di
Monica Lanfranco • Molto
estivo e ricorrente arriva puntuale anche quest’anno un nuovo ‘caso’ di movimento
di donne contro il femminismo. Dopo le, ormai note, storiche pagine facebook, e i siti antifemministi che identificano ogni lotta per i diritti
di genere, o contro la violenza maschile, bollandola come misandrica e nazifem, ecco
servito l’hashtag inglese #womenagainstfeminism,
al quale va aggiunto, per la cronaca, #WhyIDontNeedFeminism.
Non
è da oggi che si indaga sull’impatto, la trasmissione e la sedimentazione del femminismo sulle
giovani generazioni. Le domande (e l’angoscia per le temute risposte),
scivolano di volta in volta da donna a donna quando le giovani che hanno
incontrato i movimenti di emancipazione e liberazione, diventando adulte, si guardano intorno verificando i risultati e l’incarnazione delle
proprie conquiste nelle figlie, nelle sorelle minori, nelle allieve, nelle
conoscenti e nella società tutta.
Quando,
oggi come ieri, s’inciampa nella giaculatoria del il femminismo è morto, o,
come in questo caso, del ‘io non ho bisogno del femminismo’ è interessante ragionare su quale sia la genesi
di queste affermazioni, e lo scopo che hanno. Una prima considerazione è che la
banalizzazione di ogni pensiero è sempre in agguato, frutto dell’ignoranza e
della superficialità, a sua volta indotte dalla velocizzazione dell’era
tecnologica.
Libere
di dire che non c’è bisogno del femminismo: ma è ridicolo ignorare che, se milioni
di giovani donne oggi esprimono una loro opinione (non ancora dovunque nel
mondo, dove altrettante milioni non possono farlo, e se ci provano rischiano
anche la morte) questa libertà è decisamente frutto del femminismo.
Molti dei cartelli delle giovani contestatrici (che adottano le identiche
modalità delle sorelle profeminism, come in questo progetto) fanno palese confusione tra diritti ottenuti (prima del vituperato femminismo inesistenti, loro lo sanno? come la parità sul
lavoro, in famiglia, il divorzio, o l’interruzione di gravidanza) e la
prevaricazione: ma avere pari diritti e doveri non è voler male all’altro. Significa
poter esistere senza essere considerate una appendice, una brutta copia o una
declinazione imperfetta rispetto all’originale (il maschile).
Nella superficiale strumentalizzazione della comunicazione di cosa sia il femminismo (e di chi siano le femministe), c’è un punto che penso sia centrale: molte delle giovani che si dicono antifemministe sostengono di esserlo perché non si sentono vittime. Mi pare che questo sia importante: non far sentire le donne come vittime, come fragili, come deboli e necessitanti tutela, come è stato tra i primi scopi del percorso femminista.
Ecco perché, per
quanto ingrate e ignoranti nel liquidare la fatica di chi le ha precedute (ma
anche da compatire, perché ignare della bellezza, del divertimento e della
magica condivisione che le maggiori hanno potuto apprezzare stando nel femminismo,
dicendosi femministe, e continuando ad esserlo) queste giovani piene di
iniziativa sono le migliori testimoni del successo del femminismo. Anche se inconsapevoli, come spesso accade alle figlie ingrate.
Così
come in maniera gioiosa si dicono femministe molte giovani (e anche qualche
uomo) nel video del più grande giornale femminista al mondo, il Ms magazine:
anche le antagoniste
sono libere
di dirsi. In questo caso, di dirsi contro
un pensiero di liberazione, quale il femminismo è: dal mio punto di vista farlo
è rischioso perché poco vale la libertà individuale se non la si connette con
la responsabilità sociale delle proprie azioni. Altro punto debole di un rifiuto che include il rifiuto potenziale del tesoro di diritti acquisiti, è la fiducia incondizionata nella sola
soggettività individuale e la negazione del valore del collettivo, quindi della
storia sociale delle donne e della genealogia politica dalla quale si proviene,
ma sempre di libertà si tratta.
E, per una femminista, vederla praticata da giovani donne, per quanto in direzione opposta, come tale è una bella vittoria.
E, per una femminista, vederla praticata da giovani donne, per quanto in direzione opposta, come tale è una bella vittoria.
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