Constatiamo sconcertate in che modo
  miope e vigliacco il nostro Consiglio regionale stia perdendo la storica
  occasione di riscrivere la legge elettorale per la Sardegna tenendo conto del
  principio della parità fra uomini e donne [ripetendo il vergognoso bis, aggiungiamo noi, di quanto già avvenuto in regione Puglia e in Abruzzo, ndr]. 
La bocciatura della doppia
  preferenza di genere appena avvenuta, per giunta a scrutinio segreto, è e
  rimarrà una delle pagine buie di questa esperienza politica.  
 
Eppure c’è il
  recente esempio fornito dalla legge 215/2012, che ha modificato il sistema
  elettorale dei comuni, con l’introduzione di questa misura. La stessa legge prevede
  la predisposizione di norme che permettano di incentivare l’accesso del
  genere sottorappresentato nelle assemblee elettive delle regioni. Il principio già esiste a livello
  costituzionale (art. 117, settimo comma, Cost). Premesso che nessun sistema elettorale di per sé
  garantisce pari opportunità fra uomini e donne, la strada indicata dalla
  giurisprudenza costituzionale in questi anni – che il meccanismo della doppia
  preferenza di genere rispetta – è chiara e, sintetizzando, indica che le
  norme volte al raggiungimento dell’obiettivo non devono prefigurare il
  risultato elettorale, alterando la composizione dell’assemblea elettiva (rispetto a quello
  che sarebbe il risultato di una scelta compiuta da chi vota in assenza della
  regola contenuta nelle norme medesime), né attribuire ai candidati dell’uno o
  dell’altro genere maggiori opportunità di successo elettorale rispetto agli
  altri;
  inoltre devono rimanere inalterati
  i diritti fondamentali di elettorato
  attivo e passivo di chi vota (facoltà, non obbligatorietà dell’espressione
  della doppia, o singola, preferenza). 
Se dunque ancora esiste uno spazio per la discussione in
  Consiglio regionale, e la proposizione di emendamenti, è bene che nella loro
  formulazione si tenga conto di questi aspetti. Si deve trovare una soluzione
  che renda possibile
  il riequilibrio, ma non lo imponga; che abbia carattere promozionale, non
  coattivo. E questo per non incidere in alcun modo sulla libertà di voto degli
  elettori e delle elettrici e sulla parità di chances delle liste e dei candidati e delle candidate nella
  competizione elettorale. Si potrebbe prendere come modello la “Proposta di
  legge di iniziativa popolare per la Democrazia Paritaria” lanciata dall’Udi (Unione
  Donne in Italia) nel 2007, con la previsione di: composizione paritaria delle
  liste, con 50% di uomini e 50% di donne, con uno scarto massimo di una unità;
  alternanza uomo-donna; numero pari di capolista uomini e donne, con uno
  scarto massimo di una unità; esclusione delle liste che non rispettino le
  suddette previsioni dalla competizione elettorale.  
La Corte costituzionale ha avuto modo di sottolineare,
  sin dal 1995, la necessità di conseguire una “parità effettiva” fra uomini e
  donne nell’accesso alla rappresentanza elettiva e tale esigenza è
  espressamente riconosciuta anche nel contesto normativo comunitario ed
  internazionale (pensiamo ai Trattati istitutivi dell’Unione Europea e alla
  strategia per l’uguaglianza 2010-2015).  
La frustrazione in questo momento è grande ma il tema
  della democrazia paritaria non è più eludibile e una legge elettorale che non
  ne tenesse conto andrebbe inevitabilmente incontro a rilievi, nonché a una
  marcata e fiera opposizione della società civile, con le donne in prima fila. 
Maria Francesca Fantato (noiDonne 2005)  Sassari,
  23 giugno 2013        
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