giovedì 27 novembre 2014

Uso ed abuso della libertà di informazione


Ma davvero crediamo che la libertà di espressione, garantita a tutti dalla Costituzione, si possa esercitare a danno degli altri? O che il diritto di cronaca dei giornalisti, sia illimitato e possa travolgere la vita delle persone? O che l’inerzia e il silenzio del passato debba imporre la stessa inerzia e silenzio per il presente e pure per il futuro? Io non lo credo affatto. E anche la discussione sull’Ordine sì o no, o sulla scelta della denuncia di esercizio abusivo della professione,  temo diventi un diversivo per non affrontare mai un problema che pure esiste. Sto parlando della scelta del Presidente dell’Ordine Enzo Iacopino di denunciare la conduttrice tv Barbara D’Urso per esercizio abusivo della professione. Qui il link della pagina fb di Enzo Iacopino che spiega con chiarezza il perché della sua azione.
Sono le reazione alla sua iniziativa che mi hanno lasciata perplessa. E di questo credo sia utile e importante parlare. Tralascio la discussione sulla necessità o meno dell’Ordine. E’ un dibattito antico e naturalmente lecito, che portò anche ad un referendum abrogativo che naufragò. E’ un tema che si ripropone e si riproporrà sempre ma che, a mio avviso, non ha nulla a che fare con questa vicenda. Con la quale si è voluto segnalare che i media calpestano la vita e i diritti delle persone coinvolti in episodi di cronaca.  
Alcuni hanno scritto: è accaduto da sempre! Vero, tristemente vero. Ma per questo dobbiamo tacere ora e sempre? Non è solo Barbara D’Urso a farlo! Stravero (e in tv non c'è limite al peggio).

Ma da qualche parte bisognerà pure cominciare? E quando la D’Urso si difende affermando che “ei ha il dovere d’informare, è utile e doveroso spiegare a lei e a tutti che il dovere d’informare non ha nulla a che vedere col trascinare in studio presunti amici, fidanzati, conoscenti di una delle tante donne vittime ammazzate?
Con molte altre donne, giornaliste o non, singole e con associazioni, abbiamo scritto tantissime lettere a direttori di giornali per articoli scandalosi e vergognosi verso le vittime. Denunciamo che si usino termini come raptus, follia o gelosia per raccontare e giustificare i troppi casi di femminicidio. Che a 35 anni di distanza dal prezioso documentario “Processo per stupro”, di Loredana Rotondo, sono quasi sempre e solo le vittime della violenza a finire sul banco degli imputati allestito dai media.
Abbiamo chiesto che il tema del linguaggio di genere entrasse nei corsi per i praticanti e in quelli di aggiornamento professionale per i giornalisti, che l’Ordine nazionale e i vari Ordini regionali hanno e stanno tenendo. Le risposte positive ci sono state e sono importanti. Proprio Iacopino è stato il primo a darle, e per fortuna non è stato il solo. Tutto questo denota un’attenzione nuova alle riflessioni e richieste che le donne, giornaliste e non, hanno svolto e svolgono. Anche questa denuncia testimonia che c’è una sensibilità e attenzione che non appartiene più solo alle donne. Che ci sono molti uomini attenti  alle parole delle donne e a quelle di coloro travolti dalla prepotenza e invadenza della cattiva informazione. Soprattutto nei programmi di intrattenimento che, non essendo riconducibili a testate giornaliste, pensano di essere un territorio immune da regole deontologiche o limiti di legge.
No, non esiste immunità per nessuno, giornalisti e non. La buona informazione si può e si deve esercitare rispettando la vita degli altri. Questo è e deve essere il tema. Affontiamolo con serietà tutte e tutti. Partiamo da qui, ora, augurandoci serva per il futuro.
Cinzia Romano

martedì 25 novembre 2014

L' Africa, la violenza, io.

 mio figlio e madre terra
Sono stata in Africa. L’Africa è nostalgia di te. E’ una madre che è terra rossa, arida, secca. 
Puoi percorrere chilometri per ore senza incontrare un’auto, un essere umano. lungo una strada sterrata che sembra un’infinita rotaia verso l’orizzonte, e intorno solo rocce, sabbia, arbusti assetati e qualche animale di passaggio. Che si ferma, ti scruta, riprende il suo percorso nella quiete. 

C’è silenzio in Africa. Lo ascolti, ed è un richiamo. 

E sei in un enorme ventre, un ombelico ti avvicina a sè, come una calamita. 
L’Africa è madre potente. Potente e amorevole: nello svelarti la tua nullità ti restituisce la tua grandezza. 
E’ una terra immensa, che comprende te e un tutto che scopri per la prima volta. 

Perché umiliamo la terra? Forse perché ne abbiamo paura, perché non saremo mai altrettanto grandi, perché la natura, con la sua bellezza, ci deride, lei che è immortale. 
C’è una grande violenza nello sfruttamento continuo della terra, delle sue risorse, dei suoi paesaggi; uno sfruttamento ad uso esclusivo del profitto, che dimentica l’origine, i bisogni dell’esistenza, la reciprocità tra gli esseri umani. Una pratica scellerata che ha prodotto lo sfacelo ambientale a cui assistiamo e che continua a sfruttare milioni di persone producendo povertà e dolore. La stessa violenza che soffoca ogni giorno milioni di donne e di bambine.

