domenica 26 agosto 2018

Stalking a Cosenza: una storia di impunità, una donna che non si arrende

La violenza non è solo uno schiaffo o portare dei lividi corpo, è molto di più: è vergogna, è paura, è ansia, è timore di non essere compresi, è timore di non essere creduti; è, sopratutto, la consapevolezza di scontrarsi con un muro di gomma quale l’omertà e sapere che chi è preposto ad aiutarti non lo farà.
Magari, puoi anche accettare e fare i conti con l'omertà intorno a te, ma l'omertà e l'abbandono da parte delle Istituzioni a cui ti rivolgi, per chiedere tutela, protezione, aiuto e supporto... quella proprio no, non la si può accettare.


Da anni, tramite articoli e campagne varie si sensibilizzano le donne, che subiscono silenziosamente violenza, incoraggiandole a uscire dal silenzio, a farsi coraggio e soprattutto a fidarsi e affidarsi alle Istituzioni, denunciando chi, senza rispetto per niente e per nessuno, fa leva in modo vigliacco su stati di ansia e paura.
E poi? Cosa succede? Difficile immaginarlo se non hai toccato con mano ma io si; lo so bene. 
Io voglio raccontare la mia storia e nello specifico cosa succede: varchi la soglia dell'Istituzione alla quale decidi di chiedere aiuto e tutela, dopo un'enorme sofferenza e disagio, difficile da spiegare e quasi impossibile da comprendere, con un senso finalmente di sollievo e pensando che ti accoglieranno dandoti tranquillità, serenità e un senso di protezione.
E invece, sin dal primo approccio, incontri atteggiamenti ostili. Vorresti sentirti dire: tranquilla, ora ci siamo noi. Invece trovi scarsa considerazione, atteggiamenti volti a scoraggiarti, sguardi solo di curiosità, nessuno che ti dà il beneficio del dubbio. Con poca professionalità e poco tatto sei sbattuta da un ufficio all'altro; nonostante tu abbia appreso, dalle varie campagne di sensibilizzazione, che c’è un ufficio con gente che dovrebbe occuparsi solo di te, creato solo per quello, la tua richiesta scritta passa da un dipendente all'altro, il quale, dopo aver letto, guarda caso, non è mai l'addetto preposto ad apporre una semplice firma e un protocollo sulla tua denuncia/richiesta di aiuto.
Non c'è una persona alle 9.30 del mattino, a metà  settimana, ad accogliere una donna che chiede aiuto; non c'è una sola persona che ti fa accomodare in un ufficio, ma attendi nei vari corridoi mentre oltre 15 impiegati a turno si fanno il passamano della tua richiesta di aiuto, facendo ognuno le "opportune" chiamate di rito (a non so chi!), allontanandosi da te, o chiudendo la porta davanti a te, che attendi sempre in piedi nel corridoio.
Alla fine delle sterili consultazioni nessuno vuole apporre una firma; fino a quando, esasperata e chiaramente offesa e infastidita, con voce ferma pretendi un protocollo sulla ricevuta della tua richiesta.
Vai via demotivata, incredula e delusa dalla mancanza di accoglienza, dalla leggerezza con la quale viene gestita una richiesta di aiuto per violenza di genere; dovrai attendere il mattino seguente l'invito a ritornare per firmare un “verbale di ratifica” che poteva essere compilato il giorno prima con meno disagi.
Inizia cosi una triste e anomala vicenda, con un finale vergognoso che racconterò sommariamente, dovendo per privacy, omettere nomi e alcuni episodi.
Malgrado la copiosa documentazione allegata alla richiesta depositata, la persona segnalata, che per inciso porta una divisa, incurante della tua denuncia ha continuato ad assillarti per oltre 15 giorni. Finché tu, sempre più incredula e scoraggiata, ti rivolgi nuovamente all’Autorità e, integrando la documentazione con le prove dei contatti successivi, chiedi, sempre con più timore, che questo soggetto sia chiamato e allontanato da te.
Malgrado la documentazione e una molteplicità di allegati forniti, le indagini per attestare che sei insistentemente infastidita e perseguitata continuano e durano ancora per ben 4 mesi, alla fine dei quali arriva finalmente “l'inevitabile" provvedimento amministrativo richiesto.
Provvedimento al quale lo stalker, come da sua facoltà, fa ricorso al TAR e questo, con sentenza abbreviata emessa nella stessa mattina della prima udienza, lo rigetta, quale chiaro segno di non fondatezza.
Allora tu pensi finalmente è finita! Malgrado tutti gli ostacoli ho fatto bene a denunciare!
Ma immediatamente  il penoso e vergognoso epilogo: dopo soli 20 giorni dall'ordinanza del TAR, lo stalker chiede nuovamente la revoca del provvedimento all’Autorità che lo ha emesso, benché il TAR si sia opposta al suo annullamento. E, udite udite: la ottiene.




