di Se non ora, quando? Lodi • Abbiamo letto questo articolo, interessante ma che ci trova in disaccordo: "la manomissione delle parole manomette l'identità di una donna?"
Non ci trova d'accordo la contrapposizione fuorviante che suggerisce. Infatti quella per il linguaggio rispettoso del genere è una battaglia che non preclude quella per il rispetto e la dignità della donna 'persona'. Ancora una volta pare si affermi (politicamente corretto??) che noi donne possiamo essere 'digerite' solo nel momento in cui accettiamo i ruoli che la società 'patriarcale' ha cucito con i nostri corpi e le nostre menti. Forse ancora non è chiaro che non si tratta di questioni politicamente e grammaticalmente corrette, ma di potere.
Vogliamo ricordare che il prossimo 25 novembre sarà presentato il 'Manifesto di Venezia' che nasce dalla collaborazione anche di Cpo Usigrai e GiULiA Giornaliste su proposta del Sindacato dei Giornalisti Veneto, aperto alle adesioni di tutte/i i/le giornaliste e giornalisti. Al punto 3 recita: adottare un linguaggio declinato al femminile per i ruoli professionali e le cariche istituzionali ricoperti dalle donne e riconoscerle nella loro dimensione professionale, sociale, culturale.
Inoltre fa specie quando una giornalista sottovaluta il potere della parola. E non è neppure a conoscenza del fatto che la corretta applicazione dell'uso dei generi previsto dalla lingua italiana (come per operaia e infermiera) è sostenuto tramite i corsi di aggiornamento professionale anche dall'Ordine dei giornalisti (quello della Lombardia ha inviato a tutti gli iscritti anche un piccolo vocabolario): siamo già penalizzate dal neutro inclusivo al maschile, applichiamo almeno la grammatica base!
Secondo la logica dell'articolo dovremmo riprendere a dare del negro ai neri o agli afroamericani perché il politicamente corretto è solo un contentino ma il razzismo esiste ancora, o delle serve alle collaboratrici domestiche non riconoscendo la dignità del loro lavoro.
E’ importante declinare al femminile le professioni più remunerate e gratificate socialmente per orientare le giovani donne a credere di poter essere non solo operaie commesse maestre o contadine, ma anche sindache ministre assessore avvocate, senza dover essere viste come uomini! Le parole hanno un valore fortemente simbolico ed aiutano le nuove generazioni a immaginarsi un mondo in cui ci potranno essere tante primarie di qualche reparto ospedaliero.
Tutto questo era già stato scritto 30 anni fa da Alma Sabatini per il Governo nelle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, rimaste inapplicate perché per i politici, come per alcuni giornalisti/e, il corretto uso del linguaggio e della grammatica è un optional... proprio come il rispetto per le donne. Chissà a che punto saremmo oggi nell'emancipazione femminile e nel contrasto al patriarcato, se fossero state subito applicate. A partire da chi lavora tutti i giorni con le parole.
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