Quale la relazione tra l’offesa della terra e l’offesa delle donne?
Forse spaventa la potenza del ventre, dei nostri corpi culle di vita. 
In soggezione perenne, c’è un maschile che arranca nell’apprensione, in una vita che è fuga dal vero, da una bellezza così abbagliante da farsi odiare, nel profondo, e da strappare. Anche se, in ogni strappo, strappa radici di sè.

Eppure un altro modus vivendi, un altro scenario, è possibile. Riconoscendosi, semplicemente.


Occorre ripensare gli equilibri tra esseri umani e tra esseri umani e il pianeta. Esiste un ecofemminismo che si muove verso una nuova direzione, perché ciò che sembra un’utopia si possa in futuro realizzare. Serve il coraggio di sostenerlo, serve ricordarci che le cose cambiano.

Con la sua forza il femminile può trascinare con sé un maschile incerto e resistente, impegnato a non cedere potere. Ma non si tratta di cedere potere. E’ il tempo di comprendere che questo millenario potere non è che fonte di un falso profitto e che nulla ha a che fare con la felicità, nemmeno per il maschile sempre più violento quanto fragile.


Se la soggezione verso il femminile saprà tramutarsi in riconoscenza, se l’inutilità dell’affanno saprà lasciare il posto alla reciprocità, allora troverà respiro l’abbandono, e l’ammirazione darà spazio al rispetto, e il sollievo ucciderà la competizione. 

In uno scenario che è scempio, violenza, guerra, distruzione e autodistruzione, pare inverosimile proporre nuove direzioni
Se la politica e l’economia verranno affidate a donne che fanno proprio il modello maschile, nulla cambierà. 
Ma se sosterremo quelle donne che già oggi sono in grado di “aiutare gli uomini ad evitare la guerra” (cit. Virginia Wolf), una guerra che è violenza contro il pianeta, contro le donne, contro la vita, potremo farcela. 

Dobbiamo provarci, dobbiamo crederci. L’unico percorso verso noi stessi, è quello del ricongiungimento. 

#G20
#25novDonnePianeta 
#25novWomenforPlanet 
#NoPlanetB

giovedì 20 novembre 2014

Sia un 25 novembre contro la cultura dello stupro: delle donne e del Pianeta

Nella Giornata Internazionale per i diritti dell'Infanzia ricordiamo che ai nostri bambini e alle nostre bambine stiamo togliendo il futuro. E che, senza aspettare il gravissimo ultimo allarme dell'ONU, da tempo in tutto il mondo le donne stanno battagliando per impegni sul clima; perché, come ha detto Winnie Byanyima bacchettando il #G20: i potenti della terra non possono più permettersi di ignorare che le 2 maggiori sfide del nostro tempo sono la disparità di genere e il cambio climatico
E non possiamo permettercelo neanche noi. Si aggiunga che - benché molti stentino a coglierla - esiste una stretta connessione fra la violenza contro le donne, e quella contro il Pianeta: e sta nella cultura che sottende alla sopraffazione. 
Per questo si tratta di 2 sfide strettamente collegate: e questo 25 novembre è ora di dirlo.
E' ora di riconoscere, e di dire, che la cultura dello stupro delle donne e la cultura dello stupro del Pianeta sono la  stessa cosa.
E che, se i Governi non raccolgono l'allarme più grave di sempre appena lanciato dall'ONU, possiamo farlo noi, le donne
Già un anno fa l'IWECI (International Women's Earth and Climate Summit) approvò una Dichiarazione (che  fu integralmente recitata in italiano anche in questo video). Una chiamata che, a solo un anno di tempo, appare alquanto profetica. E che è anche preziosa per capire: non si tratta di slogan, ma di una denuncia circostanziata e di un programma di proposte concrete: uno strumento utile di vera informazione a cui rimandiamo. Donne: facciamo di più?
#25novDonnePianeta
#25novWomen4Planet 
Noi donne possiamo fare la differenza; e possiamo cominciare a farla mettendo a tema, per il 25 novembre, anche la connessione che esiste fra violenza contro le donne, e violenza contro il Pianeta.
Ad alcun* il tema sembrerà tirato per i capelli.. ma così non è; un tema complesso va approfondito. Lo ha fatto per noi, esattamente un mese fa, Jody Williams (Nobel par la Pace nel 1997), parlando al Women Leading Solutions on the Frontlines of Climate Change


