Licenziata per "tradimento". Il presidente americano non sa che (ancora e per il momento) il Ministro della Giustizia degli Stati Uniti deve essere fedele alla Costituzione e allo Stato, non a un singolo uomo di potere. Dopo la giudice Ann Donnelly, anche un'altra donna ha posto un importante freno alle azioni sconsiderate del presidente Trump, pur conoscendo i rischi per la sua carriera. E' Sally Yates, che da Procuratrice Generale in carica ha dato disposizione al Dipartimento di Giustizia di non sostenere in tribunale l’ordine esecutivo del presidente Trump in materia di immigrazione.
Il presidente Trump ha l'autorità di licenziare la signora Yates. Tuttavia, essendo ancora lei, attualmente [cioè lo era prima dell'aggiornamento al post, ndr], il più alto funzionario del Dipartimento di Giustizia, al momento anche l'unica autorizzata a firmare mandati di sorveglianza per stranieri, una funzione essenziale del suo reparto.
In una lettera agli avvocati del Dipartimento di Giustizia la Yates ha scritto: “spetta a me la responsabilità di assicurare che le posizioni che prendiamo in tribunale siano coerenti con l'obbligo solenne di questa istituzione a cercare sempre la giustizia ergendosi in difesa di ciò che è giusto. Allo stato attuale, non sono convinta che la difesa dell'ordine esecutivo sia coerente con queste responsabilità né che l'ordine esecutivo [il Muslim Ban, ndr] sia lecito. Per tutto il tempo in cui la carica di procuratore generale sarà in capo a me, il Dipartimento di Giustizia non presenti argomenti a difesa dell'ordine esecutivo, a meno che, e fino a quando, non mi sia convinta che sia opportuno farlo".
AGGIORNAMENTO del 31 gennaio •
sono passate solo poche ore da questo provvedimento della Yates, e non solo è arrivato il licenziamento, ma addirittura per tradimento contro l'istituzione, per aver rifiutato di proteggere la sicurezza dei cittadini americani (vedi sotto il comunicato della Casa Bianca). Tiri ognuno le proprie conclusioni.
Oggi la Yates viene linciata per il suo coraggio; un'eventualità prevista da tanti che l'avevano esortata, nel suo altissimo ruolo, a non essere debole e, soprattutto, a essere fedele alla Costituzione - non a uomini che usano i il potere come una clava. Vedi sotto un po' di esempi. Ironia della sorte, l'ultimo che potete sentire parlare nelle clip sotto è Jeff Sessions, trumpiano che oggi la stronca: proprio colui che Trump ha insediato nella posizione della Yates. Eppure allora - come alludendo che una donna, in quel delicatissimo ruolo, potesse essere debole - la ammoniva: attenzione, perché ti sarà chiesto di fare cose a cui dovrai solo rispondere NO.
Lascia basiti la sfilza di provvedimenti antidemocratici e repressivi che il nuovo presidente Usa ha varato nella sua prima settimana, in una sola settimana, e con una semplice firma, come fosse Gengis Khan, o qualunque imperatore delle favole, e non l’uomo a capo della più potente democrazia del pianeta.
Fra questi, l’ordine esecutivo di sospendere per mesi l'arrivo di tutti i rifugiati e delle persone provenienti da 7 Paesi a maggioranza islamica, anche se con visto e perfino se dotati di doppio passaporto; una discriminazione che ha innescato la solidarietà degli americani scatenando immediate proteste davanti a numerosi aeroporti internazionali. Una folla di migliaia di persone si è radunata in particolare al John F. Kennedy Airport di New York.
Inoltre, da parte della ACLU [the American Civil Liberties Action] è partita un’iniziativa legale che ha citato in giudizio il governo per bloccare l'ordine della Casa Bianca. E così, essendo gli Usa ancora una democrazia, ecco un nuovo record: già nella prima settimana Trump incassa lo stop di un giudice; pardon di una giudice: è lei, Ann Donnelly, giudice federale di New York.
