Ciò che non esiste non viene nominato. Le donne oggi sono presenti anche in importanti ruoli istituzionali, nelle professioni, ai vertici di aziende pubbliche e private; eppure si preferisce continuare a nominarle con sostantivi e articoli al maschile. E' per infrangere questa incomprensibile distorsione della lingua italiana che Se Non
Ora Quando? lancia la campagna "donne con la A". Maestro/maestra,
chirurgo/chirurga, sindaco/sindaca, avvocato/avvocata: in italiano le parole
che finiscono in o, se declinate al femminile prendono la a. Restano invece invariate quelle che
finiscono in e, anche se prendono l'articolo
femminile, ad esempio la giudice,
la presidente. Lo dice la grammatica
italiana e lo sostiene anche la prestigiosa Accademia della Crusca.
Ma in nome di un presunto neutro, che l'italiano non
ha, si continua a fare resistenza nel
declinare al femminile molti
titoli professionali: ministra, deputata, funzionaria, ingegnera,
assessora. E' invece normale dire
commessa, postina, operaia, infermiera.
Le donne, presenti oggi
in tante professioni fino a poco tempo fa appannaggio solo degli uomini,
vogliono la A: chiedono di essere riconosciute.
Per questo 8 marzo alle
istituzioni, alla pubblica amministrazione, alla scuola, alla politica, all’informazione,
chiediamo di usare il femminile ogni volta che si parla di una donna, qualunque ruolo o incarico ricopra. Siamo convinte che sia un
passo necessario per garantire la rappresentazione dei due generi di cui è fatto il mondo: le donne non sono l'altra metà del cielo, sono una delle due
metà.
Il movimento delle donne di Snoq ha anche inviato alla Presidente della Rai Anna Maria Tarantola. questa lettera:
Gentile Presidente,
La nostra societa’ sta
attraversando una fase di grande trasformazione e le donne hanno giocato e
giocano un ruolo molto importante che purtroppo non è adeguatamente
riconosciuto dai mezzi di comunicazione.
Oggi le donne occupano ruoli decisivi in politica, nelle istituzioni e nel
mondo del lavoro ma si continua a parlare di loro al maschile in nome di un
“neutro” che la nostra lingua non prevede.
Basta applicare le regole dell’italiano per il femminile per dar conto della
loro presenza : se una donna guida un ministero e’ una ministra, se guida una
città una sindaca, se presiede una corte di giustizia una giudice. Lo sostiene
anche l’autorevole Accademia della Crusca, lo scrivono i nuovi dizionari.
Siamo convinte che Lei, nel ruolo che ricopre in Rai, possa dare un contributo
fondamentale affinché nei programmi radio televisivi come nell’informazione del
servizio pubblico, quando si parla di donne sia usato il femminile.
Rappresentarle e definirle in modo corretto favorirà il superamento degli
stereotipi che ostacolano la crescita culturale e sociale del nostro paese.
Crediamo che la reale parità dei diritti e delle opportunità passi dal
riconoscimento delle differenze del genere.
La Rai, importante motore di cultura , nella sua funzione di servizio pubblico,
puo’ e deve farsi interprete di questo cambiamento.
SENONORAQUANDO?
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