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venerdì 1 marzo 2013

Elezioni 2013: scrive Maria Laura Rodotà

Care donne di Roma e del Lazio, 
bisogna smettere di credere nelle false quote, nelle cooptazioni in lista di madonnine infilzate e di poverette sacrificate, e nelle iniziattive dei grandi partiti in questa disgraziata regione. 
Del Pd, che ha messo un po' di paternalistici manifesti «Guardiamo la regione con occhi nuovi» e c'erano 24 occhi di candidate e poi non ne è stata eletta nessuna; in compenso andrà al consiglio regionale Oscar Tortosa, assessore al Commercio in giunte pentapartito anni 80 e storico esponente del Psdi. Del Pdl, dove forse erano traumatizzati dalla leadership di Renata Polverini, e anche lì le elette sono zero. 
Il centrosinistra ha cinque consigliere elette nel listino bloccato del neogovernatore Nicola Zingaretti. 
Il centrodestra - listino Storace - ha Olimpia Tarzia del Movimento per la Vita. 
Il Movimento 5 Stelle invece ha eletto quattro donne su sette rappresentanti. Si teme - anzi, si è sicuri, anche i perplessi da Grillo ne sono sicuri - che sia successo in assenza di post-clientele, di feudi elettorali rivitalizzati dalla crisi, di coltivazione territoriale delle preferenze. Le grilline sono candidate (elette) vissute in Internet.
Le donne sanno fare rete meglio degli uomini, in genere; ma non serve se non usano la Rete. Se non lo fanno, i colleghi candidati maschi post-feudatari hanno la meglio.
D'altra parte, perlomeno: nelle elezioni regionali si può dare una preferenza. I politici uomini eletti nei partiti tradizionali quelle preferenze se le sono andate a cercare. Le candidate donne non avevano le loro riserve e i loro contatti (viene da pensare che per le femmine alfa sia più utile il collegio uninominale, la sfida faccia a faccia alle primarie e alle elezioni; ma poi in Italia, nel Lazio, a Roma, vai a sapere). E, nel Pd del Lazio, hanno fatto lo stesso errore di tutto il Pd: non usare le centinaia di migliaia di indirizzi e-mail lasciati dagli elettori della sfida Bersani-Renzi-Vendola-Tabacci-Puppato ai circoli del partito. Per scrivere ai cittadini, proporre e proporsi, polemizzare con gli avversari; farsi conoscere, soprattutto. Chiunque - anche italiano/a si sia interessanto a un candidato/a americano/a e abbia lasciato una traccia di e-mail viene bombardato di messaggi per tutti gli anni a venire (testimonianza personale: Barack Obama, dal 2008, mi scrive praticamente tutti i giorni, e ha risultati elettorali migliori di altri/e). Chi ha votato alle primarie Pd non ha mai più sentito parlare di Bersani, di Zingaretti, dei candidati e delle candidate. E per le candidate è stato letale.
Anche perché, oltretutto: per la preferenza politicamente corretta siamo ormai troppo nervose/i. Una volta, le elettrici femmine consapevoli studiavano le liste e almeno una donna la votavano. Stavolta si è andate/i al seggio in preda ad ansia-preoccupazione-scoramento, e spesso si è scordato di dare l'unica preferenza concessa su tutte le schede.
Spesso non si è saputo a chi darla, non si era fatta viva nessuna.
Maria Laura Rodotà, 1 marzo 2013
Fonte: Regione, donne senza rete Nessuna consigliera eletta nel Pd, né nel Pdl. Ma le candidate non hanno sfruttato la rete.

mercoledì 27 febbraio 2013

Elezioni 2013: scrive Assunta Sarlo

Un paradosso chiamato porcellum
C'è un vero paradosso: il porcellum (di queste elezioni, ndr) di fatto assicura il parlamento più rosa della storia (circa il 30 per cento) grazie soprattutto alla capacità di negoziazione dentro i partiti della sinistra e ai grillini che hanno candidato molte donne in posizione eleggibile. 
Laddove ci sono preferenze prevalgono altre logiche (anche tra donne) e il risultato in Lombardia è quello fotografato da Cristina Pecchioli. Oltre al dispiacere per donne di valore  (e parte del movimento delle donne) che non entrano in consiglio regionale, il numero delle elette ci fa capire quanto sia impervia la strada e necessaria una riflessione. 
Insomma le donne passano quasi solo se sono scelte o imposte? 