E perché? Le motivazioni di revoca, praticamente, sono che ha fatto il bravo per 6 mesi (4 dei quali nel periodo in cui duravano le indagini + il mese del suo ricorso al TAR).
Ma se è vero che solo 20 giorni prima la stessa Autorità si era fermamente opposta  all’annullamento del provvedimento, mi spiegate che senso ha?
Donne: denunciate. Denunciate! Non abbiate timore: così si legge; ma la realtà è diversa. Mentre sarete costrette a difendervi a spese vostre, nonostante gli atti persecutori si gioca con la vostra dignità, con il vostro dolore e la vostra sofferenza, si calpestano i vostri diritti. 
Si, denunciate; ma soprattutto: attenzione a chi denunciate! 
Sappiate che ci sono categorie di uomini che si possono denunciare e altre categorie che non si toccano.
Non ci sono parole per definire questa vicenda e spero che qualcuno se ne vorrà interessare; è a disposizione un'ampia documentazione a riprova di quello che sostengo.
Perché, a prescindere dalla mia vicenda personale, non è accettabile che ancora oggi nelle Istituzioni (dove ho anche incontrato rari esempi di persona splendide), ci siano simili vergognosi comportamenti che, così operando, non solo non tutelano chi denuncia, ma avallano, coprono e dunque autorizzano persone malate a ledere la libertà altrui. 
Alle Istituzioni dico: prima di avviare campagne di sensibilizzazione alle vittime di violenza sensibilizzatevi voi! Perché siete ancora ben lontani dai concetti di rispetto e libertà. 
E io devo continuare a difendermi da sola.
Cosa che continuerò a fare: mi hanno deluso, ma nelle istituzioni voglio continuare ad avere fiducia; per questo farò a mia volta ricorso al Prefetto. Come diceva Giovanni Falcone lo Stato siamo noi e la giustizia la dobbiamo pretendere. 
Grazie a tutte e tutti coloro che vorranno sostenermi.
D. B., vittima di stalking a Cosenza

venerdì 10 agosto 2018

Cara Ida Faré

30 anni fa (anzi 31), un colloquio tra un uomo raffinato e intelligente, gentile e dotato di sense of humour, e una donna delle stesse qualità: sono Primo Moroni e Ida Faré.
Il tema affrontato è l’insicurezza maschile, e le reazioni nei maschi, di fronte alla comparsa del movimento femminista nei decenni precedenti e al crescere dell’autodeterminazione femminile.


Entrambi non ci sono più; lui fine intellettuale e notissimo libraio, ci ha lasciati nel 1998, lei architetta e docente al Poli di Milano (dove animò il Gruppo Vanda), antropologa e scrittrice, madre di 3 figli, se n'è andata proprio ieri: l’8 agosto 2018.