La Donnelly ha emesso un'ordinanza di emergenza che impedisce agli Stati Uniti, almeno temporaneamente, di espellere i rifugiati provenienti dai 7 paesi soggetti all'ordine esecutivo emanato da Trump, stabilendo che i rifugiati e altre persone bloccate negli aeroporti degli Stati Uniti non possono essere rispedite nei loro paesi.
Questo non consente alle persone attualmente bloccate di essere ammesse nel paese; e al momento non esiste nessun verdetto sulla costituzionalità dell'ordine esecutivo di Trump. Ma un paletto è stato posto: certe decisioni non si prendono in questo modo - anzi non si prendono proprio. Con questo gestostorico parte la resistenza ufficiale contro la barbarizzazione del paese: la parte sana degli Stati Uniti rivendica il suo status di democrazia, fondata non solo sull’invasione e sulla violenza contro i nativi, ma anche sull’immigrazione, sull’accoglienza e sulla multiculturalità.
E per inciso, a quelli che dicono "ma Trump mantiene solo le sue promesse, cosa vi stupite? perché vi lamentate?" ricordiamo: ANCHE Hitler fu eletto "democraticamente", e cosa prometteva era piuttosto chiaro (idem il sultano Erdogan nella Turchia di oggi). Ma le democrazie occidentali attuali hanno mezzi di difesa e come se non bastasse, Trump è stato eletto con 3milioni di voti in meno di quelli ha avuto la Clinton: dunque oltre metà dei votanti non l'ha votato, e ora grazie a Dio reagisce: per fortuna, e perché non dovrebbe? E in quanto a "mantenere le promesse", ecco cosa dichiarava Mike Pence (oggi vice-presidente di Trump), nel 2015: invocare il bando degli ingressi di persone musulmane negli Stati Uniti è offensivo e incostituzionale.
Per la cronaca, però, in tutta questa storiaccia, oltre alla reazione popolare, c'è un'altra nota positiva: la premier britannica Theresa May (che pure preoccupa molto!) da tali iniziative di stampo nazista ha avuto la decenza di dissociarsi.
Cosa che non hanno fatto invece i trumpisti de noàntri: Salvini Meloni e compagnia cantante. Loro, ispirati, suonano l'adunata in piazza.
Quanto segue riporta quasi interamente un pezzo di Jacopo Giliberto, su un eccidio che rappresenta, anche, una giornata qualunque dell'epoca, per molti ebrei e per molti nazisti.
La stessa storia è raccontata nei dettagli anche nel libro "I volonterosi carnefici di Hitler", di cui QUI si trova un intero brano. Oggi più che mai si ricorda perché è la giornata della memoria ma, come cantava Leonard Cohen, I can't forget, I can't forget, but I don't remerber what... così anche noi, forse, non possiamo dimenticare, ma non ricordiamo cosa. Ok, la cosa è questa: è un attimo ricaderci. E' un attimo che ciò che un attimo prima sembrava inconcepibile diventi normale. Così, tanto per dirne una, fino a pochi mesi fa sembrava inconcepibile che un pazzo irascibile, dichiaratamente simpatizzante nazista, che nega la crisi ambientale, vuole annientare l'assistenza sanitaria e dichiara di voler spazzar via la memoria stessa di Obama sulla terra, vuole fare un muro di 3.000 km ecc, potesse diventare presidente della potenza più influente sul pianeta. Eppure è successo. So what? cosa diventerà normale ora? tutti gli orrori che vediamo ogni giorno sfilare sotto gli occhi nelle immagini che arrivano da tutto il pianeta sono ancora chiamati orrori; ancora chiamiamo mostri quelli che li approvano; ma siamo certi che tutto ciò non possa, impercettibilmente, cambiare? diventare semplicemente quella normalità che per i nazisti era morale?
Per capire come si può cadere in una mentalità che consente simili barbarie, velocemente e in modo irreversibile, è molto utile vedere il bellissimo film Conspiracy del 2001, che narra nei dettagli la celebre Conferenza di Wannsee; e di cui il video sotto mostra qualche istante.
