Grazie a Paola Tavella per il suo pezzo sulla legge per le unioni civili che annaspa in Senato. L'incipit punta il dito, giustamente, sulla voce che circola da settimane di una imminente paternità di Nichi Vendola. Come? via utero californiano in affitto.
Ora, si chiede la Tavella, con che coraggio il Pd e Sel si presenteranno di nuovo in Senato e davanti al paese, mercoledì, e ci diranno che il ddl Cirinnà non permette e non facilita l'utero in affitto? Ha ragione da vendere. E ci dà anche una chiave per capire di più di questa legge e del groviglio delle volontà politiche che si nascondono dietro il dito generico dei diritti. Scrive Tavella: C'è un dato politico di prima grandezza dietro questa vicenda. Chi ha accusato di ipocrisia i senatori che, più o meno in buona fede, con argomenti talvolta nobili e talvolta disgustosi, si sono detti contrari alla stepchild adoption come prevista dall'articolo 5 del ddl Cirinnà perché apre all'utero in affitto, si trova con i pantaloni calati nel bel mezzo di una piazza. E se nasce un bambino in California il burlone che ha tirato giù i pantaloni a tutti è Nichi Vendola. Già è strano che si sia fatto finta di nulla davanti all'evidenza che il senatore Sergio Lo Giudice, uno degli estensori del ddl Cirinnà, ha comprato un ovocita per impiantarlo nell'utero di una donna che ha portato avanti la gravidanza in California, entrambe pratiche vietate in Italia. Sergio Lo Giudice e suo marito hanno rilasciato un'intervista a Le Iene dove hanno detto che "un bambino è una vita e non è una merce", che il pagamento della madre surrogata "non incide sulla valenza etica del suo gesto", che "è importante che da subito tra la surrogata e il neonato non ci sia un rapporto madre-figlio". Si può credere a questo punto che ci sia buona fede in chi dice che fra il ddl e la surrogacy non c'è nessuna relazione? La verità incontrovertibile è che con la stepchild due uomini uniti in base al ddl Cirinnà possono decidere di affittare un utero all'estero ed essere sicuri, già al momento del contratto preliminare, che tornando in Italia disporranno di un percorso privilegiato - quello previsto dalla Cirinnà - perché il neonato a contratto sia adottato automaticamente dall'altro padre, e abbia un certificato di nascita dove non esiste né mai è esistita una madre.
Dovremo credere all'onestà di Sel che nega questo nesso mentre il suo capo affitta un utero in California? E perché mai questi paladini della libertà non hanno fatto una battaglia a viso aperto, dicendo che l'utero in affitto è una pratica etica, da legalizzare in Italia? E che ci diranno le femministe di Sel e del Pd della sorte dei bambini nati così? A rigor di logica, se è la psiconalisi è una trascurabile sciocchezza e si può ignorare l'importanza della vita prenatale e la profondità del trauma e del dolore di un neonato separato e abbandonato dalla madre, allora saranno sciocchezze anche quelle scritte da psicologi e psicoanalisti a proposito della genitorialità gay e il favore di molti illustri specialisti all'adozione da parte di coppie delle stesso sesso. Oppure, come io credo, entrambe queste tesi sono vere e fondate. La verità è che le azioni di questi uomini politici hanno ipotecato la legge sulle unioni civili, mettendo a repentaglio i diritti di decine di migliaia di persone e, semi-affondando la stepchild adoption, che riguarda non già pochissimi privilegiati ricchi che vanno a comprare figli negli Stati Uniti ma migliaia di famiglie qualunque composte da donne e dai loro figli, ovvero la stragrande maggioranza di chi ha diritto alla stepchild di bambine e bambini generati da una madre con l'eterologa, senza affittare corpi di altri. Resta dunque da chiedersi perché non si è voluta emendare la Cirinnà in modo da blindare la stepchild contro l'utero in affitto, né riformare contestualmente l'istituto della adozione speciale per rendere impossibile procurarsi un neonato a contratto all'estero e poi far riconoscere gli effetti giuridici di questo contratto in Italia. Se l'utero in affitto venisse davvero contrastato, chi protesterebbe?
