martedì 31 marzo 2015

Nominare il femminile. O considerarsi esterne all'umanità e non saperlo

Per inciso, complimenti a Littizzetto e al suo autore per il qualunquismo dimostrato sul linguaggio e la declinazione al femminile. 
Ma la faccenda merita più di un inciso. Per inciso, Littizzetto, lo sapevi che nella civiltà Moso i termini padre e stupro non esistono? Un'assenza che non è un vezzo-femminista-cretino, ma espressione [conseguenza e genesi] di una cultura non-violenta per cui i figli non sono considerati proprietà dei singoli, e gli esseri non possono essere posseduti - in altre parole in cui non si manifestano pulsioni predatorie. Non dovrebbe essere necessario scomodare la filosofia del linguaggio, né filosofi come Hans Georg Gadamer per comprendere come l'argomento del linguaggio non sia affatto secondario; eppure, già nella sua giovinezza Gadamer stesso si meravigliava di quanto poco questo tema fosse in grado di affiorare alla coscienza. Il pregiudizio persistente pregiudica l'obiettività, e il primo ostacolo sta nella difficoltà nel riconoscerlo come tale. Se pregiudizio significa solo un giudizio anticipato, pronunciato prima dell'esame completo di tutti gli elementi obiettivi da considerare - dice Gadamer - non va eliminato, ma abitato con una certa phrónesis: saggezza, o meglio ancora prudenza (termine che, dal latino pro-videre, richiama la capacità di guardarsi intorno). Perché nell'interpretare la realtà (o un testo), l'osservatore non può pensare di prescindere da sé stesso e dal contesto - ogni interpretazione infatti (e non ci vuole molto a essere d'accordo!) è influenzata dai nostri pregiudizi storici. E qual è il primo pre-giudizio storico che ci affligge, quello in cui siamo immersi e attentamente, costantemente educati fin dalla nascita?
La (giustificata) prevalenza del maschile.
E' il fatto che l'Uomo (l'umanità stessa) sia un maschile che pervade un tutto in cui - se ogni esistenza collettiva (e ogni attività rilevante) è declinata al maschile, la donna si viene a trovare per forza di cose esterna.
Esterna: collaterale, complementare, antagonista - sodale o pericolosa, non cambia: lei è esterna.
Lei è altro, altro da un umano (un'umanità, dunque) che non la può cancellare ma la esclude; un umano fatto tutto di uomini-maschio: maschi che dettano leggi, muovono guerre, stabiliscono gerarchie, danno un nome alle cose e le dominano. Un umano monco (ma onnipervadente) ostile alle donne; in cui certamente alcune donne trovano posto, ma come eccezioni, sorte di corpi estranei che, assorbendo un pensare maschile, diventano la peggiore malattia autoimmune che può colpire il genere femminile. E occhio: se tutto ciò passa inosservato alle donne stesse è proprio grazie all'educazione all'essere esterne e a non saperlo - essere escluse e tenute all'oscuro, escluse e incapaci di percepire quanto.
Per chi l'avesse perso.. da cosa nasce questo post, perché parla della Littizzetto? La causa occasionale è che ieri, in uno dei suoi siparietti, la comica di Che Tempo che Fa ha sbeffeggiato l'invito di Donne con la A a nominare il femminile; e - ironia della sorte, proprio nella stessa serata persisteva nel sarcasmo di una sua polemica con alcune suore di clausura. Non è dunque fuori luogo la tirata d'orecchie con cui un tweet (in risposta a un altro, che addirittura trovava il discorso di Littizetto sul linguaggio favorevole alle donne), ricordava che è proprio il nominare le cose che dà loro vera esistenza - invitando (appunto) ad andare a scuola dalle suore:
Si, in questo caso proprio loro avrebbero qualcosa da insegnare. E tanto per stare in tema, c'è chi ricorda l'allocuzione "avvocata nostra" (rivolta alla Madonna nel Salve Regina): perfino madre Chiesa (che pecca in tante cose, ma non in rigore culturale), nel rispetto della lingua italiana è costretta a riconoscere il femminile in relazione a epiteti considerati troppo "nobili", nel linguaggio (sessista) comune, per avere declinazione femminile.
Nei commenti che ne sono seguiti, un altro tweet, a proposito della frase della Littizzetto [echissenefrega delle parole declinate al maschile!!], piano piano il linguaggio si adeguerà al fatto che le donne hanno avuto accesso alle professioni, chiosa: troppo piano, cara.
E il punto è proprio questo: il linguaggio è specchio della realtà. Non a caso un linguaggio preciso caratterizza il lato più esecrabile della nostra "politica". Il linguaggio esprime la realtà, la plasma e, anche, la traina. Ecco perché nominare il femminile non è una questione di lana caprina.
L'avesse fatto un'altra, questo qualunquismo culturale, forse sarebbe passato inosservato; ma la Lucianina non dimentica di fare l'occhiolino al femminismo - il quale, si sa, obblige. Femminismo non si può fare con le sole mimose, per la stessa ragione per cui non può essere solo slogan.