Ed ecco il racconto. "1942, Polonia, alle porte di Jòzefòw. Un convoglio di autocarri si ferma poco lontano dal paese, ne scendono 500 uomini: soldati tedeschi, battaglione 101, polizia ordinaria dello Stato. In semicerchio intorno al loro comandante, ascoltano il maggiore Trapp che comunica loro la missione di oggi: “è molto difficile, un compito duro". Il paese che devono circondare è pieno di ebrei, 1.800 circa (…) tra loro circa 300 maschi in grado di lavorare, vanno rastrellati e portati a un campo di lavoro; tutti gli altri bisogna ammazzarli. Il maggiore Trapp ha la voce rotta, sembra faccia fatica a trovare le parole, ha gli occhi lucidi; è una cosa che colpisce molti soldati, e dice: "eppure bisogna farlo, bisogna eseguire gli ordini; può aiutare i soldati, sapere che questa guerra l’hanno voluta gli ebrei?” ma se qualcuno non se la sente di eseguire l’ordine, dice che lo assegnerà ad altri incarichi.
Uno solo si fa avanti per consegnare il fucile. il comandante della sua compagnia comincia a urlargli addosso, ma il maggiore lo zittisce e ripete l’invito; altri uomini si fanno avanti, una dozzina; verrà dato loro il compito di scortare gli ebrei maschi, assieme al sottotenente che già la sera prima aveva annunciato che non avrebbe eseguito l’ordine.
Tutti gli altri si muovono verso il paese; una compagnia circonda il villaggio con l’ordine di sparare a vista su chi cerca di scappare, le altre due compagnie vi entrano e cominciano a sfondare le porte: separano gli uomini e radunano donne, vecchi e bambini nella piazza centrale (…) Un poliziotto ha scritto: anche sotto minaccia di morte le madri non si separavano dai bambini. (…)
Il primo gruppetto di ebree con i loro figli viene scortato a un boschetto, là vengono fatte sdraiare e i soldati sparano loro addosso, e qui cominciano i problemi perché le vittime in buona parte sono donne, madri con bambini e neonati: difficile sparare la madre da un neonato; e impossibile che una madre non reagisca. Molti uomini sparano alto, alcuni (pochi in verità) gettano il fucile e chiedono di essere dispensati, altri pèrdono il controllo, imbrutaliti, sparano troppo vicino e si ritrovano l’uniforme lorda di pezzi di cervello, sangue, ossa.
(…) quando sentono la prima salva gli ebrei ammassati in piazza esplodono in un urlo spontaneo, collettivo, ma poi sembrano accettare la morte, nessuno piange a parte i neonati (…). Nel primo pomeriggio ci si rende conto che a questo ritmo ci saranno ebrei ancora vivi in nottata. Le compagnie accelerano i ritmi, per quanto è possibile, nel bosco comincia a essere difficile trovare terreno libero in cui far adagiare le vittime.
Comincia a circolare la vodka, questo aiuta. I soldati comunque, almeno quelli che sparano ancora (altri hanno ceduto), sono molto arrabbiati con il loro comandante che per tutta la giornata non si è fatto vedere. Il maggiore Trapp passerà tutta la giornata chiuso in una locanda, piangendo a dirotto; questo non lo salverà dalla Corte polacca che nel 1947 lo condannerà a morte per questo ed altri crimini di guerra.
E’ notte quando il battaglione finisce il lavoro. Il villaggio è del tutto deserto, il bosco è pieno di cadaveri (…) il battaglione 101 torna in caserma.
E’ solo una giornata nella vita del battaglione 101, per il quale una giornata così si ripete decine di volte, e va moltiplicata per gli 11 battaglioni (5.550 uomini in totale) di polizia inviati da Himmler in Unione Sovietica; per le due brigate SS (11mila uomini), per i quattro Einsatzgruppen (12mila) al seguito dei tre gruppi d’armata tedeschi nel 1941; vanno aggiunte le centinaia di pogrom in Polonia, Ucraina e paesi baltici.
Se le parole non bastano a descrivere quanto accaduto ci sono immagini e le testimonianze tedesche dell’epoca. La strage di Jòzefòw non è di per sé eccezionale, ma lo è come documentazione. Due aspetti rendono eccezionale lo sterminio di questa cittadina:
1) la figura del maggiore Trapp, che con la sua debolezza così poco militare diede ai suoi soldati l’opportunità di non partecipare
2) il processo intentato dai giudici di Amburgo ad alcuni ufficiali del battaglione, nei primi anni Sessanta.