Elezioni 2013: scrive Cristina Pecchioli

A proposito del voto alla Regione Lombardia
Tra i tanti che meriterebbero, voglio sottolineare un dato: oltre ad avere come presidente Maroni, la Lombardia avrà in consiglio complessivamente 15 donne su 80 eletti (il 18,75% circa). Il Pdl ne elegge 1 su 19 (5,26%), Lista Maroni 4 su 12 (il 33, 33%), Lega Nord 3 su 15 (20%), Fratelli d'Italia 0 su 2, partito dei pensionati 1 sola consigliera donna. Movimento 5 stelle 3 su 9 (33,33%), Patto civico per Ambrosoli presidente 1 su 5 (20%), Pd 2 su 17 (11,76%). 
3 donne in tutto espresse dallo schieramento di centrosinistra su 22 consiglieri, appena il 13,63%.....! 
Credo che bisognerebbe aprire una riflessione su questo. Almeno qui in Lombardia, le promesse elettorali non sono state mantenute.

Elezioni 2013: scrive Barbara Spinelli

La cosa più difficile, dopo il gran botto delle elezioni, è districare il groviglio di luoghi comuni, frasi fatte, formule-slogan che ci accompagnano da mesi e anni. La parola populismo innanzitutto. Ovvero quest'accusa lanciata disordinatamente contro chiunque abbia l'ardire di accusare i politici regnanti e le loro vaste provinciali inadeguatezze. Ma anche vocaboli come sacrifici, austerità: presentati come nobili porte strette che ci avrebbero restituito prestigio europeo, e che dovevamo alle generazioni future. Infine il concetto-chiave: governabilità.
Parola un po' irrisoria, quando il termine oggi preferito non è governo ma l'inafferrabile governance tecnica. 
Si sono accartocciate come foglie, queste frasi fatte, trascinate da un vento che non sappiamo dove andrà ma sappiamo da dove viene, sempre che si voglia reimparare non solo la politica, ma anche la geografia di un'Italia così poco perlustrata, e compresa.
Ilvo Diamanti ha detto una delle cose più sensate, constatando lunedì lo straordinario successo di Grillo e la non meno portentosa ripresa di Berlusconi. Ha detto, quasi smarrito: "Non sappiano quale sarà la prossima storia d'Italia". È uno smarrimento salutare: sospende il giudizio davanti al monumentale evento. Comunque non lo interpreta ricorrendo ai luoghi comuni su cui tanta parte della politica, della stampa, della Tv, da tempo sono adagiati. È vero: c'è del populismo in Grillo come in Berlusconi. C'è l'antico ribrezzo provato dalla democrazia sostanziale (il paese reale) verso la democrazia formale, rappresentativa (il paese legale). Se però l'avanzata di Grillo e la rivolta fiscale berlusconiana fossero un vento solo distruttivo, la storia sarebbe prevedibile. Non lo è affatto invece. Anche se dissimili, i populismi non sono oggi solo furia e raptus. 
Altro s'intuisce, specie nel voto a Grillo. C'è il desiderio del popolo di farsi cittadino, anziché massa informe, zittita, spostabile. E c'è una vera e propria esplosione partecipativa: non un fuoriuscire dalle istituzioni pubbliche, come in Forza Italia o Lega, ma una presa di parola. Qualcosa di simile all'Azione popolare che Salvatore Settis chiede ai "cittadini per il bene comune", al loro spirito comunitario. Il cittadino dipinto da Grillo non intende annientare lo Stato: "si fa Stato", vuol essere ascoltato, contare. Diffida di un patto con le generazioni future che "salti" quella presente.
Non fu Monti a dire, senza arrossire, che esisteva una generazione perduta di 30-40enni? Citiamo quel che disse al Corriere il 27 luglio 2012: "Esiste un aspetto di 'generazione perduta', purtroppo. Si può cercare di ridurre al minimo i danni, di trovare formule compensative di appoggio, ma più che attenuare il fenomeno con parole buone, credo che chi (...) partecipa alle decisioni pubbliche debba guardare alla crudezza di questo fenomeno e dire: facciamo il possibile per limitare i danni alla generazione perduta, ma soprattutto impegniamoci seriamente a non ripetere gli errori del passato, a non crearne altre, di 'generazioni perdute'". Non facile, per tale generazione, votare senza far deflagrare questa disinvoltura.
Viene poi l'austerità: la condanna di gran parte dei votanti è detta irresponsabile, come se le elezioni fossero una tavola rotonda fra massimi esperti e massime dottrine. Ma un paese deciso a prender la parola non disquisisce calmo: ne va della sua pelle. Qui è l'aspetto più sconvolgente del voto, a mio parere. È l'abissale ignoranza di quel che bolliva nei nostri sottofondi: non da mesi, ma dall'inizio della crisi e forse prima. Le prime iniziative civiche nascono negli anni '90, così come i Verdi tedeschi son figli di Iniziative cittadine (Bürgerinitiativen) che negli anni '70 immaginarono un altro sviluppo economico, un vivere più austero, e nuovi diritti civili (comunità familiari, unioni analoghe ai matrimoni, anche omosessuali).
Il sottosuolo italiano era ignoto a quasi ogni partito, e la lotta elettorale non sarà dimenticata: chi è andato a parlare al Sulcis o a Taranto, chi ha scandagliato la Sicilia città dopo città, come i comunisti d'un tempo, se non Grillo? Gridava slogan, ma era lì dove si soffriva, l'occhio fisso sulla crisi. Grillo non nega il baratro, a differenza di Berlusconi. Guarda in faccia le paure annunciando guerre, ma il legame crisi-guerra è innegabile. Non solo. È stato l'unico a dire l'acre verità, per noi e i paesi industrializzati: "Saremo tutti più poveri, forse, ma almeno saremo più solidali". All'Economist ha confidato: "Il mio movimento è un antidetonante: regola la paura". Difficile confutare il suo presagio: senza M5S, l'ira popolare secernerebbe un'Alba Dorata greca o il dispotismo ungherese di Orbán.  Si è parlato più volte del New Deal di Roosevelt, per vincere una crisi che ricorda il '29. Nulla di analogo viene proposto, né dai governi né dall'Europa, che se solo lo volesse potrebbe lanciare un piano simile. Vorremmo ricordare tuttavia che il New Deal non costruì solo strade, ponti, scuole, università. Roosevelt era convinto che il governo dell'economia aveva fallito, cedendo ai mercati, per un'altra ragione, non contabile ma culturale: l'immane continente americano era ignoto, oscurato da stampa, libri e cinema. Il gran pentolone andava scoperchiato: primo perché chi vive nel cono d'ombra  -  se visto  -  si sente riconosciuto, riconquista dignità; secondo perché i governanti correggono i mali solo se li discernono.