domenica 29 marzo 2015

La Francia al voto sperimenta il collegio binominale: 50% di donne e uomini nelle assemblee amministrative

Dal collegio uninominale a quello binominale. Con le elezioni dipartimentali (oggi si vota per il secondo turno) la Francia sperimenta la sua nuova legge elettorale che darà vita ad assemblee amministrative perfettamente paritarie. 
Assemblee, cioè, tutte formate al 50 e 50 da uomini e donne. Qualunque saranno i risultati e i partiti che le vinceranno nei vari dipartimenti. Perché la nuova legge prevede che in ogni collegio corrano per ogni partito non più un solo candidato ma due, di genere diverso, ossia un uomo e una donna.
Immagino che a risultato definitivo, così come è accaduto già al primo turno, notizie e commenti si limiteranno a spiegarci i motivi della probabile vittoria del partito di Sarkozy o di Le Pen, e la sconfitta dei socialisti che in molti dipartimenti sono stati esclusi dal secondo turno. Per dare zero notizia, invece, su questo inedito sistema elettorale - varato proprio per colmare la scarsa presenza delle donne nelle assemblee elettive, sia a livello nazionale che amministrativo.
La nuova legge (n° 2013-403 del 17 maggio 2013), fortemente voluta dall'allora ministro degli interni e attuale premier Manuel Valls, è semplice. Ricalca quella con la quale si elegge l'Assemblea Nazionale (il Parlamento francese), ossia un sistema maggioritario a doppio turno con collegi uninominali. Ossia un candidato per ogni partito che si confrontano e si contendono la vittoria nei vari collegi elettorali. 
Stavolta invece una coppia di candidati, un uomo e una donna, per ciascun partito e ciascun collegio. Vittoria e sconfitta a due e assemblee dipartimentali perfettamente paritarie, composte al 50% da donne e uomini.
Il nuovo sistema elettorale (qui il LINK per chi vuol saperne di più) per ora riguarda appunto sole le elezioni amministrative, ad esclusione di Parigi, Lione, Guiana e Martinica.
Una legge che di fatto impone ai partiti una profonda trasformazione. Da luoghi prevalentemente - se non esclusivamente- maschili a misti, dove sarà fondamentale la presenza e la crescita di quadri dirigenti e leadership femminili. 

E col tempo anche la cooptazione, che comporta il rischio di mortificare capacità e competenze, lascerà il posto alla meritocrazia, visto che la posta in gioco è la capacità delle candidate ( e candidati) di attrarre elettrici ed elettori, ossia voti.
La Francia ha scelto di partire dalle assemblee dipartimentali e municipali, ma non si esclude di modificare in questo senso anche la legge per l'elezione dell'Assemblea nazionale. In Italia invece, se l'Italicum non subirà variazioni nel passaggio alla Camera, si realizzerà un sistema paritario nelle liste e nella competizione elettorale con la doppia preferenza di genere. Doppia preferenza che, se è stata sperimentata con buoni risultati nelle comunali, è pochissimo applicata a livello regionale. Strenua l'opposizione della compagine maschile nella stragrande maggioranza delle Regioni. In Puglia - ad esempio, dove si voterà a maggio, la proposta è stata bocciata per la seconda volta e il tanto decantato federalismo si è tristemente coniugato con una irragionevole ed anacronistica difesa del maschilismo.
Cinzia Romano

sabato 14 marzo 2015

Cambiamo il sistema non il clima! Verso Parigi 2015

Questo (anche questo!) è un Manifesto per la giustizia sociale, ambientale, climatica ed economica 

