giovedì 27 novembre 2014

Uso ed abuso della libertà di informazione


Ma davvero crediamo che la libertà di espressione, garantita a tutti dalla Costituzione, si possa esercitare a danno degli altri? O che il diritto di cronaca dei giornalisti, sia illimitato e possa travolgere la vita delle persone? O che l’inerzia e il silenzio del passato debba imporre la stessa inerzia e silenzio per il presente e pure per il futuro? Io non lo credo affatto. E anche la discussione sull’Ordine sì o no, o sulla scelta della denuncia di esercizio abusivo della professione,  temo diventi un diversivo per non affrontare mai un problema che pure esiste. Sto parlando della scelta del Presidente dell’Ordine Enzo Iacopino di denunciare la conduttrice tv Barbara D’Urso per esercizio abusivo della professione. Qui il link della pagina fb di Enzo Iacopino che spiega con chiarezza il perché della sua azione.
Sono le reazione alla sua iniziativa che mi hanno lasciata perplessa. E di questo credo sia utile e importante parlare. Tralascio la discussione sulla necessità o meno dell’Ordine. E’ un dibattito antico e naturalmente lecito, che portò anche ad un referendum abrogativo che naufragò. E’ un tema che si ripropone e si riproporrà sempre ma che, a mio avviso, non ha nulla a che fare con questa vicenda. Con la quale si è voluto segnalare che i media calpestano la vita e i diritti delle persone coinvolti in episodi di cronaca.  
Alcuni hanno scritto: è accaduto da sempre! Vero, tristemente vero. Ma per questo dobbiamo tacere ora e sempre? Non è solo Barbara D’Urso a farlo! Stravero (e in tv non c'è limite al peggio).

Ma da qualche parte bisognerà pure cominciare? E quando la D’Urso si difende affermando che “ei ha il dovere d’informare, è utile e doveroso spiegare a lei e a tutti che il dovere d’informare non ha nulla a che vedere col trascinare in studio presunti amici, fidanzati, conoscenti di una delle tante donne vittime ammazzate?
Con molte altre donne, giornaliste o non, singole e con associazioni, abbiamo scritto tantissime lettere a direttori di giornali per articoli scandalosi e vergognosi verso le vittime. Denunciamo che si usino termini come raptus, follia o gelosia per raccontare e giustificare i troppi casi di femminicidio. Che a 35 anni di distanza dal prezioso documentario “Processo per stupro”, di Loredana Rotondo, sono quasi sempre e solo le vittime della violenza a finire sul banco degli imputati allestito dai media.
Abbiamo chiesto che il tema del linguaggio di genere entrasse nei corsi per i praticanti e in quelli di aggiornamento professionale per i giornalisti, che l’Ordine nazionale e i vari Ordini regionali hanno e stanno tenendo. Le risposte positive ci sono state e sono importanti. Proprio Iacopino è stato il primo a darle, e per fortuna non è stato il solo. Tutto questo denota un’attenzione nuova alle riflessioni e richieste che le donne, giornaliste e non, hanno svolto e svolgono. Anche questa denuncia testimonia che c’è una sensibilità e attenzione che non appartiene più solo alle donne. Che ci sono molti uomini attenti  alle parole delle donne e a quelle di coloro travolti dalla prepotenza e invadenza della cattiva informazione. Soprattutto nei programmi di intrattenimento che, non essendo riconducibili a testate giornaliste, pensano di essere un territorio immune da regole deontologiche o limiti di legge.
No, non esiste immunità per nessuno, giornalisti e non. La buona informazione si può e si deve esercitare rispettando la vita degli altri. Questo è e deve essere il tema. Affontiamolo con serietà tutte e tutti. Partiamo da qui, ora, augurandoci serva per il futuro.
Cinzia Romano

1 commento:

  1. condivido totalmente questa impostazione che chiede affronta il problema del linguaggio di genere e del rispetto da parte dei media delle vittime di violenza

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