mercoledì 30 settembre 2015

Molestie sessuali: se il 'porco' lo incontri in ufficio

Quella di Olga Ricci (uno pseudonimo) è la storia di un futuro rapinato. E’ una giovane donna che, come tante coetanee, coltiva il sogno di un lavoro appagante che coroni i suoi studi. Il suo è quello di fare l’inviata all’estero per qualche testata nazionale: studia, lavora sodo, incassa delusioni ma continua a sognare anche quando, in uno stillicidio quotidiano, vede procrastinarsi la realizzazione di tutti i suoi progetti. Non c’è un lieto fine nella sua storia perché tre bocche voraci le divorano presente e futuro. La prima bocca è il precariato che sfrutta e non concede nessun diritto. La seconda bocca è scavata in quel sistema di raccomandazioni, scambi di favori, piaggeria verso i potenti e i loro protetti dove non prevalgono le capacità ma l’essere figli diamiche di, appoggiati da. Infine la terza bocca, la più avida che viscidamente sputa il più odioso dei ricatti, quello sessuale.
Toglimi le mani di dosso
Nel buddismo c’è il detto trasforma il veleno in medicina ed è quello che fa Olga in Toglimi le mani di dosso, edito da Chiarelettere, consegnandoci la cronaca dolorosa e scomoda dello sfruttamento di giovani intelligenze e spreco di talenti. Le pagine raccontano, soprattutto, la condizione amara delle donne discriminate e penalizzate da rapporti di forza a favore degli uomini e tratteggiano il ritratto impietoso di una classe dirigente maschile gretta e meschina. Penosa nelle sue ansie e debolezze, odiosa nei quotidiani abusi di potere e incapace di assumersi ruoli con etica e senso di responsabilità. Ne risulta la denuncia dura e senza speranza di una generazione derubata del futuro.
Il libro, pubblicato da un editore importante come Chiarelettere (Riccardo Iacona e Michela Murgia hanno firmato la quarta di copertina con un commento sul libro) è ben scritto, eppure ha trovato poco spazio sulle pagine dei quotidiani nazionali. Almeno fino ad oggi. E’ vero che quello che avviene nelle redazioni avviene ovunque nel nostro Paese: in aziende, ospedali, uffici statali, piccole e grandi imprese e studi professionali ma le redazioni dei giornali sono luoghi che hanno l’ambizione di raccontarci la realtà e dovrebbero essere capaci di descrivere anche la loro.
Olga ha aperto il blog Il porco al lavoro per condividere la sua esperienza e raccontare in prima persona l’angoscia di una vittima di molestie sessuali sul lavoro e invitare le altre vittime a prendere parola sul problema. Mi ha detto: “Per anni sono stata una giornalista precaria. Poi un giorno, durante un colloquio, è arrivata la promessa: assunzione a tempo indeterminato. Non ci speravo più, dopo tutte le collaborazioni malpagate e i contratti rinnovati di mese in mese. Il direttore sembrava uno serio, interessato per davvero al mio curriculum. Già dai primi giorni di prova mi sono ritrovata a dovere gestire inviti a cena, telefonate ambigue, mani sui fianchi, complimenti non richiesti. Sono precipitata in un incubo”. Questo incubo è un fenomeno sommerso e poco indagato in Italia anche per una fitta coltre di pregiudizi che mina la credibilità delle vittime. I dati sono davvero pochi. L’unica indagine è quella Istat del 2008-2009 che ha stimato in un milione e 308 mila le donne che hanno subito nell’arco della loro vita molestie sessuali o ricatti. Il molestatore spesso è in una posizione di forza (capo, alto dirigente) rispetto alla vittima e ha il potere di sabotare carriere e obiettivi professionali o di ripagare il rifiuto con la disoccupazione. La ritorsione vigliacca per chi non cede al ricatto sessuale spesso è il mobbing: la vittima si licenzia dopo mesi o anni di violenze psicologiche mirate a distruggerne la credibilità e la professionalità.
Le donne che ne sono vittime e chiedono aiuto ai centri antiviolenza sono poche. Il reato è poco denunciato all’autorità giudiziaria e viene svelato con molta più difficoltà delle violenze nelle relazioni di intimità. Che cosa toglie voce a chi subisce molestie? La difficoltà di provarle perché  si manifestano difficilmente con aggressioni fisiche o ricatti espliciti; la gamma di comportamenti molesti varia dai contatti imposti come pacche o mani che sfiorano seno e sedere, agli  apprezzamenti volgari che i molestatori fanno passare “per scherzo” a modalità subdole e striscianti come allusioni, mezze parole e un comportamento manipolatorio che minaccia e nello stesso tempo confonde la vittima rendendola maggiormente vulnerabile e spesso incapace di reagire. Il muro di ostilità o indifferenza da parte colleghi e colleghe che ne sono testimoni non facilita lo svelamento. La vittima è sola, colpevolizzata e quindi tace.
In Italia il problema è particolarmente graveRosa Amorevole, esperta in materia di lavoro e contrasto alle discriminazioni e consigliera di Parità per l’Emilia Romagna, ha curato un paragrafo del libro dedicato al Decalogo contro le molestie sul lavoro dove spiega che la normativa vigente definisce molestie quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso e aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Tutto chiaro? No.
Fino ad oggi si è fatto poco o nulla per contrastare  il problema. Occuparsene vorrebbe dire ficcare il naso dentro le dinamiche del potere e come queste si intreccino nelle relazioni tra i sessi quando la vittima è una donna. C’è chi ha domandato ad Olga perché pretendi di denunciare il problema delle molestie senza mostrarti? Ho  trovato strana la domanda da parte di giornalisti perché molto spesso nei centri anti-violenza riceviamo richieste di interviste con donne vittime di violenza, anche anonime. E allora perché tanta resistenza? Non domandatevi chi sia Olga ma occupatevi del problema.
foto molestie sessuali
Il porco al lavoro, ovunque sia, come tutti i cialtroni ambisce a portare la corona ma poi sta con le chiappe scoperte. E’ un patetico re nudo e ci vuole una voce forte e chiara che glielo dica. Meglio un coro.
Pubblicato sul Fatto quotidiano il 30 settembre 2015