Preambolo • Noi cittadini, cittadine e comunità di un’Europa che vogliamo dei popoli e dei diritti, non più fondata sul mercato e sulla mercificazione d’ogni aspetto delle nostre vite, consapevoli della nostra condizione di esposti ai rischi ambientali derivanti da un modello produttivo che ha superato i limiti ecologici del pianeta, facciamo nostro l’obbiettivo di un cambiamento radicale del sistema attuale sulla base dei principi di giustizia sociale, ambientale, climatica ed economica.
Assumiamo i cambiamenti climatici come emergenza globale di cui ogni singola lotta territoriale in difesa dell’ambiente è sintomo. La battaglia per il clima è la cornice comune in cui possiamo riconoscerci membri di una comunità globale in difesa dei territori e dei diritti.
Per troppo tempo la ricchezza prodotta in una parte del mondo ha significato depauperamento e ipersfruttamento dei Sud, ciò si è tradotto specularmente in un’iniqua distribuzione dei costi ambientali imposti dalla corsa alla crescita del PIL mondiale.
A spingere la nostra azione è la solidarietà tra i popoli e tra tutte le comunità impattate, la volontà di non scaricare sulle future generazioni e sui più svantaggiati il costo ambientale di un modello di sviluppo che ha arricchito solo una parte dell’umanità. Non possono più esistere “comuni ma differenziate responsabilità”, esiste un solo pianeta terra, i suoi abitanti e il comune diritto alla vita, alla salute e a vivere in un ambiente salubre: esiste la comune responsabilità di chi continua a generare profitti inquinando e il comune interesse di tutti ad impedirlo.
Prima che dato scientifico, i cambiamenti climatici sono l’effetto di quanto le popolazioni subiscono nei territori devastati dalle grandi opere inutili, dal modello energetico ancora fondato sulle fonti fossili, dalle cementificazioni, dalla deforestazione, dall’esaurimento dei suoli agricoli, dall’implementazione delle energie rinnovabili quando finalizzata a speculazione, dalle emissioni inquinanti. Ciò si ripercuote sulle nostre vite e sulla nostra salute. Il clima cambia perché si continua ad insistere sulla strada di un sistema produttivo in cui l’ambiente è considerato
semplice fattore di produzione e per questo sfruttato senza regole, così come sempre più sfruttato è il lavoro. La lotta ai cambiamenti climatici è difesa dei diritti umani e non solo delle norme di tutela ambientale. Desertificazione, innalzamento del livello dei mari, dissesto idrogeologico, avvelenamento dei mari, dei fiumi, dell’acqua e delle terre, deforestazione, modello energetico fondato sulle fonti fossili, guerre per l’accaparramento delle risorse, sottraggono alle comunità beni comuni essenziali alla buona qualità della vita e alla loro stessa esistenza, il diritto all’autodeterminazione del proprio sistema sociale ed economico e ad un’equa redistribuzione dei servizi ambientali gratuiti. I cambiamenti climatici, uniti alla privazione e al deterioramento delle risorse naturali, costringono comunità ed interi popoli a migrare nella totale assenza di meccanismi di tutela giuridica dello status di profughi ambientali.
Nessuna conferenza dei grandi della terra sul clima ha preso né prenderà decisioni che tutelino l’interesse generale se invariato rimane il legame tra scelte politiche e interessi economici. Dietro la COP 21 c’è il finanziamento di sponsor come Engie (ex GDF Suez), EDF, Renault-Nissan, Suez Environment, Air France, FESR, Axa, BNP Paribas, LVMH, Ikea. Compagnie simbolo dell’inquinamento e della violazione dei diritti a cui la COP 21 dovrebbe cercare soluzioni. EDF ha interessi nell’energia nucleare, Engie e BNP Paribas nel carbone, Suez Environnement nella gestione privata dei servizi idrici e in quella delle acque reflue del fracking.
Se così è, la COP21 come l’EXPO, segneranno il 2015 con la pura estetica dei grandi eventi in cui posizioni di facciata nascondono il perdurare invariato di un mondo in cui l’opulenza di alcuni significa per altri fame, distruzione dell’ambiente, ingiustizia, iniquità.
Chiediamo ai governi che partecipano alla COP21 di recidere il legame a doppio filo che lega le decisioni politiche ad interessi economici che spingono verso l’assunzione di impegni al ribasso rispetto all’abbattimento delle emissioni climalteranti.