Gli incartamenti del processo contengono gli interrogatori approfonditi di oltre 100 membri del battaglione, una buona parte della forza in organico; è grazie a questi atti che possiamo ricostruire con tanta precisione (…) che pensavano questi assassini? chi erano? la risposta è nel titolo del libro con cui Cristopher Browning descrive quest’orrore: "uomini comuni".
Erano uomini comuni; nella quasi totalità venivano da Amburgo, una delle città meno naziste della Germania; in massima parte riservisti, appartenevano alle classi operaie: camerieri, portuali, facchini, marinai, occupazioni in cui era fortissima la presenza, prima del 1933, dei partiti socialista e comunista. Avevano poi un’età media sui trent’anni scarsi, ma non erano adolescenti influenzabili. La percentuale di iscritti al partito nazista – anche tra gli ufficiali – era molto bassa; e infine erano in buona parte sposati, padri di famiglia, con figli, gente tranquilla.
Loro stessi, venti anni dopo, durante il processo ad Amburgo, faticavano a capire; sembra, a noi viaggiatori del tempo, che in quegli anni in Europa esistesse un altro quadro di riferimento morale. Ciò che oggi appare con forza sbagliato, orribile, osceno, all’epoca era – se non normale – un compito sgradevole ma necessario; alcuni degli intervistati si giustificarono dicendo che non volevano sembrare vigliacchi. Altri – con un’idea più chiara di che cosa fosse veramente il coraggio – dissero che furono troppo vigliacchi per non sparare.
Spicca però – in questa desolazione morale – la figura del primo soldato, quello che si fece in avanti all'appello di Trapp, o del sottotenente che la sera prima, appena saputo della missione, aveva seccamente rifiutato di partecipare; o degli altri, che buttarono i fucili dopo aver visto quello che si chiedeva loro.
In quegli uomini restavano vivi, anche in mezzo ad una dittatura totalitaria che poneva la razza alla base dell’etica, altri e più solidi princìpi. Della maggioranza, la cosa migliore che può essere detta è questo: per essi la cosa più importante era fare ciò che la società si aspettava da loro. Non deludere i compagni e uniformarsi alle decisioni del gruppo – qualunque esse fossero.
La barriera che ci separa da quelle politiche e da quell'universo morale è fragile. Sta a noi tutti, nel nostro piccolo, difendere e coltivare i princìpi che in quegli anni furono calpestati". Fonte: Jacopo Giliberto, sul Sole24Ore
Cari maschi, questa lettera è per voi. Siate voi eterosessuali o gay, siate voi di destra o di sinistra, vecchi o giovani; siate voi bianchi o neri o di ogni altro colore; siate voi atei o credenti; cristiani, o musulmani o di qualunque altra religione; vi invitiamo a osservare la forza delle donne nel mondo, la loro capacità di reazione. Solo per citare gli eventi più recenti, vedi le mobilitazioni in Irlanda e di Varsavia, rispettivamente il 24 settembre e il 3 ottobre 2016; quella in Argentina e America Latina del 19 ottobre e quella di Roma, il 26 novembre 2016; quella di Washington, e in tutto il mondo, il 21 gennaio 2017.
Cosa vogliono, cosa chiedono queste donne? diritti femminili, democrazia, pace; le stesse cose coltivano ovunque in pubblico e in privato, giorno dopo giorno, a ogni latitudine.
Certo, esistono (anche) molte donne complici del patriarcato e della violenza; consciamente o inconsciamente. Del resto, allo stesso modo moltissime persone, sperando sinceramente in qualche cambiamento positivo, hanno deciso di votare un presidente come Trump, un uomo che non ha fatto mistero delle sue simpatie (e alleanze) naziste, dei suoi “ideali” guerrafondai, razzisti e misogini (in un ambito che misogino è già di suo), della sua follia negazionista sui temi ambientali, né dei metodi che intende applicare contro chiunque tenterà di ostacolarlo. Fra loro si, anche moltissime donne (benché in netta minoranza rispetto agli elettori maschi).