lunedì 28 settembre 2015

Violento raid della polizia turca contro l'informazione curda

Oggi la polizia turca ha fatto irruzione in diverse sedi giornalistiche di lingua curda nella città (prevalentemente curda) di Diyarbakır, senza mostrare nessun mandato di perquisizione: ha arrestato 32 persone che vi lavoravano, collaboratori e soprattutto reporter e giornalisti, picchiando brutalmente alcuni di loro e sequestrando tutti i loro telefoni e ID.


Fra i giornalisti sequestrati ci sono: Müjdat Can, Dicle Müftüoğlu, Reşit Bayram, Ömer Çelik, Devren Toptaş, Mazlum Dolan, Nurettin Akyıldız, Siyabend Yaruk, Ercan Bilen, Ferah Kılıç, Meltem Oktay, Ramazan Ölçen, Zafer Tüzün, Zeynel Abidin Bulut, Besalet Yaray, Ferit Köylüoğlu, Mahmut Rubanas, Aziz Oruç, Ayşe Nevroz, Suzan Toprak, Nazemin Çap, Diyar Balkaş e Mehmet Alî Ertaş.
Secondo Alarabiya la notizia è stata riportata dall'agenzia turca Dogan news agency ma attualmente sul sito non se ne trova più traccia. Del resto, nemmeno i media italiani (e internazionali) ne parlano (almeno per ora). Del resto, questa non è che l'ultima di una numerosa serie di notizie (come anche questa) che ci dicono come tutto l'impegno militare turco, ben lungi dal contrastare l'Isis, sia rivolto contro l'opposizione interna e contro il popolo curdo - che inutilmente chiede aiuto
E intanto, nel silenzio, un popolo già vittima di un silenzioso genocidio, e che, per quanto stremato, da solo ha combattuto, e continua a combattere, seriamente contro l'Isis, viene giorno dopo giorno spazzato via.

domenica 27 settembre 2015

Lucia Ottobrini: "lei è la vedova del decorato?" "no, la decorata sono io"