Premesso che:
1) Nonostante gli accordi internazionali in vigore la febbre del pianeta continua a salire.
2) Dal 2013 al 2015, secondo lo studio del Fondo Monetario Internazionale “How Large Are Global Energy Subsidies?”, le sovvenzioni a favore delle fonti fossili sono passate da 4,9 a 5,3 trilioni di dollari, il 6,5 per cento del PIL mondiale, più della spesa sanitaria totale di tutti i governi del mondo.
3) In Europa, secondo lo studio “Economic cost of the health impact of air pollution in Europe” dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), 600.000 tra decessi prematuri e malattie sono provocati dall’inquinamento; l’impatto sanitario si traduce in un costo economico di che nel 2010 ha raggiunto la cifra di 1.600 miliardi di dollari, equivalente al 10% del Pil dell’Unione
4) La crisi economica non deve costituire la giustificazione per operare al ribasso rispetto agli impegni da prendere in difesa dell’ambiente e dei diritti
5) Deregolamentazione ambientale e deregolamentazione economica costituiscono l’unica regola ben accetta al capitalismo predatorio
6) L’attuale sistema economico mostra in maniera sempre più lampante la propria incompatibilità con le esigenze di giustizia ambientale e sociale, con il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche nonché con la crescente volontà di partecipazione delle popolazioni nella tutela
dell’ecosistema
7) La logica distorta insita nei meccanismi finanziari legati allo scambio delle quote di emissione è aggravata dal comprovato inserirsi in questi settori di interessi finalizzati all’evasione fiscale e al riciclaggio di denaro.
Lanciamo un accorato appello alle istituzioni nazionali ed internazionali, agli enti locali, alle forze sociali e ai soggetti economici affinché, in vista della 21° Conferenza delle Parti cui Cambiamenti Climatici che si terrà a Parigi nel dicembre 2015, si adoperino fattivamente per l'adozione di misure concrete che aprano la strada ad un profondo ripensamento del modello economico e sociale in senso redistributivo, sostenibile ed equo.

