lunedì 8 gennaio 2018

Il discorso integrale di Oprah Winfrey ai Golden Globe, per tutte le donne; e cos'è Time's up

Nel 1964 ero una ragazzina mentre, seduta sul pavimento in linoleum a casa di mia madre, nel Milwaukee, guardavo Anne Bancroft consegnare l’Oscar come miglior attore, nella 36° edizione dell’Academy Awards. 

Aprì la busta e pronunciò 5 parole che hanno letteralmente fatto la storia: The winner is Sidney Poitier. Sul palco arrivò l’uomo più elegante che avessi mai visto. Ricordo la camicia e il papillon bianchi, e ovviamente la sua pelle era nera. Non avevo mai visto un uomo nero celebrato in quel modo. Ho provato tante, tante volte a spiegare cosa può significare un momento del genere per una bambina che guarda sua madre tornare a casa stanca morta per aver pulito le case degli altri. Quel che posso fare è citare, a spiegazione, la performance di Sidney nel film “I gigli del campo”: Amen, amen, amen, amen.
Nel 1982 Sidney ha ricevuto il premio Cecil B. DeMille proprio qui ai Golden Globes e mi fa un certo effetto pensare che anche in questo momento delle ragazzine stanno guardando la prima donna nera che riceve lo stesso premio. E’ un onore, un onore e un privilegio condividere questa serata con tutte loro, oltre che con gli uomini e le donne incredibili che mi hanno ispirata, stimolata, sostenuta e che hanno reso possibile il mio viaggio fino a questo premio. Dennis Swanson che ha creduto in me per “A.M. Chicago”, Quincy Jones che mi ha vista in quello show e ha detto a Steven Spielberg: “Sì, lei è Sophia ne Il colore viola”. Gayle che è l’incarnazione della parola amico, Stedman che è stato la mia roccia, e molti altri. Voglio ringraziare la Hollywood Foreign Press Association perché tutti sappiamo come la stampa in questo periodo sia sotto assedio. Sappiamo anche che è l’instancabile dedizione verso la piena verità che ci impedisce di chiudere un occhio davanti alla corruzione e all’ingiustizia. Davanti ai tiranni e alle loro vittime. Davanti ai segreti e alle bugie. Voglio dire che oggi apprezzo la stampa più che mai, mentre tentiamo di attraversare questi tempi complicati che mi hanno portata a una conclusione: dire ciò che pensiamo è lo strumento più potente che abbiamo. E io sono particolarmente orgogliosa e ispirata dalle donne che si sono sentite abbastanza forti ed emancipate da far sentire la propria voce e condividere le loro storie personali. 
Noi, ognuno di noi in questa stanza, viene celebrato per le storie che racconta; quest’anno siamo diventate noi la storia. Una storia che non riguarda certo solo l’industria dell’intrattenimento, e trascende ogni cultura, geografia, razza, religione, politica o lavoro. Quindi, questa sera vorrei esprimere la mia gratitudine a tutte quelle donne che hanno sopportato anni di abusi e violenze perché, come mia madre, avevano bambini da mantenere, bollette da pagare e sogni da realizzare. Sono donne di cui non conosceremo mai il nome: casalinghe, contadine, operaie nelle fabbriche, o che lavorano nei ristoranti, all’università, nell’ingegneria, nella medicina o nella scienza. Fanno parte del mondo della tecnologia, della politica e degli affari. Sono le nostre atlete alle Olimpiadi e sono le nostre soldatesse nell’esercito.
E c’è qualcun altro, Recy Taylor: un nome che mi è noto e penso dovrebbe esserlo anche a voi. Nel 1944 era una giovane moglie e madre; mentre tornava dalla messa a Abbeville, in Alabama, fu rapita da sei uomini bianchi armati, che la stuprarono e poi abbandonarono sulla strada con gli occhi bendati. Le dissero che se avesse raccontato il fatto a qualcuno l’avrebbero uccisa, ma la sua storia fu invece riportata alla Naacp dove a capo dell’indagine venne nominata una giovane di nome Rosa Parker. Insieme cercarono di ottenere giustizia, ma la giustizia non era una possibilità ai tempi di Jim Crow. 
Gli uomini che cercarono di distruggerla non sono mai stati indagati; Recy Taylor è morta dieci giorni fa, a quasi 98 anni. Ha vissuto, come tutte noi, troppi anni in una cultura sfregiata da uomini potenti. Per troppo tempo le donne non sono state ascoltate o credute quando hanno osato raccontare la loro verità sul potere di questi uomini. Ma ora il loro tempo è finito. Il loro tempo è finito.
Finito! E io spero che Recy sia morta nella consapevolezza che la sua verità, così come quella di tante altre donne che in questi anni sono state tormentate, o che lo sono tuttora, sta venendo fuori. Quasi 11 anni dopo questa verità doveva essere da qualche parte nel cuore di Rosa Parks, quando decise di restare seduta, in quell’autobus a Montgomery, ed è qui con ogni donna che ha deciso di dire “Me too”. E in ogni uomo che ha deciso di ascoltare.


Quello che ho sempre cercato di fare al meglio, nella mia carriera, in televisione o nei film, è raccontare come le donne e gli uomini si comportano davvero; di come proviamo vergogna, amore o rabbia, come falliamo, come ci ritiriamo, come perseveriamo e come vinciamo. Ho intervistato e ritratto persone che hanno sopportato alcune fra le cose più brutte che la vita possa gettarti addosso, ma ciascuna di queste persone sembrava avere in comune con le altre il serbare la speranza in un mattino più luminoso, anche durante le notti più buie. 
Perciò ora voglio che tutte le ragazze che ci stanno guardando sappiano che all’orizzonte c’è un nuovo giorno!
Quando questo nuovo giorno sarà finalmente nato, lo si dovrà a tante donne meravigliose, molte delle quali sono proprio qui stasera in questa sala, e ad alcuni uomini piuttosto fenomenali, donne e uomini che stanno lottando duramente per essere certi di guidarci fino al momento in cui nessuna dovrà dire di nuovo: “Me too”.  
Oprah Winfrey; cerimonia dei Gloden Globe, 7 gennaio 2018

E' in questa nuova ondata di solidarietà femminile che è nato Time's up. E come?? Si sono riunite in oltre 300 donne e hanno creato un fondo da oltre 13 milioni di dollari per sostenere le spese legali delle donne che decidono di ribellarsi a molestie e altre violenze maschili, e di denunciare i loro aggressori. Sono donne dell’industria dello spettacolo, attrici come Ashley Judd, Eva Longoria, Natalie Portman, Rashida Jones, Emma Stone, Kerry Washington e Reese Witherspoon, produttrici, tra cui Shonda Rhymes, ma anche agenti, sceneggiatrici, registe, dirigenti; donne più o meno affermate e potenti, che hanno deciso, così, di mettersi al fianco di tutte le donne che non hanno mezzi economici per affrontare denunce e cause. E hanno comprato, per annunciarlo, una pagina sul primo numero dell’anno del New York Times.

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