Eccola, Lucia Ottobrini; che ieri se ne è andata, a 91 anni, dopo una vita d'amore con il suo Mario. 
Di lei si diceva che, per  sensibilità alle ingiustizie e coraggio, aveva il Vangelo nel cuore e la pistola dei GAP in pugno. Era nata nel 1924 a Roma, il 2 ottobre (giorno in cui nacque anche Gandhi, e consacrato agli Angeli Custodi). Ma quando, dopo la Liberazione, per le azioni condotte durante la Resistenza le fu assegnata una medaglia al valore militare, l'allora Ministro della Difesa Paolo Emilio Taviani, trovandosi di fronte a una donna non trovò di meglio che domandarle: “Lei è la vedova del decorato?”; al che lei risponde: “no! la decorata sono io”. Concetto ostico da accettare, se perfino l'onorificenza ascrive le motivazioni al suo possedere qualcosa che non è delle donne, e cioè un coraggio virile [con coraggio virile non esitava ad impugnare le armi battendosi a fianco dei compagni di lotta, sempre dando esempio di impareggiabile ardimento e facendosi ricordare tra le figure rappresentative della Resistenza romana]. E qui ci andrebbe il video che con paziente lavoro avevamo confezionato sulle donne della Resistenza, ma che (poiché utilizzava anche contenuti Rai) la Rai ha solertemente provveduto a fare oscurare. Grazie. 
E lei: seconda di nove figli, vissuta fino a 15 anni in Alsazia (dove i bisnonni materni avevano una solida attività commerciale), a contatto con un ambiente di minatori e operai, su cui pesavano sfruttamento e ingiustizie, ma cosmopolita e multietnico, dove in un clima di tolleranza religiosa e di solidi legami affettivi convivevano diverse culture e religioni, ebrei, protestanti e cattolici. Poi con l’occupazione tedesca dell’Alsazia, Auschwitz entrò con violenza nella vita di Lucia lacerandone il mondo di legami affettivi familiari, di amicizie e di studi. La famiglia, con i suoi nove figli, ridotta in povertà, nel 1940 rientra a Roma, dove conosce la fame e assiste alle conseguenze delle leggi razziali e della guerra fascista. All'inizio del 1943 Lucia, entrata in contatto con l’ambiente intellettuale e antifascista romano, conosce Mario Fiorentini (una fiammata che non si è mai spenta né attenuata). Non ha ancora 20 anni e già opera attivamente per la Resistenza, e intanto lavora nel teatro con i migliori attori e registi della nuova generazione, in mesi che lei ricorda come "splendidi": «Mario e Plinio De Martiis avevano formato una compagnia teatrale per far conoscere gli 'autori classici del teatro di prosa al popolo, nei cinema di periferia, in modo da raggiungere un pubblico popolare fino ad allora escluso dal teatro. Iniziammo dal cinema Mazzini ma avemmo subito delle difficoltà finanziarie; né il proletariato né il ceto medio corse ai nostri spettacoli. Attori e registi si ridussero la paga e qualcuno rinunciò. Facemmo una sola rappresentazione al Teatro delle Arti. Avevamo progettato che Gassmann saltasse sopra un tavolo e cantasse l’Internazionale in francese. I registi della nostra compagnia erano Luigi Squarzina, Adolfo Celi, Gerardo Guerrieri, Vito Pandolfi, Mario Landi, gli attori erano Gassman, (stupendo per la sua classe, il suo ardore, la sua cultura), Lea Padovani e tanti altri. Ho dimenticato molti nomi, ma erano tutti giovani, entusiasti e antifascisti».
Poi, il 25 luglio 1943, la caduta del fascismo e l’armistizio dell’8 settembre, e l’occupazione tedesca di Roma. Ricorda Mario: «Il 10 settembre io e Lucia eravamo qui in via Zucchelli e vediamo i carri armati tedeschi risalire via del Tritone in direzione di piazza Barberini. Io prendo la mano di Lucia e le dico: nous sommes dans un cul-de-sac. In quel preciso istante abbiamo capito che bisognava agire, e in fretta. Quei carri armati ci fecero pensare all'occupazione della Francia, alla terribile sfilata trionfale agli Champs-Elysées. Perché la Francia è la seconda patria di Lucia. Siamo immediatamente partiti alla ricerca di armi». E infatti entrambi, lei 19 anni e lui 25, innamorati e profondamente convinti del proprio impegno di resistenza, a ottobre sono già attivi nel primo GAP Centrale “Antonio Gramsci”.