Per cambiare il sistema e non il clima occorre:
• Cambiare il sistema produttivo
1) Porre le basi per lo sviluppo di un’economia diffusa e diversificata che si allontani sempre più dalle logiche di sfruttamento insite nelle produzioni di massa. Queste favoriscono concentrazione della ricchezza e depauperamento delle risorse ambientali. È invece necessario investire in tecnologie, imprese e settori economici a basso impatto ambientale, costruire un modello produttivo che rispetti le capacità autorigenerative degli ecosistemi e in cui il ciclo produttivo sia regolato da quello della vita sulla terra; un modello fondato sull’equa distribuzione delle risorse, sulla loro cura e tutela e, di pari passo, sulla redistribuzione dei benefici generati dall’ambiente
2) Promuovere la riconversione sociale, economica e ambientale dei comparti di produzione maggiormente inquinanti e la creazione di sbocchi occupazionali verso settori sostenibili e fondati su equità e redistribuzione. È necessario liberare le popolazioni dal ricatto occupazionale con cui si impongono sui territori impianti e scelte produttive devastanti per l’ambiente e la salute
3) Convertire l’economia delle grandi opere inutili in economia resiliente con opere di reale interesse pubblico: dalla bonifica dei territori, al risanamento idrogeologico, dalla riduzione alla fonte dei rifiuti all’efficientamento energetico degli edifici
4) Vincolare gli Stati a politiche volte ad arrestare la cementificazione e il consumo di suolo riconoscendo la natura di quest’ultimo come risorsa limitata
5) Rivoluzionare la produzione alimentare in favore dell’agricoltura diffusa come presidio ambientale sui territori, contrastando le forme di agricoltura e zootecnica industriali basate sull’uso intensivo di energia fossile, di pesticidi, di concimi chimici e di altre sostanze di sintesi, che incrementano il riscaldamento del pianeta, riducono la fertilità dei suoli danneggiando irrimediabilmente le proprietà rigenerative della terra
6) Implementare politiche favorevoli alla riappropriazione sociale dei beni comuni finalizzata ad una produzione di beni e servizi misurata quanto più possibile su esigenze locali, intendendo lo scambio globale in un’ottica sociale più che economica. Per il raggiungimento di questo obbiettivo è essenziale restituire ai cittadini poteri decisionali diretti nella gestione delle risorse e dei territori per una rivoluzione economica e sociale del modello produttivo.
• Cambiare il modello energetico
1) Cancellare immediatamente ogni forma di sussidio alle fonti fossili, incoraggiando una pianificazione energetica non finalizzata a soddisfare le esigenze di mercato ma il reale fabbisogno delle comunità
2) Liberare il settore delle energie rinnovabili dalla contraddizione insita in forme di implementazione dannose per l’ambiente e che si traducono in fenomeni meramente speculativi
3) Restituire al settore energetico la natura di servizio essenziale garantito, al riparo da dinamiche di sovrapproduzione dannose per l’ambiente. La pianificazione energetica deve essere adeguata al fabbisogno reale dei territori e non inseguire le esigenze di profitto della produzione industriale di energia
4) Disincentivare le imprese e i settori energivori attuando al contempo politiche tese alla riduzione dei consumi
5) Bloccare l’autorizzazione di nuovi impianti alimentati da fonti fossili, dismettere quelli esistenti e porre fine ai nuovi permessi di ricerca ed estrazione di fonti fossili, compresi i combustibili non convenzionali
6) Instaurare un modello energetico teso ad avvicinare il più possibile la figura del consumatore e quella del produttore attraverso l’incentivazione della democrazia energetica, dell’autoproduzione diffusa finalizzata all'autoconsumo.
• Contrastare i cambiamenti climatici estendendo i diritti
1) Spingere i governi e le istituzioni nazionali ed internazionali all’assunzione di responsabilità rispetto all'accoglienza e alla piena tutela giuridica delle popolazioni che subiscono già gli effetti dei cambiamenti climatici, verso il pieno riconoscimento della condizione di profughi ambientali e climatici a chi è spinto a migrare a causa del deterioramento ambientale del proprio territorio
2) Orientare ogni scelta economica e sociale verso l'integrale rispetto dei diritti umani legati all’ambiente salubre: salute, dignità, accesso a risorse essenziali
3) Istituire meccanismi che riconoscano e sanzionino le responsabilità degli Stati e delle imprese di fronte alle popolazioni impattate da fattori di rischio ambientale e dagli effetti dei cambiamenti climatici
4) Istituire e valorizzare meccanismi di controllo popolare sulle politiche di riduzione del carico inquinante e delle emissioni climalteranti nel senso di una partecipazione deliberante delle popolazioni
5) Massimizzare lo sforzo di informazione, sensibilizzazione ed educazione sul danno ambientale e sanitario connesso ai cambiamenti climatici
6) Imporre alle industrie inquinanti la copertura dei costi sanitari derivanti dall’inquinamento atmosferico e all’oggi gravanti sui bilanci degli Stati e, dunque, sulla collettività secondo il “principio” della privatizzazione dei benefici e socializzazione dei costi
• Ridurre concretamente le emozioni, contro le false soluzioni
1) Elaborare strategie di lungo termine per la decarbonizzazione dell'economia che vadano oltre i meri meccanismi finanziari, lo scambio di quote di emissione, i Redd, la geoingegneria, la smart agriculture etc. ovvero le “false soluzioni” sin qui approntate dalla governance globale. Le strategie di lotta al cambiamento climatico non possono ridursi al mercato dell’aria.
2) Imporre l’assunzione di forme di contabilità che mirino alla piena inclusione dei costi ambientali e sanitari nei costi di produzione di merci e servizi
3) Indirizzare gli Stati e gli enti di prossimità verso forme di pianificazione partecipata per la mitigazione e l'adattamento ai cambiamenti climatici nei settori maggiormente emissivi (energia, industria, trasporti, agricoltura, edilizia) che ancorino le politiche di sviluppo alle esigenze locali e prevedano la formazione di lavoratori, funzionari pubblici, sindacalisti etc. nei settori verdi
4) Escludere la spesa necessaria alla tutela ambientale e all’abbattimento dell’inquinamento dai vincoli imposti dalle politiche di austerità
Per l’attuazione di questi punti, dirimenti per garantire la sopravvivenza del pianeta e delle comunità che lo abitano, noi tutti, uomini e donne, comunità e soggettività sociali in ogni forma costituite ribadiamo l'irrinunciabilità e l'urgenza di un cambiamento del sistema economico e produttivo. Forti di questa convinzione assumiamo l'impegno di portare avanti tutte le azioni di denuncia, informazione, sensibilizzazione, mobilitazione, pressione istituzionale necessarie a garantire l'implementazione di questo piano di azione verso la costruzione di un nuovo modello economico e sociale finalmente sostenibile, giusto, redistributivo e equo.