#noViolenzadonne
#noViolenzaPianeta
#nonesistePianetaB

Riconosciamo cosa nasconde la cultura dello stupro nel suo senso più pieno, così come ben sintetizzato da Vandana Shiva: ho più volte sostenuto che lo stupro della Terra e lo stupro delle donna sono intimamente connessi - sia metaforicamente, nel modo di cui si costruisce la visione del mondo, sia materialmente: nel modo in cui si costruiscono le vite quotidiane delle donne. (esiste) connessione tra lo sviluppo di politiche economiche violente ed inique, e l'aumento di crimini contro le donne. (…) L'idea di una crescita illimitata in un mondo limitato può mantenersi solo attraverso il furto delle risorse del debole da parte del potente. E il furto di risorse, essenziale per la crescita, crea una cultura dello stupro: lo stupro della terra, delle economie locali autosostenibili, lo stupro delle donne. (…) dobbiamo cambiare il paradigma dominante: porre fine alla violenza contro le donne significa anche superare l'economia violenta a favore di economie pacifiche e non violente, capaci di rispettare le donne e il Pianeta.
Basta mettere la testa sotto alla sabbia. Basta con la politica degli struzzi.

lunedì 17 novembre 2014

Il 3 dicembre un seminario a Roma: invito agli Organismi e alle Consigliere di parità

L'Accordo di Azione Comune per la Democrazia Paritaria invita gli Organismi e le Consigliere di parità al seminario Democrazia paritaria e pari opportunità: norme, esperienza e confronto con Paesi Europei che si svolgerà a Roma il 3 dicembre 2014, dalle ore 15,00 alle ore 17.30 presso la sala del Parlamento Europeo (via IV Novembre n. 149)

Partecipate! per adesioni e informazioni scrivere a: danielacarla2@gmail.com • morronir@libero.it 

L'Accordo di Azione Comune per la Democrazia Paritaria raccoglie oltre 50 associazioni e gruppi di donne  impegnate nelle istituzioni, nelle associazioni femminili, nei partiti, nei sindacati, nella società civile, in un coordinamento che si prefigge di realizzare la  partecipazione paritaria delle donne alla gestione della Cosa Pubblica nei luoghi decisionali, nelle istituzioni e nelle assemblee elettive di tutti i livelli, esercitando un'azione di pressione al fine di ottenere l'introduzione nella legislazione di norme di garanzia per una rappresentanza di genere paritaria.  

giovedì 13 novembre 2014

Esondano catastrofi climatiche ovunque, ma i governi restano sordi e ciechi

Nessuno - dico nessuno - che spieghi cosa realmente sta succedendo, e nessuno che colleghi quello che sta succedendo con il recentissimo allarme dell'ONUDa tutti i tg esondano immagini di catastrofi climatiche, commentate solo da stupidaggini. Media e politici pari sono: tutti zitti.
Nessuno: perché parlare metterebbe la gente nelle condizioni di capire, e rigettare, i folli programmi economici e politici che sono in atto ovunque: invece di correre ai ripari, si corre più forte verso il suicidio annunciato. Anche il nostro governo, anziché puntare su turismo e  green economy, senza timore di distruggere quel che resta del già devastato patrimonio ambientale italiano, pensa  di ottenere la "crescita"  trivellando (!) e cementando. Il che si può commentare in un solo modo:
I nostri politici dovrebbero essere sbattuti in galera per la loro ostinata cecità… Stiamo chiudendo gli occhi davanti alle conseguenze per i nostri figli e nipoti. È un crimine intergenerazionale (David Suzuki)
E chiedendosi: ma di quale crescita stiamo parlando?
Gli esiti di questa sordità esondano in tutti i campi: una economia sostenuta da armi e petrolio non può che produrre nuova povertà; così a un allarme Onu se ne sussegue un altro - ad esempio: i profughi iracheni e siriani verranno abbandonati…! ormai insufficienti i fondi.
E perfino i sindacati, continuano a parlare di diritti da difendere in modo astratto: nessuna visione strategica, nessuna capacità di fare 2+2.

 
Ma anche noi donne, dovremmo fare di più. In tutto il mondo le donne sono in prima linea nella battaglia per la difesa di un Pianeta esausto e ormai in gravissimo rischio di sopravvivenza. Esattamente un anno fa, proprio dal Summit delle Donne per il Clima fu lanciato un forte appello ad azioni urgenti - lo trovate qui. Ma in Italia in poche l'hanno raccolto. Donne, vogliamo fare di più?

lunedì 10 novembre 2014

Pink Ribbons Inc. arriva in Italia: la presentazione a Bologna

Il 29 ottobre scorso a Bologna, presso la Biblioteca Italiana delle Donne, si è svolta la proiezione del documentario di produzione canadese Nastri Rosa Spa (Pink Ribbons Inc.), disponibile per la prima volta con sottotitoli in italiano. 
L’evento è stato organizzato dal Centro di Salute Internazionale (CSI) dell’Università di Bologna, con il supporto del Gruppo Prometeo e di Mujeres Libres
Prima della proiezione, Alice Fabbri del CSI (esperta di conflitto di interessi in campo sanitario), ne ha introdotto i temi. Circa un centinaio di persone ha visto il film, uscito nel 2011 e diretto da Léa Pool, e ha poi partecipato al dibattito cui hanno dato il via gli interventi di Grazia De Michele, fondatrice del blog collettivo Le Amazzoni Furiose, Cinzia Greco, antropologa medica, e Viviana, attivist* della Consultoria Queer di Bologna. 
Il documentario, tratto dal libro di Samantha King Pink Ribbons Inc. Breast Cancer and the Politics of Philanthropy, pubblicato nel 2006 e mai tradotto in italiano, analizza i legami tra il capitalismo delle multinazionali e alcune organizzazioni no-profit che raccolgono fondi e organizzano campagne di sensibilizzazione sul cancro al seno, come Susan G. Komen, le cui race for the cure, attirano migliaia di partecipanti. 
Attraverso interviste a ricercatrici e attiviste (ma anche alla fondatrice di Komen, Nancy Brinker, e all’attuale direttore esecutivo di Avon Foundation, Marc Hulbert), il film ricostruisce la storia del nastro rosa sottratto dalla casa di cosmetici Estee Lauder e dalla rivista americana Self alla sua ideatrice, Charlotte Haley

La quale spiega come, dopo aver visto diversi suoi familiari ammalarsi di cancro al seno, avesse confezionato con le sue mani dei nastrini color salmone che distribuiva per strada per chiedere maggiori investimenti nella ricerca sulla prevenzione primaria. 
Fu il suo rifiuto di dare il permesso di utilizzare la sua creazione per una campagna di sensibilizzazione nel 1992 ad indurre Estee Lauder e Self a cambiare il colore del nastro scegliendo, dopo accurate ricerche di mercato, il rosa. 
Nel corso degli anni, quello del nastro rosa è diventato un vero e proprio business utilizzato da aziende che immettono sul mercato prodotti contenenti sostanze cancerogene per aumentare le vendite e rifarsi la reputazione. 
Un fenomeno noto come pinkwashing, termine coniato nel 2002 dalle attiviste dell’organizzazione statunitense Breast Cancer Action, che coinvolge aziende e marchi molto noti, inclusa la casa automobilistica Ford
Le cause ambientali della malattia, come l’esposizione involontaria ai cancerogeni, vengono sistematicamente occultate dalle campagne legate al nastro rosa, così come nessuno spazio viene riconosciuto alle donne con cancro al seno metastatico. Alcune di loro, componenti di uno dei pochissimi gruppi di supporto per chi si trova all’ultimo stadio della malattia, esprimono nel film le loro considerazioni sull’uso strumentale della malattia che le porterà molto probabilmente alla morte e sul silenzio che grava sulla loro condizione.
Al termine della proiezione, Grazia De Michele, fondatrice del blog collettivo Le Amazzoni Furiose, ha raccontato la sua esperienza di malattia e le motivazioni che l’hanno spinta ad unirsi alle attiviste statunitensi che da anni oppongono resistenza alla mercificazione del cancro al seno e alla cultura del nastro rosa che vi ruota intorno. 
Grazia ha raccontato di essersi ammalata a trent’anni, senza nesssun precedente in famiglia e senza nessuna mutazione genetica, e di aver sentito subito la necessità di capire come una cosa simile potesse essere successa a lei e a molte altre donne che incontrava in ospedale. Di fronte alle risposte evasive dei medici, ha cominciato a cercare delle risposte da sola finchè non si è imbattuta nel blog dell’attivista AnneMarie Ciccarella e nel sito di Breast Cancer Action e si è resa conto che le sue domande erano legittime e che altre donne se le facevano dall’altra parte dell’Atlantico pretendendo risposte. 
La decisione di aprire un blog in italiano – ha spiegato Grazia – è stata dettata dal desiderio di portare nel nostro paese la riflessione critica sull’industria del cancro al seno, che gode invece di grossi appoggi anche tra figure di primo piano dell’establishment medico come Umberto Veronesi.
Cinzia Greco, antropologa medica, esperta di questioni di genere e dottoranda presso l’Ėcole des Hautes Ėtudes en Sciences Sociales di Parigi dove sta conducendo una ricerca sul modo in cui le donne operate di cancro al seno vivono la mastectomia e la ricostruzione, ha sottolineato come la malattia colpisce una parte del corpo fortemente eroticizzata e per questo le sue conseguenze estetiche vengono enfatizzate. In circa il 30% dei casi è necessario effettuare una mastectomia, ossia rimuovere completamente il seno malato, e chi sceglie di non fare ricorso alla ricostruzione chirurgica o indossare protesi esterne si trova nell’impossibilità di vedere riconosciuto socialmente il proprio corpo asimmetrico. Non esistono, per esempio, linee di lingerie o abbigliamento per donne con un seno solo. Riprendendo le rilessioni della poetessa statunitense Audre Lorde, anche lei colpita dal cancro al seno e autrice dei Cancer Journals (tradotti in italiano solo recentemente a distanza di oltre trent’anni dalla pubblicazione in inglese), Cinzia ha spiegato che rendere invisibile il corpo malato serve di fatto a nascondere gli effetti del cancro al seno, trasformandolo in qualcosa di accettabile e dalle conseguenze cancellabili. Nel cancro al seno le norme di femminilità e normalità si intrecciano, e dare visibilità ai corpi differenti potrebbe essere un modo per rendere visibile la malattia e per ripoliticizzare la riflessione sul cancro al seno, mettendo l'accento non su come nascondere gli effetti della malattia, ma su cosa si può fare per ridurre i casi di cancro.  
Viviana, della Consultoria Queer, ammalatasi anche lei di cancro al seno in giovane età, ha ribadito con forza che la la retorica militarista e ottimistica secondo cui la malattia si combatte e si vince è molto frustrante per chi non vi si riconosce e non corrisponde alla realtà. Ancora più frustrante, secondo Viviana, è vedersi imposto un modello di “malata”: bianca, eterosessuale e di classe media. Un modello che marginalizza fino a farle scomparire le esperienze di tutte quelle che non appartengono a queste categorie. Le donne con il cancro al seno vengono rappresentate come eroine sempre sorridenti, senza nessun sentimento di rabbia. La grande assente in questo genere di narrazione stereotipato è la morte che, vista come un fallimento, viene pietisticamente rimossa. Le guerriere in rosa vengono inoltre infantilizzate, ha sottolineato Viviana, e rese dunque più governabili soprattutto quando si rapportano ai medici e al sapere medico.
Agli interventi delle tre relatrici è seguito un interessante dibattito che ha dato la possibilità di approfondire alcuni aspetti della questione e ha mostrato l’interesse e la sete di conoscenza da parte del pubblico verso tematiche di cui in Italia si parla putroppo quasi sempre in modi che andrebbero rimessi in discussione. Occasioni come questa di Bologna rappresentano un primo passo verso la costruzione e diffusione di una nuova sensibilità e di una nuova consapevolezza.

domenica 9 novembre 2014

Purtroppo per gli Alberto Zelger, le donne ragionano

C'è il virgola 33 periodico e poi ci sono, sempre periodicamente, le uscite degli stupidi all'Alberto Zelger  - consigliere comunale di Verona - che in cerca di pubblicità negativa (novelli Lombroso), travisano persino gli studi sul cervello umano per poter affermare la superiorità maschile su quella femminile. Decidendo così di stare fuori dalla storia oltreché dalla scienza, visto che da Madame Marie Curie a Rita Levi Montalcini alla più recente scienziata Fabiola Gianotti del CERN di Ginevra - per stare solo nella scienza - i dati, indiscutibili, portano a riconoscere la donna come perno della ricerca e dell'innovazione nel mondo.
Ma mi piace rispondere - a quel Zelger e ai suoi pari - ancora oggi come fece, nel dibattito parlamentare del 1947, una Madre Costituente, l'allora giovanissima Teresa Mattei. 
Quando un maleducato e arretrato collega liberale, in risposta alla causa da lei sostenuta (che anche le donne avessero accesso alla carriera di magistrato), portò come ridicolo argomento: Signorina, lei non sa che in certi giorni del mese le donne non ragionano? lei rispose calma: E lei lo sa che molti uomini invece non ragionano mai, per tutti i giorni del mese?

Riguardo invece all'imbarazzante argomentazione di Zelger, che "se l'emisfero sinistro del cervello di un uomo viene colpito, lui smette di parlare; mentre una donna continua a farlo anche in quel caso".. la risposta (diversa dalle sue conclusioni) in effetti ci sarebbe: ma forse degli "studi scientifici" che cita si limita a leggere le didascalie. Unisca i puntini e troverà (forse) la soluzione.
Laura Puppato




sabato 8 novembre 2014

In spregio ad appello Onu sul clima, Sblocca-Italia è legge. Indignazione per l'irresponsabile sordità del governo

Con esecrabile voto di fiducia l'esecrabile Sblocca-Italia, con tutto il suo esecrabile bagaglio di sblocca-trivelle e di minacce per la democrazia, è legge dello Stato. E, a pochi giorni dall'inequivocabile appello dell'ONU sul clima, per l'improrogabile necessità di abbandonare i combustibili fossili (e mentre le alluvioni si susseguono e la Sicilia è battuta da un uragano tropicale), l'approvazione di una legge così catastroficamente sorda ai richiami degli scienziati è qualcosa di talmente sinistro che lascia senza fiato.
Più che mai giustificate dunque le mobilitazioni dell'8 novembre.
Perché non esiste Pianeta B, per cominciare.

Perché lascia basiti che si pensi di dare "soluzioni alla crisi" raccogliendo e dando adempimento alla dissennata Sen (Strategia energetica nazionale) che (se inizialmente, con Berlusconi, prevedeva addirittura il nucleare!) con il governo Monti puntava tutto sul petrolio. E anche oggi zero attenzione invece alle rinnovabili - tantomeno a green e blue economy.


Per inciso, lo Sblocca-Italia è davvero una minaccia per la democrazia e per il nostro futuro; e lo è per molti motivi; ad esempio per come incentiva e finanzia infrastrutture pesanti (autostradali ed energetiche), per come porta all’estremo la deregulation edilizia e fomenta la privatizzazione dei beni demaniali, per come affossa i meccanismi di controllo dello Stato… eccetera. Ma soprattutto, per come promuove i combustibili fossili e fa inauditi regali ai petrolieri di ogni ordine e grado (con gli artt. 36, 37 e 38 del capo IX riguardante “Misure urgenti in materia di energia”).
E perché attribuisce “carattere di interesse strategico […] di pubblica utilità, urgenti e indifferibili” alle attività di prospezione, ricerca ed estrazione di idrocarburi e stoccaggio sotterraneo del gas, di rigassificazione e trasporto del gas in Italia e in Europa: azzerando in un colpo ogni intralcio alle multinazionali del petrolio e del gas (tempi adeguati all'approvazione dei progetti, impedimenti ed opposizioni dei territori, costi degli investimenti).
Il tutto togliendo decisionalità agli enti locali (e dunque valore alle voci dei cittadini) sui progetti energetici: le comunità e i territori infatti non avranno più voce in capitolo sulle realizzazioni di gasdotti, terminali di rigassificazione di GNL, stoccaggi di gas e infrastrutture di trasporto del gas naturale. Né sulle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di gas e greggio, nella terraferma e nel mare: non discutibili perché di “interesse strategico, di pubblica utilità, urgenti e indifferibili”. In quattro e quattr'otto ci si appresta a mandare a compimento oltre 100 progetti in tutta Italia. Bontà dei petrolizzatori, si vietano (per grande concessione!) “ricerca e estrazione di shale gas e shale oil e il rilascio dei relativi titoli minerari” con la tecnica del fracking, ma senza trasparenza: consentendo che restino secretati i piani ingegneristici delle compagnie petrolifere.
Un disastro che ha a corollario una ricca costellazione di disastri collaterali - si, le ragioni di preoccupazione sono tante, e gravi. Qui le opinioni di Paolo Berdini, Anna Maria Bianchi, Massimo Bray, Antonello Caporale, Vezio De Lucia, Pietro Dommarco, Anna Donati, Domenico Finiguerra, Maria Pia Guermandi, Giovanni Losavio, Paolo Maddalena, Luca Martinelli, Tomaso Montanari, Carlo Petrini, Edoardo Salzano e Salvatore Settis.
E - tutto ciò, a pochi giorni dall'inequivocabile appello dell'ONU. Che il Ministro dell'Ambiente (ahimé) ha definito una chiamata a responsabilità x mondo, invocando presa di coscienza globale:
Poi, però, la chiamata vera è stata a serrare le fila per petrolizzare l'Italia.
Ma il premier e il parlamentari non pensano nemmeno ai propri figli? A quanto pare no, oppure non sanno abbastanza, o non capiscono niente (2 fatti già troppe volte dimostrati). 
Certo è che se, con i paraocchi e le orecchie tappate, il nostro Parlamento fuori dal mondo mirava senza alcuno sguardo critico all'insano obiettivo di far decollare la produzione del petrolio in Italia, non può stupirci che la notizia di più grave importanza planetaria del secolo sia stata snobbata dai più grandi quotidiani nazionali - tenendo così i cittadini, come sempre, all'oscuro e anestetizzati.
Teniamoci svegli: facciamo tutto il possibile. 
Non c'è più spazio per scherzare né tempo da perdere.
E, per cominciare, diventiamo coscienti di come tutto ciò sia diretta conseguenza ed espressione della cultura dello stupro su cui tanto ci interroghiamo.

venerdì 7 novembre 2014

Rosa Shocking. Violenza, stereotipi... e altre questioni del genere

Rosa Shocking: è l'eloquente titolo dell'ultimo Report su violenza e stereotipi di WeWorld (già nota ome Intervita) che sarà presentato alla Camera dei Deputati martedì 18 novembre.

Titolo mutuato da un evento del 2013, contro la violenza, per il quale fu scelto da UDI Monteverde e Movimento Artisti Arte Per. Un'ottima scelta: perché per una volta il "rosa shocking" non è riferito a vacui stereotipi, ma evoca efficacemente scioccanti realtà.
In occasione della presentazione avrà luogo anche un dibattito con i media, sulle problematiche legate alla comunicazione su questo tema. 
Parteciperanno la Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini e il Premier Matteo Renzi; il quale - ricordiamo - ha tenuto per sé la Delega alle Pari Opportunità (limitandosi a nominare una consigliera).
Interverranno inoltre Marco Chiesara (Presidente WeWorld Intervita Onlus); Nando Pagnoncelli (Ipsos); Massimo Guastini (Presidente ADCI - Direttore Creativo&Partner cOOkies) e Stefano Piziali (Responsabile Advocacy WeWorld Intervita Onlus); Valeria Fedeli (Vice Presidente Senato) ed Ermenegilda Siniscalchi (Capodipartimento per le politiche con la Famiglia).
I Media invitati per il Dibatto saranno rappresentati da:
Maria Bollini - Presidente del Comitato per le Pari Opportunità della Rai
Urbano Cairo - Presidente Cairo Editore
Fedele Confalonieri - Presidente Mediaset
Alberto Contri - Presidente Pubblicità Progresso
Diamante D'Alessio - Direttrice IO Donna
Luca Dini - Direttore Vanity Fair
Barbara Stefanelli - Vice Direttrice Il Corriere della Sera
Rosa Urso - Production's Supervisor Endemol Italia
Andrea Zappia - Amministratore Delegato Sky
Modera: Luisa Betti
Per accreditarsi scrivere a comunicazione@intervita.it  
Martedì 18 novembre ore 10.00, Camera dei Deputati, Sala della Regina; Piazza Montecitorio, Roma (accesso consentito solo in orario e fino a esaurimento posti; Si ricorda che, nei palazzi della Camera, per gli uomini è d'obbligo la giacca.)

WeWorld Intervita è una Ong attiva in Italia e nel Sud del Mondo; si occupa di diritti dei bambini e delle donne e stila rapporti sulla violenza e gli stereotipi di genere

martedì 4 novembre 2014

Allarme Onu sul clima. Ma dove vivete, voi, politici e media? Su che cavolo di pianeta credete di stare?

In conferenza stampa ieri a Copenaghen, i massimi scienziati del clima del pianeta hanno parlato chiaro e forte: siamo al punto di non ritorno. Le prossime generazioni sono condannate. Il Pianeta sta morendo. 

Per abbassare la febbre le emissioni di gas serra devono essere drasticamente ridotte, subito: per scendere del 70% entro il 2050, e andare a zero nel 2100. E per farlo c'è un solo modo: rinunciare subito a petrolio, carbone e gas. Serve altro? Signor premier Matteo Renzi, serve altro??
Forse si. Le concentrazioni di gas serra non sono mai state così alte da 800mila anni a questa parte. Dal 1901 al 2010 il riscaldamento globale causato dai gas serra ha già innalzato il livello del mare di 19 centimetri e di questo passo i cm saranno 82 entro la fine di questo secolo. Se il Pianeta si riscalda di altri 2 gradi, dice il report, siamo fregati. Ma già questi "2 gradi" sono una pietosa bugia, un eufemismo: per le ragioni che spiega la chiamata urgente lanciata in settembre dalle donne per il clima.

Serve altro? Signor premier Matteo Renzi, per capire che dobbiamo fare una inversione a U, serve altro?? Signor ministro Gian Luca Galletti, serve altro??

«Serve la volontà di cambiare» dice Rajendra Pachauri (che guida il team degli esperti). «Agire subito o il clima impazzirà definitivamente» dice Ban Ki-moon (segretario Onu). Qui l'estratto del documento finale. E qui le dichiarazioni:



Serve altro? Signor premier Matteo Renzi, serve altro??
Signor ministro Gian Luca Galletti, serve altro??

Calotte polari che si sciolgono, mari che si innalzano, tornadi e alluvioni da un lato, siccità e ondate di calore dall'altro, catastrofi sempre più frequenti: serve altro? 
Eppure nessuno fa una piega. Tutti i giornali del pianeta avrebbero dovuto uscire con questa notizia a caratteri cubitali sulla prima pagina, e dedicarle quasi tutte le pagine seguenti. Tutti i capi di Stato avrebbero dovuto consultarsi freneticamente e precipitarsi a fare dichiarazioni. Invece no; solite dichiarazioni vuote e basta. In Italia, poi - non è che è una notiziola, quasi un fatto di costume - cui dedicare trafiletti: Il Corriere ha fatto un richiamino in prima pagina (fra l'ingorgo delle tasse e il triste autunno del calcio), e un articoletto (sdrammatizzante alla se po' ffà) a pag. 10, nella sezione "esteri". Esteri?? perché, noi italiani, viviamo forse su Marte?
Repubblica - addirittura - relega la seccatura in 28esima pagina, nella sezione ambiente.
Un po' meglio La Stampa, ma nel complesso la notizia passa inosservata, mentre in Parlamento passa lo #sbloccatrivelle. L'assenza (per non dire di peggio) dei nostri politici brilla, come le banalità del ministro dell'ambiente, che finge interesse, glissando tranquillamente sul fatto che l'anacronistico "sbloccaitalia" punta tutto sul petrolio - come se fossimo nel 1930 - l'energia sostenibile del tutto ignorata: roba da donnette. Anacronismi ciechi e colpevoli, in piena continuità con i progetti irresponsabili già perseguiti, nel silenzio generale, dai precedenti governi, incluso il governo Monti.
Ma dove vivete, voi, politici e media? Su che cavolo di pianeta credete di stare? 

E voi, che vi riempite le casse con i frutti dell'immonda corruzione che ci ammorba, credete davvero che avrete un Pianeta B su cui scappare? Davvero pensate di uscire dalla "crisi" planetaria producendo più armi e petrolio, trivellando anche i fondi marini, appestando tutto con gli OGM? davvero? 