Nel maggio del 1944, ancora insieme a Mario, Lucia operava come partigiana sulla via Tiburtina, nella zona di Tivoli. «Una cosa tremenda. Signore benedetto! Con gli anni me lo sono chiesta tante volte. Ma ero io quella che sparava a sangue freddo? Che lasciava che un uomo, anche se un nemico, un tedesco, morisse per la strada sotto la pioggia? Spesso mi sento come se la Lucia di quegli anni fosse stata un’altra. E invece no, quella ero io. (…) Ancora oggi durante le sere di maggio, quando il cielo è sereno mi sembra di risentire il rombo dei bombardieri.» E ancora: «Durante la Resistenza pensavo: devo farlo, ma è come se trasgredissi, mi vergognavo di rivolgermi a Lui. È stato un periodo diverso. Se ci ripenso dico, ma che stranezza, ma ero proprio io questa?» In una di quelle missioni, un giorno Lucia incrociò a distanza una colonna di soldati tedeschi che cantavano: «scoppiai in lacrime quando sentii dei giovanissimi soldati che cantavano un nostalgico “andiamo a casa, dove staremo bene” in quella loro lingua, che io parlavo e capivo. Era un inno che avevo sentito cantare in Alsazia». Quel canto le risvegliò la pietas che aveva dovuto silenziare in sé nei mesi di guerra, in cui le era stato impossibile conciliare il Vangelo con l'impugnare la pistola. Il 5 giugno del 1944 l’esercito tedesco lascia Roma con le bande di fascisti che avevano insanguinato la città; insieme a tanti altri giovani, anche Lucia, con Mario, torna alla vita e si dedica a recuperare quella sorta di doloroso sdoppiamento della personalità, con cui fece i conti a lungo negli anni a venire.
Come tante e tanti altri, e anche ai giorni nostri, era nata per la gentilezza, ma non poteva essere gentile.  Allora non poteva; lo fu dopo, però, per molti, molti anni ancora.

[Citazioni dal profilo che le ha dedicato l'Anpi]


sabato 26 settembre 2015

Pestarsi con stile: violenza domestica con Alessi

Nààààà, mi dispiace Alessi. Pestarsi con humour, gridarsi cose orrende con leggerezza e ironia no, non esiste; tantomeno con stile. Rassegnatevi; pestare (anche se si fa allegramente nelle classi alte come nelle più popolari) è volgare. Darsi addosso a quel modo è irrimediabilmente cafone, sapevatelo.
I primi commenti al nuovo spot Alessi (espressamente per l tv!), peraltro, già vi avvertono:

Si legge male? ve li leggiamo noi: zunilda gonzalez 2 ore fa horrible, questa pubblicità, invece una pubblicità di Alessi sembra una scena di Violenza Domestica!!! veramente brutto da vedere! • Enrico Peritore 4 giorni fa assurdo, roba da matti che cosa si comunica? a lanciarsi gli oggetti in addosso? ma voi avete figli? ..che messaggio date? • Alessandro Giglio 1 settimana fa Sarò oldissimo io, ma che campagna di merda.  · 
E aggiungiamo: «Se non ce li avessi quei piatti (“Alessi”) e quegli utensili da cucina (“Alessi”), come potrei lanciarteli addosso? Come farei a litigare con te? (..) qualcuno lo fa. E senza elmetto sulla testa. Il campo di battaglia potrebbero essere (…) - per esempio, la cucina. A casa mia era proprio la cucina.
I piatti di guerra li ho visti sparare a distanza corta, quattro o cinque metri al massimo. Coltelli ad altezza d’uomo. (..) Ecco, ho visto piatti volare. A distanza corta e a velocità feroce. Certo, oggetti ordinari, acquistati alla bisogna, tutti spaiati. Di servizi completi — di piatti, posate — non ce n’erano dietro le mensole della credenza. Né ci ho visto mai caffettiere o portafrutta di design. Quelli stavano dentro la vecchia televisione in salotto: oggetti animati di design dentro una scatola parlante, i piatti, le caffettiere, gli apribottiglia della pubblicità. E lo sono ancora oggi, “quelli della pubblicità”.
Oggi che sono passati almeno 20 anni dalle ultime guerre casalinghe tra i miei genitori. Nondimeno, per combattere in cucina, stoviglie spaiate e lame arrotondate andavano benissimo. Forse gli arnesi di design volteggiano più leggiadri ed eterei. Forse sono più aerodinamici. 