Cara Ida, che sei sempre stata vicina alle donne, seminando conoscenze e intelligenza, ti dedichiamo questo ricordo con riconoscenza; augurandoci che tante e tanti vorranno approfittare di questo prezioso documento, meditarlo e farlo conoscere.

mercoledì 8 agosto 2018

Tutti maschi, solo maschi: il potere che odia le donne si manifesta

C’è qualcuno (Michele Serra, oggi su Repubblica) che pone finalmente attenzione alle falangi di maschi di razza bianca che si concentrano contro le donne. Una scena che diventa sempre più comune in qualunque paese occidentale, in cui alle battaglie femminili si oppongono forze che diventano sempre più aggressive.


Si, se nei paesi musulmani ci pensano l'integralismo e le figure che se ne servono (dagli ayatollah agli Erdogan), se oltreoceano ci pensano i suprematisti bianchi, da noi lo fanno i fascisti e i leghisti, e quel mix che inizia a farsi chiamare “sovranista”.
Dice Serra che, per non cadere nei luoghi comuni, debite differenze storiche, territoriali, politiche vanno sicuramente fatte. Vero. Ma il filo comune di una feroce misoginia accomuna i partiti che, compattandosi dietro nemici confezionati ad arte, scatenano guerre fra poveri sventolando bandiere ipocrite di simulacri religiosi usati solo a simbolo del tradizionalismo, e quelle vergognose di razzismo, sessismo e omofobia.
Fra i cosiddetti “valori” dei loro supporter Serra nota opportunamente che c’è un “vigoroso, quasi festoso anti-femminismo, come se qualcuno avesse finalmente levato il coperchio al pentolone ribollente della frustrazione maschile. Questo ultimo aspetto (il revanscismo maschile) è esplicito nel caso di Pro Vida e di tutti i movimenti analoghi, per i quali l’autonomia del corpo femminile è un attentato non alla vita (come dice una propaganda che di fronte all’aborto clandestino non ha mai fatto una piega) ma all’ordine patriarcale. Ma sarebbe il caso di considerarlo più estesamente, più attentamente, come una delle componenti fondamentali della grande revanche della destra politica (comunque la si voglia chiamare) in tutto l’Occidente”.
C’è, evidentemente qualcosa di molto profondo e sostanziale, continua, “a provocare tutte queste adunate di maschi in posa da maschi: e questo qualcosa è l’autodeterminazione delle donne in sé, della quale l’interruzione di gravidanza è una delle pagine più complicate e più inevitabili, con la legalizzazione a fare da discrimine secco tra un prima di sottomissione e un dopo nel quale le scelte della femmina contano, scandalosamente, tanto quanto quelle del maschio. 
Se vale l’ipotesi che siano l’insicurezza del maschio e la sua disperata voglia di rivincita, uno dei motori delle nuove destre in marcia [si, vale, ndr], allora andrebbe percentualmente ridimensionata l’influenza che la crisi economica ha sull’aggressività montante da un lato; e sulla crisi della democrazia dall’altro. È un’influenza oggettiva, quella della crisi economica, e di grande rilievo: ma se ne parla sempre come dell’unica benzina che alimenta il motore delle destre nazionaliste, insieme all’additivo, potente, della paura dello straniero
Molto meno si parla del brusco processo di respingimento, sia esso cosciente o istintivo, che le donne subiscono all’interno degli assetti del nuovo potere
Del trionfo di quella quintessenza del maschio alfa che sono i nuovi leader populisti, i Trump, i Putin, gli Erdogan, giù giù fino a Orban e Salvini; della pallida presenza femminile (anche a sinistra...) negli ultimi scorci – così decisivi – della politica italiana; degli undici maschi su undici nello staff social di Matteo Salvini; della presenza marginale, e quasi mai menzionata, delle donne nel nuovo agone mediatico, che sembra costruito a misura di maschio a partire dalla vocazione all’insulto, alla sopraffazione, alla prova di forza che soppianta ogni dialettica e ogni riflessione”. 
Finalmente qualcuno si decide a dirlo, fra i commentatori “ufficiali”. Qualcuno, peraltro, che scrive su un quotidiano anch’esso gravemente soggetto (quanto tutti gli altri), alla sindrome del #tuttimaschi
Nel panorama politico di donne-maschi purtroppo ce ne sono, a partire dalle esecrabili Le Pen; e anche tantissime donne, con i loro voti, continuano a nutrire chi rema contro di loro. Vero anche che tantissimi uomini combattono per il bene di tutti e per la pace.
Ma è ora di riconoscere che l’ “organismo collettivo femminile”, nel suo insieme, si muove sempre più verso la democrazia, l’equilibrio fra i diritti, la cura dell’ambiente, la ricerca di soluzioni comuni; mentre c'è un “organismo collettivo maschile” che si rifiuta di guardare ai veri problemi del mondo, agisce in favore dei privilegi e resta ancorato alla guerra. 
Ne è un’immagine simbolo il confronto fra due famose foto di firme a provvedimenti: in una si vede Trump, con il suo staff interamente maschile, che taglia aiuti alla strutture sanitarie che offrono informazioni sull’aborto e sulla pianificazione familiare, l’altra mostra la ministra svedese Lovin, con le sue più strette collaboratrici, che firma un impegno alla riduzione delle emissioni che (parole sue) sancisce una nuova era nelle politiche svedesi sul clima.