Qualunque siano i vostri deliri, non esiste un piano B, perché non esiste Pianeta B su cui svignarsela.
#sapevatelo

Eppure - aggiornamento 8 novembre 2014:
Per sordità patologica e sindrome dello scorpione: cosiddetto SbloccaItalia è legge con tutto il corollario di #sbloccatrivelle.

domenica 2 novembre 2014

E i media decidono che le donne non possono insegnare all'università



E da quando le donne possono insegnare solo alle medie e al liceo? E perché se insegnano all’Università la qualifica di professoressa sparisce e diventano maschi col titolo di professore? Insomma, sostantivi e aggettivi devono seguire le regole della grammatica italiana solo per posizioni sociali e professionali di livello basso?
Sembrerebbe di sì secondo l’Ansa e la maggior parte dei quotidiani come Corriere della Sera, La Repubblica, Il Messaggero e via continuando.
Ci rendono infatti noto che forse saranno due donne le candidate di nomina parlamentare per la Corte Costituzionale. Scrivono tutti che si tratta di Silvana Sciarra, professore ordinario di Diritto del lavoro nella Facoltà di giurisprudenza dell'Università di Firenze, e Maria Alessandra Sandulli, professore ordinario di Diritto Amministrativo e Giustizia amministrativa presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Roma III.
Un gran pasticcio grammaticale. Al punto che i due “professori” tornano al loro genere quando l’Ansa avverte che “quelle delle due professoresse non sono, infatti, candidature politiche“.
Eppure tutti i vocabolari, dizionari e Accademia della Crusca sono concordi: in italiano sostantivi e aggettivi devono rispettare il genere maschile e femminile e il loro uso non è un optional. Per i sostantivi epicèni (invariati al maschile e femminile, come giudice o giornalista) è l’articolo che indica se ci si riferisce a un uomo o una donna.
La lingua si evolve, al pari della società, e cariche un tempo precluse alle donne, come ministro o sindaco devono rispettare il genere.
Sono passati trenta anni dalle “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana” di Alma Sabatini ed ora il testo “Donne, grammatica e media”, scritto dalla professoressa Cecilia Robustelli, docente di Linguistica italiana all’università di Modena, consulente dell’Accademia della Crusca, indica i termini corretti nella lingua italiana

La pubblicazione è stata voluta dall’associazione di giornaliste Gi.U.Li.A. e sostenuto anche da noi, del Comitato Se non ora, quando? Donne e informazione.
Ma basteranno libri e vocabolari per combattere la discriminazione di genere e l’uso sessista nel linguaggio? Sembrerebbe di no, se si arriva a negare anche l’esistenza della professoressa!

sabato 1 novembre 2014

1 novembre 2014 manifestazione globale contro lo Stato islamico, per l'umanità

1 novembre 2014: Manifestazione globale contro lo Stato Islamico, per Kobane e per l’Umanità: appuntamenti in tutta Italia e nel mondo.  

Raccogliamo l'appello della Resistenza curda contro l'ISIS:
Vi chiediamo di unirvi alla Manifestazione Globale del 1 novembre per Kobanê. Invitiamo le persone in tutto il mondo a mostrare la loro solidarietà: scedete in piazza e manifestate, dovunque viviate. Se il mondo vuole democrazia in Medio Oriente sostenga la resistenza kurda a Kobanê. 
Solo l’autonomia democratica nel Rojava e il suo modello (che pratica una posizione laica, non settaria, di unità nella diversità) può promettere un futuro libero per tutti i popoli in Siria.   

Il duro assedio attuale, dei criminali dell'ISIS a Kobane, regione curda nel nord della Siria, è solo l'ultimo di una serie di violenti attacchi a quest'area. Nel gennaio di quest’anno i curdi di Rojava (Kurdistan occidentale) hanno costituito amministrazioni locali sotto forma di tre cantoni, uno dei quali è Kobane. Al nord della zona si trova il confine turco, mentre tutti gli altri lati sono circondati da territori già controllati dai miliziani fanatici dell'ISIS, i quali avanzano con forti dotazioni di armi pesanti di fabbricazione USA, perpetrando una efferata carneficina (secondo i curdi "il più brutale genocidio della storia moderna").

Senza risorse e armati solo di armi leggere, gli abitanti di Kobane resistono da soli, assistiti unicamente dalle Unità di Difesa del Popolo e dalle ormai celebri unità di resistenza in cui tanto ruolo hanno le donne - senza alcun aiuto internazionale, e senza nessun sostegno dalla vicina Turchia. Non solo la cosiddetta coalizione internazionale per combattere ISIS non aiuta la resistenza all'Isis in modo efficace, ma in particolare la Turchia (il cui governo è tradizionalmente nemico della minoranza curda), è ritenuta addirittura tra i sostenitori finanziari e militari del terrorismo dello "Stato islamico" in Iraq e Siria. Per questo, dicono gli organizzatori, è urgente e vitale una mobilitazione internazionale e per questo è importante la Manifestazione Globale del 1 novembre.