Però noi tutte e tutti sappiamo, se lo vogliamo vedere (e se guardiamo ai dati), che la principale resistenza a crudeltà e distruzione, e alla povertà che ne deriva, e dunque alle dittature, viene proprio dalla universale spinta collettiva delle donne, come gruppo umano, verso la giustizia, la pace, la protezione dell’ambiente e della vita. Il che vale a dire che ogni spinta contraria, di prevaricazione e predazione, ha proprio nell’organismo collettivo delle donne il suo principale nemico.
Non deve stupire, dunque, che la misoginia e la volontà di spezzare la forza delle donne sia il comun denominatore che unisce tutte le ideologie violente del patriarcato: il fascismo, il razzismo, il militarismo, la supremazia bianca, l’islamismo politico, il terrorismo eccetera.
Una sola parola d’ordine accomuna tutte le forze militari e politiche che si alimentano di queste ideologie, anche quando esse siano in conflitto fra di loro: ed è immobilizzare le donne. A qualunque egemonia appartengano, razza o religione, a tutte queste forze preme ricacciare le donne nel ruolo di schiave impotenti in cui il patriarcato le ha costrette fin dai suoi albori, ad ogni latitudine e in ogni cultura.
Oggi il mondo, che sembrava avviarsi verso la democrazia, assiste con sempre maggiore virulenza a un processo crescente di regressione, in cui aumentano lo squilibrio delle ricchezze e l’erosione delle libertà.
Se le donne riescono a mantenere le loro conquiste, là dove ne hanno fatte, e a migliorare la propria condizione (non solo dove sono ancora immobilizzate, ma ovunque), questo processo è destinato a essere contenuto e ci sono probabilità che venga sconfitto.
Ma di tutto ciò ben si rendono conto anche i dittatori e gli aspiranti tali; non a caso le primavere arabe sono fallite non appena, dal loro stesso interno, è partita l’offensiva contro l’energia più sana che le alimentava: i diritti delle donne. E così, grazie agli sforzi congiunti delle forze animate dall’autoritarismo (i terroristi islamici come i militaristi occidentali), molti paesi già martoriati sono passati dalla speranza all’orrore, e dalla padella nella brace. Altri hanno perso la pace; come la Turchia che, dalla prosperità e capacità di convivenza di cui godeva, con Erdogan è finita nel caos. Quella stessa Turchia, anziché combattere l'Isis, si accanisce contro la resistenza dei curdi (e delle curde); un popolo che, guarda caso, ha le donne fra i suoi protagonisti e la parità fra i suoi cardini.
Oggi, come non vedere che questa strategia si ripete, anche nelle società occidentali?
Le nostre democrazie sono giovani e fragili; proprio come i diritti femminili. L’offensiva per la loro distruzione, che tanto ha già fatto per snaturare le democrazie nei maneggiamenti sottobanco, ora è ufficialmente partita; Trump è il generale che la guida. Uno che vuole costruire un muro contro i messicani e bandire i musulmani dagli USA, ma tende una mano comprensiva e amica al presidente fondamentalista islamico (e dittatore) Erdogan.
Festeggino, fra di voi, quelli che ambiscono a tornare sudditi; a diventare, ancor più di quanto già siano, schiavi e impotenti; mettano la testa sotto terra come gli struzzi, quelli che cascano in panzane tipo "l'isis l'ha creato Illary Clinton".
Tutti gli altri comprendano che, contro questa pattumiera globale, volenti o nolenti, è nel loro interesse sospendere ogni avversione verso le libertà femminili, smettere di aspirare a qualche primato maschile e allearsi con le donne.
Perché, cari maschi, sono proprio le donne custodi e garanti anche della vostra sicurezza e di tutte le vostre stesse libertà.
Il giorno dopo l'insediamento alla Casa Bianca di Trump, un uomo che ha promesso repressioni, divisioni, smantellamento di diritti e attacchi alle donne, le donne scendono in piazza a Washington, sostenute dauna grandissima coalizione di attiviste per diritti femminili. Le parole d'ordine sono resistere, unirsi, empowerment, democrazia.
E' la Washington #Womensmarch; qui, il video dell'intero evento: