lunedì 10 novembre 2014

Pink Ribbons Inc. arriva in Italia: la presentazione a Bologna

Il 29 ottobre scorso a Bologna, presso la Biblioteca Italiana delle Donne, si è svolta la proiezione del documentario di produzione canadese Nastri Rosa Spa (Pink Ribbons Inc.), disponibile per la prima volta con sottotitoli in italiano. 
L’evento è stato organizzato dal Centro di Salute Internazionale (CSI) dell’Università di Bologna, con il supporto del Gruppo Prometeo e di Mujeres Libres
Prima della proiezione, Alice Fabbri del CSI (esperta di conflitto di interessi in campo sanitario), ne ha introdotto i temi. Circa un centinaio di persone ha visto il film, uscito nel 2011 e diretto da Léa Pool, e ha poi partecipato al dibattito cui hanno dato il via gli interventi di Grazia De Michele, fondatrice del blog collettivo Le Amazzoni Furiose, Cinzia Greco, antropologa medica, e Viviana, attivist* della Consultoria Queer di Bologna. 
Il documentario, tratto dal libro di Samantha King Pink Ribbons Inc. Breast Cancer and the Politics of Philanthropy, pubblicato nel 2006 e mai tradotto in italiano, analizza i legami tra il capitalismo delle multinazionali e alcune organizzazioni no-profit che raccolgono fondi e organizzano campagne di sensibilizzazione sul cancro al seno, come Susan G. Komen, le cui race for the cure, attirano migliaia di partecipanti. 
Attraverso interviste a ricercatrici e attiviste (ma anche alla fondatrice di Komen, Nancy Brinker, e all’attuale direttore esecutivo di Avon Foundation, Marc Hulbert), il film ricostruisce la storia del nastro rosa sottratto dalla casa di cosmetici Estee Lauder e dalla rivista americana Self alla sua ideatrice, Charlotte Haley