Nacque così negli anni '30 il WPA (Work Progress Administration), finanziato dal pubblico e incaricato di esplorare i recessi dell'America. Senza quel programma non avremmo avuto Il Furore di Steinbeck; le emissioni radio e le messinscene teatrali di Orson Welles (fra il '36 e il '37); le musiche popolari raccolte in tutta America da Nicholas Ray; i documentari e fotoreportage sul continente invisibile. Venne poi il Living Newspaper: i fatti del presente venivano inscenati in teatri molto popolari, promuovendo la partecipazione sociale (senza remore ideologiche si imitò il teatro-agitprop sovietico).
C'è chi parla di macerie: tale sarebbe l'Italia dopo il voto. Ma anche questo è luogo comune. Le macerie già c'erano, affastellate da partiti chiusi nei recinti e da regioni (la Lombardia, non esclusivamente la Sicilia) prive di senso dello Stato da un secolo e più. In tutta la campagna, Bersani non ha trovato un solo progetto forte, che oltrepassasse la propria cerchia e si mettesse in ascolto di rivolte e paure. Tanto temeva il populismo che ha sottostimato la rivolta contro le tasse, quasi non sapesse che pagare un'Imu altissima in piena crisi era impossibile a persone con una casa, ma senza soldi. Ha minacciato di tassare i patrimoni superiori a 1,3 milioni, impaurendo le classi medie più che i veri ricchi. Vuol vietare i pagamenti in contante oltre i 300 euro, e ironizza sulla "storiella delle vecchiette" senza carta di credito. Tutt'altro che storiella in un paese vecchio, non abituato alla credit card. Non sono certo lì gli evasori.
L'ignoranza del paese ha distrutto partiti-padroni, e tutto diventa davvero imprevedibile. Ma l'imprevedibilità può essere anche un'enorme occasione: incita a cambiamenti sociali profondi. I progetti alternativi ai dogmi dell'austerità possono sortire effetti negativi: tanti lo temono, insieme al governo tedesco. Ma anche l'anticipazione di effetti perversi può fallire. Se ci precludessimo ogni sperimentazione saremmo paralizzati, prede di ricette che già annientano la Grecia. Nella vita individuale come in quella collettiva vale la pena buttarsi nell'ignoto, riconoscere che certe cure sono mortali. In Italia vale la pena tentare alleanze inedite (l'accordo prospettato da M5S sulle idee: conflitto d'interessi, corruzione, costi della politica), perché solo osando e provando tramuteremo la crisi in una trasformazione. E non è una trasformazione, ciò cui aspiriamo?
Fonte: La pentola scoperchiata, 27 febbraio 2013

