domenica 5 ottobre 2014

Amazzoni Furiose

Iniziando da oggi a contribuire a questo blog, per prima cosa mi presento. 
Sono un'amazzone furiosa. La prima parola che sono riuscita a pronunciare, quando la dottoressa che avevo di fronte mi ha comunicato che c’erano delle cellule anormali nel linfonodo ingrossato sotto la mia ascella – questo era stato il motivo del nostro incontro – è stata: Perché? Ho continuato a fare la stessa domanda all’altra dottoressa che ha eseguito una biopsia ecoguidata del nodulo che avevo nel seno destro e a tutte le altre persone, medici, infermieri, altre pazienti, familiari e amici di pazienti, che ho incontrato lungo il mio percorso di malata di cancro al seno.
Era il 17 novembre del 2010 quando mi è stata comunicata la diagnosi ufficiale: carcinoma duttale infiltrante con metasasi linfonoidali. Il 20 dicembre dello stesso anno ho subito un intervento di quadrantectomia con dissezione ascellare. L’8 febbraio del 2011 ho fatto il primo ciclo di chemioterapia, quella rossa, quella bella tosta che ti fa cadere tutti i capelli, i peli, le ciglia e le sopracciglia, che ti fa bianca come un lenzuolo e ti strizza lo stomaco come uno straccio inzuppato di veleno. 
Sono seguiti la radioterapia, gli anticorpi monoclonali, l’ormonoterapia ancora in corso. Oggi, ad ottobre del 2014, sono una donna di 34 anni in menopausa farmacologica, con un quarto di seno in meno e un braccio che ogni tanto faccio fatica ad alzare. 
Continuo ancora a farmi la stessa domanda, però. Perché? 
Perché mi sono ammalata così giovane, senza nessun precedente in famiglia e senza essere portatrice di una mutazione genetica associata con un aumentato rischio di sviluppare il cancro al seno? 
Perché, dopo decenni di raccolte fondi e ricerca, di cancro al seno si continua ancora a morire? 
Perché i giornali e l’establishment medico vogliono farci credere che così non è, e che dopo il cancro al seno tutto torna come prima, anche se non è vero? 
Perché le case produttrici di cosmetici vendono prodotti con il nastrino rosa dicendo di raccogliere fondi per la ricerca quando in quegli stessi prodotti ci sono sostanze cancerogene? 
Mi è stato consigliato più di una volta - e da più di una persona - di lasciar perdere, di non angustiarmi ché la rabbia non paga. Sono invece convinta, seguendo l’esempio dell’attivista statunitense Barbara Brenner, che la rabbia, se incanalata nella direzione giusta, può essere molto utile. Le battaglie di rivendicazione dei propri diritti condotte dai popoli colonizzati, dalle donne e da tutti i gruppi subalterni ne sono la dimostrazione. 
Per questa ragione, a maggio del 2012 ho aperto un blog, trasformatosi successivamente in un blog collettivo: Le Amazzoni Furiose che raccoglie i pensieri e i punti di vista delle tante donne che, come me, non smetteranno mai di chiedere perché.
Amazzone furiosa

2 commenti:

  1. si ok, e scusa la curiosità ma che cazz c'entra con questo post ?????

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  2. nulla può tornare proprio "come prima" ma è possibile continuare a vivere e anche avere momenti di felicità

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