Bella, questa citazione di Vogue Italia: “It’s snobbish and provincial to dismiss fashion as mere frivolity. It occupies too great a place in the culture. It’s a language, a drama, an arena. Clothes speak. About power, beauty, pleasure, sex, money, class, desire, gender, age —the aspirations and desperations of millions of people.” Judith Thurman
E infatti, quello che distingue Vogue Italia dagli altri magazine (scrive di se stessa Vogue stessa, ndr) è la profonda comprensione della moda come linguaggio: è la nostra interfaccia visuale con il mondo, con cui comunichiamo e costruiamo la nostra identità – e nessun arte (senza accento nell’originale, ndr) l’ha raccontata meglio della fotografia. E, quando entrano in gioco i grandi maestri della fotografia di moda, il risultato è una testimonianza imprescindibile dei cambiamenti socio-culturali che hanno caratterizzato una data epoca.
Così apprendiamo che è per questo che nel 2016 è nato il Photo Vogue Festival, primo festival internazionale interamente dedicato alla fotografia di moda legato a un magazine autorevole… la seconda edizione del Photo Vogue Festival si terrà a Milano il prossimo novembre e coinvolgerà (ci informa Vogue stessa) l’intera città con talk, mostre ed eventi fotografici, anche grazie al contributo delle istituzioni culturali, delle scuole di fotografia e delle gallerie specializzate.
Il festival prevede quest’anno una monografica del grande maestro della fashion photography Paolo Roversi …realizzata grazie al contributo incondizionato di Mediolanum farmaceutici SpA. Ottimo sponsor, senza malizia; perché oggi la moda è anoressia e l’anoressia è un business; della medicina, oltre che di tanti altri settori.
Vogue scrive ancora: La moda è intrinsecamente politica (vero, ndr). Per sua stessa natura deve confrontarsi costantemente con temi come il genere, il censo, la costruzione dell’identità, e con i desideri, i sogni e le interazioni di generazioni intere (confrontarsi con essi, o indirizzarli? ndr). La sua esistenza e la sua rilevanza dipendono proprio dalla capacità di captare i movimenti della società – anche i più microscopici, o ancora in fase embrionale – e di portarli allo scoperto. La moda ha da sempre a che fare con queste questioni e, nonostante le controversie che a volte suscita, è per sua stessa essenza chiamata ad affrontarli (vero, ndr). Non esistono insomma argomenti che non possa trattare: esistono modi che funzionano e modi che non funzionano, e lo scarto tra questi due poli è molto sottile e difficile da definire. (…) In questa edizione del Photo Vogue Festival abbiamo deciso di analizzare come la fotografia di moda abbia saputo veicolare contenuti che vanno molto oltre i semplici intenti pubblicitari. Sarà un modo di guardarsi allo specchio e di riflettere su qualcosa che il nostro magazine fa da quando esiste: capire cosa c’è intorno, cosa sta per cambiare, e come abbracciare, accelerare o influenzare questo cambiamento.”
Bene, e allora riflettiamo, cari tipi di Vogue: nel mio piccolo vi invito a farlo ri-scrivendo per voi una lettera che era, in origine, per la “guru della moda” Paola Pollo. Non serve farne una nuova; dovrei dire solo le stesse, identiche cose; tanto vale dunque riciclarla in buona parte, cambiando solo i dettagli essenziali, in relazione al nuovo destinatario.
Cari signori di Vogue, io non vi conosco, e sul piano personale siete di sicuro brave persone; sul piano professionale, però, voi siete come tutti quelli che, parlando di moda, irresponsabilmente alimentano messaggi che fanno male alle persone. Voi lo sapete, su questo non c'è alcun dubbio; l'informazione che vorrei darvi è che lo sappiamo anche noi. Fatevene una ragione: tutto questo fomentare stilisti (o fotografi) che sparano tendenze delinquenziali come un pazzo spara dalla finestra con un bazooka, non solo è colpevole, ma lo è oramai smaccatamente, sotto gli occhi di tutti. Dopo anni e anni di questo andazzo, che ha contribuito notevolmente a fare dell’anoressia una piaga sociale, tutto quel che sapete fare è infiorare i proiettili con qualche occasionale boutade superficiale e ipocrita, addirittura ammantata di impegno per il cambiamento, senza cambiare mai niente. L’occasione attuale, addirittura, con la prima foto scelta per rappresentare il Festival, pretendeva di “denunciare” la violenza contro le donne in Libia (?) prendendo a vessillo una foto che mostra una donna brutalizzata da autorità maschili, che la immobilizzano a terra schiacciandola sotto ai piedi, con il tacco nel collo. Una foto glamour sulla violenza maschile.
