giovedì 18 gennaio 2018

Prostituzione: solo una faccenda di tasse? lettera al Direttore di Radio Uno

di Donneinquota • Egregio Direttore Greco, la cattiva informazione non è accettabile, specialmente se a farla è l’emittente pubblica. E possiamo definire tale il servizio sulla prostituzione andato in onda il 17 gennaio al GR1 delle 8.00, firmato da Amerigo Mancini.
Siamo abituat* alle boutade dei nostri politici in campagna elettorale e, in particolare, la riapertura delle case chiuse è una proposta che Matteo Salvini rispolvera periodicamente. L’ultima volta è stato nel 2015, con la raccolta firme per l’abrogazione della legge Merlin. Ma se la redazione di Radio Uno ritiene doveroso trasmettere questa notizia, è altrettanto doveroso che come utenti si pretenda un’informazione completa sull’argomento.
Non ci interessa sentire che le prostitute non pagano le tasse o che avrebbero diritto di andare in pensione prima di altre categorie perché il loro mestiere è usurante.
Ne abbiamo le tasche piene della frase penosa che si riferisce alla prostituzione come "il mestiere più vecchio del mondo". Vogliamo una informazione civile e coerente con la realtà. 
Prostituzione e tratta sono in mano alle grandi organizzazioni del crimine organizzato, i cui interessi economici miliardari sono superiori addirittura ai proventi della droga.



L’industria globale del sesso comprende anche pornografia e pedo-pornografia, turismo sessuale.

Stiamo parlando di gestori e proprietari di locali-bordello di ogni specie, proprietari di agenzie di escort, intermediari, reclutatori e veri e propri magnaccia, trafficanti, funzionari vari corrotti, clienti potenti che usano le donne come merce di scambio ecc. Proprio questa criminalità organizza grandi campagne mondiali di normalizzazione/banalizzazione della prostituzione, utilizzando addirittura argomenti del femminismo e dei diritti umani per raccogliere consensi.
Oggi, anche grazie a queste campagne, molte donne, in particolare le più giovani, pensano che mettere a disposizione il proprio corpo per arrivare al potere e al successo, sia l'essenza dell'emancipazione e della libertà. Tutto questo in totale discontinuità con la maturazione della società, in particolare quella europea ed occidentale, che da decenni si sta misurando nella quotidiana sfida sulle pari opportunità, investendo sulla crescita professionale di donne e uomini che guardano ad una società sempre più attenta al talento e alla qualità del lavoro e della vita personale.
E’ necessario quindi che il servizio pubblico informi i cittadini che le donne che si prostituiscono sulle nostre strade sono, per la maggior parte, vittime di tratta e di situazioni personali e famigliari violente e degradanti
Abbiamo bisogno che si diffondano i dati ufficiali sul fenomeno della tratta e della prostituzione [e che su questi dati si lavori di più, ndr]. Dati impressionanti, che sappiamo essere parziali, per la difficoltà di fare indagini sistemiche in un mondo così complesso. Ci servono i racconti delle sopravvissute, per esempio dai bordelli tedeschi, per sfatare la normalizzazione/banalizzazione della prostituzione.
Noi diciamo che la prostituzione non è mai stata e mai sarà un lavoro. La prostituzione è espressione della discriminazione più antica del mondo, che poggia le sue radici sulla asimmetrica distribuzione del potere della nostra società. La prostituzione è violenza, perché nessuna donna che ha alternative, sceglie di prostituirsi. Nella società odierna, che ha come obiettivo la parità di genere, la prostituzione non può più essere considerata un istituto necessario al buon funzionamento della comunità. Il solo pensiero riporta la nostra società ai livelli di estrema povertà culturale ed economica, tipici degli anni più oscuri del secolo.
La legge Merlin già nel 1958 poneva le basi per una civiltà avanzata. La sua articolazione normativa propone il superamento della vecchia cultura obsoleta di una sessualità commerciale al servizio di una ipotetica e quanto mai miserevole mascolinità, che noi reputiamo in via di rottamazione.
La legge Merlin è una legge avanzata e di grande civiltà e ci teniamo a far sapere che ce la terremo ben stretta e che la difenderemo con tutti i mezzi che questa democrazia ci consente.
Ci aspettiamo che Radio Uno voglia rimediare, promuovendo un dibattito serio e puntuale su un tema che ancora oggi mette la vita e la dignità delle donne alla mercé della peggiore cultura della storia dell’umanità.
[cos'è un vero servizio informativo? ad esempio questo, del Guardian; e guarda caso riguarda proprio la tratta delle donne per prostituzione in Italia ndr:]