Forse all’epoca, quando in cucina sfrecciavano piatti e coltelli, c’era ben poco da (sor)ridere.
Solo il mio rannicchiarmi sulla sedia, a tavola, mentre la fondina di spaghetti al burro si raffreddava indifferente, e io mi coprivo gli occhi con le ginocchia. Avrei voluto sparire. Sospendere il senso dell’udito. Polverizzare quei dischi volanti di finta ceramica Limoge. Ricomporne le schegge affilate in un puzzle monocolore. Riavvolgere ogni fotogramma di quei ricordi neonati. Fermare la mano che estrae la prima pallottola dallo scolapiatti. Avrei voluto fermare la guerra. (…)
Sei tu che non capisci l’ironia di fondo, i giochi di parole, di coppia, di piatti, di pentole. Sei tu che non capisci o fai finta di non capire (cit.) i messaggi di Alessi. 
Sapete che vi dico? Cambio canale» (Claudia)
Citiamo lei (dal blog di una nota esperta di comunicazione e pubblicità) perché conclude il discorso meglio di noi.
E ci resta un dubbio. Chissà se il prestigioso Lorenzo Marini Group, che firma questa pubblicità per la tv, è abbastanza esperto da sapere che far "sorridere" su un fenomeno esecrabile lo sdogana (ancor più di quel che già è) e ancor più lo diffonde. Insieme al marchio, che dovrebbe ambire a ben altro.

venerdì 25 settembre 2015

Primo Meeting nazionale dello Sport Femminile a Roma; seconda edizione della Fernati Otello Cup contro la violenza, a Milano

26 settembre 2015: nello stesso giorno, tra Roma e a Milano due eventi che si richiamano l'un l'altro, focalizzandosi sui temi delle donne nello sport, da un lato, e dello sport al fianco delle donne, dall'altro.


Roma, h 10-13,30: le atlete si ritroveranno al primo Meeting Nazionale dello Sport Femminile [qui per seguirlo in Livestream].
Milano, h. 13,30 - 20: scendono in campo squadre maschili e femminili contro la violenza sulle donne. E' la seconda edizione della "Fermati Otello Cup", al Centro Sportivo Vismara, che già l'anno scorso, al Forum di Assago, aveva fatto pelare di sé e promesso di lasciare il segno.

giovedì 24 settembre 2015

Devo fare un esame. Puoi farlo solo se sei grave. Sei grave? Che c... ne so? per scoprirlo devo fare un esame

Gli esami medici e chi paga i "costi degli eccessi". Il cui vero nome, sempre, sarebbe costi della corruzione. Ma di quelli, chi decide chiacchiera e basta. 


Ps - Il disegno è comparso  qui, su facebook. L'abbiamo presa a prestito perché ci pare che, brillantemente, più di mille parole sintetizzi la situazione.
   Cronicamente grottesca.

domenica 13 settembre 2015

Flavia Pennetta e Roberta Vinci: dilettanti dello sport italiano

La storica vittoria di Flavia Pennetta, e di Roberta Vinci, e dell'Italia grazie a entrambe queste 2 atlete, casca proprio alla vigilia di uno storico meeting. Congratulazioni a loro, all'Italia e anche a chi ha organizzato il primo Meeting italiano dello sport al femminile, il prossimo 26 settembre. 
Un incontro che, siamo certe, getterà luce sul paradosso tutto italiano del dilettantismo femminile.
Ora che (dopo i tristi risultati dell'Italia ai Mondiali 2015) il mondo riconosce all'Italia una vittoria di questa portata, e che perfino il Presidente del Consiglio si è scomodato ad andare ad assistere alla competizione finale, si farà, finalmente e seriamente, mente locale alla vera condizione in cui le nostre atlete (incluse queste 2 campionesse) sono costrette dalla politica dello sport italiana?
Del dilettantismo femminile nello sport (lì con particolare riferimento al calcio) abbiamo già parlato qui. Ribadiamo ora, per i molti che ancora non lo sanno, che lo sport italiano è affetto da un sessismo talmente insultante da bollare letteralmente le donne, per definizione, come dilettanti, impedendo loro di accedere al professionismo sportivo. 
Come mai? La legge 91/1981 sul professionismo sportivo dice che lo status di “sportivo professionista” (diverso da quello di “dilettante”) è definito dalle singole federazioni sportive nazionali, che si dovrebbero rimettere alle direttive stabilite dal CONI. Ma dopo ben 34 anni, nonostante questa legge, molte federazioni ancora approfittano del fatto che la distinzione fra professionismo e dilettantismo non sia ancora stata chiarita dal CONI, per escludere esplicitamente le donne dall’area del professionismo.  L'imposizione del “dilettantismo” ostacola così l'accesso ai fondi e impedisce alle atlete di usufruire della legge 91/81 che regola i rapporti con le società, la previdenza sociale, l’assistenza sanitaria, il trattamento pensionistico ecc. Una situazione messa ora in discussione dalla petizione che trovate qui.
Da 14 anni l'associazione Assist,  nata grazie all'impegno di sportive appassionate e atlete (tra cui Luisa Rizzitelli, Manù Benelli, Carolina Morace, Patrizia Panico, Antonella Bellutti, Josefa Idem, e con il patrocinio di Telefono Rosa) promuove cultura e rispetto per le donne dello sport.  