Elezioni 2013: scrive Cinzia Romano

Le donne elette prendano la parola e l’iniziativa
Forse sarà proprio il caso di sforzarci di vedere  i risultati elettorali con occhi nuovi, liberandoci delle  analisi che finora ci hanno accompagnato e guidato, mi viene da dire, a non capire quello che ci capitava intorno. Penso ai partiti ma anche al mondo dei media che tanto si somigliano: tutti a parlarsi sempre e solo fra loro, pensando che il loro tinello o salotto sia il mondo. Così, capita che Pd e Sel scambino le primarie per le elezioni vere, mentre i media spacciano la loro smaccata propaganda per notizie vere. E stendiamo un velo pietoso sui sondaggisti, perché metterli alla berlina  è ormai come sparare sulla croce rossa.
Consapevole che del senno del poi sono piene le fosse, non voglio infierire e mi limito  a ricordare che le parole sono importanti, fondamentali, e devono corrispondere a comportamenti coerenti. Altrimenti diventano chiacchiere in libertà, che non producono affatto rassicurazioni  ma irritazione, rabbia e ribellione per una politica svuotata del suo significato. E il voto ce lo ha mostrato chiaramente!
Tutti a parlare di rinnovamento, di ruolo insostituibile di giovani e donne, di riforma della politica e delle istituzione. E poi? Se oggi abbiamo più donne e giovani è  soprattutto grazie al Movimento 5 stelle e, se domani avremo le riforme sempre sbandierate, sarà perché lo tsunami elettorali ha messo i partiti con le spalle al muro.
Nel nuovo Parlamento abbiamo più donne e ne sono lieta. Ma dobbiamo nasconderci quanti anni, quanta resistenza, quanta fatica anche nel centrosinistra c’è voluta per arrivare alla soglia del 30%? Il Pd stavolta l’ha superata mentre Sel, che aveva speso più parole,  ne ha invece elette davvero pochine. Dobbiamo far finta di dimenticare come il Movimento 5 stelle sia stato messo all’indice anche da organizzazione e movimenti delle donne perché nel suo programma non aveva il capitolo “politica delle donne” e poi ne ha elette alla Camera il 34,2% e al Senato il 38,8% ? E i primi dati delle preferenze nelle regionali sono sconfortanti: sembra lo scrutinio del Conclave, tanto per restare alla cronaca!
Oggi sui giornali tutti ci magnificano il modello Sicilia. Bene! Ottimo. Peccato che nessuno ci racconti che, dalle elette del Movimento 5 Stelle alla Regione, viene anche la richiesta di una stella in più del movimento, per avere nuove politiche e diritti di pari opportunità. Vedi la locandina qui sotto...

Possibile che a nessuna-nessuno venga mai il dubbio che è la struttura dei partiti, saldamente in mano agli uomini (di solito di una certa età), ad allontanare o relegare a un ruolo insignificante le donne e i giovani che invece, in un movimento riescono ad esserci, a proporsi e a contare? 
Io resto convinta, e i dati elettorali mi incoraggiano, che la struttura del potere piramidale non funziona più. E che le donne elette hanno oggi il compito maggiore: dare l’ultimo scossone ai corpaccioni anziani e malati dei partiti, per rifondarli.
Il nuovo Parlamento dovrà subito eleggere i presidenti di Camera e Senato, di commissioni e poi il Presidente della Repubblica.
E’ troppo chiedere di risparmiarci dai soliti noti, da gratificare per il passato di chiara fama che si auto attribuiscono? E’ utopico eleggere delle donne? Perché no, anche una come Presidente della Repubblica? Giuro che non penso, anche se la stimo, alla solita Emma Bonino.
E’ ora di allargare lo sguardo anche fuori dal Palazzo, perché solo così avremo l’imbarazzo della scelta.