In attesa di riscontro, porgiamo distinti saluti.
Donatella Martini, Associazione DonneinQuota, Tiziana Scalco Segretaria Fillea Cgil Lombardia; Rete per la Parità, Aspettare stanca, Patrizia Cordone, Barbara Summa, Giovanna Brighenti, Irene Casini, Paola Bassino Martinetto, Donne Ultraviolette, Maddalena Robustelli; Milano, 18.01.2018; 
La lettera è stata inviata a:
Direttore di Radio Uno, Gerardo Greco; 
direttore di Radio Rai, Roberto Sergio 
e per conoscenza a: Sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega alle Pari Opportunità, On. Maria Elena Boschi
La raccolta delle firme è aperta:
se volete sottoscrivere la lettera scrivete a: d.martini@donneinquota.org

mercoledì 10 gennaio 2018

No, je ne suis pas Catherine Deneuve. E la caccia alle streghe non è mai stato uno sport femminile, ma maschile

Prima di tutto grazie a Ida Dominijanni per il bel pezzo uscito stasera su L’internazionale: ci risparmia di riscrivere diverse cose che ha già detto benissimo lei (e che citiamo di seguito).


Il punto di partenza era per noi focalizzare come gli argomenti della inopportuna lettera a cui ha aderito anche la Deneuve siano, alla fine, proprio gli stessi con cui la sottocultura più sessista e inelegante si scagliò contro il femminismo, a suo tempo, per difendere lo stile di vita berlusconiano, con il suo corollario di “cene eleganti”. Un metodo di vita e di potere fondato su scambi di favori e su un’idea di sesso che sancisce la riduzione delle donne al solo ruolo di oggetti di compravendita. Senza stare a riscrivere da zero, riportiamo perciò alcuni stralci da quell'articolo, che speriamo sarà meditato. Scrive Dominijanni:
(..) Com’era già accaduto in Italia con gli scandali sessuali d’epoca berlusconiana, quello che viene alla luce non è solo la tentazione maschile perenne all’abuso di potere, che riduce le donne a oggetto da possedere e la libertà femminile a disponibilità di concedersi. È anche, forse soprattutto, una diffusa miseria della sessualità maschile, che scambia potere, favori, assunzioni in cambio di (...) un assoggettamento a una virilità incerta. Una miseria sessuale che è parente stretta di una miseria relazionale, ovvero di una altrettanto diffusa incapacità maschile di relazionarsi all’altra (...) il cinema hollywoodiano, a ben guardare, ci aveva lentamente abituato, nell’ultimo decennio, a questo progressivo immiserimento (...) con un sottile ma percettibile scivolamento dalle scene di sesso passionale degli anni Novanta a quelle quasi sempre giocate successivamente su un ambiguo confine fra sesso e violenza, sesso e possesso, sesso e performance. (…) A un primo sguardo (#metoo e il Time’s up sono) movimenti contro le molestie e i ricatti sessuali, e contro l’abuso di potere maschile che c’è dietro. Ma com’era già avvenuto in Italia pochi anni fa, la presa di parola femminile ha l’effetto di svelare qualcosa di più profondo, un “dispositivo di sessualità” in cui il desiderio non ha più posto e il sesso è ridotto a contrattazione, ricatto, performance. (…) 
Perciò è del tutto fuori fuoco la reazione (...) di chi ulula che all’esito del #metoo ci sarebbe l’oscurantismo politically correct di un totalitarismo (sic!) proibizionista e sessuofobico. 
È vero l’esatto contrario: il #metoo, e in generale la presa di parola femminile contro l’andazzo corrente della miseria del maschile, nasce in una situazione che ha già mandato a morte la sessualità, e forse può farla risorgere, una volta liberata dal dispositivo di cui sopra. 
Non stupisce che a non capirlo sia, in Italia, lo stesso fronte mediatico, il Foglio in testa, che agitò gli stessi fantasmi liberticidi, sessuofobici e proibizionisti a tutela della “libertà” e della “seduzione” che circolava nelle “cene eleganti” di Berlusconi, già allora paventando e minacciando la fine dell’ars amatoria, la censura della passione, l’inibizione del corteggiamento, e impugnando l’inscindibilità del sesso da una certa dose (quale, esattamente?) di prevaricazione, o l’indecidibilità fra molestia e avance.
Stupisce ma non troppo (come in conclusione osserva anche Dominijanni) se sono anche delle donne a straparlare in questa direzione. 
Irene Graziosi, su Vice, risponde alla Deneuve centrando il punto con una domanda che ci facciamo in molte (e forse molti): perché difendere atteggiamenti che, se anche non ci traumatizzassero, sarebbero indiscutibilmente molesti?
Già, da dove sgorga questa insana necessità? 
Aggiungo che In tutto ciò lascia basite, poi, il termine "caccia alle streghe": per indicare una rivolta di donne contro maschilismi predatori. 



