Mercoledì 6 aprile, esponendo questa bandiera proveniente dalla guerra, proprio dalla città martoriata di Bucha, Papa Francesco aggiungeva alle sue precedenti un'altra importante dichiarazione: “dopo la seconda guerra mondiale si è tentato di porre le basi di una nuova storia di pace ma purtroppo non impariamo, è andata avanti la vecchia storia di grandi potenze concorrenti.
E, nell’attuale guerra in Ucraina assistiamo all’impotenza della Organizzazione delle Nazioni Unite (…) La logica dominante (della geopolitica, ndr) resta quella delle strategie degli Stati più potenti per affermare i propri interessi estendendo l’area di influenza economica, o influenza ideologica o influenza militare”.
Scrive Marina Calloni, in un accurato articolo su La Svolta, che “la connessione tra volontà di potenza, economica, ideologica e militare ha di fatto sempre rappresentato il principale volano e quel denotare che fa da miccia a ogni guerra, che si protrae attraverso le generazioni con odi perduranti nel tempo (…) Le parole del Papa non possono essere dunque intese solo come semplici messaggi spirituali ma come chiari messaggi politici di tipo pragmatico, rivolti tanto al crudele cinismo degli Stati nazionali, quanto all’impotenza dell’organismo sovranazionale per eccellenza: l’Organizzazione della Nazioni Unite. La stessa Santa Sede fa parte dell’ONU dal 1964 come “Osservatore Permanente di Stato non membro”, ruolo che le permette di esercitare una certa influenza su documenti in discussione, partecipare a conferenze mondiali, collaborare – con anche numerose criticità - con gli altri Stati membri”.
Cosa significa dunque la critica del Papa all’ONU? Fondato nel 1945 per rafforzare la pace universale dopo le atrocità della seconda guerra mondiale, l’ ONU ha il fine di “mantenere la pace e la sicurezza internazionale”; “sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-decisione dei popoli”; “conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale culturale o umanitario”.
Ma, osserva sempre Calloni, nella crisi in corso pare che nessuno di questi principi sia rispettato. L’ONU riconosce altresì il principio della sovranità e integrità territoriale, quindi può costituzionalmente ammettere un solo tipo di guerra armata: quella di difesa se aggrediti; la guerra in Ucraina è quindi evidentemente illegale in quanto guerra d’aggressione, e come tale potrà dare origine a commissioni per il riconoscimento di eventuali crimini di guerra e genocidi.
Ancor oggi non si può fare a meno del ruolo dell’ONU, senza il quale le relazioni internazionali sarebbero ancora più problematiche; ma un organismo inter-governativo che dovrebbe decidere sanzioni contro uno dei suoi membri (la Federazione Russia), il quale però dispone del diritto di veto, presenta limiti insanabili nella sua stessa conformazione. I molti tentativi di riformarla finora non hanno avuto successi significativi; ora una vera riforma sarà forse possibile solo se la Russia uscirà sconfitta dalla guerra contro l’Ucraina. Dal suo canto, l’attuale Unione Europea non dispone ancora di una coesa unità politica né di una politica di sicurezza comune, quindi manca di vero potere negoziale.
L’attuale crisi bellica mette dunque in luce le grave carenze delle diplomazie, dimostratesi incapaci di prevenire l’annunciato allargamento di una guerra già iniziata nel 2014. Le diplomazie sovranazionali (dall’ONU alla UE) e nazionali stanno a guardare o si muovono in ordine sparso, per non parlare dei terreni su cui si muovono (dal territorio della Bielorussia filo-putiniana alla Turchia), in stallo per veti incrociati, mentre il prezzo in termini di sangue e distruzioni è altissimo. Intanto la cultura politica democratica arretra, l’opinione pubblica si polarizza, i sistemi autoritari e coercitivi si rafforzano.
In questo deflagrare di disordine mondiale si attende il terzo assente (come lo chiamava Bobbio): quel potere «terzo» super-partes capace di affrontare i conflitti in nome della pace; ma questo ancora non si vede.
In tutto ciò, Calloni si chiede: quale sfera di influenza potrebbe esercitare la diplomazia del Papa nella direzione di sviluppare piani per la pace? Nell’ambito della diplomazia a vari livelli propria al Vaticano (spirituale, inter-religiosa, umanitaria e politica) il Papa potrebbe contribuire a una pratica trasversale e integrata, ove il piano formale interagisce con la molteplicità di reti informali, capaci di sviluppare un’azione comune assieme ad altri soggetti istituzionali, interessati alla tregua e alla cessazione della guerra, prospettando possibili vie per una ricostruzione materiale e morale, prevenendo conflitti bellici, a fronte di nuovi appetiti politico-economico-militari.
Si, siamo in molti a credere che, pur nella difficile relazione con un Patriarca russo gravemente compromesso con la politica di Putin, in questa fase delicatissima il Papa potrebbe avere un ruolo cruciale. In questo quadro, a corollario e in risonanza con gli sforzi del Papa, il sorgere di un organismo che possa radunare e sincronizzare gli sforzi delle più importanti associazioni e organizzazioni umanitarie e di pace, ambientaliste ed ecofemministe, potrebbe creare un flusso di corrispondenza capace di dare forza alle sue azioni, di creare un afflato della società civile che ora, smarrita di fronte a ciò che sta accadendo, continua a profondere in mille rivoli i suoi contributi, ma si sente impotente.
Dalla Comunità di Sant’Egidio a Emergency, da Greenpeace, FFF, Extinction Rebellion a Unipace e Runipace, da Aidos alle Case delle donne, solo per citarne alcune, da tutti gli enti che rientrano nell’AOI a mille altri ancora, le organizzazioni di cui si potrebbe cercare di catalizzare le risorse sono moltissime, e potenzialmente dall’enorme capacità di impatto comunicativo e mentale. Ingenue? forse; ma la situazione è abbastanza grave perché le dirigenze di tutte queste organizzazioni inizino almeno a considerare l'ipotesi di unirsi, coordinarsi, pensare ed agire in concerto?
Come anche si auspica > QUI, parlando di cambiare metodo, invertire la rotta.
#disertareilpatriarcato, è l'invito di Laura Cima: per una visione nuova capace di salvarci dal disastro in cui stiamo cadendo; anche tanti uomini finalmente cominciano a farlo. Paradossalmente, è forse ora di mirare a questa meta proprio appellandosi a papa Francesco, colui che oggi guida con inedito coraggio quella che fu (e nella sua struttura, resta) fra le istituzioni più patriarcali della Storia.
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