Il modo ci sarebbe, basta volerlo. Fingiamo che si presenti davanti al Tribunale dei Minori una coppia italiana che vuole regolarizzare un neonato dichiarando che la signora ha partorito inaspettatamente in Ucraina, in Nepal, in India, in Guatemala, in Belgio, in Cambogia, a Los Angeles. Basta un'analisi del Dna per scoprire se il bambino è figlio di colei che dichiara di essere sua madre, basta una visita per scoprire se lei lo ha partorito o no. E d'altra parte non è certo difficile intercettare le coppie dello stesso sesso. Allora, una volta accertata la verità, come è dovere del Tribunale, non si infliggono sanzioni penali, non si portano via bambini a nessuno, nulla di tutti questi orrori. Però si commina una sanzione amministrativa, ovvero una multa così salata che ci vorranno generazioni per pagarla.
Va aggiunto anche che i paesi dove la surrogacy è legale e possibile, ovvero dove esistono le condizioni teniche e sanitarie per attuarla ed essere affidabili agli occhi delle abbienti coppie occidentali, sono molto pochi. E quindi per evitare che siano aggirato i divieti di surrogacy nei paesi di origine dei committenti, è sufficiente stringere accordi ufficiali con i paesi meta di turismo procreativo e subordinare il rilascio del visto per motivi sanitari alla dichiarazione dell'Ambasciata che prova come la pratica che si va a fare è legale. Per esempio l'eterologa in India si può fare perché in Italia è legale, la surrogacy no perché è illegale.
È in questa direzione che si sta orientando la Francia, e così gli altri paesi europei in cui la Gpa è vietata e si intende mantenerla tale, in base alle indicazioni del Parlamento europeo che ha approvato nel dicembre scorso il Rapporto sui diritti umani che "condanna la pratica della maternità surrogata, che mina la dignità umana della donna, visto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usate come una merce; considera che la pratica della maternità surrogata, che implica lo sfruttamento riproduttivo e l'uso del corpo umano per profitti finanziari o di altro tipo, in particolare il caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba esser vietato e trattato come questione di urgenza negli strumenti per i diritti umani" a disposizione dell'Ue nel dialogo con i Paesi terzi.
Ma i paesi europei che non vogliono la Gpa, fra cui ufficialmente c'è anche l'Italia, sono minacciati dalle sentenze della Corte europea dei diritti umani (Cedu), che li condanna perché non trascrivono l'atto di nascita ai bambini nati con la surrogacy pagata da loro cittadini. La Cedu non fa parte dell'Unione europea ed è un organo ben distinto dalla Corte europea dei diritti dell'uomo.
La Cedu è un organismo legato al Consiglio d'Europa, di cui fanno parte 47 stati, fra i quali molti in cui il business della maternità surrogata è fiorente e in piena espansione. I pronunciamenti dell'organismo sono al centro di un fortissimo conflitto. Il Consiglio d'Europa il 15 marzo esaminerà la relazione sulla ammissibilità della Gpa scritto dalla ginecologa e deputata belga de Sutter, contestatissima per conflitto di interessi poiché ella stessa praticante la surrogacy a pagamento nella sua clinica a Gand (in Belgio la Gpa non è né vietata né regolamentata) e anche in una clinica in India. "Da quello che sappiamo - ha detto la socialista Laurence Dumont, vicepresidente del Parlamento francese dove si è tenuta il 2 febbraio scorso una assemblea mondiale per la messa la bando della surrogacy in tutto il mondo - il documento è favorevole a una regolazione legale della Gpa nei 47 paesi che compongono i Consiglio d'Europa, e fra questi per esempio c'è l'Ucraina che ha investito moltissimo in Gpa". Quando la Cedu ha multato l'Italia e la Francia che non hanno riconosciuto documenti anagrafici ai figli della surrogacy, 7 giudici si sono espressi in maniera contraria, e fra loro l'italiano Guido Raimondi e l'islandese Robert Spano. Raimondi è il vicepresidente della Cedu. I 7 giudici contrari hanno scritto: "Se è sufficiente creare all'estero un legame illegale con un neonato per obbligare le autorità del proprio Stato a riconoscere l'esistenza di una vita familiare, è evidente che la libertà dei Paesi di non riconoscere gli effetti giuridici del ricorso alle madri surrogate - libertà che tuttavia la giurisprudenza della Corte riconosce - è ridotta a nulla".
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