Qui bisognerebbe fermarsi a riflettere davvero: no, cari signore e signori, la caccia-alle-streghe è una cosa precisa, che per secoli è stata brandita da uomini-che-odiano-le-donne per sterminare, appunto, solo donne: a centinaia e migliaia e migliaia, nel modo più horror, in genere per la sola colpa di essere donne che osavano vivere senza un uomo
Perciò evocare caccia alle streghe, e odio contro i maschi, per insultare una battaglia delle donne, fa il paio con dare dei razzisti-che-odiano-i-bianchi ai neri impegnati in una giusta sollevazione contro la cultura dello schiavismo.
Scrive Graziosi: La molestia nel migliore dei casi è segno di una profonda ignoranza relazionale e umana, nel peggiore di una franca prevaricazione basata su dinamiche di potere e annichilimento della volontà altrui
Il punto è proprio questo, cara Catherine e altre firmatarie di quella lettera: no, né il femminismo né #metoo esprimono "odio per gli uomini", ma il rifiuto, finalmente, di stare al gioco di modalità maschili sbagliate, a loro volta causa ed effetto di ignoranza relazionale. Un'ignoranza già adeguatamente pompata dalla sottocultura da tronisti e veline; non si vede perché delle donne (anche delle donne) debbano prendersi la briga di schierarsi su una posizione che di fatto la tutela
A meno che non ci sia, in queste donne che sentono la necessità di simili iniziative, il banale bisogno di giustificare e rincuorare qualcuno, uomini che brulicano nelle loro vite familiari, sociali, professionali; insomma: una sorta di malsano sentimentalismo materno.


lunedì 8 gennaio 2018

Il discorso integrale di Oprah Winfrey ai Golden Globe, per tutte le donne; e cos'è Time's up

Nel 1964 ero una ragazzina mentre, seduta sul pavimento in linoleum a casa di mia madre, nel Milwaukee, guardavo Anne Bancroft consegnare l’Oscar come miglior attore, nella 36° edizione dell’Academy Awards. 