Scusate, ma mi sono arrabbiata; mi sembra che, al contrario di quel che dichiarate, come uno zerbino voi vi sdraiate nel comodo alveo della cultura dello stupro, da cui siamo (letteralmente) nati, e nella quale la moda si trova tradizionalmente benissimo.
E’ un bello schifo, signori di Vogue, il nocciolo è questo. Lo fanno tutti, certo. Ma voi meglio di tutti gli altri. Basti pensare alla “campagna contro l’anoressia” che anni fa vi siete inventati, il cui nobile scopo era criminalizzare i blog pro-ana (in gran parte creati da indifese ragazzine autolesioniste), quando il maggior blog pro-ana della storia siete sempre sempre stati voi. Di questa evidenza, c'è anche qui una carrellata abbastanza eloquente.
Ma insomma, di che mi lagno? Non chiedetemi che c'è di male, a nutrire da decenni la perfetta immagine di quella donna-pegggio-che-oggetto da cui noi donne cerchiamo disperatamente di difenderci da sempre, ma senza successo, grazie anche alle politiche editoriali di “giornali” come il vostro; che è ben più di un giornaletto, è una potenza.
Un vero cambiamento nella moda sarebbe incoraggiare le ragazze ad accettarsi anche se non hanno BMI inferiore a 16, e veder accettare anche modelle che non siano vessilli dell’anoressia, perché sapete: relegare quelle dal BMI da 17 in su nella categoria “curvy” (meglio ancora se intente a sdraiarsi su un piatto di pasta) è un messaggio ancor peggiore che ignorarle.
Ma la recente esperienza francese insegna che, perfino di fronte alle migliori intenzioni di un governo di far passare una legge, ci pensano i “colossi della moda” (di cui non si può negare Vogue faccia parte) a impedirne l’efficacia.
Una testata conscia del potere che ormai avete, invece, e intenzionata a usarlo bene, inizierebbe a sottolineare che questa ossessione ha francamente stufato: hanno stufato le sue conseguenze che si pagano in termini di perdita di dignità delle donne, ma anche di dolore: di malattie e lacrime.
E invece a cosa assistiamo? All’ennesima incoronazione dei soliti stereotipi, mentre contro la vera violenza non si fa nulla, e tantomeno contro quella sua terribile espressione che è l’anoressia; alla faccia nostra, e delle centinaia di migliaia di famiglie che continuano ad esserne devastate nell’indifferenza generale.
Ma se poi aggiungiamo presunti “messaggi contro la violenza”, che sono esattamente il contrario, non pretendiamo che la cosa passi anche inosservata.
Tutto questo è colpevole, signori di Vogue, e lo è alla luce del sole.
E questo è tutto. Cordiali saluti. Mari, e le altre
PS - seguono esempi di donne bollate come "curvy"; che per tutte le ragazzine in cerca di modelli da imitare sta per "ciccione": e non ditemi che il messaggio non è chiaro. A quanto pare, nella visione promossa Vogue, questa categoria-ghetto include anche tutte le donne semplicemente non gravemente sottopeso.
PS - seguono esempi di donne bollate come "curvy"; che per tutte le ragazzine in cerca di modelli da imitare sta per "ciccione": e non ditemi che il messaggio non è chiaro. A quanto pare, nella visione promossa Vogue, questa categoria-ghetto include anche tutte le donne semplicemente non gravemente sottopeso.