Con Assist, con le donne dello sport e con tutti i veri sportivi, appuntamento per parlare di questi temi, al Meeting italiano dello sport al femminile [dalle h. 10 del 26/11/2015 presso Vigamus, vale Sabotino 4, Roma]: per la prima volta tutti i sindacati di atleti a confronto con le grandi atlete, per parlare di diritti negati e di un nuovo impulso femminile in Italia.  

venerdì 11 settembre 2015

Stiamo dalla parte delle donne e degli uomini scalzi. Oggi, domani, dopodomani e tutti i giorni.

Oggi a Venezia e in altre 60 città italiane, la marcia delle donne e degli uomini scalzi; e domani, e dopodomani e tutti i giorni. Perché è arrivato il momento di decidere da che parte stare.

E' vero che non ci sono soluzioni semplici e che ogni cosa in questo mondo è sempre più complessa. Ma per affrontare i cambiamenti epocali della storia è necessario avere una posizione, sapere quali sono le priorità per poter prendere delle scelte.
Noi stiamo dalla parte delle donne e degli uomini scalzi.
Di chi ha bisogno di mettere il proprio corpo in pericolo per poter sperare di vivere o di sopravvivere.
E' difficile poterlo capire se non hai mai dovuto viverlo. Ma la migrazione assoluta richiede esattamente questo: spogliarsi completamente della propria identità per poter sperare di trovarne un'altra. Abbandonare tutto, mettere il proprio corpo e quello dei tuoi figli dentro ad una barca, ad un tir, ad un tunnel e sperare che arrivi integro al di là, in un ignoto che ti respinge, ma di cui tu hai bisogno.
Sono queste e questi, le donne e gli uomini scalzi del 21°secolo, e noi stiamo con loro.
Le loro ragioni possono essere coperte da decine di infamie, paure, minacce, ma è incivile e disumano non ascoltarle.
La Marcia delle Donne e degli Uomini Scalzi parte da queste ragioni e inizia un lungo cammino di civiltà. E' l'inizio di un percorso di cambiamento che chiede a tutti gli uomini e le donne del mondo globale di capire che non è in alcun modo accettabile fermare e respingere chi è vittima di ingiustizie militari, religiose o economiche che siano. Non è pensabile fermare chi scappa dalle ingiustizie, al contrario aiutarli significa lottare contro quelle ingiustizie.
Dare asilo a chi scappa dalle guerre, significa ripudiare la guerra e costruire la pace.
Dare rifugio a chi scappa dalle discriminazioni religiose, etniche o di genere, significa lottare per i diritti e le libertà di tutte e tutti. Dare accoglienza a chi fugge dalla povertà, significa non accettare le sempre crescenti disuguaglianze economiche e promuovere una maggiore redistribuzione delle ricchezze.
Venerdì 11 settembre cammineremo scalzi, a Venezia, fino al cuore della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica, e in molte altre città d'Italia e d'Europa, per chiedere con forza i primi necessari cambiamenti delle politiche migratorie europee e globali:
1. certezza di corridoi umanitari sicuri per vittime di guerre, catastrofi e dittature
2. accoglienza degna e rispettosa per tutti
3. chiusura e smantellamento di tutti i luoghi di concentrazione e detenzione dei migranti
4. Creare un vero sistema unico di asilo in Europa superando il regolamento di Dublino
Perché la storia appartenga alle donne e agli uomini scalzi e al nostro camminare insieme.