parola “giustizia” in Germania ha un altro significato e
soprattutto che il significato di “bene del bambino” (Kindeswohl) in quel paese significa restare nella giurisdizione
tedesca con il genitore tedesco. Per salvare le apparenze, le concedono qualche
visita sorvegliata, ma “Ho
visto i miei figli in una stanza, a
condizione che non mostrassi emozioni, altrimenti non avrei più potuto
incontrarli”, ci racconta J.R. ancora sconvolta. Quei pochi contatti erano
solo lo specchietto per le allodole e sono durati il tempo necessario a costruire nuove accuse contro di lei. Scrivo “costruire” perché anche in questo
caso, come in tutti quelli che avvengono sotto la regia del sistema di
(in)giustizia familiare tedesco, i principi del diritto sono stravolti, così
come anche l’onere della prova: qui l’accusa è di avere richiesto alle autorità
brasiliane una copia dei passaporti dei suoi figli. Deve provare di non aver
fatto una richiesta che, appunto, non ha mai fatto.
Anche la dichiarazione del Ministro brasiliano, che conferma l’inesistenza di detti nuovi passaporti, non è prova attendibile per i tribunali tedeschi e pertanto questo procedimento rimane pendente.
Anche la dichiarazione del Ministro brasiliano, che conferma l’inesistenza di detti nuovi passaporti, non è prova attendibile per i tribunali tedeschi e pertanto questo procedimento rimane pendente.
J.R. torna in Brasile,
riprende a lavorare nel suo studio legale e continua a lottare per riavere i propri figli, coinvolgendo sempre più il
governo e le autorità brasiliane. Nel 2013 partecipa come relatore al Seminario
bilaterale Brasile Germania sul tema dei diritti umani presso la Facoltà
nazionale di Diritto a Rio de Janeiro dove illustra, sulla base di dati e statistiche, quanto avviene nella
Germania odierna e come i diritti fondamentali dei bambini vengano violati.
Ormai sono tre anni che
J.R. non vede i suoi figli, ma non rinuncia e, con la competenza e la
professionalità che la distingue, ha preparato una proposta di legge finalizzata a modificare la ratifica alla Convenzione dell’Aja. Non dimentichiamo
che a lei, come a tantissimi altri genitori non tedeschi che vengono cancellati
dalla vita dei propri figli, viene impedito di essere padre/madre proprio sfruttando
la buona fede e la convinzione dell’importanza della bigenitorialità. Infatti, nonostante la
separazione, molti tentano di preservare il rapporto tra i bambini e il genitore tedesco
e questo viene invece sfruttato per costruire le basi di una sottrazione apparentemente legale
(deutsch-legal), rendendo i bambini orfani di un genitore e monchi di una
importante parte della loro cultura e della loro lingua.
Marinella Colombo
Nella foto: J.R. al Parlamento di San Paolo in Brasile
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