Cambiamo il sistema non il clima
Chi siamo • La Rete sociale Verso Parigi 2015 "Cambiamo il sistema non il clima" raccoglie circa 80 realtà italiane tra organizzazioni ambientaliste, comitati locali, associazioni, centri studi etc. che lavorano da nord e sud del paese nella tutela del territorio e dei diritti, a partire dal diritto alla salute. Gran parte delle realtà proponenti sono coinvolte, nelle diverse regioni italiane, in vertenze ambientali contro progetti ad alto impatto climalterante: centrali a carbone, campi petroliferi, mega infrastrutture, incenerimento etc. Verso la Cop21 di Parigi la rete sta lavorando promuovendo informazione, pressione istituzionale, mobilitazioni e azioni di visibilità sul tema dei cambiamenti climatici.
Primi promotori e firmatariA Sud • Coordinamento Nazionale No Triv • No Triv Basilicata • No Triv Abruzzo • Coordinamento Irpino No Triv • Stop Biocidio (Campania) • Comitato No Tap • Coordinamento Comitati Sardi • Comitato LegamJonici contro l’inquinamento Taranto • Campagna Stop TTIP Italia • Forum Italiano Movimenti per l’Acqua • Rete della Conoscenza • Rete Ambiente e Salute Salerno • Coordinamento Comitati Ambientalisti Lombardia • Comitato No Muos Niscemi • Comitato Spezia Via dal Carbone • Comitato Nessun Dorma di Civitavecchia • Movimento No Coke Alto Lazio • Movimento No al Carbone Brindisi • Passeggino Rosso Brindisi • Brindisi Bene Comune • OLA – Organizzazione Lucana Ambientalista • Eco Magazine • Laboratorio Aprile di Acerra • Fair Watch • Associazione Ya Basta Nordest • Zonaventidue – San Vito Chietino • La Strada • TPO – Bologna • Ya Basta – Caminantes • Istituto Eco Ambientale Roma • Tilt! • Reorient Onlus • ISDE sezione di Salerno • Onda Rosa Viggiano (PZ) • Radio Vostok (Cava De’ Tirreni – SA) • Associazione d’iniziativa politica e culturale “in comune” – progetto 2020VE – Venezia • Coordinamento Nord-Sud del mondo (Milano) • Amig@s MST-Italia • Abruzzo Beni Comuni • Legambiente Italia • Arci • Movimento Radical Socialista • Forum Ambientalista Nazionale • Lab. Off Topic Milano • Coordinamento dei Comitati contro le autostrade Cr-Mn e T i-Bre • Terra ONLUS • ApertaMenteLab Soncino • Si alle rinnovabili No al nucleare • Associazione per la Decrescita (Veneto) 
E anche noi ci siamo. Ci siamo sempre state. C'eravamo prima, ci siamo adesso, continueremo ad esserci. Vi invitiamo a leggere e a diffondere questo appello, e a vedere e diffondere questo video:



martedì 10 marzo 2015

10 marzo 2015 data storica per le donne europee: approvata risoluzione #Tarabella su uguaglianza di genere

La notizia che aspettavamo è arrivata. La Risoluzione Tarabella è stata approvata dal parlamento Europeo, ponendo una pietra miliare nella storia delle donne in Europa, e dunque nel mondoCongratulazioni! a noi e a tutta l'Europa… Anche se - c'è sempre un SE. In questo caso grosso come una  casa.
Nel caso, il fatto che con un emendamento  sia stato previsto il "principio di sussidiarietà", per cui ogni Paese è autorizzato a politiche indipendenti: il che significa che, nei diversi Paesi, le donne europee continueranno ad avere diritti diversi e non  ugualmente avanzati. Ma già è una conquista che la risoluzione, nel suo insieme, e come indirizzo, sia passata. Come scrivevamo QUI, si trattava di una votazione dall'esito niente affatto scontato, sul quale temevano il bis di quanto già avvenuto con la risoluzione Estrella… per questo le donne vigilavano sul processo in corso, e per questo avevano rivolto una lettera aperta agli deputati del Pd.
E così un primo passo, importante, è fatto. Una vera uguaglianza, si sa, è ancora molto lontana; il percorso delle donne non è mai finito... ma si è almeno aperta una strada favorevole su cui proseguire. 
Grazie a tutti gli uomini e le donne che hanno lottato per sostenerla, a partire da Marc Tarabella (nella foto), che ha redatto e presentato il testo.

sabato 7 marzo 2015

Nulla faccia più velo al problema: quel rapporto di potere che è scopertamente la base stessa di ogni dominio e iniquità

Per questo 8 marzo Lea Melandri scrive contro l'8 marzo: con un tono che sembra tanto voler saltare inutili convenevoli per andare al sodo... qualcosa che non si deve più consentire venga coperto dal chiacchiericcio, offuscato da preamboli e distinguo - basta! qualcosa che non può più aspettare. E, si; come non condividere? Ora di andare all'essenziale.
Che nulla faccia più velo al problema: quello che Lea definisce uno dei rapporti di potere che oggi, molto più che in passato, appare scopertamente come la base di tutte le forme di dominio che la storia ha conosciuto, nella nostra come nelle altre civiltà
Si. Giusto, si dica con chiarezza che non di “cose di donne” stiamo parlando, ma dell’idea di virilità che ha deciso dei destini di un sesso e dell’altro, della cultura – e della storia che vi è stata costruita sopra, nel privato come nel pubblico. Che gli uomini [intesi come maschi, ndr] si prendano la responsabilità di interrogarsi sulla violenza di ogni genere perpetrata nei secoli dai loro simili, e che lo facciano, come hanno fatto le donne, partendo da se stessi, consapevoli che solo indagando a fondo nella singolarità delle vite e delle esperienze personali possiamo scoprire le radici di una visione del mondo che ci accomuna, al di là di spazi e tempi.
Vero, se non vogliamo storpiare o banalizzare il significato di ricorrenze come l'8 marzo, dobbiamo fare di ognuna un vero momento di riflessione: dobbiamo riconoscere gli interrogativi che vi sono connessi e guardare - davvero - alle aspettative di cambiamento che da lì si possono aprire.
E quali sarebbero i temi dell'8 marzo? Ma - soprattutto - ha senso scegliere fra un tema e l'altro? 
Se l'8 marzo dell'anno scorso abbiamo proposto di alzare il tiro
è perché tutto parte dalla relazione.
Ogni tema, dunque, è messo veramente a fuoco solo alla luce di questo e inderogabilmente nel tema più ampio della complessità
E 8 marzo: si.. perché no; non dimentichiamone la storia! E anche mimose si, perché no. Ogni gatto sarebbe d'accordo.