Aprì la busta e pronunciò 5 parole che hanno letteralmente fatto la storia: The winner is Sidney Poitier. Sul palco arrivò l’uomo più elegante che avessi mai visto. Ricordo la camicia e il papillon bianchi, e ovviamente la sua pelle era nera. Non avevo mai visto un uomo nero celebrato in quel modo. Ho provato tante, tante volte a spiegare cosa può significare un momento del genere per una bambina che guarda sua madre tornare a casa stanca morta per aver pulito le case degli altri. Quel che posso fare è citare, a spiegazione, la performance di Sidney nel film “I gigli del campo”: Amen, amen, amen, amen.
Nel 1982 Sidney ha ricevuto il premio Cecil B. DeMille proprio qui ai Golden Globes e mi fa un certo effetto pensare che anche in questo momento delle ragazzine stanno guardando la prima donna nera che riceve lo stesso premio. E’ un onore, un onore e un privilegio condividere questa serata con tutte loro, oltre che con gli uomini e le donne incredibili che mi hanno ispirata, stimolata, sostenuta e che hanno reso possibile il mio viaggio fino a questo premio. Dennis Swanson che ha creduto in me per “A.M. Chicago”, Quincy Jones che mi ha vista in quello show e ha detto a Steven Spielberg: “Sì, lei è Sophia ne Il colore viola”. Gayle che è l’incarnazione della parola amico, Stedman che è stato la mia roccia, e molti altri. Voglio ringraziare la Hollywood Foreign Press Association perché tutti sappiamo come la stampa in questo periodo sia sotto assedio. Sappiamo anche che è l’instancabile dedizione verso la piena verità che ci impedisce di chiudere un occhio davanti alla corruzione e all’ingiustizia. Davanti ai tiranni e alle loro vittime. Davanti ai segreti e alle bugie. Voglio dire che oggi apprezzo la stampa più che mai, mentre tentiamo di attraversare questi tempi complicati che mi hanno portata a una conclusione: dire ciò che pensiamo è lo strumento più potente che abbiamo. E io sono particolarmente orgogliosa e ispirata dalle donne che si sono sentite abbastanza forti ed emancipate da far sentire la propria voce e condividere le loro storie personali. 
Noi, ognuno di noi in questa stanza, viene celebrato per le storie che racconta; quest’anno siamo diventate noi la storia. Una storia che non riguarda certo solo l’industria dell’intrattenimento, e trascende ogni cultura, geografia, razza, religione, politica o lavoro. Quindi, questa sera vorrei esprimere la mia gratitudine a tutte quelle donne che hanno sopportato anni di abusi e violenze perché, come mia madre, avevano bambini da mantenere, bollette da pagare e sogni da realizzare. Sono donne di cui non conosceremo mai il nome: casalinghe, contadine, operaie nelle fabbriche, o che lavorano nei ristoranti, all’università, nell’ingegneria, nella medicina o nella scienza. Fanno parte del mondo della tecnologia, della politica e degli affari. Sono le nostre atlete alle Olimpiadi e sono le nostre soldatesse nell’esercito.
E c’è qualcun altro, Recy Taylor: un nome che mi è noto e penso dovrebbe esserlo anche a voi. Nel 1944 era una giovane moglie e madre; mentre tornava dalla messa a Abbeville, in Alabama, fu rapita da sei uomini bianchi armati, che la stuprarono e poi abbandonarono sulla strada con gli occhi bendati. Le dissero che se avesse raccontato il fatto a qualcuno l’avrebbero uccisa, ma la sua storia fu invece riportata alla Naacp dove a capo dell’indagine venne nominata una giovane di nome Rosa Parker. Insieme cercarono di ottenere giustizia, ma la giustizia non era una possibilità ai tempi di Jim Crow. 
Gli uomini che cercarono di distruggerla non sono mai stati indagati; Recy Taylor è morta dieci giorni fa, a quasi 98 anni. Ha vissuto, come tutte noi, troppi anni in una cultura sfregiata da uomini potenti. Per troppo tempo le donne non sono state ascoltate o credute quando hanno osato raccontare la loro verità sul potere di questi uomini. Ma ora il loro tempo è finito. Il loro tempo è finito.
Finito! E io spero che Recy sia morta nella consapevolezza che la sua verità, così come quella di tante altre donne che in questi anni sono state tormentate, o che lo sono tuttora, sta venendo fuori. Quasi 11 anni dopo questa verità doveva essere da qualche parte nel cuore di Rosa Parks, quando decise di restare seduta, in quell’autobus a Montgomery, ed è qui con ogni donna che ha deciso di dire “Me too”. E in ogni uomo che ha deciso di ascoltare.


Quello che ho sempre cercato di fare al meglio, nella mia carriera, in televisione o nei film, è raccontare come le donne e gli uomini si comportano davvero; di come proviamo vergogna, amore o rabbia, come falliamo, come ci ritiriamo, come perseveriamo e come vinciamo. Ho intervistato e ritratto persone che hanno sopportato alcune fra le cose più brutte che la vita possa gettarti addosso, ma ciascuna di queste persone sembrava avere in comune con le altre il serbare la speranza in un mattino più luminoso, anche durante le notti più buie. 
Perciò ora voglio che tutte le ragazze che ci stanno guardando sappiano che all’orizzonte c’è un nuovo giorno!
Quando questo nuovo giorno sarà finalmente nato, lo si dovrà a tante donne meravigliose, molte delle quali sono proprio qui stasera in questa sala, e ad alcuni uomini piuttosto fenomenali, donne e uomini che stanno lottando duramente per essere certi di guidarci fino al momento in cui nessuna dovrà dire di nuovo: “Me too”.  
Oprah Winfrey; cerimonia dei Gloden Globe, 7 gennaio 2018

E' in questa nuova ondata di solidarietà femminile che è nato Time's up. E come?? Si sono riunite in oltre 300 donne e hanno creato un fondo da oltre 13 milioni di dollari per sostenere le spese legali delle donne che decidono di ribellarsi a molestie e altre violenze maschili, e di denunciare i loro aggressori. Sono donne dell’industria dello spettacolo, attrici come Ashley Judd, Eva Longoria, Natalie Portman, Rashida Jones, Emma Stone, Kerry Washington e Reese Witherspoon, produttrici, tra cui Shonda Rhymes, ma anche agenti, sceneggiatrici, registe, dirigenti; donne più o meno affermate e potenti, che hanno deciso, così, di mettersi al fianco di tutte le donne che non hanno mezzi economici per affrontare denunce e cause. E hanno comprato, per annunciarlo, una pagina sul primo numero dell’anno del New York Times.