La quale spiega come, dopo aver visto diversi suoi familiari ammalarsi di cancro al seno, avesse confezionato con le sue mani dei nastrini color salmone che distribuiva per strada per chiedere maggiori investimenti nella ricerca sulla prevenzione primaria. 
Fu il suo rifiuto di dare il permesso di utilizzare la sua creazione per una campagna di sensibilizzazione nel 1992 ad indurre Estee Lauder e Self a cambiare il colore del nastro scegliendo, dopo accurate ricerche di mercato, il rosa. 
Nel corso degli anni, quello del nastro rosa è diventato un vero e proprio business utilizzato da aziende che immettono sul mercato prodotti contenenti sostanze cancerogene per aumentare le vendite e rifarsi la reputazione. 
Un fenomeno noto come pinkwashing, termine coniato nel 2002 dalle attiviste dell’organizzazione statunitense Breast Cancer Action, che coinvolge aziende e marchi molto noti, inclusa la casa automobilistica Ford
Le cause ambientali della malattia, come l’esposizione involontaria ai cancerogeni, vengono sistematicamente occultate dalle campagne legate al nastro rosa, così come nessuno spazio viene riconosciuto alle donne con cancro al seno metastatico. Alcune di loro, componenti di uno dei pochissimi gruppi di supporto per chi si trova all’ultimo stadio della malattia, esprimono nel film le loro considerazioni sull’uso strumentale della malattia che le porterà molto probabilmente alla morte e sul silenzio che grava sulla loro condizione.
Al termine della proiezione, Grazia De Michele, fondatrice del blog collettivo Le Amazzoni Furiose, ha raccontato la sua esperienza di malattia e le motivazioni che l’hanno spinta ad unirsi alle attiviste statunitensi che da anni oppongono resistenza alla mercificazione del cancro al seno e alla cultura del nastro rosa che vi ruota intorno. 
Grazia ha raccontato di essersi ammalata a trent’anni, senza nesssun precedente in famiglia e senza nessuna mutazione genetica, e di aver sentito subito la necessità di capire come una cosa simile potesse essere successa a lei e a molte altre donne che incontrava in ospedale. Di fronte alle risposte evasive dei medici, ha cominciato a cercare delle risposte da sola finchè non si è imbattuta nel blog dell’attivista AnneMarie Ciccarella e nel sito di Breast Cancer Action e si è resa conto che le sue domande erano legittime e che altre donne se le facevano dall’altra parte dell’Atlantico pretendendo risposte. 
La decisione di aprire un blog in italiano – ha spiegato Grazia – è stata dettata dal desiderio di portare nel nostro paese la riflessione critica sull’industria del cancro al seno, che gode invece di grossi appoggi anche tra figure di primo piano dell’establishment medico come Umberto Veronesi.
Cinzia Greco, antropologa medica, esperta di questioni di genere e dottoranda presso l’Ėcole des Hautes Ėtudes en Sciences Sociales di Parigi dove sta conducendo una ricerca sul modo in cui le donne operate di cancro al seno vivono la mastectomia e la ricostruzione, ha sottolineato come la malattia colpisce una parte del corpo fortemente eroticizzata e per questo le sue conseguenze estetiche vengono enfatizzate. In circa il 30% dei casi è necessario effettuare una mastectomia, ossia rimuovere completamente il seno malato, e chi sceglie di non fare ricorso alla ricostruzione chirurgica o indossare protesi esterne si trova nell’impossibilità di vedere riconosciuto socialmente il proprio corpo asimmetrico. Non esistono, per esempio, linee di lingerie o abbigliamento per donne con un seno solo. Riprendendo le rilessioni della poetessa statunitense Audre Lorde, anche lei colpita dal cancro al seno e autrice dei Cancer Journals (tradotti in italiano solo recentemente a distanza di oltre trent’anni dalla pubblicazione in inglese), Cinzia ha spiegato che rendere invisibile il corpo malato serve di fatto a nascondere gli effetti del cancro al seno, trasformandolo in qualcosa di accettabile e dalle conseguenze cancellabili. Nel cancro al seno le norme di femminilità e normalità si intrecciano, e dare visibilità ai corpi differenti potrebbe essere un modo per rendere visibile la malattia e per ripoliticizzare la riflessione sul cancro al seno, mettendo l'accento non su come nascondere gli effetti della malattia, ma su cosa si può fare per ridurre i casi di cancro.  
Viviana, della Consultoria Queer, ammalatasi anche lei di cancro al seno in giovane età, ha ribadito con forza che la la retorica militarista e ottimistica secondo cui la malattia si combatte e si vince è molto frustrante per chi non vi si riconosce e non corrisponde alla realtà. Ancora più frustrante, secondo Viviana, è vedersi imposto un modello di “malata”: bianca, eterosessuale e di classe media. Un modello che marginalizza fino a farle scomparire le esperienze di tutte quelle che non appartengono a queste categorie. Le donne con il cancro al seno vengono rappresentate come eroine sempre sorridenti, senza nessun sentimento di rabbia. La grande assente in questo genere di narrazione stereotipato è la morte che, vista come un fallimento, viene pietisticamente rimossa. Le guerriere in rosa vengono inoltre infantilizzate, ha sottolineato Viviana, e rese dunque più governabili soprattutto quando si rapportano ai medici e al sapere medico.
Agli interventi delle tre relatrici è seguito un interessante dibattito che ha dato la possibilità di approfondire alcuni aspetti della questione e ha mostrato l’interesse e la sete di conoscenza da parte del pubblico verso tematiche di cui in Italia si parla putroppo quasi sempre in modi che andrebbero rimessi in discussione. Occasioni come questa di Bologna rappresentano un primo passo verso la costruzione e diffusione di una nuova sensibilità e di una nuova consapevolezza.

2 commenti:

  1. la stragrande maggioranza delle donne ha due seni perciò la maggioranza delle linee di lingerie è tarata su questo così come non esistono mutande per uuomo per chi ha avuto l'asportazione di un testicolo o linee di vestiti per chi ha perso un braccio o una gamba, la norma è avere due braccia e due gambe. Sarebbe certo giusto se esistesse anche una linea per donne che hanno subito l'asportazione di un seno.

    dopodchè chi vuole mettersi la protesi ne ha pieno diritto come chi decide diversamente

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    1. che poi il seno possa avere e abbia anche una valenza erotica è vero e non c'è nulla di sbagliato in questo, e l'eros sicuramente fa parte della vita, non va negato. Questo non autorizza ad umiliare una donna mastectomizzata che, con o senza protesi, può ancora avere una vita amorosa

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