Ma che nessuno usi le mimose in modo da frapporle a tutto il resto; a questo dobbiamo vigilare.
Con un caldo abbraccio a Lea, e a tutte.

venerdì 6 marzo 2015

Donne con la A: nominare il femminile. Una campagna per l'8 marzo 2015

Ciò che non esiste non viene nominato. Le donne oggi sono presenti anche in importanti ruoli istituzionali, nelle professioni, ai vertici di aziende pubbliche e private; eppure si preferisce continuare a nominarle con sostantivi e articoli al maschile. E' per infrangere questa incomprensibile distorsione della lingua italiana  che Se Non Ora Quando? lancia la campagna "donne con la A". Maestro/maestra, chirurgo/chirurga, sindaco/sindaca, avvocato/avvocata: in italiano le parole che finiscono in o, se declinate al femminile prendono la a. Restano invece invariate quelle che finiscono in e, anche se prendono l'articolo  femminile, ad esempio la giudice,  la presidente. Lo dice la grammatica italiana e lo sostiene anche la prestigiosa Accademia della Crusca.

Ma in nome di un presunto neutro, che l'italiano non ha, si continua a fare resistenza nel declinare al femminile molti titoli professionali: ministra, deputata, funzionaria, ingegnera, assessora. E' invece normale dire commessa, postina, operaia, infermiera.
Le donne, presenti oggi in tante professioni fino a poco tempo fa appannaggio solo degli uomini, vogliono la A: chiedono di essere riconosciute. 
Per questo 8 marzo  alle  istituzioni, alla pubblica amministrazione, alla  scuola, alla politica, all’informazione, chiediamo di usare il femminile ogni volta che si parla di una donna, qualunque ruolo o incarico ricopra. Siamo convinte che sia un passo necessario per garantire la rappresentazione dei due generi di cui è fatto il mondo: le donne non sono l'altra metà del cielo, sono una delle due metà.


Il movimento delle donne di Snoq ha anche inviato alla Presidente della Rai Anna Maria Tarantola. questa lettera:

Gentile Presidente, 
La nostra societa’ sta attraversando una fase di grande trasformazione e le donne hanno giocato e giocano un ruolo molto importante che purtroppo non è adeguatamente riconosciuto dai mezzi di comunicazione.
Oggi le donne occupano ruoli decisivi in politica, nelle istituzioni e nel mondo del lavoro ma si continua a parlare di loro al maschile in nome di un “neutro” che la nostra lingua non prevede.

Basta applicare le regole dell’italiano per il femminile per dar conto della loro presenza : se una donna guida un ministero e’ una ministra, se guida una città una sindaca, se presiede una corte di giustizia una giudice. Lo sostiene anche l’autorevole Accademia della Crusca, lo scrivono i nuovi dizionari.

Siamo convinte che Lei, nel ruolo che ricopre in Rai, possa dare un contributo fondamentale affinché nei programmi radio televisivi come nell’informazione del servizio pubblico, quando si parla di donne sia usato il femminile.

Rappresentarle e definirle in modo corretto favorirà il superamento degli stereotipi che ostacolano la crescita culturale e sociale del nostro paese. Crediamo che la reale parità dei diritti e delle opportunità passi dal riconoscimento delle differenze del genere.
La Rai, importante motore di cultura , nella sua funzione di servizio pubblico, puo’ e deve farsi interprete di questo cambiamento.
SENONORAQUANDO?