La guerra imposta ai sessi dal patriarcato sta venendo a galla in tutte le sue implicazioni politiche: l'atavico conflitto del maschile contro il femminile che è alla base di tutti gli sfruttamenti in modo più primordiale (come ben sottolineava Engels) e ancor più feroce della lotta fra le classi.
Di tutto questo bisognerà parlare più a fondo e parlare di più.

Per inciso; collegata a questo tema ci sembra un'altra notizia di oggi: quella della incredibile guerra dichiarata dal vicesindaco leghista di Trieste, nonché assessore ai Grandi eventi (guerra pienamente sostenuta dal governatore leghista della Regione e dai vertici del partito), contro il manifesto per il 50enario della Barcolana, la regata più frequentata al mondo che, a Trieste, festeggia quest’anno il suo cinquantenario. 
E perché? bè, nel manifesto appare l’artista Marina Abramovic, una bandiera in mano con il monito: siamo tutti sulla stessa barca.
Non sia mai! attacco alla Lega! La delirante definizione del vicesindaco è «un manifesto che fa inorridire, diffuso proprio mentre il ministro degli Interni Matteo Salvini è impegnato a ripulire il Mediterraneo». 
E, a parte il delirio di una simile affermazione, il manifesto è stato creato a gennaio, dunque ben prima delle elezioni (e della triste situazione che ne è seguita). 
Ma non importa; con l’ignoranza censoria e con le code di paglia che vanno a fuoco non si discute; e così, democraticamente: o il manifesto sparisce oppure verranno negati i 30.000 euro di finanziamenti già decisi, i permessi per l’occupazione del suolo pubblico, la sicurezza e la partecipazione delle Frecce Tricolori.


Il presidente della Barcolana aveva ben chiarito che “il poster lancia un messaggio universale per salvare il mare e dunque la terra”. Bravo ora ad affermare: “Non solo non sarà censurato, ma rifarei la stessa scelta perché la nostra regata, oltre che una festa di sport che vede campioni e principianti sullo stesso piano, è anche un evento culturale. Non voglio alimentare polemiche, ma a Marina Abramovic dobbiamo dire grazie perché ci ricorda che oggi ogni problema va affrontato insieme. Salvare il pianeta non è secondario e sul fronte dell’umanità siamo davvero tutti sulla stessa barca”. 
Grazie agli uomini come lui, e come Serra, e a tutti gli altri che sulla barca con noi donne (e con l'umanità intera) ci vogliono stare.